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Autore: Francine    16/06/2014    5 recensioni
Afferri una ciocca di capelli. E te la porti davanti agli occhi. Sono biondi, sì. E profumano di balsamo al cocco, sì. Spalanchi la bocca, alla ricerca di aria buona da respirare.
Prendi coraggio e abbassi lo sguardo. Indossi un baby-doll. Un baby-doll azzurro che non lascia spazio all’immaginazione. Dalle bretelline sottili, un po’ scese sulle spalle. Spalle piccole. Dalla pelle rosea e delicata. Serica. Su cui si posa una mano. Grande, forte, da uomo. Ancora imperlata d’acqua. La mano di…
Camus?
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
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Il più grande spettacolo dopo il Big Bang
 
 
Il più grande spettacolo dopo il big bang
siamo noi
io e te!

che abbiamo fatto a pugni, 
io e te, io e te 
fino a volersi bene, 
io e te, io e te 
che andiamo alla deriva, 
io e te, io e te
nella corrente
io e te!
(Il più grande spettacolo dopo il Big Bang, Jovanotti, 2011)



È un sorriso radioso quello che ti si dipinge sul viso mentre riemergi dalle maglie del sonno; il sorriso radioso di chi ha dormito poco, sì, ma che ha speso le ore della notte nel più piacevole dei modi.
Le lenzuola – seta morbidissima, che invita a lasciarsi accarezzare, ancora e ancora e ancora – sono calde, ma ci sei solo tu, in quel letto all’improvviso troppo grande. Come un’isola alla deriva, le braccia che penzolano nel vuoto e Carbone sdraiato – spaparanzato in tutta la sua nera lunghezza felina – ai tuoi piedi.
Sbuffi, stiracchiandoti, la testa abbandonata sul cuscino e i capelli a galleggiare contro la federa. Fuori è giorno fatto, il sole che fa capolino attraverso le imposte e lo sciabordio della risacca. Deve fare caldo, deve. Molto caldo. Una ragione in più per restarsene dentro casa, al fresco. A letto, a poltrire. O a riprendere il discorso interrotto ieri sera – e ieri notte, e stamane all’alba, e…
Sì, può essere un’idea, pensi. E pensi che non ti sarà difficile convincere la tua dolce metà ad accontentarti. Dolce metà che sta canticchiando sotto la doccia. Senti la sua voce attutita dal getto dell’acqua, e un sorriso birichino – birichino, malandrino e impertinente – ti piega le labbra all’insù.
Chi ha tempo non aspetti tempo, giusto?
Perché se il cuore del tuo cuore dovesse uscire dalla doccia prima che tu avanzi la tua proposta di passare a letto tutta la giornata – e anche oltre – sai già che dovrai faticare il doppio. Perché sarebbe sfumata la magia. Perché ci sarebbero cose pratiche a cui pensare. Come asciugarsi i capelli, ad esempio. Che vi porterebbe via un sacco di tempo. Tempo che potreste impiegare meglio. Sotto la doccia, ad esempio.
Così ti alzi e sgattaioli in bagno. In punta di piedi.

La porta è accostata e il vapore galleggia nell’aria. In un altro momento malediresti il suo amore per le temperature termonucleari, ma oggi no. Oggi userai un attacco a sorpresa, grazie a tutto quel vapore che si sta condensando sullo specchio e sui vetri della finestra. La sua pelle è così chiara che spicca anche dietro il vetro opaco. Sarebbe un delitto non sgusciare nella cabina doccia e baciare le sue spalle, giusto?
Accosti la porta del bagno e muovi un passo. In silenzio. Mentre dalla doccia la sua voce canticchia Touch-a, touch-a, touch me. E tu chi sei per non esaudire un suo desiderio?
Ma mentre fai per liberarti di quello che a malapena ti copre, però, noti qualcosa sulla superficie appannata della specchiera. Non è un’immagine chiara a sufficienza per distinguerne i contorni, ma è strana quanto basta per farti scattare un campanello nella testa. Un campanello grosso quanto una casa.

Sono capelli biondi, quelli?
Sì, che lo sono.
E non sono un po’ troppo spioventi, quelle spalle?
Sì che lo sono.
E non è una voce un po’ troppo roca, quella che proviene da sotto al getto della doccia?
Sì che lo è.

Cambi direzione, raggiungi la specchiera e cancelli la condensa con la mano. Una mano delicata. Dalle unghie lunghe. E smaltate di rosso scuro. Ma non te ne accorgi subito, no. I tuoi occhi sono presi da qualcos’altro.
C’è un’altra persona, dall’altra parte dello specchio.
Una persona che ti assomiglia; stesso colore degli occhi – blu; stessa massa di capelli – ricci; stessa forma del naso – dritto; ma non sei tu, no. A meno che tu non sia diventato una ragazza. Ragazza che ti squadra sgomenta, il panico che galleggia nello sguardo, la mascella più sottile e sfuggente, gli zigomi più alti e tondi. Le labbra più piccole e carnose. Rosse. Socchiuse dallo stupore, un grido congelato in gola. Le mani- che adesso vedi, sottili, curate e smaltate – che corrono a toccare i capelli, il viso, il collo. Per accertarsi che sia tutto un sogno – un incubo. Che non sia tu quello che lei vede dall’altra parte dello specchio.
Ma è tutto vero.
Afferri una ciocca di capelli. E te la porti davanti agli occhi. Sono biondi, sì. E profumano di balsamo al cocco, sì. Spalanchi la bocca, alla ricerca di aria buona da respirare.
Prendi coraggio e abbassi lo sguardo. Indossi un baby-doll. Un baby-doll azzurro che non lascia spazio all’immaginazione. Dalle bretelline sottili, un po’ scese sulle spalle. Spalle piccole. Dalla pelle rosea e delicata. Serica. Su cui si posa una mano. Grande, forte, da uomo. Ancora imperlata d’acqua. La mano di… Camus?

Quando diamine è diventato così… alto?, ti chiedi. Arretrando. Perché Camus è sì un tuo amico, e avete fatto spesso la doccia assieme dopo gli allenamenti, e non c’è nulla di cui essere imbarazzati visto che siete fatti nella stessa maniera… ma è un po’ troppo vicino per i tuoi gusti. E un po’ troppo alto. Una testa e poco più. E non ti piace, no, quello che leggi nei suoi occhi – verdi? Che non è poi tanto diverso dalla luce che avevi tu, quando sei entrato… ehm, entrata in bagno, pardon. Solo che qualcuno ha cambiato le carte in tavola. E non ti hanno avvisato. E in questo momento non siete fatti esattamente nella stessa maniera. Anzi.
«Ciao…», ti sussurra. Un lampo malandrino nello sguardo, la voce bassa e dannatamente sexy, i capelli più scuri incollati al viso, un asciugamano legato con non troppa convinzione attorno ai fianchi.
Non doveva esserci lui, nel tuo bagno, ma Lei.
E non può essere lui, quello, anche se gli somiglia paurosamente; perché c’è qualcosa in tutta la faccenda che ti dice che Camus no, non ci proverebbe mai con te. Nemmeno se foste rimasti i soli esseri viventi sulla faccia del pianeta.
E no, non ti piace sentire la mano di Camus – forte, grande, possessiva, calda – sulla schiena.
E no, non ti piace vedere quello sguardo rapace fisso sulle tue labbra.
«Tutto bene, chouchou?», ti domanda. Tenero e bramoso. Respirando il tuo stesso fiato.
«I…io… ho sbagliato momento…», dici. E il timbro acuto, stridulo quasi, della tua voce ti congela lo stomaco.
Camus sorride, ancora quella smorfia disgustosa, e ribatte: «Naaaa… Sei arrivata al momento giusto, invece…», con un tono che ti fa prudere le mani. E ti fa desiderare di riempirgli la faccia di pugni. E lo faresti, se lui non ti avesse bloccato entrambi i polsi, e non ti stesse trattenendo col suo corpo. «Che ne diresti se ti portassi di là e facessimo insieme un salto in paradiso, piccola?»
Deglutisci a vuoto. Perché non hai la forza di ritrarti. Perché ti ha messo con le spalle al muro, l’asciugamano che sta per arrendersi e cadere sul pavimento, senza lasciarti alcuna via di scampo. Perché lui si sta chinando su di te. Piano. Con una lentezza terrificante. E sai che ti bacerà, ‘fanculo al fatto che il tuo cuore minaccia l’implosione da un istante all’altro, ti solleverà come fossi fatto… ehm, fatta di carta, e ti adagerà sul letto come se fossi di cristallo. Come faresti tu, con sua sorella.
E vorresti urlare che no, tutto questo è sbagliato, che tu non sei una lei e che lui non è Lei, e che uno scherzo è bello quando dura poco e che se non la smette, e subito, lo riempirai di botte fino a cambiargli i connotati e che…
Ma dalla tua gola non esce alcun suono.
Camus sorride, raggiunge le tue labbra e…


…il pavimento sotto di te è duro e rigido, ma non è quello del bagno. Il coccige ti fa un male cane, ma almeno sei sveglio. E sei di nuovo tu. Seduto sul pavimento. 
Respiri corti e brevi e occhi spalancati. E sudore freddo imperlato sulla schiena, le spalle, le gambe. Sei caduto nel sonno.
Camus non c’è, sia benedetta Athena. Ed è il tuo letto, quello che vedi. La tua porzione del materasso. Non sei al Santuario, ma a Milos. Nella casa sulla spiaggia. Fuori è ancora buio e sembra che la notte sia appena iniziata. Phi dorme. Distesa su un fianco, il viso rivolto verso la parete. Carbone è sveglio. Ha alzato la testa, ti sta fissando con lo sguardo più malvagio e seccato del suo repertorio. La finiamo con tutto questo casino?, sembrano rimproverarti i suoi occhietti d’agata. E senza aspettare risposta li socchiude e torna ad accoccolarsi ai piedi del letto, le zampine a cuscino.
Scusa, pensi. Ma non glielo dici, perché non parli coi gatti, tu. E non fiati, per paura di svegliare Phi, certo. Ma anche perché sei terrorizzato all’idea di poter sentire una voce femminile, quella voce, uscire dalla tua gola.

Sgattaioli in bagno, chiudi la porta e accendi la luce. La mano che ti porti davanti al viso è la tua. La esamini come se non l’avessi mai vista prima, come se non la conoscessi, come se non aveste mai condiviso il tedio di quelle nottate interminabili passate senza di lei.  La osservi, timoroso che possa cambiare sotto il tuo stesso sguardo. Ma non succede niente. Le tue dita restano le tue dita, con le unghie a filo, senza smalto – sia benedetta Athena! –, e la pelle un po’ screpolata. E quella cicatrice sul polso destro, ricordo di quell’ acqua incandescente che ti sei rovesciato addosso quando avevi quattro anni. E quel piccolo callo alla base dell’indice della mano sinistra.
Afferri una ciocca di capelli e anche loro sono i tuoi. Lunghi, ricci e scuri.
Non c’è più il baby-doll. Non ci sono più le curve giuste al punto giusto e quelle gambe, lunghe, lisce e tornite. Ci sono le tue spalle larghe. I tuoi bicipiti. Gli addominali. Le tue gambe, lunghe e forti e dritte come colonne. E il tuo migliore amico è al suo posto. Sotto i boxer bianchi che usi per dormire.
Era solo un sogno, pensi, sollevato. O lo mormori, non importa. Apri il rubinetto e ti lavi il viso. Per cancellare il ricordo spiacevole di quell’incubo assurdo. Per lavare via il sudore freddo. E dentro di te ridi. Un sogno assurdo. E cretino. E strampalato. Ma era solo un sogno, giusto? E quindi ridi. Per esorcizzare la paura. Perché tutto è tornato a posto. E perché l’espressione di Camus era assolutamente ridicola. E perché…
«Sei impazzito?»
Phi. È apparsa sulla soglia del bagno, le palpebre a mezz’asta e l’aria preoccupata. E un baby-doll, quel baby-doll, che spunta sotto la vestaglia turchese.
Devo essermi messo a ridere ad alta voce, pensi. Abbandonando l’asciugamano sul lavabo. «Ti ho svegliata?», chiedi. Avvicinandoti. Senza sapere che se sei caduto e ti sei svegliato da quell’incubo è stato grazie a lei e al poderoso calcio che ti ha rifilato. Per farti smettere di lamentarti nel sonno. E poter dormire un po’.
«Tu che dici?», ribatte, le braccia incrociate e il piede destro che sta per mettersi a battere sul pavimento.
«Scusami. Ho fatto un brutto sogno…», le dici. Posandole le mani sulle spalle. E tu ti accorgi di quanto assomigli a suo fratello, coi capelli spettinati e l’espressione a metà tra il preoccupato e l’omicida. E ti dici che ha senso. Che se tu sei una donna, è logico supporre che lei faccia l’uomo. Anche se l’idea ti ghiaccia il sangue nelle vene. Anche se è solo un brutto sogno.
Lei ti guarda come se fossi diventato scemo di colpo – o ti fosse spuntata una vera coda da scorpione, con aculeo e tutto il resto –e ti chiede: «Raccontamelo.». Come le dicesti tu, quella volta, qualche tempo fa. In quella camera, in una calda notte romana, in un letto troppo grande dove lei stava andando alla deriva. Quando iniziò tutto, ma ancora voi non lo sapevate.
Perché lei ha imparato – grazie a te – che il modo migliore per eliminare il ricordo di un incubo al risveglio è quello di raccontarlo. Perché l’incubo è una creatura fatta di ombra, che vive nelle pieghe della realtà. E solo illuminandolo, lo si può far scomparire.
Ma tu non te la senti, no, di dirle del tuo incubo. Che le diresti?
Sai, ho sognato che ero diventato Mila e che entravo in bagno dove un uomo, forse tuo fratello o forse tu, mi metteva con le spalle al muro e ci provava con me, per caso?
Sospiri.
No. Mi prenderebbe per il culo a vita, pensi. Guardando i suoi occhi verdi allargarsi.
«Hai di nuovo litigato con mio fratello?», ti chiede. «Facevi il suo nome, nel sonno…»
Silenzio.
«Milo?»
«Ho un’idea migliore», le dici. Cambiando argomento. Abbracciandola. Tuffando la testa nei suoi capelli. Che sanno di balsamo al cocco. Non vuoi che si preoccupi. Perché lei sa quali incubi ti hanno tormentato non appena sei tornato nel mondo dei vivi. Il cadere nella Bocca dell’Ade. Il vuoto. Il silenzio. Il ghiaccio del Cocito. E il risalire la china, strisciando metro dopo metro, il suo cosmo come unico punto di riferimento.
«Sarebbe?», ti chiede. Mentre le tue mani si infilano sotto la stoffa leggera del suo baby-doll.
«Torniamo in camera, che te lo spiego…», le dici. Sollevandola tra le braccia, il sonno poco più che un ricordo cancellato. Come uno straccio che scorre sullo specchio appannato. Vi stringete, cercandovi, corpo, cuore, anima e cosmo. È tutto finito, ti dici – ti rassicuri. Perché lei è tornata ad essere lei, Phi, coi suoi occhi verdi e i suoi capelli castani e quel naso impertinente. E la sua voce con quel timbro nasale che inciampa ancora un po’ nel tuo greco isolano.
E quando la sua mano corre a spegnere l’abat-jour, come sempre, tu la fermi.
«Luce accesa», le dici. Le chiedi. Con lo sguardo più tenero del tuo repertorio. Quello a cui lei non sa dire di no. E infatti sbuffa, ma la sua mano si abbandona nella tua stretta.
«Luce accesa», ti dice. Te lo concede. Ma tu non badi a queste sottigliezze, adesso. Sei impegnato, ora. A riprendere quel discorso che avevi in mente di farle quando, nel sogno, sei sgattaiolato in bagno. Quello sempre uguale a se stesso, sì; ma che cambia, ogni volta, restando sempre lui. Restando sempre voi. E che potete ricominciare quando volete. Nelle ore fresche della mattina, nella noia del pomeriggio, nel silenzio della sera. O nell’intimità della notte.
Quel discorso senza parole che brilla nel buio, più delle vostre stelle messe assieme. Più del sole e della luna. Che risponde al luccichio della Galassia, al soffio del vento, allo sciabordio delle onde, al crepitio delle fiamme. Quello che arrotonda il vostro Cosmo, unito ma distinto, fuso insieme come l’acqua e lo zucchero, il latte ed il caffè. La vostra scintilla d’eternità. Come se fosse un piccolo Big Bang che danza, sul palmo delle vostre mani.



 
Non sono impazzita, tranquilli. È che in rete fioccano storie della versione al femminile di Milo, ovviamente accoppiata a Camus, che apparirà nel nuovo film sui Santi, e così… ho voluto provarci anche io. Sarò sincera: a me, di quel film, preoccupa altro. A me preoccupa di più che abbiano tutti una visiera à la Casshern, francamente – e Flender dove sta, a questo punto?; ma siccome l’andazzo è dare la propria opinione sull’argomento, ancora nebuloso, eccovi la mia. Un banale incubo; un’idea non originalissima, ne prendo atto, e forse non ho centrato in pieno il mio bersaglio. Ma avevo voglia di usare questa canzone da un pezzo, e mi andava di far giocare un po’ la penna. Senza pretese. Per ridere alle spalle del povero Milo. O Mila, fa lo stesso.
I capelli sono diventati biondi - e non rossi - perché un rimando al manga (dove Milo è biondo). Spero vi siate divertiti.
Grazie per aver letto fin qui, o per esservi anche solo affacciati nel mio mondo delirante.
Baci
Francine


 
Edit: sfogliando la lista della sezione, mi sono accorta che Antares91 ha avuto un'idea simile alla mia, pur se procede su binari differenti. Me ne sono accorta adesso, e me ne dispiace: fosse successo prima, l'avrei contattata in precedenza. Prima di pubblicare questa storia. Resto a disposizione dell'autrice per qualsivoglia chiarimento.  
   
 
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