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Autore: _Nalushka_    16/06/2014    1 recensioni
"Dottore, dottore, domani. Pensiamo a domani. Sai, quando ti ho trovato ho pensato a un segno del destino. All'improvviso, tutto aveva un senso. L'incoscienza apparente, la memoria svanita, la vanità sfigurata. Doveva finire. Ti vedevo così forte e pacato, giovane, troppo giovane per essere così forte. Il tuffo è stato una sfida per me. Se non vedi il buio, non sai come possa brillare la luce. Tuffarsi è stato nulla. Quegli scogli li conosco da una vita ma quel salto, così alto, nessuno lo fa. Io sì. La mia nuova Anthea, sì. Muore e risorge, come una fenice di luce."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In una goccia

il buio

 

 

 

- Non mi hai portato i tuoi disegni nemmeno oggi. Perché?-

- Sarebbe come farle vedere la mia biancheria intima, dottore. E io non le faccio vedere che mutande porto.-

- Potrebbe essere interessante però.-

- Interessante? Perché? Ah, scusi. E' lei che fa le domande. Me ne faccia una. Una seria però.-

- Perché ti sei buttata da quella scogliera? Potevi ucciderti, lo sai.-

- Ma io non volevo uccidermi. Volevo vivere.-

- Vivere? E come? Facendo un volo di 30 metri nell'acqua gelida?-

- Le posso assicurare che in quei trenta metri non finivo più di vivere. Non penso di aver mai vissuto tanto come in quel momento, dottore.-

- Ma cosa ti ha portato ad un gesto tanto violento? Ci sono molti modi per cambiare vita... modi più soft, diciamo.-

- Pensavo lei volesse capire il sentimento che stava dietro alla mia scelta, non perché non avessi semplicemente buttato i miei vestiti per rifarmi l'armadio nuovo. So che ci sono modi più soft per cambiare vita. Dio... lo so. Ma non volevo cambiare vita. Non c'era nulla da cambiare. Dovevo ricominciare. Di nuovo, nascere dal ventre di qualcosa. Il mare, il buio... abbastanza poetico no?-

- No, non credo sia poetico. Credo sia disperato. Si cancella qualcosa quando decidiamo di rinascere per atto violento, e non per accettazione di quello che si è.-

Silenzio.

- Provi lei. Provi lei, ad essere legato. Intrappolato. Provi lei.-

- Cosa significa? Intrappolato da cosa?-

- Ahhh, dottore. Lei mi delude. Non ha visto l'orologio? Il tempo per oggi è finito.-

- Potremmo continuare ancora se vuoi. A quest'ora puoi comprendere che la mia unica paziente sei tu.-

- Quale onore. Allora a domani dottore.-

- Portami i disegni, Anthea. Portameli.-

- Ci vuole più di una sera al chiaro di luna per quello. C'è ancora tempo.-

- La soluzione è lì, lo so. Fidati di me, è quello che un paziente dovrebbe fare col proprio medico.-

- Ahhhh dottore, dottore. Ma come posso fidarmi così ciecamente con uno che ha poco più della mia età e si diverte a psicanalizzarmi fino alle due di notte. Non posso. Ci vuole tempo.-

- Sei un osso duro. Ma hai ragione... c'è tempo.-

- Buonanotte dottore... e grazie.-

- Buonanotte Anthea...e prego.-

Trovati te intrappolato in una goccia d'acqua. Dottore, lo sai, il mio incubo ogni tanto ritorna. Nonostante mi sia depurata senza respiro, bloccando l'ossigeno nei polmoni, quella cazzo di goccia è lì, che mi impregna di cose vuote, mi annega nel nulla e io soffoco più di quando mi sono gettata nell'acqua. Dottore, te non lo sai cosa significa. Ritrovare quella goccia che cade, maledetta, dal rubinetto dei tuoi sogni, pronta a riempirti occhi, bocca, naso, gola. Sentirsi vuoti, come se una goccia potesse avere l'effetto dell'acido. Ma se te lo dico sembro pazza. E' partito tutto da un rubinetto. In uno stanzino nero, un rubinetto perdeva. Sentivo solo quello, nient'altro. Sentivo solo il ticchettio di una fottutissima goccia d'acqua. E tutto il dolore, l'indignazione, lo schifo... tutto si perdeva nel nero del suono cupo e cristallino di una goccia. Ero una goccia, si era presa tutto di me. Ero vuota. Ero piccola. E nessuno si accorse mai di nulla.

Portami i tuoi disegni. Dimmi ancora come hai fatto ad estorcermi quelle parole di bocca. Sei bravo, giovane dottore. Tu sì che sai come spogliarmi. E spogliarmi sul serio, dico. Forse mi fai un po' paura. Ma so, so che devo farlo. Con te mi devo spogliare di tutto. Perché il mare lava, ma non così a fondo come credevo. Qualcosa di sudicio c'è ancora. E non sarò in pace finché anche quel minuscolo brandello di nero non se ne sarà andato via. La mia anima era bianca. Non sono stata io a conciarla in quel modo. A brandelli. Straziata da mani brutali e impazienti che non hanno nemmeno voluto la mia incoscienza per massacrarmi così. Voglio dire, ero solo una bimba. Non sono stata io. E' quello che vorresti dirmi dottore, perché te hai capito forse. Mi stavi spogliando, ci stavi riuscendo la settimana scorsa. Ma non sono ancora pronta, ho bisogno di tempo. Voglio fare le cose con coscienza stavolta, un volo nel vuoto non è servito come speravo. Pensaci te, dottore, ti prego. Pensaci te.

Quei fogli maltrattati ritraggono la goccia. Come me la immaginavo, mentre si gonfiava placida al bordo del rubinetto, un collo tozzo d'acciaio arrugginito. Ti gonfiavi, nella mia mente diventavi obesa ed eri soddisfatta del tuo grasso d'acqua, perché così potevi fare più rumore quando ti schiantavi sulla ceramica del lavabo. Non scherzare con me, maledetta goccia. Io c'ero. Ti ho sentita. Era l'unica cosa che facevo. Sentirti gonfiare come un bombolone nell'olio bollente, e poi scoppiare ridendo di me. Ridendo di quello che mi stava accadendo. Tra la distruzione e la pace, c'eri tu, goccia. Una goccia sudicia. Arrugginita.

Dottore, dottore, domani. Pensiamo a domani. Sai, quando ti ho trovato ho pensato a un segno del destino. All'improvviso, tutto aveva un senso. L'incoscienza apparente, la memoria svanita, la vanità sfigurata. Doveva finire. Ti vedevo così forte e pacato, giovane, troppo giovane per essere così forte. Il tuffo è stato una sfida per me. Se non vedi il buio, non sai come possa brillare la luce. Tuffarsi è stato nulla. Quegli scogli li conosco da una vita ma quel salto, così alto, nessuno lo fa. Io sì. La mia nuova Anthea, sì. Muore e risorge, come una fenice di luce. E ho visto una luce splendida in quei secondi immensi, quel momento in cui la discesa è finita ma la risalita deve ancora cominciare. Immersa in acqua gelata, fino a dove le orecchie si ferivano, il mio corpo si ricomponeva. E nessuna mano ruvida lo toccava, e nessuna goccia cadeva. Circondata dal tutto di un ventre colmo di silenzio magico, mi ricreavo. La luce poi è stata un battesimo. Vita. In trent'anni ne avrò vissuti cinque. La vita era volata via quella mattina di marzo, in quello stanzino nero, con la goccia che cadeva, regolare, e rideva. Ma ora ero io a ridere. Ero io. Che senza fiato uscivo dal ventre materno del mare freddo per riprendere il primo respiro. Il primo respiro l'ho fatto da me, dottore. Sono orgogliosa di questo. Il secondo però devi farmelo fare te. Una scrittrice dice che nessuno si salva da solo. Forse ha ragione. Forse sei te la mia chiave di volta. Un vicino di casa, un dottore, la salvezza. Dico, forse. Se con un caffè amaro sono riuscita a farmi avere le tue consulenze gratis da mezzanotte in poi, ammetto che il forse dovrei mandarlo a farsi benedire. Hai visto subito qualcosa in me. Una follia sana, dici? Vedremo.

E se ti portassi i disegni? Non mi daresti della pazza? Se mi spogliassi di fronte a te, non mi guarderesti inorridito? Perché pian piano i ricordi sono venuti fuori, e la goccia che prima rideva e ora non ride più, per un certo periodo era stata accantonata per dare maggiore attenzione ad altri particolari di quella mattina. Sono stati quelli a distruggermi di più, ma non riuscivo a dare loro un volto. Perdonami dottore, ma ero piccola, spaventata, mi rendevo conto solo della goccia, io con la testa non c'ero già più. Volavo, volavo via, e pensavo a quella minuscola goccia d'acqua, alle centinaia di gocce che sono cadute, una dopo l'altra, a coprire la mia vergogna. Ero una bimba, dottore.

Pensandoci bene, che vita hai dottore? Perché se io non sto bene, ammetto che nemmeno te devi stare molto bene per prenderti il mio bel fardello, così, tanto per la gioia di aiutare. Non hai una donna? Una signora per il dottore. Sono sicura che potresti averne a centinaia. E che le tue mani sarebbero dolci, e non ruvide, con loro. Non le spoglieresti velocemente, preso da un raptus violento. Sarebbe indegno per un animo così nobile.

Ho le mie cicatrici dottore, non potevo cambiare vita. Le cicatrici sono troppe, dovevo solo cancellarle per ricreare il mio corpo. Un essere vitale deve avere le sue ali per volare, le mie erano state distrutte. Avevo volato troppo quella mattina, avevo volato così tanto che, piuma per piuma, mi si sono sfaldate sotto gli occhi. E come facevo a volare, come facevo a vivere? Così ho volato di nuovo per vivere, un volo violento, senza ali, per riprendermele alla fine del viaggio. Me le merito. E se mi dici che ho fatto bene ti porto i disegni, giuro. Ahhh, dottore, vai a letto, cavolo. Spegni quella luce, la vedo da camera mia, sai? Se non spegni la luce il mio cervello non smette di blaterare. Mi fai ragionare troppo, ora voglio dormire, sperando di riuscirci. Due giorni fa ti ho detto che a volte ho degli incubi. Non sono scesa nei particolari, ma sai che sono davvero brutti se una donna della mia età se ne lamenta così. Te mi hai insegnato un trucchetto. Quando succede, pensa di venire da me, hai detto. Pensa a capire perché questi incubi ti spaventano tanto e poi me lo racconti, Anthea, hai detto. E in effetti funziona. Se ho un incubo che mi sveglia, penso a te, dottore.  A te che dormi sereno, dopo una giornata lunghissima di lavoro e che vedi la mia come ultima faccia prima di andare a letto. Penso che sono fortunata, ho te almeno. Vediamo di capirci, non ti vedo in quel modo. Ma so che mi proteggi. In un modo tutto tuo, mi proteggi. E io riesco a riprendere sonno e a dormire. 

Bravo dottore, hai spento la luce. Io mi prendo la coperta perché stasera fa veramente freddo. Passo accanto alla scrivania. Su un tavolino spartano quei fogli risaltano come unico ornamento. Li osservo con una smorfia. E va bene. Li raccolgo. Domani mi serviranno.

 

   
 
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