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Autore: Ashley_94    14/06/2014    1 recensioni
Avevo scritto questa storia per un concorso. Ora che il concorso è terminato ho deciso di pubblicarla qui.
"Stanotte sono con una persona che è come me. Non siamo noi quelle che si isolano, sono gli altri che alzano barriere. Non siamo noi le diverse, sono loro a non essere come noi."
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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DIVERSA.

Esco di casa sbattendo la porta d'ingresso e ignorando le urla che provengono dall'interno, tiro su il cappuccio della mia felpa, accendo l'ultima sigaretta che ho nel pacchetto e comincio a camminare tra i palazzi del mio quartiere. Un quartiere dove tutti pensano di sapere tutto di tutti, ma nessuno conosce veramente una sola cosa degli altri. Come mio padre. Pensava di sapere tutto di me, della sua "preziosissima figlia", invece non sa neanche che sono due settimane che salto la scuola. Che poi, per me, non è neanche una scuola, ma una prigione. Cinque anni fa mi ha iscritta allo scientifico perché voleva che diventassi medico come lui o psicologa come mia madre. Mia madre...lei si preoccupa più dei suoi pazienti che di me. A loro non importa nulla dei miei interessi, dei miei sogni. Loro vogliono solo che diventi come loro, ma io non sarò mai come loro. Mai. Il periodo in cui cercavo di accontentarli è finito, è arrivato il momento di farmi valere, per questo ho detto loro tutta la verità.
          Durante la cena, quando ho confessato che la mia migliore amica è più di un'amica per me, mia mamma ha alzato gli occhi dal piatto e mi ha guardata come per dire "Tranquilla, troveremo una cura.", come se fosse una malattia, mentre mio papà ha iniziato a sbraitare. Non accetta che io possa essere omosessuale. Secondo i suoi piani perfetti io avrei dovuto sposare un avvocato e dargli dei nipotini. Ma nei suoi piani perfetti non aveva tenuto conto di Giorgia. Mio padre non l'ha mai sopportata da quando ha messo piede in casa nostra. Con i suoi capelli rasati da una parte, il suo tatuaggio e il suo piercing sulla lingua, lei è l'opposto di quella che ero quando l'ho incontrata e tutto quello che ho sempre voluto essere. Per anni ho lottato contro quello che sono, arrivando ad essere quello che i miei genitori volevano. Per anni ho rinnegato me stessa al punto da riuscire quasi ad annullarmi, a diventare quasi un automa. Poi è arrivata lei. Un angelo sceso dal paradiso per salvarmi dalla prigione infernale che mi stavo costruendo intorno. Lei mi ha spronato a seguire i miei sogni. Grazie a lei ho iniziato a frequentare un corso di cinematografia. Sta anche cercando di farmi smettere di fumare, una cosa che ho iniziato a fare per dispetto nei confronti di mio padre. Se mia madre lo scoprisse direbbe che il mio è solo il desiderio di emulazione di uno stereotipo e il modo per sentirmi appartenente al mio gruppo di amici. Stronzate! Per colpa loro ho dovuto rinunciare ai miei vecchi amici, l'unica che mi è rimasta è Giorgia che odia il fumo, e nessuno dei miei compagni di classe fuma, sono tutti troppo puristi e salutisti. Una classe di "splendidi" e io sono la pecora nera. Io non voglio emulare proprio nessuno! Io voglio distinguermi dalla massa! Voglio qualcosa che sia solo mio! Qualcosa che i miei disapprovino. Qualcosa che mi faccia sentire viva e non più un burattino nelle loro grinfie.
          Continuo a camminare. Sempre dritta, senza mai svoltare. Ormai la sigaretta è finita. Ne voglio un'altra, ma il pacchetto è vuoto. Potrei prenderne un altro dal distributore automatico, ma...ho promesso alla mia fidanzata che non ne avrei fumate più di tre al giorno e quella che ho appena buttato a terra era l'ultima giornaliera. Sento il mio cellulare che comincia a squillare. È mio padre. Rifiuto la chiamata e rimetto il telefono in tasca. Mi fermo e mi guardo intorno. Non riconosco questo posto. Ero così arrabbiata che non mi sono neanche resa conto di aver cambiato quartiere. Chissà se le persone che vivono qui sono come quelle che vivono nel mio, chissà se anche qui abita una ragazza che odia i suoi genitori.
-Hey!
Mi giro verso la voce. Un uomo sulla trentina mi sta facendo segno di andare da lui. Lo ignoro e ricomincio a camminare.
-Hey!
Ancora la sua voce. Che cosa vuole?!? Mi volto ancora nella sua direzione e lo trovo ancora lì che mi indica di raggiungerlo. Sono tentata di farlo, ma so che è pericoloso. Questo quartiere ha una brutta fama. Non dovrei essere qui, se Giorgia lo sapesse si arrabbierebbe. Molto. Lei non vuole che mi cacci nei guai. Cerca continuamente di tirarmici fuori, ma io li attiro. Il mio telefono squilla di nuovo. Questa volta è mio fratello.
-Pronto?
-Dove sei?- urla lui.
Non posso credere che siano veramente ricorsi a lui.
-Davanti al semaforo di via Carducci.
-Ma sei matta? A girare da sola per quel quartiere a quest'ora?
-Mi stai veramente facendo la ramanzina? A me?
-Resta ferma lì Stella! Vengo a prenderti.
E, senza neanche aspettare la mia risposta, attacca. Mio padre è proprio subdolo: sapeva che avrei risposto a mio fratello perché di lui mi fido. E ora sanno dove sono. Odio quando usano mio fratello contro di me e odio che lui si lasci usare! Come può essere così stupido? Lui non è stato fortunato quanto me: lui non ha avuto nessuno che lo liberasse dalla ragnatela di mio padre. Lui si è laureato in giurisprudenza, una materia che odia. Lui che voleva cantare, ora non canta neanche più quando è da solo. Non voglio finire come lui. Ma so che, se adesso resterò qui ad aspettare che mi vengano a prendere e che mi riportino a casa, i miei genitori mi impediranno di rivedere Giorgia e di avere qualsiasi tipo di contatto con lei. No! Non voglio! Io la amo e non mi importa quello che dicono loro. Lotto contro la parte paurosa, e forse anche la più razionale, di me stessa e ricomincio a camminare. So che c'è un piccolo parco qui vicino; di giorno è un posto bellissimo, pieno di bambini che giocano e di ragazzi che portano a spasso i cani, ma di notte gira brutta gente...il mese scorso una ragazza è stata ritrovata stuprata e in fin di vita. Nel mio quartiere una cosa del genere non accadrebbe mai: di notte ci sono tutti i lampioni accesi e dei volontari fanno il giro di ronda. Com'è possibile che due posti così vicini siano così diversi? La maggior parte della gente dà la colpa agli immigrati, ma non può essere solo quello! Deve esserci qualcos'altro! Davanti a me vedo il parco. C'è un solo lampione ad illuminarlo, posto vicino all'entrata. Mi siedo sulla panchina più illuminata che trovo e mi guardo intorno. Non c'è anima viva. Il mio cellulare vibra, segno che è arrivato un messaggio. Lo leggo. "Dove cavolo sei? Perché non sei rimasta ad aspettarmi come ti avevo detto?". "Torna a casa e non preoccuparti per me." è la mia risposta.
          Me ne andrò di casa, è deciso. Non posso più vivere lì. Non riuscirei ad essere felice. Digito il numero sulla tastiera e chiamo, pregando che mi risponda.
-Dimmi piccola.-dice dopo pochi squilli.
-Posso venire a stare da te?
-Che razza di domande fai? Certo che puoi! Ma i tuoi genitori che...
-Non mi importa di quello che dicono! Io voglio stare con te. Ho provato a spiegarglielo, ma non hanno capito...
-Va bene cucciola. Dove sei? Vengo a prenderti.
Glielo spiego e aspetto il suo rimprovero che, però, non arriva.
-Va bene. Arrivo tra cinque minuti.
La ringrazio e metto giù. Mi stringo nella felpa rimpiangendo di non aver preso anche il cappotto. siamo a metà febbraio e fa freddo. Porto le ginocchia al petto nella speranza di stare un po' più calda. Puntuale la piccola golf nera si ferma davanti all'entrata del parco. Mi affretto a salire senza, però, incrociare lo sguardo di lei. Non voglio essere rimproverata ancora.
-Niente cappotto?- chiede partendo.
-Me ne sono andata velocemente e non ci ho pensato.- taglio corto.
La vedo annuire continuando a fissare la strada. La sua faccia è una maschera: so che vorrebbe sgridarmi, ma si sta trattenendo...probabilmente lo farà domani mattina dopo che avrò riposato. Arriviamo a casa sua e mi dice di andarmi a fare una doccia calda per riprendermi e riscaldarmi. Annuisco e mi dirigo a passo lento verso la piccola stanza ricoperta da piastrelle azzurrine con un grande specchio semicircolare e un box doccia molto pratico. Quando l'acqua si è scaldata entro nella struttura di vetri opachi. Vorrei restare sotto questo getto caldo per ore, ma so che Giorgia lavora molto per pagare l'affitto e le bollette. Vive da sola da un paio d'anni, da quando ha finito le superiori. So che se voglio restare qui le spese aumenteranno e dovrò trovarmi un lavoro part-time, magari come commessa nel negozietto di alimentari qui vicino. Farò tutto quello che sarà necessario per non essere costretta ad andarmene da qui, da questa tana sicura. Chiudo l'acqua ed esco dal bagno avvolta nel grande asciugamano bianco della mia ragazza. Sono stanca. Vado in camera, dove Giorgia si sta mettendo il pigiama, e mi infilo sotto le coperte ancora avvolta nel panno di microfibra. Lei mi raggiunge e mi abbraccia da dietro. Mi piace stare tra le sue braccia, mi sento protetta.
-Mi troverò un lavoro, così potrò aiutarti con i costi.
-Non preoccuparti di questo adesso. Dormi.- mi sussurra all'orecchio.
Chiudo gli occhi e mi abbandono a questa sensazione di serenità che ho cominciato a provare quando sono entrata nella sua auto. Stanotte sono al sicuro. Almeno per stanotte non dovrò sentirmi diversa. Stanotte sono con una persona che è come me. Non siamo noi quelle che si isolano, sono gli altri che alzano barriere. Non siamo noi le diverse, sono loro a non essere come noi.
  
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