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Autore: hypsteria    16/06/2014    2 recensioni
Dal testo:
Se non lo stava spiando, come faceva a sapere che teneva in mano quel the da così tanto tempo?
Questa era una domanda che Patrick sicuramente non avrebbe mancato di porsi e sarebbe giunto ad una conclusione. Tuttavia, contro ogni aspettativa, Jane non si servì delle sue parole per metterla con le spalle al muro perché “Ti aspettavo, questo the l’ho preparato per te” dichiarò, fissandola finalmente negli occhi.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sentimenti e Rivelazioni











“Avevo una valida ragione per uccidere quell’uomo!” urlò l’omicida, dopo una confessione e una descrizione dettagliata di com’erano andate veramente le cose tra loro.
Lisbon lo guardava con quella sua espressione imbronciata, tipica di quando non aveva nulla da offrire al killer, se non il suo disprezzo, e forse un po’ della sua compassione.
“Quello… Quello lì era un viscido, un verme! Se non fossi stato io, l’avrebbe sicuramente ammazzato qualcun altro” gridò ancora, gesticolando furiosamente, gli occhi spalancati talmente tanto che la donna temette gli schizzassero fuori dalle orbite da un momento all’altro.
Con un gesto lento e stanco, rassegnata all’idea che vi fossero al mondo persone così disumane da credere di cavarsela con una semplice scusa dopo aver ucciso un uomo, chiuse la cartellina gialla, ammirando per un istante il simbolo stampato sopra.
Intanto, il tizio continuava ad urlare, tentava in qualche modo di persuaderla a dargli ragione, ma forse cercava più di convincere se stesso. In ogni caso, Lisbon era stanca di ascoltarlo blaterare. Le vennero in mente le parole di Jane, quella che aveva usato tempo prima subito dopo aver interrogato ed estrapolato una confessione da una pluriomicida malata, ma dannatamente convinta di star facendo la cosa giusta.
“Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro.” Erano state queste le sue parole, una famosa citazione di Nietzsche.
La donna si accorse solo in quel momento di quanto avessero ragione, soprattutto il vecchio Friedrich che aveva pensato quell’aforisma.
Non che prima non avvertisse questo senso di profondo oscuro, ma solo adesso riusciva a comprendere.
Si alzò con calma sempre tenendo gli occhi bassi, non aveva fretta. Uscì dalla sala interrogatorio numero 2 a passi lenti ma regolari.
Il primo suono che le si insinuò tra le orecchie fu la risata di Patrick. Un brivido le scosse la schiena, le ginocchia le presero a tremare e un sorriso le spuntò sulle labbra. Finalmente, alzò gli occhi e, quasi inconsciamente, camminò a passi svelti ma felpati in direzione di quella risata. Il cuore le batteva nel petto di gioia, ma tentò disperatamente di contenersi.
Si nascose dietro un angolo della cucina del loro piano. Jane era di spalle, intento a trafficare con la teiera. Il sorriso di Teresa si aprì ancora di più mentre lo guardava prepararsi il suo solito the da post-risoluzione di un caso, la giacca abbandonata sulle schienale di una sedia. Rigsby gli stava accanto con una fetta di pizza al salamino piccante in mano. Gli stava raccontando una delle sue solite barzellette.
Patrick più volte le aveva confessato quanto le novelle non lo divertissero essendo, come aveva detto lui “un insulto alla vera ironia e alle vere barzellette”, ma quando Wayne gliele proponeva, lui le ascoltava e poi faceva finta di riderne. Al contrario di ciò che gli psicologi avevano stabilito e che Jane in persona aveva dichiarato, Lisbon credeva fermamente che in lui ci fosse un tesoro, un immenso tesoro di bontà.
Ovviamente, con il mondo esterno si era costretto ad indossare quella maschera da cinico, bastardo, truffatore, insensibile, ma quando si trovava lì, in centrale, a parlare e a ridere con loro, usciva fuori il suo lato migliore. E Teresa amava osservare quella parte di lui così magnanima finché si mostrava, perché sapeva che, non appena qualche idiota gli avesse fatto notare il suo cambio di atteggiamento, sarebbe tornato il solito stronzo di sempre, rimettendo in piedi quel muro che si era costruito negli anni.
La donna, ormai, se n’era fatta una ragione. Prendeva Patrick per quello che era, per ciò che voleva mostrare e da ormai oltre sette anni riceveva il meglio e il peggio di lui. All’inizio la cosa le aveva dato molti problemi: lei, pur essendo avvezza a quelle tre furie dei suoi fratellini, era sempre stata abituata ad avere la situazione sotto controllo. Jane, dal primo momento che l’aveva incontrato, aveva sempre trovato un modo per scavalcarla, andando contro ogni tipo di regolamento possibile ed immaginabile, infrangendo ogni volta come minimo una decina di leggi. Negli anni, si era fatta le ossa, aveva fatto l’abitudine a quel suo comportamento da ragazzino, ed aveva imparato ad apprezzarlo.
In tutti quegli anni, non aveva potuto fare a meno di affezionarsi a quell’uomo sfacciato, a volta arrogante ed eccessivamente immaturo, perché vedeva in lui qualcosa. E si benediceva per essere riuscita a sopravvivere alle sue marachelle tanto a lungo da poterlo ammirare in quel momento mentre gettava la testa all’indietro, tutto preso nella teatralità della sua finta risata.
Non avrebbe pensato esistesse un sollievo così grande dopo aver guardato così a lungo nell’abisso. Appena uscita da quella stanza, dove forse l’assassino stava ancora sbraitando completamente fuori controllo, si era quasi rassegnata all’idea di dover passare un’ennesima notte in bianco. Non riusciva a dormire a causa di tutto ciò che aveva visto. Da quando aveva iniziato la sua carriera di detective, aveva osservato ed esaminato ogni genere di persona, e le era sempre sembrato di essere giunta nel punto più basso, sul lastrico del genere umano. Ma ogni volta l’universo le metteva davanti persone che la facevano ricredere.
Al peggio non c’era mai fine, di questo si era resa conto, ma si era anche accorta di quanto sollievo potesse dargli un solo uomo essendo se stesso per poco più di dieci minuti.
 
“Ora ti devo salutare, Sara mi aspetta! Ci vediamo domani, Jane. Buonanotte.” La voce di Rigsby interruppe il flusso dei suoi pensieri. Con una sonora pacca sulla spalla –gesto che fece quasi versare il the a Jane-, Wayne si congedò e si allontanò a grandi falcata dalla cucina.
Patrick non smise di sorridere neanche dopo qualche minuto che Wayne se n’era andato, continuando a inzuppare la bustina di the nell’acqua bollente con un gesto meccanico, quasi avesse inserito il pilota automatico. Teresa si rese immediatamente conto che l’uomo che stava contemplando si era perso nei suoi mille ricordi. I suoi occhi brillavano ancora, per cui non doveva essere un pensiero sgradevole, quello che stava rivivendo, per cui decise di lasciarlo ancora stare.
Ma, inaspettatamente, “Hey, Lisbon!” esclamò e sulla sua faccia si dipinse la solita espressione da furfante. La donna sobbalzò per la sorpresa quanto per lo spavento. Non si aspettava quell’intervento di Jane, anche se sapeva quanto adorasse metterla in difficoltà o in imbarazzo. Le sembrava di essere stata silenziosa, di essersi mossa con cautela, eppure lui l’aveva scoperta, l’aveva colta con le mani nel sacco.
“Hey, Jane!” esordì in risposta e si mosse verso di lui, mentre le sue guance si coloravano leggermente di rosso.
“Mi stavi forse spiando?” chiese Patrick, senza smettere di fissare il suo the, ancora fumante nonostante se lo fosse versato da più di un quarto d’ora.
“Io? No, ti sbagli! Ero venuta solo a salutarti” mentì spudoratamente, ma che altro avrebbe potuto fare? Negare, anche di fronte all’evidenza, le era sempre sembrata la migliore strategia da adottare con lui. Anche se non cercava di batterlo, perché era consapevole di non possedere una sfacciataggine tale da riuscire addirittura a superarlo, ma piuttosto tentava di limitare i danni ad ogni attacco da parte del suo partner.
“E allora perché ti nascondevi dietro a quel muro?” domandò con tono di chi la sa lunga, ridacchiando un po’ sotto i baffi.
“Non mi nascondevo! Tu, piuttosto, come mai ti stai baloccando da venti minuti con quel the? Sbrigati prima che si freddi” cercò di cambiare argomento Teresa, ma si rese conto di aver appena confermato l’ipotesi di Jane.
Se non lo stava spiando, come faceva a sapere che teneva in mano quel the da così tanto tempo?
Questa era una domanda che Patrick sicuramente non avrebbe mancato di porsi e sarebbe giunto ad una conclusione.
Tuttavia, contro ogni aspettativa, Jane non si servì delle sue parole per metterla con le spalle al muro perché “Ti aspettavo, questo the l’ho preparato per te” dichiarò, fissandola finalmente negli occhi.
Questa volta, la donna si accorse di trovarsi davanti al vero Patrick Jane, quello dolce, quello apprensivo, premuroso, gentile. Lui la guardò sorridendo sincero, e nei suoi occhi Lisbon vide l’oceano intero. Erano acque tranquille, pacifiche, solo qualche onda ad incresparne la superficie. Ebbe un tuffo al cuore e sospirò leggermente, non riuscendo per una volta  trattenersi.
“Sei gentile” sussurrò, sorridendo appena.
“Non aggiungere altro” disse Jane. “Dimmi solo se è di tuo gradimento.”
Le porse la tazza di the, togliendo prima la bustina e gettandola dentro il lavello, ma anziché lasciare che Lisbon bevesse da sola, le inclinò la tazza leggermente, di modo che il liquido giallognolo le bagnasse le labbra.
La donna d’istinto portò una mano alla tazza e la sovrappose a quella di Patrick, calda e sicura, ben stretta attorno all’oggetto di porcellana.
Bevve piano, a piccoli sorsi, guardando all’interno lo strano infuso che Jane le aveva preparato. Tuttavia, si sentiva dannatamente a disagio e la ragione era una sola: Patrick la stava fissando, compiaciuto perché era evidente che la bevenda che le aveva proposto le stava piacendo. Anche lei, allora, si mise a fissarlo.
Occhi blu oltremare piantati, o meglio, incastrati, in occhi verdi salvia.
Occhi tanto intensi dentro ad occhi tanto chiari, molto più che semplicemente cerulei.
Gli occhi di un uomo tanto affranto dalla vita si erano scontrati con gli occhi di una donna buona, premurosa, affettuosa.
 
“Allora, ti è piaciuto?” le domandò Jane non appena Teresa finì di trangugiare tutto il the. Non abbassò lo sguardo. Nemmeno un uomo forte come lui riuscì a trovare la forza di interrompere quel flusso di energia positiva che, per Diana, lo faceva stare davvero bene. Era in pace. 
“Sì, molto buono, devo ammetterlo!” affermò lei, sorridendo ancora, leggermente imbarazzata.
“Le tue labbra…” iniziò Patrick, ma prima che Lisbon potesse rendersi conto di ciò che stava accadendo, le pose delicatamente la sua mano destra su una guancia e con il pollice le sfregò lentamente le labbra, eliminando i residui di quella bevanda. Si era avvicinato molto a lei, dischiudendo le labbra involontariamente per la concentrazione. I loro visi distavano pochi centimetri e Lisbon cominciava a sentirsi veramente a disagio, ma sentì che anche un altro pensiero stava nascendo e si faceva spazio dentro di lei velocemente.
Era il desiderio di baciarlo, di far sfiorare le sue labbra .
  
Poi, con tutta la semplicità di questo mondo, Patrick Jane fece scontrare delicatamente le sue labbra con quelle di Teresa. Entrambi chiusero gli occhi, assaporando quel momento. Nessuno avrebbe potuto interrompere il loro idillio. Sarebbe potuto crollare il CBI, ma loro non se ne sarebbero accorti.
Fu un bacio lento e dolce. Non l’avevano mai fatto prima di quel momento, per cui cercarono di scoprirsi a vicenda, muovendo le labbra le une contro le altre.
Patrick le succhiò dolcemente il labbro inferiore, gesto che provocò un leggero sospiro in Teresa, la quale reclinò leggermente la testa all’indietro. Con una mano, Lisbon si aggrappò al polso di Jane, la cui mano destra stava ancora docilmente appoggiata sulla guancia sinistra della donna. A quel gesto, l’uomo schiuse le labbra, attendendo pazientemente che anche lei facesse lo stesso.
Le loro lingue cominciarono presto a sfiorarsi. Si stavano assaggiando l’un l’altra, si stavano mettendo alla prova. Jane gustò il suo the direttamente dalla bocca di lei.
La liscia lingua di Teresa incontrò quella ruvida di Patrick. Erano apparentemente l’uno l’opposto dell’altra, totalmente incompatibili, ma seppero proprio in quell’istante quanto, in realtà, si completassero.
 
 



“Concordo” affermò Jane non appena le loro labbra si staccarono.
“Riguardo a cosa?” Lisbon lo guardò interrogativa. Davvero non sapeva a cosa pensare riguardo a quella affermazione.
“Il the” spiegò Patrick gesticolando. “Molto buono.”
Sorrise, un altro di quei sorrisi da bastardo, ma stavolta Lisbon sapeva che, dietro a quella maschera, c’erano dei sentimenti nei suoi confronti. Non aveva idea di quanto intensi fossero, ma la sola idea che quelle sensazioni per lei lo seguissero ovunque andasse, le fecero letteralmente venire le farfalle nello stomaco, come ad una ragazzina.
“Buonanotte, Teresa” disse, rivolgendole un ultimo, incantevole ed ammaliante sguardo.
Afferrò la giacca e se la infilò, mentre lentamente si avviava verso l’ascensore che lo avrebbe portato all’uscita.
 
 
 
 
“Buonanotte, Patrick” sospirò.
L’uomo aveva già girato l’angolo, ma lei lo salutò ugualmente. Sapeva che, fisicamente parlando, non avrebbe potuto udire le sue parole, ma nel suo cuore nacque la speranza che magari gli sarebbero pervenute comunque.
 

“Ti amo, Patrick Jane.” 














Salve a tutti! 
E' molto tardi, ragion per cui sarò molto breve. Mentre mi vedevo l'inizio della quinta stagione di questo meraviglioso telefilm, non ho fatto altro che aspettare per un momento Jisbon ma, vedendo ogni volta le mie speranze andare a cuocere nel the di Jane, ho deciso di scriverne uno di mio pugno.
Spero vi sia piaciuto!
E darò un biscotto a chi lascerà un commento, giusto per sapere come vi è sembrata questa OS. 


Buonanotte, miei prodi(?)




Adele x.  
   

     

    
                             
  
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