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Autore: CherryBomb_    17/06/2014    3 recensioni
Dal testo:
«L’amore è il sentimento più potente che c’è al mondo e per questo non può essere assopito o taciuto. Ogni uomo ha una debolezza e se lo è una donna, è la migliore che si possa avere, ma non la più innocua.»
Quella era la prova che mio padre aveva capito tutto e che, in un certo senso, mi appoggiava. Fu un sollievo, ma, allo stesso tempo, la paura dentro di me crebbe. Mi resi conto che la reazione che avrebbe avuto mio padre era solo una scusa inutile a cui mi aggrappavo per non affrontare la realtà dei fatti. Scossi la testa per smettere di pensare a quelle assurdità. [...]
Seppi di essere vicino a casa quando vidi in lontananza i ciliegi in fiore che coloravano quell’immenso manto verde. Sorrisi, mi ricordavano lei e il colore dei petali dei suoi fiori assomigliava al colore rosato della sua pelle. Sakura, quello era il suo nome ed era scritto a lettere cubitali a fuoco sul mio cuore.
Storia partecipante al contest Ritorno all'infanzia di Frantasy94
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Il ciliegio e la spada










Il ciliegio e la spada
 

 

Giappone, 1625

 
 
Il tempo non poteva essere più bello: il sole era alto e caldo, il cielo di una limpidezza quasi irreale. Erano due giorni che mio padre ed io camminavano immersi nel silenzio più assoluto interrotto ogni tanto dal canto di qualche uccello, dal soffio del vento e dallo scorrere dei fiumi che incrociavamo sul nostro cammino. Gli alberi erano di un verde acceso, i fiori coloravano il paesaggio e le case, silenziose e immense, sembravano i protettori di quei luoghi magnifici.
Avevamo raggiunto il confine del nostro territorio e stavamo tornando indietro, controllando che fosse tutto a posto, anche se non ce ne sarebbe stato bisogno. Mio padre era ancora legato alle sue abitudini, nonostante la guerra fosse finita da anni e avesse cambiato molte cose.
Mio padre era un samurai, come lo erano i miei antenati da generazioni, e aveva sempre avuto degli obblighi e dei doveri che era stato felice di portare a termine. Fu uno degli innumerevoli sopravvissuti alla guerra che portò all’unificazione del Giappone nel 1599 e che cambiò a condizione dei samurai fino allora ritenuti quasi intoccabili. Da quel momento mio padre avrebbe fatto solo parte di uno status symbol e sarebbe diventato insegnante di un’arte difficile e impegnativa, che riuscivi a imparare solo se l’avevi nel sangue o se ci mettevi anima e corpo. Fu dura per lui abituarsi alla sua nuova professione, era un combattente, nato e cresciuto come tale. Per lui, fare l’insegnante era degradante, soprattutto quando aveva a che fare con bambini costretti dai genitori a seguire le lezioni perché andava di moda.
L’inizio della storia con mia madre fu qualcosa di assolutamente inaspettato che gli portò un’immensa gioia e cambiò la sua vita. Non fu un colpo di fulmine il loro, ma un amore rimasto assopito nel tempo in attesa di sbocciare. La verità era che mio padre non aveva mai avuto molto tempo per pensare alle donne, anche se può sembrare assurdo, non ci faceva caso. Aveva altro di cui occuparsi, doveri cui adempiere e l’ultima cosa che gli passava per la testa era di invaghirsi di una donna.
Mia madre era una delle più belle di tutto il villaggio, corteggiata da tutti, invidiata da tante conduceva una vita fin troppo normale per una ragazza di famiglia nobile.
Si conoscevano da anni, mio nonno era amico di mio padre e andavano d’accordo, nonostante la notevole differenza d’età. Suo padre lo considerava un ragazzo con la testa sulle spalle, che sapeva cosa fosse giusto e cosa sbagliato e che, se si fosse innamorato, avrebbe amato fino alla fine dei suoi giorni. Mia madre li spiava, spesso, anche se non l’aveva mai ammesso a nessuno e s’innamorò di quel ragazzo che sembrava essere così forte e serio. Non confessò il suo amore, lo tenne nascosto nei meandri del suo cuore, affliggendosi per quell’uomo che sembrava non degnarla di uno sguardo. Lei così bella e ambita, non attirava l’attenzione dell’unico uomo di cui le importasse davvero. Non furono anni facili per lei, suo padre voleva che si sposasse, che gli desse dei nipoti prima della sua morte, ma lei non sentiva ragioni.
Il destino poi, fece il suo gioco: la guerra riportò a casa quell’uomo tutto d’un pezzo così diverso dagli altri, ma che, allo stesso tempo, lo cambiò profondamente. Notava il suo turbamento e la sua infelicità, avrebbe voluto fare qualcosa per alleviare quel dolore, ma non sapeva come fare e non ne aveva il coraggio. Solo lo scorrere del tempo poteva aiutare quei due innamorati così insicuri di se stessi, ma poi alla fine tutto andò per il verso giusto: scambiarono due parole e poi parlarono per ore. Sapeva ridere! Lui rideva come non aveva visto fare nessun altro e lei lo guardava con quel luccichio negli occhi così affascinante che non seppe resisterle.
Ero cresciuto ascoltando la storia d’amore dei miei genitori arricchirsi ogni volta di dettagli ed emozioni. In segreto, fin da piccolo, avevo sperato di incontrare una donna fantastica come mia madre e di avere una storia d’amore come la loro. Una donna che sapesse ascoltarmi, farmi andare su tutte le furie e tornare il sorriso in pochi secondi. Qualcuno che sapesse amarmi incondizionatamente nonostante i miei innumerevoli difetti e con cui potessi mostrarmi per quello che ero.
Un viso s’impose tra i miei pensieri e mi scappò un sorriso. Lei con quello sguardo magnetico e ipnotizzante non poteva essere considerata una donna qualsiasi. Non aveva niente a che fare con le altre: non si occupava solo delle questioni domestiche e di vestiti, ma cacciava e sapeva combattere con una spada come pochi maschi facevano. Mi piaceva proprio per quel suo modo di fare un po’ da maschiaccio, ma sapevo benissimo che, quando s’impegnava, era più donna di tante altre. In lei c’era tutto ciò che amavo e odiavo. Di difetti ne aveva troppi, uno tra tutti la sua continua voglia di parlare di ogni cosa e sfinirmi di domande. Ci conoscevamo da tutta la vita e non era ancora riuscita a capire che amavo il silenzio e che ne avessi bisogno, anche se immaginavo lo facesse apposta. Si divertiva a farmi saltare i nervi e mandarmi su tutte le furie. L’aveva sempre fatto, fin da piccola, ma riusciva ogni volta a farsi perdonare senza difficoltà. Amavo tutto di lei.
«A cosa stai pensando?»
La voce di mio padre mi spaventò. Non era uno che parlava molto, come me del resto, ma quando lo faceva, era una sorpresa. Non sprecava l’aria altrui, quando lo faceva era sempre per un motivo preciso e capii che anche in quel caso avesse qualcosa per la testa.
Speravo che non avesse intuito ciò che provavo per lei, altrimenti sarebbe stata la fine. Sapevo quanto per lui il coraggio fosse la qualità migliore di un uomo e avrebbe sicuramente visto il mio sentimento mai dichiarato come un disonore. Nutrivo un profondo rispetto per lui e volevo che fosse fiero di me in qualsiasi circostanza.
«Nulla, padre.»
Non sapevo come potergli descrivere ciò che provavo quando pensavo a lei o come mi sentivo quando mi rendevo conto che il mio fosse solo un amore a senso unico. Avevo paura di affrontare il suo giudizio sulla situazione e non ero pronto.
«Takeshi, sei mio figlio, sei più trasparente dell’acqua pulita.»
Continuai a rimanere in silenzio cercando di trovare un senso compiuto alle parole che mi giravano per la testa e che non mi davano pace. Avrei voluto parlargli per avere un suo consiglio, ma non trovato le parole.
«L’amore è il sentimento più potente che c’è al mondo e per questo non può essere assopito o taciuto. Ogni uomo ha una debolezza e se lo è una donna, è la migliore che si possa avere, ma non la più innocua.»
Quella era la prova che mio padre aveva capito tutto e che, in un certo senso, mi appoggiava. Fu un sollievo, ma, allo stesso tempo, la paura dentro di me crebbe. Mi resi conto che la reazione che avrebbe avuto mio padre era solo una scusa inutile a cui mi aggrappavo per non affrontare la realtà dei fatti. Scossi la testa per smettere di pensare a quelle assurdità. Io non ero un codardo, un uomo senza coraggio. Ero un samurai di nascita e un guerriero non si comportava in quel modo, non faceva quei pensieri.
Seppi di essere vicino a casa quando vidi in lontananza i ciliegi in fiore che coloravano quell’immenso manto verde. Sorrisi, mi ricordavano lei e il colore dei petali dei suoi fiori assomigliava al colore rosato della sua pelle. Sakura, quello era il suo nome ed era scritto a lettere cubitali a fuoco sul mio cuore.
Cercai di non accelerare il passo. Mi era mancata in quei pochi giorni di lontananza, stranamente, soprattutto il suo chiacchiericcio continuo ed estenuante.
«Quando hai intenzione di dirglielo?»
«Dire cosa?»
«Quello che provi per lei.» Sbuffai.
Il silenzio tornò a regnare attorno a noi e cercai di allontanare qualsiasi cattivo pensiero. Stavo tornando a casa, contava solo quello. Tornavo da quella ragazza che aveva cambiato per sempre la mia vita.
Sakura era figlia del migliore amico di mio padre e bazzicava casa mia ancora prima che si trasferisse. All’età di cinque anni perse il padre a seguito di una grave malattia incurabile e sconosciuta a cui nessuno aveva saputo dare un nome. Quando il Signor Masa capì di essere quasi arrivato alla fine dei suoi giorni, fece promettere a mio padre di prendersi cura di sua moglie e di sua figlia. Mantenne la promessa per anni, assicurandosi che madre e figlia avessero tutto quello di cui avevano bisogno, ma c’era qualcosa che mio padre non poteva dare loro: l’amore di un marito e di un padre scomparso. Aika, la madre di Sakura, soffrì molto la perdita del marito tanto da arrivare allo sfinimento che, due anni dopo, la portò alla morte. Mio padre accolse Sakura in casa nostra trattandola come la cosa più importante che ci fosse al mondo. Non ero geloso, anzi, non appena arrivò, sentii subito un senso di protezione nei suoi confronti che non sapevo spiegare. Lei era un fiore delicato che doveva essere protetto a qualsiasi costo, anche con la vita.
Mio padre cercò in tutti i modi di farla crescere con l’educazione di qualsiasi bambina, ma lei non era come le altre già allora. Si applicava nell’imparare i lavori domestici, ma insisteva perché gli fosse insegnato ciò che facevo io. Lei fu la prima ragazza a cui mio padre insegnò a combattere con una katana. Cominciò a seguire le lezioni con me e diventammo compagni di allenamento.
Non saprei dire quando m’innamorai di lei, ma, con il tempo, sono arrivato a credere che lo fossi stato fin dal primo momento in cui avevo posato gli occhi su di lei.
Il nostro rapporto crebbe di anno in anno, di giorno in giorno fino a quando diventammo inseparabili. Eravamo ancora piccoli e non pesava su di noi quello che pensava la gente, ma ben presto tutto cambiò, soprattutto io. Mi resi conto che provassi per lei qualcosa di più della semplice amicizia e mi staccai, impaurito per quelle sensazioni sconosciute che non avevo mai provato per nessuna.
Da quel momento tra di noi calò una sottile linea che ci impediva di entrare troppo in contatto. Nessuno dei due fece niente per cambiare le cose, ma andava bene così. Si creò un equilibrio che non fu mai sbilanciato in nessun modo. Era forse anche quello il motivo per cui non me la sentivo di parlarle di ciò che provavo: non volevo che quell’equilibrio si rompesse e le cose cambiassero. Mi accontentavo di osservarla allenarsi con la katana fuori in giardino o mentre leggeva un libro al riparo di un ciliegio sulla riva del fiume che scorreva dietro casa. Mi lasciavo cullare dalla sua voce quando parlava di qualcosa che aveva appena scoperto e che la affascinava. Lei era così: intraprendente, curiosa e intelligente, qualità che a volte mi lasciavano basito da quanto erano sviluppate.
Sarebbe stata una compagna di vita perfetta, non solo per me, ma per qualsiasi uomo avesse la fortuna di stare al suo fianco. Intuiva ciò di cui avevi bisogno ancora prima che glielo dicessi o, a volte, che te ne accorgessi tu stesso. Era amorevole e affettuosa, nonostante cercassi in tutti i modi di tenerla a distanza, vedevo come si comportava con i miei genitori ed ero felice che ci fosse almeno qualcuno che non fosse così spaventato dal dimostrare affetto, a differenza di me. Ti spingeva a provare cose diverse in ogni ambito ed era generosa, con chiunque, anche con chi non se lo sarebbe meritato.
Era perfetta. Perfetta con i suoi mille pregi e mille e uno difetti. Perfetta come solo un ciliegio in fiore in uno sterminato prato verde poteva essere.
«Un giorno un vecchio saggio mi raccontò una storia che voglio dire anche a te.
 
Due Ciliegi innamorati, nati distanti, si guardavano senza potersi toccare.
Li vide una Nuvola, che mossa a compassione, pianse dal dolore ed agitò le loro foglie, ma non fu sufficiente, i Ciliegi non si toccarono.
Li vide una Tempesta, che mossa a compassione, urlò dal dolore ed agitò i loro rami, ma non fu sufficiente, i Ciliegi non si toccarono.
Li vide una Montagna, che mossa a compassione, tremò dal dolore ed agitò i loro tronchi, ma non fu sufficiente, i Ciliegi non si toccarono.
Nuvola, Tempesta e Montagna ignoravano, che sotto la terra, le radici dei Ciliegi erano intrecciate in un abbraccio senza tempo.»
 
A volte ciò che mio padre voleva dire era completamente incomprensibile, lui e i suoi modi così evasivi! Non mi sarei dovuto lamentare, lo sapevo, a volte mi comportavo allo stesso modo.
Quando cominciai a vedere il profilo di casa, il sorriso si allargò.
Sei patetico, Takeshi. Patetico è dire poco.
Cercai di darmi un contegno.
Mia madre stava stendendo i panni su un filo in giardino, ma non si rese minimamente conto del nostro arrivo. Solo quando eravamo a pochi metri di distanza alzò lo sguardo e sorrise.
«Non vi aspettavo così presto.»
«Il viaggio è proseguito senza alcun intoppo » le spiegò mio padre andandole incontro con un sorriso a trentadue denti.
Quando mi raccontava episodi della sua vita passata, me l’ero sempre immaginato come un uomo serio, tutto d’un pezzo e per niente incline alle tenerezze, ma poi lo vedevo guardare mia madre con gli occhi lucidi, un sorriso sincero sulle labbra e la voce più carezzevole rispetto al solito. Con lei cambiava completamente come dal giorno alla notte, era chiaro che senza di lei sarebbe stato un uomo diverso.
Lui era la prova vivente che nell’amore, nel provare dei sentimenti non c’era niente di poco virile. Ero arrivato a pensare, nel corso degli anni, che la mascolinità di un uomo e la sua nobiltà d’animo venivano misurati con i modi che usava con una donna. Un uomo non può essere considerato tale se non tratta bene una donna, mai.
Mia madre venne ad abbracciarmi e a lasciarmi un bacio sulla guancia.
«È in palestra» mi sussurrò all’orecchio e mi resi conto che stessi facendo correre lo sguardo da una parte all’altra.
Le sorrisi e mi allontanai. Quando raggiunsi la palestra, trovai Sakura intenta ad allenarsi con la katana. Non si rese conto della mia presenza talmente era concentrata su ciò che stava facendo e mi permisi di osservarla, godendomi quella visione. I suoi movimenti erano fluidi e rapidi, teneva la spada con entrambe le mani e si muoveva come se stesse immaginando un combattimento vero. Parava, stoccava e aspettava le mosse di un avversario immaginario. Il suo viso era tirato e in tensione per la concentrazione e lo sforzo. Indossava un paio di pantaloni da uomo che si era cucita da sola e una maglietta un po’ troppo stretta. I piccoli seni erano in bella vista sotto quel sottile strato di stoffa e si muoveva a ogni minimo spostamento del suo corpo.
Deglutii a fatica e tornai a concentrarmi su ciò che stava facendo, cercando di immaginare come si stesse svolgendo il combattimento e chi vincesse.
Si fermò, fece un inchino e infoderò la spada con il filo rivolto verso l’alto. Alzando la testa mi vede con la coda dell’occhio sulla soglia della porta e mi sorrise.
«Da quanto sei lì?»
«Sono appena arrivato. Chi ha vinto?»
Continuai a mantenere lo sguardo fisso nei suoi occhi nonostante avessi l’immensa voglia di guardarla camminare mentre avanzava verso di me.
«Io, che domande» ridacchiò contagiando anche me.
Mi oltrepassò e si sedette fuori sotto il portico.
«Com’è andato il viaggio?»
«Come qualsiasi altro viaggio» mi sedetti accanto a lei.
«Allora è stato silenzioso e monotono.»
Alzai gli occhi al cielo. «Non so se te l’ho mai detto, ma il silenzio aiuta a pensare.»
«Me lo ripeti ogni volta che comincio a parlare e non hai voglia di ascoltarmi» si lamentò.
Se solo avesse saputo che avrei passato ore ad ascoltarla e che a volte mi fingevo infastidito solo per farle dispetto.
«Tu non la finisci mai di parlare, che è diverso.»
Con la coda dell’occhio la vidi fissarmi con un sorrisino sulle labbra e mi sentii avvampare.
«Che c’è?»
«Dovresti partire più spesso se quando torni sei così simpatico.»
«Io sono sempre simpatico» la fulminai.
«Quando dormi. Avrei voluto dirti che lo sei quando stai zitto, ma lo sei sempre, pensi troppo.»
«Quindi sarei stato simpatico ogni momento della giornata» sorrisi vittorioso e poi la guardai. «Mi preoccupi.»
«In realtà sono io quella che si preoccupa. Sembri diverso. Cos’è successo?»
«Niente» distolsi lo sguardo dal suo.
«Cosa mi stai nascondendo?» mi scrutò, cercando di leggermi dentro com’era solita fare.
«Facciamo un combattimento?»
Mi tolsi l’haori* e aspettai che mi raggiungesse.
«Sei bravo a sviare la domanda.»
«Non sto sviando proprio niente, ho semplicemente voglia di fare movimento.»
Alzò un sopracciglio. «Se sono due giorni che cammini.»
«Movimento diverso da quello. Non ho fatto praticamente altro che camminare, ho bisogno di sciogliere gli altri muscoli.»
Rimase a guardarmi ancora perplessa. Continuai a sostenere il suo sguardo mostrandomi il più tranquillo possibile, anche se dentro stavo morendo. Alla fine cedette e si rilassò.
«Spada o corpo a corpo?»
«Spada» risposi senza esitazione.
Andammo entrambi a prendere il bokken, un bastone di legno sagomato a forma di spada che usavamo per gli allenamenti. Le utilizzavamo per non rischiare di farci seriamente male durante il combattimento. Ci eravamo tagliati in modo grave solo una volta ed era bastata per farci capire che non dovessimo mai provare con delle spade vere in mano, soprattutto quando ci trovavamo uno di fronte all’altra come avversari. Nonostante Sakura fosse una donna combatteva meglio di un uomo e, anzi, era anche più veloce nei movimenti grazie alla sua statura e corporatura.
Ci girammo in sincrono e ci guardammo con aria di sfida.
Ci salutammo inchinandoci e quando tornammo in posizione eretta, ci fissammo. Ci mettemmo lentamente in posizione e ci fissammo.
Il combattimento con la katana era una questione di attesa, chi aveva i nervi meno saldi partiva all’attacco scoprendosi e rischiando di essere colpito. Fu lei la prima a cedere e tutto era colpa del fatto che meditasse poco. Da quel momento furono stoccate, parate, colpi dritti e rovesci. Nessuno dei due prevaleva sull’altro e non riuscivo a trovare nessun modo per colpirle braccia e gambe. Cosa potevo pretendere infondo? Le aveva insegnato tutto mio padre.
Diede un colpo talmente forte e inaspettato, che mi cadde il bokken di mano. La guardai stupito pensando che dichiarasse vittoria, ma gettò il suo a terra e si mise in posa di combattimento corpo a corpo. Era una lotta all’ultimo sangue.
Sakura aveva dalla sua parte l’agilità e la velocità, era piccola in confronto a me e spesso sferrava dei colpi che rischiavano di farmi vacillare. Era un valido avversario, lo era sempre stata. Combattere con gli altri maschi era quasi noioso, con lei non succedeva mai.
La lotta si fece frenetica tanto che non sapeva neanche io quello che stavo seguendo, mi lasciavo guidare dall’istinto. C’era qualcosa nei nostri movimenti che sembrava essere dettata dall’urgenza, anche se non riuscivo a capire di cosa.
Per la troppa foga mi ritrovai sopra di lei con il fiato accelerato. La fissai non riuscendo a muovere un solo muscolo. Il tempo sembrava essersi fermato e non ricordavo neanche dove fossi. Spostai lo sguardo sulle sue labbra e desiderai baciarle come non mi era mai capitato prima di allora.
Un sorriso spuntò sulle sue labbra e mi ritrovai a farlo di rimando osservando quella curva così perfetta. Nel suo sguardo c’era qualcosa di strano, un luccichio che non avevo mai notato prima di quel momento. Per un secondo pensai che mi stesse incoraggiando, che aspettasse un mio bacio. Non era possibile.
Mi contenni e cercai di staccarmi, ma mi lanciò una fulminata che bloccò ogni mio intento. Il suo sguardo sembrava sfidarmi, come se mi dicesse “Prova ad andartene e ti uccido”.
Strinse un lembo della maglietta tra le dita e trattenni il fiato. Le accarezzai una guancia e sorrise. Avvicinai il viso al suo lentamente, mantenendo il controllo. Quando la vidi chiudere gli occhi, appoggiai le labbra alle sue. Rimanemmo impacciati come due ragazzini, ma poi qualcosa in me scattò. Assaporai le sue labbra e lasciai che le cose venissero da sé.
Ci baciammo per minuti che sembrarono interminabili. Nell’aria volavano gli schiocchi delle nostre labbra e il nostro respiro accelerato.
Il nostro primo bacio fu guidato completamente dall’istinto e dall’amore che ci bruciava dentro. Non sapevamo esattamente quello che stavamo facendo, ma ci piaceva e stavamo bene, quello era l’importante.
Staccai le labbra dalle sue in cerca di aria continuando a tenere gli occhi chiusi. Una sua mano mi accarezzò i capelli sulla nuca provocandomi un brivido.
«Mi chiedevo quando avresti trovato il coraggio di farlo.»
Spalancai gli occhi e la guardai confuso. «Che vuoi dire?»
«Pensi tanto, ma alle cose più semplici a volte non ci arrivi» scosse la testa sorridendo. «Sapevo di piacerti, Takeshi, almeno da un paio d’anni. Non sono così stupida da non rendermi conto di come stanno le cose. Ho notato come gli altri mi guardavano e come lo facevi tu e sono arrivata a una conclusione.»
«Avresti potuto dirmelo.»
«E togliermi il sapore dell’attesa? Mai. E poi, tua madre mi ha sempre detto che è l’uomo a dover fare la prima mossa.»
«Ah, mia madre dice queste cose?»
Annuì. «È stata utile in questi anni d’attesa, mi ha dato molti consigli e rassicurato su come sarebbero andate le cose. In realtà non l’ha fatto con parole sue, ma mi ha raccontato una storia che mi ha fatto riflettere e pensare molto.»
Storia?
Immediatamente le parole pronunciate da mio padre poco prima che arrivassimo a casa, mi risuonarono nella mente e s’insinuò il dubbio che mia madre l’avesse raccontata anche a Sakura.
«Quale storia?»
«Quella dei due ciliegi innamorati. L’hai mai sentita?»
Sorrisi scuotendo la testa e alzandomi dal suo corpo mettendomi a sedere.
«Me l’ha raccontata mio padre quando stavamo per arrivare a casa.»
Restammo in silenzio ognuno perso nei propri pensieri.
«Mi sembra di essere stato indirizzato da qualcuno che ne sapeva più di me» ammisi.
«Sì, si chiama destino.»
Si strinse al mio corpo e le abbracciai le spalle. Avevo accanto la donna che avrebbe fatto parte della mia vita per sempre, che avevo amato fin dal primo istante in cui i miei occhi avevano incontrato i suoi. Lei sarebbe stata la mia forza e il mio tutto, da quel momento fino alla fine dei nostri giorni insieme. L’avrei protetta come avevo sempre fatto, anche a costo della vita pur di vederla felice e sorridere. A colpi di katana o di pugni avrei combattuto contro chiunque si sarebbe permesso di trattarla male.
Non potevamo essere più diversi di così: io, un guerriero serio, introverso, con poco da offrire e lei, un ciliegio in fiore a primavera, bello, colorato e rigoglioso. Eravamo l’uno l’opposto dell’altra, ma ci compensavamo. Lo ying e lo yang, l’alfa e l’omega, il giorno e la notte, il sole e la luna, il nero e il bianco. Sakura e Takeshi, il ciliegio e la spada uniti da un destino comune: amarsi e stare insieme tutta la vita, oltre il tempo e lo spazio. Per sempre.
*indumento indossato sopra il kimono per renderlo ancora più formale
 
 
 
Buon Salve! Avrei dovuto pubblicare questa storia ancora mesi fa, ma non so che cosa mi abbia trattenuto dal farlo.
La storia partecipa al contest Ritorno all’infanzia di Frantasy94 e non appena ho letto i prompt del pacchetto da me scelto mi sono ritrovata subito in questo mondo a me così sconosciuto.
Ho cercato di documentarmi il più possibile su tutto quello che volevo affrontare in questa OS e mi scuso in caso qualcuno trovi qualche errore nel riportare fatti, avvenimenti o azioni.
Fatemi sapere se vi è piaciuta o se c’è qualcosa che non vi è andata giù!
Oggi sono di poche parole, ma in caso voleste seguirmi su FB il mio profilo è questo!
Un bacione ^^

 


   
 
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