Tornavo a casa la sera e non sapevo neanche come facessi a chiamarla così.
Di me in quell’ edificio non c’era nulla, non una fotografia, non un poster (magari della mia band preferita), niente.
Ero un fantasma che aleggiava per le stanze non lasciando segni del suo passaggio.
La sera, quando tornavo, mi buttavo sul letto e fissavo il soffitto , la mente vagava, vagava e vagava.
Nuotavo tra vecchi ricordi, rivedevo come uno spettatore esterno io e Akari, in mezzo alla neve mentre ci tenevamo per mano, la visione era confortante.
Risentivo le sue labbra sulle mie e riprovavo quella dolce tristezza che mi assalì quella notte di tanti anni fa.
Tra quei ricordi agrodolci, alla fine, mi lasciavo cullare tra le braccia di Morfeo.

Non so come presi quella decisione, mi svegliai ma desiderai non averlo fatto. Avevo capito, la vita non era fatta per me. O almeno, la mia vita senza di lei, non aveva senso.
Ero stanco della solita routine, stanco di buttarmi sul letto e di pensare a lei, volevo fermare i pensieri, non volevo più tutto quel casino nella testa.
Volevo andare oltre, mettere fine a tutto.
Fu così che alle ventitre e cinquantacinque del trentuno dicembre 2013 ero affacciato alla finestra del mio appartamento.
Situato al decimo piano.
Tokyo era viva quella notte, piena di gente che da li a cinque minuti avrebbe festeggiato l’arrivo del nuovo anno, che io non avrei mai visto.
Ero in qualche modo felice di ciò.
Mi sedetti sul ciglio della finestra,  respiravo con fatica, il mio cuore, che batteva all’impazzata, tra pochi minuti si sarebbe fermato.
Ero cosciente di ciò e comunque riuscì a sorridere.
Ripensai al giorno in cui Akari mi disse che si sarebbe trasferita, a quante lacrime versai  e a come fui incapace di consolarla.
Ricordai di quando le scrivevo messaggi che non potevo inviare non avendo il suo numero di telefono.
Vivevo una vuota da quando avevo tredici anni, da quando lei mi aveva abbandonato avevo smesso completamente di interessarmi alla vita, facevo quello che dovevo fare perché, appunto, dovevo, non per interesse personale.
Ero come un guscio vuoto, che non poteva essere riempito.
Vivevo una vita monotona, avevo smesso di lavorare, non mi ero mai interessato a nessun’altra ragazza.
Nei miei pensieri c’era solo lei.
La vedevo in ogni ragazza che incontravo e quando realizzavo che non era lei, il mio cuore si stringeva in una morsa dolorosa.
Eppure ero convinto che avremmo rivisto i petali dei ciliegi cadere cinque centimetri al secondo.
“Ed adesso” pensai “Dimmi Akari, quanti secondi ci mette un corpo di sessantacinque chili a cadere da trenta metri ?”
Mi alzai, spalancai le braccia e mi tuffai.
L’ultima cosa che vidi furono i suoi occhi, colmi di lacrime.
Poi, il vuoto.