Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: _juliet    16/06/2014    6 recensioni
«Vattene, Rhaegar Targaryen» sibilò lo Sconosciuto. «Torna nel mondo dei viventi e Lyanna ti seguirà.» [...] «Ti proibisco di guardare il suo fantasma» lo interruppe il dio. «Se ti volterai, la perderai per sempre. Se resisterai, la sua vita sarà risparmiata.»
{Pre!Game Of Thrones | Rhaegar/Lyanna | ispirata al mito di Orfeo ed Euridice}
Prima classificata al contest "Segui la corrente" indetto da AmahyP sul forum di EFP.
Storia vincitrice del premio Personaggio Maschile al contest "I miei gusti, le vostre storie" indetto da Fefy_07 sul forum di EFP.
Prima classificata al contest "Best fandom ever" indetto da Daenerys Laufeyson (e portato a termine da Aleyiah) sul forum di EFP.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Lyanna Stark, Rhaegar Targaryen
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Prima classificata al contest Segui la corrente, indetto da AmahyP sul forum di EFP.



 

For never was a story of more woe than this


 

A te disfrenasi
il verso ardito,
te invoco, o Satana,
Re del convito.

Giosué Carducci, 
Ode a Satana
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«Ciò che chiedi è impossibile» disse lo Sconosciuto. La sua voce era composta da migliaia di altre, maschili e femminili, gravi e acute. Pareva il rombo del tuono e, al contempo, il canto dell'usignolo. Nonostante il dio non avesse urlato, l'eco delle sue parole risuonò a lungo intorno a loro, prima di affievolirsi fino a scomparire.
«Lo so» ammise Rhaegar Targaryen.
«Lo sai. Eppure ti trovi al mio cospetto.»  
Il principe annuì, tentando di mantenere un'espressione neutra.
Rimanere sveglio stava diventando sempre più faticoso. La ferita al fianco aveva ricominciato a sanguinare densi rivoli scuri ed emanava un fetore disgustoso; ormai, non sentiva quasi più dolore, ma sapeva che questo non era un bene. 
La sua mente capiva che avrebbe dovuto preoccuparsi della propria salute, ma erano giorni che il suo corpo si muoveva da solo ed era concentrato su un altro obiettivo: ritrovarla, in fretta. 
Il profondo malessere che lo inebetiva non era dovuto alla spossatezza o alle ferite; era legato alla sparizione di lei. Doveva trovarla e non poteva ignorare quel bisogno: era un imperativo categorico, era il suo stesso sangue che ribolliva e gli aveva imposto di recarsi in quell'inferno di anime spezzate, per cercare l'unica che contava veramente.
Non aveva alcuna importanza cosa pensassero i suoi uomini; loro non capivano, loro non sapevano.
Ovunque Rhaegar guardasse, vedeva lei. Il cielo, qualunque nuvola, l'aria densa di umidità, persino le molte voci dello Sconosciuto lo torturavano con l'immagine di lei. Lei era il mondo intero e, al contempo, il centro esatto del mondo.
Il dio si mosse, scivolando nella penombra senza produrre alcun suono o spostamento d'aria.
Prima che il principe riuscisse a rendersene conto, una mano gelida lo toccò sotto il mento, costringendolo ad alzare lo sguardo. Rhaegar si permise un unico, lieve tremito, ma guardò. 
Il volto dello Sconosciuto era giovane e vecchio, d'uomo e di donna, maligno e benevolo; era nessun volto e tutti i volti esistenti. Il principe non avrebbe saputo descriverlo dettagliatamente, perché la fisionomia pareva cambiare di continuo, come se i connotati si liquefacessero per formare nuovi tratti.
Fra i molti visi che si susseguivano, Rhaegar credette di riconoscere suo padre o, forse, l'uomo che era stato: i suoi occhi ardevano di fuoco viola e lo giudicavano, severi.
«Io dovevo farlo» mormorò, senza sapere a chi si stava rivolgendo: allo Sconosciuto, ad Aerys, al mondo. «Non c'era altra scelta.»
Una risata composta da centinaia di voci echeggiò sinistramente in quel luogo angusto che non era da nessuna parte. «Tu, Rhaegar Targaryen, sei qui per supplicare?»
Rhaegar tacque, tremando, stravolto da ciò che provava. Diversamente dal suo fin troppo noto padre, lui era sempre stato molto razionale; ragionava fin troppo e rifletteva attentamente sulle situazioni, non si faceva trascinare dall'audacia o dall'emotività. Ma tutto ciò che aveva creduto di essere stava crollando, di fronte ai sentimenti violenti che erano implosi in lui.
Il torrente delle sue emozioni scorreva velocissimo; ovattava i suoi pensieri e si raccoglieva nel suo petto, annodando strettamente le sue viscere, impedendogli di respirare. 
Non senza difficoltà, il principe si inginocchiò, in segno di rispetto. La sua armatura cigolò e stridette, mentre posava la grande arpa e si chinava, fino a sfiorare il terreno con la lunga chioma argentea.
«Sì» dichiarò.
Lo Sconosciuto tacque a lungo, muovendosi sinuosamente nell'oscurità.
Rhaegar temeva che il suo corpo avrebbe ceduto; la posizione era scomoda e la corazza comprimeva dolorosamente il suo fianco ferito, ma non avrebbe permesso a se stesso di crollare. Non quando era così vicino a rimediare al suo errore. Se solo non l'avesse lasciata, se non si fosse allontanato...
No, pensò, con rabbia. Anche se fosse stato al suo fianco, sarebbe stato impotente, come un normale essere umano. Non avrebbe potuto salvarla.
I ricordi della loro breve vita insieme lo colpirono, imprimendo più a fondo in lui la consapevolezza che lei non era più parte del mondo. Le sue dita si contrassero convulsamente, mentre il suo corpo lottava per non ripiegarsi su se stesso, nel tentativo disperato di contenere l’angoscia della mancanza; la mancanza di lei, la mancanza di tutto.
«Sono molti coloro che ho trascinato via prima del tempo» dichiarò il dio, infine. «Molti la cui morte è stata considerata ingiusta.»
Il principe poteva sentire su di sé tutto il peso della sua disapprovazione.
«È come tu dici, mio signore. Ma certamente la sua-»
Una risata sguaiata lo interruppe. «Credi forse che la decisione spetti a te, uomo?» lo schernì lo Sconosciuto. «Sei arrogante, principe Drago, esattamente come tutti i membri della tua stirpe.»
Rhaegar riusciva a percepire la presenza del dio spostarsi intorno a lui.
«Credi davvero di poter reclamare un'unica vita tra la moltitudine di altre vite spezzate? Credi di poter cambiare il destino che le è stato assegnato?»
«Prendi anche me allora!» sbottò il giovane principe. Osò incrociare quello sguardo che era tutti gli sguardi. «Perché hai preso la sua vita e non la mia? Preferisco morire, piuttosto che vivere in un mondo in cui lei non esiste!» 
La presenza dello Sconosciuto si ritrasse, osservandolo da lontano. «Io vedo il sentimento che ti ha guidato fino a me, Rhaegar Targaryen» disse, le molte voci che si sovrapponevano, creando un'inquietante cacofonia. «Io vedo che tieni a lei. Eppure la strapperesti alla pace del suo riposo eterno per sottoporla a una vita di stenti.» 
Improvvisamente, il dio si trovava di fronte a lui. «Sei egoista. Non c'è niente per lei, nella vita che le offriresti.»
Rhaegar tornò ad abbassare la testa e si inchinò, tanto da spingere la fronte contro il terreno freddo. «C'è il nostro amore, mio signore. C'è nostro figlio» disse, conscio che, probabilmente, per il dio contava meno di niente. «Ti prego, ti supplico. Restituiscimela.»
Un'ultima risata echeggiò nell'oscurità e il principe seppe di essere solo. Chiuse gli occhi, cercando di seppellire nell'angolo più remoto di se stesso la consapevolezza che lei era morta e che non sarebbe tornata.
Morta.
La banalità di quella parola lo colpì tanto forte da togliergli il respiro. Il torrente di emozioni che lo opprimeva vorticò tanto da fargli male e si tramutò in rabbia, che attraversò il suo corpo, lasciando tracce di fuoco, e si ammassò al centro del suo petto.
Prima di capire cosa stava per fare, sputò urla incoerenti e si gettò contro l'oscurità in cui, prima, si muoveva lo Sconosciuto; voleva colpirlo, ucciderlo.
Rhaegar si maledì e rimpianse gli atti insensati che suo padre aveva compiuto, la maledizione cui il suo sangue l'aveva condannato, gli occhi delle nobildonne che lo sbranavano ogni volta che suonava il suo strumento, il nauseante puzzo di decoro imbalsamato che permeava la corte... persino l'ipocrisia di Approdo del Re, che era riuscita a braccarlo fino in quel luogo che non era da nessuna parte. Avrebbe preferito sopportare qualunque cosa, piuttosto che vivere in un mondo in cui lei non esisteva.
Il principe continuò a urlare, sfogando la sua frustrazione verso se stesso e il mondo, torturando il suo corpo ferito e affaticato, finché non inciampò e cadde a terra.
Si girò sul dorso, sopraffatto dagli eventi. Fin da piccolo, era stato addestrato a non mostrare mai il dolore o le sue debolezze, a prescindere da quanto si sentisse perduto e infelice. Sapeva che aveva corso un grande rischio, abbandonando il suo esercito per recarsi in quel luogo, sapeva che stava sforzando inutilmente le sue membra, martoriate dal combattimento.
Cercò di calmarsi, concentrandosi sul respiro. La cassa toracica gli faceva male e aveva la sensazione che non fosse solo a causa di qualche costola rotta; sentiva ancora quel peso nel suo petto, come se un enorme blocco di pietra gli comprimesse i polmoni. Non riusciva a gonfiarli, l'aria gli sfuggiva.
Ci separa la sua morte. La mia morte non ci unirà.”¹
Il primo singhiozzo gli tolse il respiro. I suoi sensi percepivano solo la paura; poteva sentirne l'odore, il sapore, poteva toccarla. Un terrore gelido e inesorabile velò la sua vista e trasformò l'aria in un liquido denso che gli impediva di respirare.

La sua mente era annebbiata e si rifiutava di capire, ma poi, bruscamente, da ogni parte, dalle profondità della terra, il dolore lo colpì e lo sommerse. Non riconosceva più nulla, esisteva solo il dolore.
Non riusciva a capire che dolore fosse, gli risultava allo stesso tempo familiare ed estraneo; non sapeva se fosse nuovo o se si stesse rinnovando il dolore che aveva provato quando aveva saputo della morte di suo padre. Ma in quel momento non aveva provato il desiderio di uccidersi che sentiva ora.
Come aveva fatto molte volte, durante le sue notti solitarie a Sala dell'Estate, cercò coraggio e conforto nella musica, la sua musica, quella che lei tanto amava.
Avrebbe suonato senza mai fermarsi, fino a quando lo Sconosciuto sarebbe strisciato ai suoi piedi, fino a perdere sangue da sotto le unghie.
Facendosi forza, soffocò il dolore lancinante che gonfiava il suo petto e chiamò il dio a gran voce, intimandogli di ascoltare la sua nuova composizione, la migliore fra quelle da lui ideate. Vi avrebbe rinchiuso l'insensata follia di un padre perduto, l'ipocrisia di una corte tessuta d'inganni, il peso delle responsabilità che il suo sangue gli imponeva, la solitudine, il silenzio. Avrebbe trattenuto e soffocato il dolore fino tramutarlo in rabbia. Crescendo, ostinati, scale sarebbero stati fulmini, saette, lingue di fuoco. La sua opera sarebbe stata il Disastro che si era abbattuto su Valyria: avrebbe suonato qualcosa di terribile e meraviglioso.
Aveva già eseguito il tema principale e stava iniziando la prima variazione, quando un'altra immagine, fievole, sbriciolò la sua volontà.
Ricordò quel modo di inclinare la testa di lato, mentre lo ascoltava suonare, quella risata fragorosa così poco adatta a una lady, quel grigio nei suoi occhi, che sembravano malati della stessa infelicità che riempiva i suoi.
Mentre la sua coscienza riemergeva dalle ombre, Rhaegar si rese conto che la melodia che stava suonando era cambiata: la disperazione e la violenza erano sparite; c'erano solo il silenzio e la malinconia che lo caratterizzavano da sempre, uniti a una dolcezza che non gli apparteneva. 
Continuò a suonare, pizzicando le corde più delicatamente, mormorando a mezza voce: «Amore mio, amore mio.»  
Decise che, una volta tornato, avrebbe trascritto quella canzone. L’avrebbe scritta e non l’avrebbe mai più suonata, e prima di morire l’avrebbe distrutta; nessuno avrebbe potuto mai ascoltare quel brano, se non lui, Rhaegar Targaryen, nella sua mente.
«Non esistono precedenti» le molte voci del dio lo fecero sussultare e la melodia si interruppe. «Mai, in nessuna delle epoche di questo mondo.» 
Il principe annuì, tornando a chinare il capo.  
«Vattene, Rhaegar Targaryen» sibilò lo Sconosciuto. «Torna nel mondo dei viventi e Lyanna ti seguirà.» 
Il vortice di emozioni che gonfiava il petto di Rhaegar sussultò, annodando più strettamente le sue viscere e minacciando di far traboccare le sue lacrime. 
«Grazie. Ti ringrazio, mio-» 
«Ti proibisco di guardare il suo fantasma» lo interruppe il dio. «Se ti volterai, la perderai per sempre. Se resisterai, la sua vita sarà risparmiata.» 
Il principe chinò il capo. Senza esitazione né timore, si allontanò, camminando sul terreno brullo. Non si voltò.


 

***



«Folle» gracchiarono i corvi neri sopra di lui. «Folle, come tuo padre.» 
Le rocce che lo circondavano trasudavano umidità e l'odore di muschio e licheni era tanto intenso da bruciargli la gola.
«Sei stato ingannato» rise uno degli uccelli. 
«Lo Sconosciuto ti ha ingannato, Rhaegar Targaryen!» gli fece eco un altro. 
Il principe decise di ignorare le loro voci e il rumore delle loro ali che fendevano l'aria viziata.
«Nessuno cammina dietro di te.»
«Nessuno!»  
Le loro risate echeggiarono intorno a lui. 
Rhaegar non percepiva la presenza di Lyanna; nulla gli dava l'impressione che qualcuno lo stesse seguendo. Ma, anche se la necessità di controllare, almeno una volta, lo tormentava, continuò a camminare. Non si voltò.




Lo stridore delle placche dell'armatura e il suono dei suoi passi erano gli unici rumori che lo accompagnavano. Ne sentiva l'eco lontana, ma vedeva solo roccia e oscurità. Da quanto tempo stava camminando? Quanto mancava per arrivare alla luce? Sembrava che non ci fosse fine allo spazio.
Rhaegar cominciò a desiderare che accadesse qualcosa, qualunque cosa, purché spezzasse la monotonia. 
Improvvisamente, un movimento fra le ombre attirò la sua attenzione.
Il principe si fermò e attese che i suoi occhi si abituassero alla mancanza di luce, e si rese conto che un rumore sordo si ripeteva, a intervalli regolari, poco più avanti. 
Una figura umanoide era in piedi di fronte a una parete di roccia; con grande determinazione, si piegava leggermente all'indietro per poi lasciarsi cadere in avanti. Il rumore che Rhaegar sentiva era prodotto dallo sfracellarsi del cranio contro la pietra.
«Lyanna?» mormorò, pieno d'orrore.
Lei si voltò, con lentezza angosciosa, e Rhaegar vide che il suo viso era ridotto a uno scarno ammasso di brandelli di pelle, dalla bocca tumefatta e privo di occhi.
«La tua Lyanna è morta» gracchiarono i corvi. «Non sarà mai più la donna che hai amato e che ti amava.» 
«Ha provato l'amarezza della morte, che neanche la dolcezza dell'amore può dissipare!» 
«Risparmia a lei e a te stesso questo dolore. Voltati!»
«Voltati!»
Rhaegar scosse la testa bruscamente: non avrebbe permesso a se stesso di vacillare. Senza degnare di un secondo sguardo quella misera creatura, avanzò a grandi passi nell'oscurità e non si voltò.



Il paesaggio cambiò all'improvviso.
Alberi enormi, nodosi, dalle radici contorte, creavano con i loro grandi rami un labirinto impenetrabile e un tetto di foglie. Rhaegar ricordava quel luogo, perché l'aveva già visitato. 
Rispetto alla prima volta che l'aveva visto, il parco degli Dei di Harrenhal era diverso: non gli sembrava più così sinistro e pericoloso, il vento gelido non gemeva fra i rami bitorzoluti. Dava ancora l'impressione di essere una cosa viva, ma non gli pareva più un luogo ostile.
Camminò a lungo nella monotonia della foresta. L'orizzonte era invisibile, come se, dietro gli alberi, il cielo si fosse fuso con la terra. L'aria era umida, densa; gli si attaccò addosso, rendendo la pelle appiccicosa e la respirazione più complicata. 
Si accorse che gli alberi iniziavano a diradarsi solo quando non dovette più fare attenzione per non inciampare nel groviglio di radici che ricopriva il terreno. L'erba era visibile, morbida e rigogliosa.
Rhaegar guardò dietro di sé, lieto di non essere più nel bosco; ora che ne era uscito, gli sembrava che la foresta si muovesse, chiamandolo perché tornasse. 
Il suono dell'arpa attirò la sua attenzione e rivide se stesso, seduto nella radura, illuminato da un fievole raggio di luna. Come molte altre volte, stava cantando la solitudine. Ma non sapeva ancora di non essere solo.
Una figura vestita di blu apparve, muovendosi agilmente mentre camminava a piedi nudi sull'erba.
Il cuore del principe Drago si scaldò e, anticipando l'altro se stesso, sussurrò: «Lady Stark? Vi è piaciuta la mia canzone?²» 
Quando lei si voltò, Rhaegar indietreggiò, sconvolto: quella creatura somigliava a Lyanna, ma il suo viso era completamente privo di connotati.
Si sentì risucchiare all'indietro, mentre la scena si ripeteva all'infinito di fronte ai suoi occhi: Lyanna di spalle, nel parco degli Dei, la sera in cui si erano parlati per la prima volta. Ma, ogni volta si rivolgeva verso di lui, c'era un particolare in lei, nel suo volto, qualcosa che gli sfuggiva.
L'immagine del suo viso sembrava liquida, come se si stesse sciogliendo, fondendosi, e colava sui suoi vestiti, fino a rivelare il teschio bianco.
«No!» il principe sussultò, mentre le ombre tornavano ad avvolgerlo e la visione svaniva.
Una risata lo avvertì che i corvi erano tornati a fargli visita.
«Rassegnati, principe Drago» gracchiarono. «Non esiste futuro, per voi.»
«Siete stati uno sbaglio fin dall'inizio.»
«Accogli questa verità! Voltati!»
Rhaegar cercò con lo sguardo una pietra con cui farli tacere, ma non ne trovò.
«Non potete ingannarmi» sibilò. «Non riuscirete a ingannarmi.» 
Non si voltò.



La pietra gli mancò da sotto i piedi, e cadde su un pavimento di assi di legno. Non ebbe bisogno di una seconda occhiata, per riconoscere una delle stanze della Torre della Gioia. 
Una donna sedeva, immobile, al tavolo vicino alla finestra. Rhaegar sentì il battito del suo cuore accelerare, mentre incrociava il suo sguardo grigio e spento.
Lyanna era lo spettro di se stessa: i suoi movimenti erano lenti, la schiena curva; la chioma, un tempo rigogliosa, era ridotta a fili bianchi e sfibrati.
Guardandola in viso, il principe notò che la pelle era scavata da molte rughe e rendeva le ossa più pronunciate. 
Sul tavolo, di fronte a lei, era appoggiata l'arpa di Rhaegar, decorata dalle teste di tre draghi scolpite nel legno. Non era possibile sbagliarsi, perché non ne esisteva una uguale in tutti i Sette Regni.
Lyanna osservò l'oggetto per qualche secondo, prima di nascondere il viso tra le mani.
«Voltati» mormorarono i corvi. Questa volta, non c'era traccia di scherno nelle loro parole, il loro tono era grave. «Rimandala indietro.»
«Si merita forse questa fine? Vedere morire le persone che ama, appassire come le sue rose d'inverno?» 
«Non merita il suo eterno riposo?» 
Rhaegar tacque, incapace di distogliere lo sguardo da quella creatura così piccola, così fragile, così diversa dalla sua indomabile Lady di Ghiaccio.
«Io-» iniziò ma, improvvisamente, la porta della stanza si spalancò, e Lyanna alzò lo sguardo.
Un uomo la raggiunse e la abbracciò, seguito da una donna e da cinque ragazzini. 
Il principe osservò attentamente il misterioso individuo. Anche se non era più giovane, aveva un fisico asciutto; i suoi capelli erano castani e aveva il volto allungato e severo di sua madre. Per un secondo, lo sconosciuto alzò lo sguardo e Rhaegar si sentì risucchiare dai suoi occhi grigi, tanto scuri da sembrare neri.
Mentre i suoi nipoti le mostravano le loro prime spade, circondata dall'affetto della sua famiglia, Lyanna tornò a sorridere.
«Avete visto?» gridò Rhaegar. «Il futuro le porterà dolore, ma anche gioia! Non la condannerò al riposo eterno!» 
Un bagliore attirò la sua attenzione: la luce stava aumentando rapidamente di intensità, la visione si ritirava di fronte al suo avanzare, contorcendosi in tentacoli bitorzoluti. 
I corvi gracchiavano e ridevano, indietreggiando con l'oscurità a cui appartenevano.
«Non mi ingannerete!» 
La luce lo inglobò, splendendo tanto intensamente da costringerlo a schermarsi il volto con le braccia.
Quando il principe aprì gli occhi, cautamente, il silenzio era tanto completo che persino il suo respiro lacero gli sembrava troppo rumoroso.
L'improvvisa consapevolezza che c'era qualcuno alle sue spalle lo mise in allerta e Rhaegar strinse i pugni. Era forse un ultimo inganno, un ultimo tentativo di convincerlo a guardare indietro? 
«Rhaegar?» chiamò una voce, piano. 
Udendo quella voce pronunciare il suo nome, il principe non riuscì a trattenere un singhiozzo. Si premette una mano sulle labbra, affondando con forza le dita nella mascella.
«Dove siamo? Dov'è Jon?»
La voce era tanto simile a quella di Lyanna che Rhaegar avrebbe facilmente potuto immaginare l'espressione che aveva accompagnato quelle parole.
Poteva fidarsi? La sua mente sapeva che poteva trattarsi dell'ennesima prova a cui sarebbe stato sottoposto, ma il suo cuore si struggeva dal desiderio di guardarla, toccarla, averla.
Senza osare respirare, il principe si voltò.
Lyanna era poco distante. Lo osservava con un'espressione confusa, ma i suoi occhi brillavano di un grigio caldo.
Rhaegar coprì in un unico passo la distanza che li divideva e la avvolse in un abbraccio, affondando il viso nei suoi capelli castani, aspirando forte il suo profumo di vento e di freddo.
«Rhaegar, tu sei ferito!» esclamò Lyanna.
Il principe tacque, percorrendo con le dita la sua pelle fino ad arrivare a intrecciarle nei capelli. Quando le loro labbra si incontrarono, gli sfuggì un sospiro. Inclinò la testa di lato, cambiando angolazione, baciandola più profondamente.
«Rhaegar» mormorò Lyanna. «Cosa mi sta succedendo?» 
Le dita del principe scesero dal viso al suo corpo, toccando delicatamente, esplorando. Raggiunsero le mani di lei nello stesso istante in cui iniziò a svanire.
Rhaegar Targaryen spalancò gli occhi, specchiandosi in quelli terrorizzati di lei.
Il corpo di Lyanna non era più concreto e le mani di lui lo attraversavano come fosse aria; la sua figura sbiadiva, tanto che era possibile guardarle attraverso.
«Com'è possibile?» mormorò Rhaegar. Le sue ginocchia cedettero. Qualunque fosse la forza che l'aveva guidato come una mano invisibile fino allo Sconosciuto, ora l'aveva abbandonato. 
Incapace di fare altro, continuò a guardare quello spettacolo orrendo: Lyanna che diventava sempre più tenue nell'oscurità che la avvolgeva. 
E fu in quel momento, mentre si rendeva conto di essere l'unico illuminato dal sole, che Rhaegar capì. Quando si era voltato, aveva già raggiunto il mondo dei viventi, ma lei si trovava ancora fra i morti. Non l'aveva fatto consapevolmente, ma aveva disubbidito all'ordine dello Sconosciuto; stava perdendo Lyanna per la seconda volta. La stava perdendo per sempre.
Con un ruggito disperato, il principe Drago si lanciò nell'ombra.


 

***



Rhaegar Targaryen si rese conto che era la sua voce a urlare solo quando il sangue riempì la sua gola, impedendogli di respirare.
Con un violento strattone, il nemico estrasse il martello da guerra dal suo petto e tornò ad abbatterlo, fracassando il suo corpo.
Il principe impiegò qualche secondo a capire dove si trovava ma, quando riconobbe il Tridente, sorrise.
Finalmente le gambe che ancora reggevano il suo corpo cedettero, e cadde in ginocchio nelle acque torbide, la chioma argentea che fluttuava e si sporcava di rosso.
Tutto era rosso, pensò Rhaegar Targaryen. Il rosso dei rubini che cadevano nel fiume, denso di fango e fluidi corporei; il rosso acceso dell'alba che portava un nuovo giorno; il rosso dell'odio feroce dell'uomo che lo stava uccidendo.
Il suo sorriso si allargò: lo Sconosciuto aveva accolto la sua richiesta.
Rubini schizzarono via, come gocce di sangue, dal petto del principe morente, che si accasciò nell’acqua mormorando il nome di una donna




1. citazione da Simone de Beauvoir;
2. questo primo incontro fra Rhaegar Targaryen e Lyanna Stark (mai narrato nell'opera originale) è ispirato alla splendida fanfiction Songs about Jon, della mia amica Nat_Matryoshka;
3. citazione da La regina dei Draghi; è una delle visioni di Daenerys nella Casa degli Eterni.


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NdA:
Li amo ♥ li amo troppo è questa storia doveva essere scritta. Il titolo è una citazione da Romeo e Giulietta perché sì.

 

  
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