A swordsman lost in the supermarket and an odd way to find him
 
Zoro non poteva che associare il supermercato ad un labirinto: in quell’intricato guazzabuglio di corridoi si aspettava di vedersi comparire davanti al naso, da un momento all’altro, un affamato minotauro pronto a divorarlo. I cancelli che conducevano a ciò che per lui era un vero e proprio inferno potevano considerarsi come le casse affollate che, straripanti di espositori di caramelle, si illuminavano e suonavano al passaggio di un prodotto, abbandonato sul nastro trasportatore da mani morbide e curate di donna, imbustati da dita pelose di uomo e portati via da braccia rugose di vecchia; a quell’ora del mattino il negozio era ampiamente frequentato, merito anche dei condizionatori che, accesi alle prime luci dell’alba, donavano un momento di ricercato refrigerio nella calura di luglio.

Sanji spuntò l’ennesimo ingrediente dalla lista, spulciando con fare critico tra gli scaffali per poter cancellare anche l’ultimo dei punti, scritti febbrilmente con inchiostro blu sul foglietto spiegazzato: mentre osservava il carrello cigolante e straripante di gustose verdure e prelibatezze, perfette per preparare una cenetta con i fiocchi in occasione della serata con gli amici, il ragazzo si rese conto però di aver scordato un elemento fondamentale. Si guardò intorno, nella speranza che il banco del macellaio fosse nelle vicinanze: ma non riusciva a scorgere alcun segnale della sua presenza, né con gli occhi, né tantomeno con le narici abituate a individuare qualsiasi odore avesse a che fare con la cucina. Sbuffò e si passò una mano nel ciuffo biondo, voltandosi verso il ragazzo che, perso nei suoi pensieri, camminava tra le ceste di frutta con la stessa lucidità di un naufrago appena riversato su una spiaggia.

“Dannato spadaccino, vammi a prendere della carne.”

Il diretto interessato ci impiegò un paio di secondi per assimilare l’informazione e, non appena capito dove il compagno voleva andare a parare, si girò con fare scocciato verso di lui, storcendo la bocca e scansando l’incarico affidatogli con un gesto stizzito della mano: la sua attenzione, come Sanji aveva notato con una nota di rassegnata esasperazione alcuni minuti prima, non era stata rapita dai succosi pomodori disposti in bella vista nelle casse, ma dal portone di uscita. Qualcuno non vedeva l’ora di andarsene, a quanto pareva.

“Tzk, col cavolo, sopracciglio a ricciolo.”

Suo malgrado, Zoro si ritrovò pochi istanti dopo a ciondolare in preda alla rabbia e allo sconforto più completi per l’intricata disposizione dei reparti, che minacciava di condurlo in una zona totalmente diversa da quella che si era prefissato di raggiungere: d’altronde, la struttura del locale e il tortuoso percorso tra cestini di plastica, famiglie al completo e marmocchi urlanti lo mettevano in grave difficoltà. Più volte era stato preso in giro per il suo scarso senso dell’orientamento e nonostante cercasse di dimostrare che no, non si sarebbe lasciato sconfiggere di nuovo dal suo peggior nemico, la compagnia che era solito frequentare, i compagni del corso di kendo e pure i suoi insegnanti dovevano tenerlo d’occhio in maniera costante, per evitare che si smarrisse per la strada, per la palestra o per la scuola. Così pensando, in preda al desiderio di malmenare Sanji, che l’aveva corrotto con la promessa di un buon bicchiere di sakè e una scopata non appena tornati a casa, vagava.

Nel frattempo, i minuti passavano: il locale, oramai prossimo alla chiusura, si svuotava lentamente dell’orda di compratori che l’avevano assaltato; in mezzo alla confusione, il biondo non riusciva ad individuare una caratteristica zazzera verde. Sospirò, massaggiandosi gli occhi con i polpastrelli e torturandosi la bocca con i denti quasi a voler sostituire la sigaretta che, in quel momento, gli sarebbe stata davvero utile; trattenendo continui borbottii, aspettava la donna alla cassa.

“Allora, come si chiama il suo amico, signore?”

Sanji si riscosse dallo stato di trance in cui era caduto, appurando che finalmente l’arduo tentativo di collegare l’interfono della postazione all’altoparlante del negozio era andato in porto: sfoderando il suo più gentile sorriso, nella speranza che la dipendente non si accorgesse dell’impazienza che covava, le diresse uno sguardo allegro e divertito, mordendosi stavolta il labbro inferiore non per rimpiazzare la paglia, ma per trattenersi dallo scoppiare a ridere.

Il solo pensiero di una voce gracchiante che urlava in un supermercato affollato tale termine lo divertiva non poco.

Quando il biondo le rivelò il nome, non senza una nota di scetticismo e perplessità, la donna afferrò il microfono e non appena l’avviso si espanse nell’aria, attirando lo sguardo dei clienti, Sanji cominciò a sghignazzare scompostamente, tenendosi lo stomaco per evitare di cadere a terra dalle risate.

“Il signor Marimo è atteso in cassa 23; ripeto, il signor Marimo è atteso in cassa 23.”
 
 
 
 
 
 


Writer’s Corner:
Volevo solo ritagliarmi uno spazio per ringraziare Alice di avermi affidato la stesura di questa One Shot che mi ha fatto sì dannare, ma anche divertire; spero che ve la siate spassata leggendola, così come io ho fatto scrivendola.