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Autore: _Arika_    13/08/2008    3 recensioni
Una song fiction che descrive in parallelo le sensazioni di Mirai No Bulma e Bulma della Saga di Majin Buu riguardo alla morte di Vegeta, sulle note della canzone Hallelujah di Jeff Buckley.
Questa è solo la prima parte, ce ne saranno altre due. Hope you like it ^^
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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HALLELUJAH

HALLELUJAH


By Chiara ( lealidiicaro@libero.it http://lantrodidedalo.iobloggo.com )


DISCLAIMER:

La canzone citata in questo testo è Hallelujah, composta da Leonard Cohen nel 1984, nella rivisitazione di Jeff Buckley, che comprende il cambiamento dell'ultima strofa originale.

Vegeta e Bulma sono personaggi del manga Dragon ball di Akira Toriyama. Questa storia non persegue scopo di lucro quindi non può dirsi intesa nessuna violazione del diritto d'autore.

Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale.

E' possibile citare, riprodurre o utilizzare parte o l'intera storia solo con il consenso dell'autrice.


Nota: Data la forte influenza che la canzone ha su questa storia, vi consiglio di leggerla ascoltandola in sottofondo. Io mi sono ispirata alla versione cantata da Elisa nell'album Lotus. Qui potete ascoltare il file.

Buona lettura, spero vi piaccia.


PARTE PRIMA: SCONFITTE


MIRAI NO BULMA


Il pianoforte.

Il pianoforte mi guarda dal centro della stanza come aspettandosi che mi avvicini. Come una casa quando torni da un lungo viaggio, familiare, accogliente. Crudele, nel suo richiamarti a sè con la prepotenza di chi sa di avere un posto certo nel tuo cuore.

Si aspetta che torni a suonarlo, perchè per me poggiare le dita su quei tasti è sempre stata una sconfitta, e anche gli oggetti hanno un loro orgoglio.

Un loro modo di ricordarci che siamo tornate anche se avevamo promesso di non farlo più.

Un loro gusto, nell'assaporare la vendetta.

Ho suonato questo piano per la prima volta a cinque anni. A sei deliziavo amici e parenti, a nove pestavo le mani sui tasti come se col mio tocco avessi potuto fargli male.

-Ma Bulma, tesoro, il pianoforte è così emozionante, come fa a non piacerti?

Io non ci trovavo nulla di emozionante, a stare seduta davanti a un mostro di legno lucido ripetendo le solite scale all'infinito. Mi piaceva sentire i pianisti, ma dover suonare scale a accordi per anni sapendo che non sarei mai riuscita a produrre certi suoni era una cosa che non riuscivo ad accettare.

A cosa serviva fare qualcosa sapendo già che non si sarebbe mai arrivati a farlo bene?

Che senso ha fare qualcosa per cui non basta esercitarsi, per riuscire a emozionarsi?

Ho smesso di suonare il pianoforte quando ho scoperto la meccanica. Quando a undici anni ho letto il primo trattato sulla costruzione delle capsule ho capito quanto era stato stupido dedicarmi a quello studio inconcludente.

Avevo studiato per 5 anni rimanendo sempre una mediocre esecutrice. Mi ero illusa che un giorno quello strumento mi avrebbe accettata e accolta, portando le mie mani a far uscire suoni non più dissonanti e stridenti, ma mi ero illusa come una sciocca.

La strada della mia vita erano le invenzioni, e in quel campo sapevo che avrei potuto eccellere. Dal progetto al prodotto c'era solo costruzione, meccanica e semplice, non pratica estenuante seguita da mediocri risultati.

-Il difficile in questo lavoro è inventare, non costruire.

E a me le idee non erano mai mancate. Peccavo nell'esecuzione, ma le idee non mi erano mai mancate.

Mi avvicino al pianoforte senza osare sfiorarne il dorso.

Avvicinarmi a lui è sempre stata una sconfitta.

Perchè esso rappresentava quella che sarebbe stata la mia vita da terrestre. I ricevimenti, le feste, gli amici, un fidanzato, una famiglia. Un nucleo rispettabile e ben visto in società. Begli abiti e bei gioielli e un bell'uomo da portare al braccio. Come una splendida borsetta.

E tornare a suonarlo quando l'amarezza dei gesti di Vegeta riusciva a ferirmi a tradimento era una sconfitta che bruciava sempre.

La sconfitta di aver scelto un'altra vita, e poi rimpiangere quella passata.

Ma ero giovane e testarda. Erano pochi i giorni in cui suo tono mi feriva e io tornavo al pianoforte. In cui con un solo unico gesto le mie difese sembravano crollare, come un vaso di cristallo che va in frantumi colpito da un proiettile.

Erano pochi i giorni in cui la tristezza mi colpiva.

Perchè ero giovane e convinta che tutto fosse un bel gioco. Un modo per passare il tempo. Un modo per divertirci, giacchè eravamo costretti a sopportarci.

Ero giovane e pensavo che il futuro fosse qualcosa di evanescente, lontano, qualcosa che forse un giorno avrei intravisto ma in quel momento era fuori dalla mia vista.

Ero giovane e convinta che la nostra storia fosse soltanto un bel gioco.

Che prima o poi lo avrei cambiato e la nostra sarebbe diventata una storia seria, o mi sarei stufata e avrei trovato un buon marito.

E che non avrei sofferto a causa sua.

Adesso sono passati sedici anni, e mi rendo conto che oltre che giovane ero anche ingenua. Benchè avessi ormai girato il mondo e l'universo, costruito macchine in grado di salvare o uccidere migliaia di persone, comprendere me stessa e fare la cosa giusta mi riusciva male come suonare il pianoforte.

Mi riusciva male avere a che fare con le persone, e trasmettere quanto provavo con i gesti e le parole, esattamente come quando schiacciavo quei tasti bianchi e neri e non usciva la melodia stupenda che avrei voluto.

L'ultima volta che ho suonato questo strumento Trunks era molto piccolo. Aveva solo pochi mesi, e Vegeta non si era mai fermato nemmeno a dargli un'occhiata.

Era una sera di aprile, quando il caldo cominciava a spolverare il giorno ma la notte era ancora fredda, e io mi stavo rendendo conto che avere un bambino non era esattamente come avevo immaginato.

Potevo portare Trunks in giro da tutte le vicine ogni dannata settimana, ma nelle poppate notturne ero sempre inesorabilmente sola.

Eppure nella mia cocciutaggine non addossavo a Vegeta particolari colpe. I patti erano stati chiari fin dal principio. Quello era il mio bambino e lui non aveva diritto di interferire su nessun aspetto della sua vita. Mio l'utero, mio il bambino. Patti chiari amicizia lunga.

Quelle poche volte che ci incontravamo nei corridoi o di fronte alle nostre stanze lo trattavo con noncuranza, come se quel bambino nella culla non fosse altro che una bambola. Recitavo, me ne resi conto dopo, la parte della donna che non ha bisogno di nessuno perchè mi costava troppo ammettere che avrei voluto che Trunks gli interessasse.

Trattavo Vegeta con freddezza se mi trattava con freddezza, oppure con simpatia quando sembrava in vena di avermi attorno.

L'ultima sera in cui suonai il pianoforte, però, era una sera peggiore delle altre. Una di quelle in cui crede di aver passato la peggior giornata della propria vita, tanto sconfortante è la sensazione che si prova arrivati a quella che sembra essere la fine di quell'inferno.

La giornata era stata un susseguirsi di lavoro, telefonate, organizzazione degli auguri per pasqua ai dipendenti, firme di contratti, aggeggi che esplodevano benchè li avessi costruiti con assoluta accuratezza. Era stata una di quelle giornate in cui già quando ci si alza si nota che è finito il dentifricio, e a quel presagio ci si dovrebbe ricoricare e non alzarsi per tutto il giorno.

Era stata una di quelle giornate che poi sarebbero diventate la routine dei tre anni dopo la morte di Vegeta, una giornata massacrante seguita da una sera di vuoto assoluto.

Di una sera silenziosa ma di quel silenzio che riesce a entrarti nelle ossa, che ti martella nella testa peggio del rumore di un motore.

Finita la poppata mi ero diretta alla sala dell'ultimo piano, quella in cui mi trovo ora, con l'intenzione di sfogarmi.

Mi ero seduta con l'intenzione di torturare quell'arnese, picchiando con i pugni fino a sentire il dolore martellarmi in testa.

Volevo sfogare la frustrazione di quell'ultimo periodo, ma quando mi ero seduta sulla poltroncina di pelle bianca chissà perchè avevo intonato l'Hallelujah.

Un canzone facile, cinque accordi per tutto il testo, ma con una tristezza intrinseca che riusciva a mozzare il fiato.

Con il passare degli anni ho capito che il mio suonare il pianoforte era un modo per richiamare Lui. Di fargli sentire come stavo. In una parte recondita del mio essere pensavo che sentendo quelle note tristi, o arrabbiate, o quei pugni picchiati sui tasti, avrebbe capito quanto male riusciva a farmi oltre la mia solida corazza.

Da quel pianoforte era la donna terrestre che piangeva, cercava di fargli sentire il suo dolore, quello che non riusciva a esprimere a parole.

Le note di quello strumento era come se dicessero "sarebbe stato facile rimanere alla mia vita, ma io per te sono cambiata".

Vegeta era riuscito a farmi rimpiangere di non aver avuto una vita "semplice". Io, che di semplice non avevo mai avuto nemmeno il taglio dei capelli, mi trovavo a pensare che avrei dovuto imparare a suonare il piano, e tutto sarebbe stato un po' più facile.

L'Hallelujah era l'unica canzone sapessi suonare per intero. L'unica che suonavo sempre, senza rendermene conto, quando Trunks dormiva e io mi sedevo davanti al pianoforte per cercare di chiamarlo.


Forse anche nel suo mondo esisteva la religione. E i pianoforti. Forse anche la musica.

Non sapevo nulla di lui, ma speravo che quelle note riuscissero a chiamarlo.

Anche solo per vedere che sguardo avevo. E capire che non era molto diverso dal suo quando cercava il suo pianeta nella volta celeste della notte terrestre.


I heard there was a secret chord Ho sentito che c'era un accordo segreto

That David played and it pleased the Lord che Davide suonava e piaceva al Signore

But you don't really care for music, do you? Ma a te non interessa granchè la musica, vero?


Mi siedo al pianoforte e fisso i tasti. Nel cielo c'è la stessa luna di quella sera, è una notte di fine aprile, proprio come quella sera.

Le dita percorrevano lente la strada malinconica, quell'insieme di dieci note che andavano scalando e risalendo.

Suonavo e risuonavo per non lasciar vincere il silenzio. Perchè una volta smesso non sentissi la sensazione di essere sola, di fronte alla consapevolezza di essere stata respinta da quella vita che credevo sarebbe stata così nuova ed eccitante. E di essere costretta a tornare al simulacro della mia vita da terrestre per cercare di sfogarmi.

Suonavo senza dolore e senza rabbia, solo lasciavo che le note invadessero la stanza, ad occhi chiusi mentre immaginavo quale mondo avevo precluso a me stessa abbandonando quello studio.

Era un canto di nostalgia alla mia vita mai vissuta, e al tempo stesso una richiesta di salvezza alla vita nuova.

Sapevo che se avessi smesso, e avessi realizzato di non aver ottenuto nulla suonando quelle note, se non lo avessi visto, nè sentito, avrei stretto i pugni e li avrei battuti sulla cassa di legno lucido, soffocando delle lacrime che anche in solitudine il mio orgoglio mi vietava di versare.

Eppure nell'ultima mezza scala, poco prima che la stanchezza mi invadesse al punto di costringermi a fermarmi, sentii il rumore lieve di un corpo che mollemente si lasciava adagiare contro lo stipite della porta.

Sentivo i suoi occhi perforarmi la pelle e la cassa toracica, fino al cuore, poi oltrepassarlo e fermarsi sullo strumento che mi ostinavo a tormentare.

E io ripresi l'Hallelujah, dall'inizio della prima, poi giù dalla seconda e la terza strofa.

Lui si avvicinò, si appoggiò al muro accanto alla finestra. Continuava a fissarmi tenendo le braccia conserte al petto. Non era pronto ad attaccarmi. Stava ascoltando la canzone.

-Hai sbagliato una nota- disse, quando un dito invece che premere il mi premette il fa.

Mi fermai e alzai lo sguardo. -Da quando in qua te ne intendi di musica?

Avevo un tono duro. Perchè anche se dentro di me ero andata lì per attirarlo, mi costava troppo ammettere la verità delle mie intenzioni.

Fingere con le vicine di casa era una cosa, potevo contare sul fatto che se mi avessero scoperta per educazione non avrebbero aperto bocca se non alle mie spalle.

Con Vegeta no. Offrirgli la gola una volta poteva bastare a condannarti a morte.

Nella mia camera Trunks dormiva sazio della poppata di mezzanotte.

Vegeta si avvicinò. Con una mano guantata premette il mi.

-Nelle basi di Freezer esisteva un oggetto simile-disse. -Ma erano solo aggeggi inutili.

Sentii la sua mano passare dal tasto alla cassa di mogano, fino alla mia spalla. Poi più giù, fino all'orlo della maglia. Sotto il tessuto e sulla pelle.

Cercai di divincolarmi ma la presa era salda e stretta. Avrei potuto urlare ma quando sentii il suo volto affondarmi nei capelli ed annusarli avidamente mi voltai e vidi la luna.

Una luna piena e bella, un feticcio a dire il vero, creato dal Supremo come proiezione sulla volta celeste per permetterci ancora di sognare a poco prezzo.

Immobile col fiato di Vegeta tra i capelli, un braccio a cingermi la vita e l'altra a stringermi con forza un seno, vidi quella luna che sembrava deridere quel sayan così dannatamente testardo e solo.

Una luna così terrestre. Tanto attraente e tanto inutile come la vita che quel pianoforte poteva offrirmi. Tanto attraente e tanto inutile quanto la prospettiva della vita sulla Terra, per un Sayan cresciuto in guerra.

Aveva una solitudine così palpabile nel respiro che non potevo allontanarlo.

Ero debole, molto debole, quando si trattava di Vegeta.

Non riuscivo a cacciarlo via o fargli volutamente male con le parole. Ne avrei avute tante di cose da rinfacciargli, ma rinfacciargli la sconfitta contro Goku, la sottomissione a Freezer e l'esplosione del suo pianeta non poteva definirsi un gioco.

Sarebbe stato come prendere in giro qualcuno per la morte dei genitori. Un gesto inutile e poco divertente, solo per il gusto di vederlo soffrire.

Per una persona diversa parlare della sconfitta subita da Goku sarebbe stata solo una battuta un po' pesante, ma Vegeta non si massacrava di esercizi giorno e notte per qualcosa che non fosse altro che un argomento su cui scherzare.

Perdere contro Goku aveva riaperto vecchie ferite, gli aveva ricordato che lui non era mai stato il più forte. E che liberarsi di Freezer non era servito a togliergli il peso della sconfitta dalle spalle.

Quella sera Vegeta rimase fermo stringendomi con una forza che non era desiderio. Quella luna piena in mezzo al cielo rideva della sua sconfitta come della mia. Mi strinse come faceva certe volte sempre nel buio della notte, per poi tornare di giorni ad ignorarmi o schermirmi come se nulla fosse accaduto.

Quando ripenso al senso di disperazione che mi trasmettevano quei contatti capisco il perchè del nostro esserci scelti. Perchè il nostro era un gioco di vuoti e pieni. Di io che avevo troppo e lui troppo poco, e al tempo stesso di lui che sentiva tutto e io che lontano da lui non sentivo nulla.

Io illuminavo leggermente la notte eterna dei suoi giorni, lui apriva brecce nel mio cuore e mi faceva sentire vibrante di emozioni così potenti da lasciarmi stordita.


Mi faceva sentire vicina al mondo di emozioni che con quel pianoforte mi era sempre sfuggito, pur allontanandomi inesorabilmente da esso.

Mi faceva entrare in un mondo di pelle, sudore e respiri, facendomi assaporare quell'emozione che fin da piccola avevo cercato di provare e far provare senza ottenere alcun successo.

Quella sera Vegeta rimase immobile stringendomi. Io senza parlare sul suo respiro ripresi L'Halleluja.

Ricordo di essermi fermata pochi istanti, nel dubbio se continuare o smettere la canzone, ma di aver creduto di sentire la sua voce tra i mie capelli.

-Continua.

E io quella sera continuai.

Suonai fino a quando la luna non passò dietro un albero. E Vegeta si staccò da me uscendo dalla stanza come un riflesso evanescente.

Lasciandomi nuovamente sola.

Davanti al pianoforte.


Well it goes like this the fourth, the fifth E fa così, la quarta, la quinta

The minor fall and the major lift Il minore scende, il maggiore sale

The baffled king composing hallelujah mentre il re confuso intona il suo Hallelujah

Hallelujah, hallelujah, hallelujah, hallelujah .... Hallelujah. Hallelujah, Hallelujah, Hallelujah ...


BULMA


Quando da piccola studiavo religione a scuola credevo che dalla casa di Dio non si vedessero altro che le nuvole.

Non credevo che la casa di Dio fosse davvero una casa come la mia, e non credevo neanche che Dio fosse un alieno verde che aveva creato sette sfere per esaudire I nostri desideri.

Ricordo che al terzo anno di scuola domandai alla maestra dove andassero tutti I morti, perchè se fossero andati in cielo avremmo visto persone morte al posto delle stelle.

La maestra mi disse che in cielo c'era posto per tutti.


Io non le ho mai creduto.


Aspiro l'ennesima boccata dalla sigaretta come sperando che essa possa farti arrivare dall'aldilà per sgridarmi e farmela buttar via. Non ho più voglia di versare lacrime. In un film ho sentito dire che “magari si possono versare solo un tot di lacrime per ogni uomo, e io le mie per lui le ho finite già da un pezzo”, e credo che questa frase potrebbe sintetizzare ciò che provo.

Guardando il mondo che dorme dalla balconata del tempio del Supremo penso che tecincamente sto guardando il mondo dalla casa di Dio, e che un normale terrestre si sentirebbe immerso nell'onnipotenza. Io non riesco a sentirmi meglio.

La fede non è mai stato il mio punto forte.

La fiducia, al massimo, ma la fede proprio no.

Aspiro dalla sigaretta pensando che solo una stupida non si sarebbe aspettata di vivere prima o poi un momento simile. Il momento in cui il Sayan avrebbe ritrovato sè stesso e capito che la Terra non poteva offrirgli nulla di quella che era la sua vera natura.

Penso che il dolore mi stringe così forte perchè Vegeta è morto, ma anche perchè dentro di me c'è una parte che non riusciva a non aspettarselo.

-Prima o poi se ne andrà, non farci troppo affidamento.

Le parole che Yamcha mi disse quando seppe che ero incinta mi rimbombano nella testa come la predizione di una sibilla.

Vegeta se ne sarebbe andato. Nonostante me, nonostante Trunks, nonostante la nostra casa, nonostante il nostro letto.

Se ne sarebbe andato, e io lo sapevo bene, solo che gli ultimi anni mi avevano portata a credere che forse quel momento non sarebbe mai arrivato. Un modo di vivere nel presente quando la prospettiva del futuro era troppo angosciante per essere accettabile.

Quando Trunks era ripartito alla volta del suo mondo avevo pensato di aver vinto.

Che una me stessa del futuro aveva giocato alla roulette col destino e aveva perso, mentre io avevo vinto.

Avevo pensato che l'aver visto il proprio figlio adulto, l'aver sofferto alla vista della morte di quel ragazzo, avessero fatto accettare di buon grado a Vegeta la prospettiva di non essere più un Sayan, ma solo un uomo più cocciuto del normale.

A testimonio di quell'impresa riuscita, ricordo che una sera di tre anni fa, in una limpida notte di metà maggio, mi ero messa sul balcone della stanza davanti al pianoforte attendendo che Vegeta mi vedesse.

Il riflesso che la luna dona alla mia pelle l'aveva sempre attratto più del normale. Credo che gli piacesse vedere la mia diversità splendere così sfacciata e assaporare l'idea di star vivendo con quanto di più diverso e al tempo stesso simile a sè stesso lui riuscisse a immaginare.

Ricordo che quella notte, quando lui mi raggiunse e mi fissò, pensai che se fosse stato quello di un tempo mi avrebbe presa con prepotenza sul pavimento di quel balcone, e invece mi baciò e mi condusse in camera, quasi a testimoniare che ora il letto era il nostro posto.

Non c'era più bisogno di combattere.

Non faceva più paura svegliarsi insieme alla mattina.

Non c'era più quella sottile e infida vergogna di farsi vedere uscire insieme dalla stessa camera.

Ricordo che dai gesti con cui mi portò in camera sembrava quasi avesse paura di spezzarmi, come fossi una bambola di porcellana molto fragile.

Ricordo che quella volta per la prima volta sentii la dolcezza vera. E facemmo un amore che non era guerra, ma solo sentimento.



Well your faith was strong La tua fede era forte
but you need a proof ma ti serviva una prova

You saw her bathing on the roof La vedesti fare il bagno sul tetto
Her Beauty and the moonlight La sua belezza e la luce della luna ti sconfissero

overthrew you

Ripensando a quella notte, credo che fu allora che lo amai davvero. Che ci unimmo non per desiderio, ma per condividere qualcosa. Fu quella la prima volta in cui accarezzai l'uomo, e lo guardai negli occhi pensando che erano così belli perchè contenevano un riflesso nuovo, un po' più chiaro come se il mio azzurro gli avesse contagiato l'animo.
Quella notte fu la prima notte che smisi di pensare in termini di “domani”. O che meglio lo feci pensando che il domani sarebbe stato come l'oggi.

Quella notte vidi il Sayan addormentarsi quando con un movimento molle della mano lui prese ad accarezzarmi I fianchi dopo l'orgasmo. Un gesto inconsueto e di una dolcezza rassicurante, quando io non credevo possibile pensare al “rassicurante” vicino a quel Sayan.
Spengo la sigaretta sulla balconata e la lascio cadere nel cielo come un cadavere in una fossa comune di cui non si vede il fondo.

Ricordo che fu quella notte che pensai di aver vinto, e mi resi conto che la soddisfazione che provavo non era nulla rispetto alla dolcezza di sapere Vegeta vicino a me.

Che pensai di essere alla fine diventata come le donne che tanto detestavo.

Legate a doppio mandata al cuore del proprio uomo.


Mentre Vegeta percorreva con calma la linea dei miei fianchi, io inspiravo l'aria fresca mischiata all'aroma del suo odore, una mano mollemente appoggiata su quella foresta nera che aveva in testa.

-Dovresti sfoltirti un po' I capelli- mormorai, sentendo il cuoio capelluto sudato sotto il peso dei crini spessi.

Lo sentii muovere leggermente il capo, ma non aprì neanche gli occhi. -I Sayan non si fanno tagliare I capelli dagli altri.

-Perchè?

-Perchè la prima cosa che ti insegnano nei combattimenti è a non porgere mai la testa a una persona dotata di un oggetto affilato. In più quando conquistavamo un pianeta in segno di sottomissione rasavamo a zero I guerrieri più forti. E' una cosa che non si fa, farsi tagliare I capelli da qualcuno, per un Sayan.

Quelle frasi le ricordo ancora. Ogni singola parola, ogni accento, anche I movimenti che fece con il corpo e il tono che variava con l'avanzare della frase.

Ricordo quei momenti come neanche con un filmato potrei fare in miglior modo.

Li ricordo così bene perchè fu una delle poche volte in cui Vegeta mi parlò di sè. E in cui non sentii rimpianto nella sua voce, sentendogli nominare la propria razza.

Fu l'inizio del tono alla “il passato ormai è passato”, e ricordo che lui non si incupì, nell'usare quell'imperfetto per nominare la sua razza.

Tra le dita presi una chiocca e la divisi fino a prendere un capello singolo. Era spesso e duro, come un piccolo pezzo di corda attaccato a quella testa troppo dura.

-Se li sfoltissi sentiresti meno caldo durante gli allenamenti- mormorai -E ho anche un paio di forbici che servono apposta per toglierne solo un po'. Non sono affilate.

Ricordo che Vegeta si mosse piano e si spostò su un lato, I suoi occhi perplessi sulle mie palpebre.

-Tecnicamente non è neanche farsi tagliare I capelli. Ti sfoltirei alcune ciocche e tu ti sentiresti meglio- aggiunsi, aprendo gli occhi di rimando.

Mentre il vento mi sferza il volto e sento il silenzio di questa notte, penso che fu allora che ottenni la mia prova. Quando Vegeta si sedette alla sedia della cucina e mi lasciò rigidamente tagliargli qualche ciocca, pensai che dopo un po' se ne sarebbe andato. Sentivo I tendini tesi nel moto involontario di chi non si lascia mai avvicinare da qualcuno con un'arma in mano.

E ricordo che quando dopo I primi colpi lo vidi distendersi sulla sedia, fino a lasciare che con la mano gli facessi chinare il capo prima da un lato poi dall'altro senza opporre resistenza, pensai che quello era l'uomo che io amavo.
Che avevo ottenuto la mia prova.

E ottenendola avevo capito che non era così importante.


She tied you to a kitchen chair Lei ti legò a una sedia in cucina

She broke your throne E spezzò il tuo trono tagliandoti I capelli

and she cut your hair

and from your lips she drew the Hallelujah E dalle tue labbra fece uscire un Hallelujah


Questa notte è così fredda che anche se piangessi le lacrime mi si ghiaccerebbero sul volto. O forse è solo una sensazione?

Forse è solo una proiezione, e fuori è tiepido e ventilato ma dentro di me è pieno inverno.

Penso che vorrei provare rabbia ma non riesco a sentire nemmeno quella.

Sento solo un grande vuoto. Un vuoto che nessuna lacrima e nessun urlo e nessun pugno potrebbe far cessare di martellare.

Penso che quella notte mi convinsi di aver vinto, e la cosa non mi importò.

E questa notte mi rendo conto di aver perso, e la cosa non mi importa.


Quello che sento è solo un grande vuoto.

E l'unica cosa che riesco a fare è accendere un'altra sigaretta.

Del resto era palese.


Non riesco a smettere di fumare, come potevo pensare di cambiare una persona?


Hallelujah, Hallelujah, Hallelujah, Hallelujah Hallelujah, Hallelujah, Hallelujah, Hallelujah





  
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