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Autore: SusanTheGentle    17/06/2014    8 recensioni
Questa storia fa parte della serie "CHRONICLES OF QUEEN"

Il loro sogno si è avverato.
Tornati a Narnia, Caspian e Susan si apprestano ad iniziare una nuova vita insieme: una famiglia, tanti amici, e due splendidi figli da amare e proteggere da ogni cosa.
Ma quando la felicità e la pace sembrano regnare sovrane, qualcosa accade...
"E' solo un attimo, al sorgere e al tramontar del sole, attimo in cui riescono a malapena a sfiorarsi....
Sempre insieme, eternamente divisi"

SEGUITO DI "Queen of my Heart", ispirato al libro de "La sedia d'agento" e al film "Ladyhawke".
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian, Susan Pevensie
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chronicles of Queen'
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IN FONDO AL CAPITOLO TROVATE LA MAPPA DI NARNIA


21. Sempre insieme, eternamente divisi
 
…ma la lontananza fa male
e non posso resistere ancora a lungo…
 
 
 
La sua mente vagava confusa tra un sogno ed un ricordo.
Il fuoco…
Crepitava tutt’intorno. Scoppiettava e sibilava lambendo le mura della casa di Tartufello, le grida degli animali che vivevano nelle tane vicine le riempivano le orecchie.
Il fuoco brillava tra i rami degli alberi di Prato Ballerino, riducendolo un cumolo di cenere in poche ore. Le fiamme erano simili a spaventose creature dalle facce di demoni, pronte a distruggere, a bruciare il bosco e tutto quanto c’era di vivente.
In pochi si erano salvati.
E poi, quando il fumo si era innalzato in fosche volute dalle macerie, un attimo prima dell’alba, prima di trasformarsi, Susan aveva assistito alla desolazione, alla disperazione, alla morte.
Prato Ballerino, il cui nome derivava dalla particolarità del movimento dei suoi alberi e fiori, i quali al minimo alito di vento si animavano proprio come se danzassero, il luogo più allegro di tutta Narnia…era senza vita.
Se solo avesse potuto spegnere l’incendio, salvare tutti…
Il fuoco…
Il fuoco bruciava ancora.
Le fiamme lambivano il suo petto, la spalla e il braccio destro. Percepiva il proprio respiro affannato.
Poi, qualcosa di fresco si posò sulla sua fronte. Acqua, senza dubbio.
Allora, Susan tirò un sospiro di sollievo. Il bruciore persisteva ma lei si sentì un poco più forte. Qualcosa accadde in lei, cambiò, e le fece capire di potergli resiste meglio di qualche minuto prima.
Si destò dal sogno e aprì piano gli occhi, riconoscendo immediatamente il volto di Lucy e quello di Miriel. Era sdraiata in un giaciglio improvvisato, fatto di paglia e coperte consunte. Non riconobbe il luogo dove si trovava, anche se poteva immaginarlo.
“Susan, come ti senti? Ti fa molto male?” chiese Lucy, agitatissima. “Fortuna che ti sei trasformata. Se fossi rimasta un falco ancora per molto…”
Susan le fece un debole sorriso, per tentare di rassicurarla.
“Sto bene” mentì, la voce un sussurro.
Miriel le tolse la pezza dalla fronte e si voltò per chiamare qualcuno.
“Dottor Cornelius, è sveglia”
Susan udì il basso cigolio della porta, dalla quale apparve proprio lui: Cornelius.
La Regina e il professore incrociarono i loro sguardi, solo per un attimo, poiché lui lo distolse quasi subito.
L’ometto le si avvicinò, reggendo tra le mani una bacinella di terracotta dalla quale emergeva un odore molto forte.
“Ora uscite, ragazze” disse il professore a Miriel e Lucy.
La Valorosa sembrò non volersi muovere, terrorizzata all’idea che capitasse qualcosa a Susan.
“Vieni, Lucy” mormorò Miriel, sospingendo dolcemente la Valorosa fuori della stanza. “Gli altri saranno qui a breve”
Lucy si voltò verso la sorella. “Sue…”
“Ti voglio bene, Lucy”
“Oh, anch’io, tanto!”
Lucy tornò da lei e si chinò ad abbracciarla, con delicatezza.  La Dolce cercò di ricambiare con il braccio che non le faceva male.
“Su, andate, per favore” ripeté Cornelius.  
Comprendeva quanto la Regina Valorosa fosse in ansia per la salute della sorella maggiore, ma era meglio che la Regina Susan rimanesse il più possibile tranquilla. Con famigliari o amici intorno, c’era il rischio che si agitasse.
Quando scese la quiete, il solo crepitio del fuoco come unico rumore di sottofondo, Cornelius iniziò a spalmare uno strano unguento intorno alla freccia ancora nel petto della giovane.
“Sentirete bruciare, ma sarà solo all’inizio. Questo preparato anestetizzerà la zona lesa, così potrò estrarre la freccia”
Susan annuì impercettibilmente, percependo quasi subito un vago alleviamento del dolore.
“Non posso assicurarvi al cento per cento che funzionerà” balbettò il professore, “probabilmente sentirete ugualmente dolore, ma se non altro si eviterà un’infezione”
La Regina fissò di nuovo lo sguardo in quello di Cornelius.
“Non cercate di farvi perdonare”
Cornelius posò da parte la bacinella e si pulì le mani con uno strofinaccio.
“Sto facendo ciò che il Re mi ha chiesto”
“Non ve l’ha chiesto” ribatté Susan con voce più dura del solito. “Caspian mi ha mandato qui solo perché siete l’unico in grado di curarmi. Se il cordiale di Lucy avesse funzionato, state certo che non saremmo mai venuti”
Cornelius abbassò il capo, avvilito. “Un tempo non mi avreste parlato così, bambina”
“Un tempo tutto era diverso, dottore”  commentò Susan aspramente. “Un tempo mi fidavo di voi e vi stimavo”
“Vorrei che tornaste a farlo”
“Non mi è possibile”
Il vecchio uomo divenne una statua di pietra ai piedi del giaciglio nel quale era stesa Susan.
“Sono cambiate molte cose in due anni, Maestà”
Lei fece un mezzo sorriso sardonico. “Sul serio? Io non ho percepito cambiamenti”
“Se la mia signora volesse un momento ascoltarmi…”
“Non ho nessuna intenzione di... Ah!”
Susan fece un brusco movimento e la ferita mandò una fitta improvvisa.
“Non agitatevi” disse il professore. “Ecco, bevete un po’ d’acqua”
Cornelius prese la brocca e un bicchiere sbeccato da un tavolo lì vicino. Tornò da lei ma Susan rifiutò.
“Sto bene” disse lei, voltando il capo dalla parte opposta. “Toglietemi questa dannata freccia. Prima lo farete, prima guarirò e potrò andarmene da qui”
“La mia Regina dovrà riposare a lungo prima di lasciare questa stanza, e dovrà anche prendere la medicina che le somministrerò”
“Non lo voglio il vostro aiuto. Non più del necessario”
Cornelius alzò un poco la voce. “Re Caspian aveva proprio ragione nell’affermare che siete la donna più cocciuta del mondo. Ad ogni modo, giacché siete qui e avete accettato le mie cure, significa che un aiuto lo volete, poiché sapete anche voi che rischiate un’infezione molto seria. Comunque, se non farete ciò che vi dico, mi costringerete a richiudervi qui dentro a doppia mandata finché non sarete ristabilita”
Con uno scatto del capo e un’occhiata torva, Susan si rivoltò per ribattere. Ma prima che potesse farlo, la ferita mandò un’altra fitta, sebbene più debole di prima.
“L’unguento non vi da sollievo, Maestà?”
Lei fece una smorfia. “La spalla e il braccio mi si sono addormentati, ma il petto mi fa male”
Cornelius le posò una mano sulla fronte. “Avrei voluto attendere ancora, ma se vi sale la febbre sarà peggio”
“Fate ciò che dovete”
Cornelius si torse le mani, poi le allungò verso la freccia. “Sentirete ugualmente dolore”
Susan lo guardò, gli occhi celesti che brillavano di timore e determinazione. Non disse nulla, facendogli capire che avrebbe sopportato.
Il dolore fisico era un attimo. Se fosse stata a riposo come il professore aveva raccomandato, sarebbe guarita e si sarebbe presto dimenticata di quel tipo di dolore.
Nulla poteva fare più male del non avere Caspian accanto a lei ogni giorno.
Nulla poteva fare male come il non poter più abbracciare i suoi bambini.
Il grido di acuta sofferenza durò giusto l’istante in cui Cornelius estrasse la freccia dal suo corpo con un gesto deciso.
Il professore ricoprì subito tamponando la ferita di altro unguento, spalmandolo sulla carne viva.
E il dolore cessò
Era stato un momento.
Un momento prima che perdesse conoscenza, esausta.
 
 
Jill, Eustace e Pozzanghera non sapevano dove sorgeva il vecchio monastero in cui era andato in esilio il dottor Cornelius. Si tenevano un metro circa dietro al lupo, confidando nel suo istinto e nel suo fiuto, i quali li avrebbero condotti tutti e quattro a destinazione.
Lo splendido animale era un’ombra tra le ombre, riflessi corvini balenavano sul suo manto alla luce della luna nuova.
Osservandolo, Jill non poté fare a meno di pensare che le parole che aveva sentito pronunciare più volte dai Pevensie, erano vere: quando si è Re o Regina di Narnia, si è sempre Re o Regina.
Ebbene, Aslan aveva rivolto questa frase ai i quattro fratelli, ma valeva anche per Caspian.
Il portamento elegante era evidente ora quanto durante il giorno, quand’era umano. Chiunque, vedendolo, avrebbe capito di non avere davanti un lupo come tutti gli altri. C’era nobiltà nel suo sguardo, mista alla consueta malinconia.
D’un tratto, il lupo arrestò il suo cammino, proprio mentre sullo sfondo appariva la sagoma del monastero, una finestrella accesa.
Pozzanghera allargò le lunghe braccia e intimò i due ragazzi a fermarsi.
Eustace si voltò verso il Paludrone. “Perché…?”
“Ssshhtt!” fece Pozzanghera, portandosi un dito sulle labbra.
I tre compagni osservarono il lupo, immobile, in piedi su tutte e quattro le zampe, il corpo rigido, in attesa o in ascolto di qualcosa.
Trasalirono nel momento in cui l’ululato s’innalzò potente nella notte.
Non una, non due, ma più e più volte il lupo lanciò il suo grido al cielo, all’immota e impassibile luna. Era un grido di rabbia e sofferenza. Una pausa e poi ricominciava.
“Dev’essere successo qualcosa a Susan” commentò Jill a bassa voce. “Ne sono sicura”
Eustace impallidì. Pozzanghera fece un cenno ai due amici di avanzare piano.
Si accostarono al lupo. Lui se ne stava in silenzio, ora.
Udendo i passi avvicinarsi, l’animale si voltò e digrignò i denti. Poco dopo si mosse, ma con gli occhi fece loro capire di seguirlo e basta. Non voleva che gli si avvicinassero troppo, voleva restare solo con il dolore che gli premeva sul petto e nella mente.
In assoluto silenzio, percorsero a passo spedito il tratto di strada che li separava dal monastero.
Il lupo si staccò dal gruppo, scivolando nell’oscurità e sparendo alla vista.
Jill e Eustace si allarmarono, ma Pozzanghera, con la consueta calma, disse di lasciarlo andare e non preoccuparsi per lui: sarebbe ricomparso presto, sicuramente. 
La luce che avevano visto in lontananza si faceva sempre più grande e, quando furono sotto le mura, videro che proveniva da una stanza al primo piano. Confuso tra il buio e le rocce su cui si ergeva il cenobio, c'era il ‘piccolo’ Gigante, segno che gli altri erano già là. Gli passarono accanto ed egli li salutò agitando la mano.
“Puoi tornare a casa adesso” gli disse Jill. “Qui saremo al sicuro. Grazie per quello che hai fatto e scusami se ti ho urlato addosso oggi. Sai, non avevo mai visto un Gigante in vita mia e mi hai spaventata a morte”
Lei arrossi di vergogna e lui si alzò.
“Non fa niente, signorina degli umani. Ora andrò a casa come mi hai detto: la mia mamma sarà preoccupatissima. Posso tornare domani per vedere come sta l’uccellino?”
Jill capì che intendeva il falco, poi annuì. “Certo che puoi ritornare. A proposito, come ti chiami?”
“Sono Scompiglio. E tu, signorina?”
“Io sono Jill”
Il Gigante allungò una mano. “Sì fa così, giusto? Ci si stringe la mano quando ci si presenta. Me l’ha insegnato il papà”
“Sì, esatto” sorrise la ragazza, divertita, stringendogli un dito con entrambe le mani.
Scompiglio salutò allo stesso modo anche Eustace e Pozzanghera, e infine si allontanò nella Brughiera.
“Speriamo che non torni con la famiglia al completo” commentò Pozzanghera. “Da piccoli, i Giganti possono essere amichevoli, ma non si può dire altrettanto degli adulti”
“Non hai pensato che ci potrebbe dare una mano ad attraversare il Ponte incolumi?” fece Jill, mentre si avvicinava al portone con i compagni.
“Non essere troppo ottimista, cara mia. Avrai solo delusioni” rispose il Paludrone, afferrando il battente e bussando un paio di volte.
Jill e Eustace si scambiarono uno sguardo, alzando gli occhi al cielo. Non c’era niente da fare: Pozzanghera non riusciva a pensare positivo in nessuna circostanza.
Ad aprire fu Miriel, che li condusse tutti e tre attraverso il cortile. Entrarono in una sala al pian terreno dove trovarono Peter, Edmund, Lucy, Emeth, Shanna e Ombroso, seduti attorno a un lungo tavolo di legno rettangolare, con panche annesse. Le pareti erano spoglie. Si stava bene grazie al focolare acceso. Altre fonti di luce erano i tre candelabri a sei braccia posati sul tavolo.
“Perché Caspian non è con voi?” volle sapere Peter. “E’ successo qualcosa?”
“No, nulla” rispose Eustace. “Si è allontanato da solo nella Brughiera, ma non lo fa forse tutte le notti?”
“Sì è comportato in modo molto strano, però” disse Jill. “Prima che arrivassimo qui si è messo ad ululare e sembrava che soffrisse”
“Piuttosto, amici miei” disse Pozzanghera, “siamo noi a chiedere perché avete quelle facce atterrite. La Regina sta tanto male?”
In effetti, Peter e gli altri erano pallidi in volto come se avessero ricevuto una terribile notizia.
La realtà era che anche loro avevano udito il guaito del lupo, proprio nell’esatto momento in cui avevano sentito l’urlo di dolore di Susan provenire dal piano superiore.
Lucy, più di tutti gli altri, era bianca come un cencio. Stretta ad Emeth tremava, gli occhi azzurri spalancati dall’angoscia.
“Oh, vi prego: qualcuno vada di sopra a vedere cosa succede, non ce la faccio più ad aspettare”
“Sta tranquilla” la rassicurò Emeth, stringendola di più. “Il dottor Cornelius sa quello che fa. Susan è in buone mani. Oh, eccolo”
Nel mentre in cui il professore varcava la soglia, le panche grattarono sul pavimento di pietra e tutto il gruppo balzò in piedi, circondandolo e riempiendolo di domande.
Cornelius posò sul tavolo ciò che portava con sé: alcuni stracci macchiati di sangue, una ciotola di terracotta che aveva contenuto l’unguento anestetizzante, un’altra bacinella più grande piena d’acqua ormai divenuta rossa, ago e filo, e per ultima la freccia che aveva colpito il falco.
Il professore rassicurò tutti loro, riferendo che la Regina aveva perso conoscenza e ora dormiva un sonno profondo. La ferita era stata pulita e ricucita.
Lucy chiese se poteva provare a farla star meglio con il suo cordiale, ma Cornelius ribadì per l’ennesima volta che, anche se ora Susan era umana e non più sotto l’effetto della trasformazione, non sarebbe servito a niente.
“Ora riposatevi, ragazzi, mangiate qualcosa e dormite tranquilli. Susan guarirà” disse Cornelius, prima di uscire di nuovo dalla stanza.
Shanna lo seguì. “Professore?”
Lui si volse, il viso stanco. “Dimmi, mia cara”
“Non vorrei farvi fretta, ma siamo venuti per le Spade”
“Certo, certo, lo immaginavo. Ma non credo sia il momento adatto, Shanna. Il tuo compito è molto faticoso, perciò sarà meglio che tu faccia ciò che devi fare dopo una buona notte di sonno”
“No, devo farlo ora” insisté lei, ferma, le mani strette una nell’altra. “Non c’è tempo da perdere: Rabadash sa che Caspian è a Narnia, invierà i suoi soldati proprio come ha fatto oggi e tenterà di fermarci, sia che sappia cosa stiamo facendo sia che non lo sappia”
Cornelius annuì. “Ho capito…così, sono già sulle vostre tracce... Va bene, allora: agisci come meglio credi. So che è il volere di Aslan”
“Sì, è così”
La fanciulla e l’uomo si fissarono qualche istante.
Cornelius era ansioso di parlare ai ragazzi dell’apparizione avuta un paio di notti prima e di ciò che Aslan gli aveva rivelato. Tuttavia, attese ancora. Dopotutto, il Leone gli aveva detto di parlane in primo luogo o con Caspian o con Susan, e al momento, purtroppo, nessuno dei due era disponibile.
“Sali sulla torre quando sei pronta” disse così a Shanna. “Le Spade sono lassù, chiuse in un vecchio baule. Se ti serve aiuto, cara…”
Lei scosse il capo. “No, grazie, professore”
Ma non era esatto.
Preparandosi ad adempiere il suo compito, Shanna sapeva di aver bisogno di sostegno, però non da Cornelius.
Non che fosse necessario: avrebbe potuto fare tutto da sola, chiudersi nella torre e pregare gli altri di non disturbarla. Tuttavia, voleva un aiuto. Voleva qualcuno accanto. Qualcuno che con la sua sola presenta sapeva rassicurarla, che con il suo sguardo le donava una forza sconosciuta. Qualcuno che avesse potuto sorreggerla con le sue braccia se fosse venuta meno.
Tornò dagli altri, mangiò con loro, in silenzio. Nessuno aveva molta voglia di parlare.
Poco dopo, Cornelius mostrò loro le stanze in cui potevano dormire: non erano molto grandi né molto calde, ma i letti erano confortevoli, dotati di pesanti coperte di lana.
“Edmund?” chiamò Shanna, prima che questi si chiudesse la porta della camera alle spalle.
Il ragazzo tornò in corridoio. Erano soli.
“Ho bisogno di te, Edmund” mormorò lei, nell’oscurità.
Il ragazzo deglutì, nevoso.
Accortasi del suo imbarazzo, la fanciulla si corresse. “Ho bisogno che tu venga con me sulla torre. Adesso. Ti prego”
I grandi occhi di zaffiro di lei brillavano come stelle.
Quando Shanna lo guardava così, inconsapevole dell’effetto che aveva su di lui, Edmund non sapeva dirle di no. La prima volta che l’aveva veduta, nel castello della Strega Bianca sull’Isola delle Tenebre, aveva un aspetto molto simile ad ora: tesa, spaventata, indifesa.
“Si tratta delle Spade, vero?” le chiese.
Lei annuì.
Senza aggiungere altro, Edmund la seguì.
Salirono una lunga rampa di scale che ruotavano attorno alle mura, i gradini asimmetrici, senza corrimano. A Edmund iniziò a girare la testa e mettere piede sul pianerottolo fu un sollievo.
Davanti a loro vi era una vecchia porta chiusa da un lucchetto arrugginito. Shanna prese la chiave che Cornelius le aveva dato poco prima e l’aprì.
Nella torre vi era un’unica stanza circolare con quattro finestre rivolte ognuna su un punto cardinale. Era vuota, eccetto un baule ricoperto di polvere, chiuso anch’esso da un lucchetto.
Shanna si inginocchiò davanti ad esso, Edmund un passo dietro di lei. Utilizzando sempre la medesima chiave, la ragazza aprì il baule. Dentro, ognuna avvolta in un panno e dentro al suo fodero, c’erano le Sette Spade.
Immediatamente, mentre Shanna le toglieva dal baule e le posava sul pavimento, Edmund cercò la Spada di Bern con lo sguardo. Erano tutte uguali in aspetto, ma lui la individuò senza difficoltà.
Come la prima volta, la Spada lo chiamava, bramava di essere impugnata.
“Posso…?” chiese, sedendo sui talloni accanto alla fanciulla.
Lei si volse e sorrise. “Direi di sì”
Edmund allungò una mano e afferrò uno degli involti, senza riflettere. Era quella, lo percepiva.
Scostò la stoffa e la prese, estraendola dal fodero. L’arma mandò un suono cristallino.
L’impugnatura si adeguava perfettamente alla sua mano, come fosse un’estensione del suo stesso braccio.
Man mano che Shanna scopriva le altre e le liberava dalle guaine, le Spade si acceso di un lieve bagliore azzurro ed iniziarono ad emanare una specie di vibrazione sonora, continua ma non fastidiosa.
Poi, accadde un cosa straordinaria.
“Edmund, stai indietro” disse Shanna.
Il ragazzo sgranò gli occhi mentre le Spade si libravano a mezz’aria, disponendosi in cerchio attorno alla ragazza, in posizione orizzontale, le punte rivolte verso il basso, l’elsa verso l’alto. Distanziavano l’una dall’altra circa un metro.
Rimasero là a galleggiare, in attesa, brillando ed emettendo ancora quel mistico suono.
La Stella Azzurra uscì dal cerchio e si accostò al Re Giusto. Gli prese le mani, guardandolo ancora negli occhi.
“Che cosa devi fare esattamente?” le chiese lui.
“Quando le lasciaste sull’Isola di Ramandu, io e mio padre le sigillammo in una cupola di cristallo per proteggerle, ricordi? Ebbene, devo liberarle dal sigillo e, come ti ho già detto molte volte, rafforzare il loro potere. Non è una cosa da poco, dovrò spendere molte energie”
“Non devi aver paura di non farcela” la incoraggiò Edmund. “Possiedi dei poteri straordinari, Shanna, e sai padroneggiarli perfettamente”
“Non ti ho chiesto di venire perché ho paura di fallire”. La ragazza scosse brevemente il capo. I suoi capelli d’oro mandarono riflessi alla luce della luna che filtrava attraverso le finestre.
Edmund parve stupito.
Come? Non l’aveva voluto lì perché si sentiva insicura?
“Perché mi hai fatto venire, allora? Shanna, come credi che potrei aiutarti? Io non posseggo i poteri che hai tu”
“Non è di una qualche magia che ho bisogno, e nemmeno di una forza fori dal comune. Ma solo di te”
La ragazza gli sorrise e gli accarezzò il viso. Era diventato molto più alto, lo notava solo ora.
“So di potercela fare, anche se non nego che un po’ di paura c’è. Dopotutto, dipenderà da me se le Spade potranno nuovamente essere impugnate dagli Amici di Narnia. Purtroppo è vero, tu non puoi aiutarmi, perciò, tutto quello che ti chiedo è di restarmi accanto, di tenermi per mano. Nient’altro. Solo questo mi renderà più forte”
Shanna ricordò le parole che suo padre Ramandu le aveva rivolto poco prima che lei partisse per Narnia:
“Troverai una forza maggiore di quella che già possiedi. Una forza che non proviene dalla magia ma che è l’essenza della Grande Magia”
Lei non aveva capito, ma adesso lo sapeva.
“Tu sarai la mia forza, Edmund. Più potente di qualsiasi incantesimo”
Lui fece un’espressione mortificata. “Shanna, quando l’altra mattina tu hai…”
“Sì lo so. Mi dispiace”
“No…”
Lei gli posò un dito sulle labbra, leggera. “Ne parliamo dopo, va bene?”
Lui annuì, un poco nervoso.
Un attimo dopo, la ragazza lo trascinò dentro il cerchio delle Spade.
“Quando il potere diverrà troppo forte, dovrai uscire dal cerchio, d’ accordo?”
Lui annuì di nuovo.
La Stella gli afferrò entrambi le mani più saldamente e chiuse gli occhi.
Shanna lasciò che il potere dei talismani entrasse in armonia con il suo. Percepì la spessa barriera che ancora salvaguardava le armi, dietro la quale era celato il vero potere delle Sette Spade. Cercò di aprirsi un varco, gentilmente. La barriera fece resistenza solo per un attimo e infine si spalancò e la lasciò passare. Dietro le palpebre chiuse percepì la luce azzurra divenire più intensa.
Edmund, strizzò gli occhi al riverbero improvviso. Le Spade si accesero una dopo l’altra, come lanterne nella notte, il loro suono si fece più intenso. Si alzò il vento, sferzò i loro volti, i loro capelli. L’abito di Shanna iniziò ad ondeggiare.   
In quell’istante, a Edmund parve ancora più bella avvolta in quella luce azzurra. 
In un secondo tempo, il Giusto comprese che il vento non si era alzato all’esterno ma solo all’interno della torre. Le raffiche erano opera delle vibrazioni magiche che i talismani emanavano.
Dalle sette lame cominciò a scaturire una sorta di nebbia luminosa che confuse i contorni della stanza. Strane scie di luce ondeggiarono attorno a loro.
Shanna lasciò le mani di Edmund e riaprì gli occhi.
“Ora stai indietro” gli disse tranquilla. “La magia potrebbe ferirti”
Edmund spalancò gli occhi scuri. “Ma tu…?”
“A me non succederà niente” lo rassicurò con un sorriso
Allora, lui camminò all’indietro fino ad uscire dal cerchio, lo sguardo fisso su di lei. La vide chiudere di nuovo gli occhi.
Shanna iniziò ad intonare una bassa nenia con la sua voce da soprano. Il canto della Stella si fece più intenso, più acuto. Edmund la udì raggiungere toni impensabili per qualsiasi essere umano. Nemmeno la più brava cantante del mondo avrebbe potuto eguagliarla.
La ragazza si mosse lentamente, sempre ad occhi chiusi, girando su se stessa verso ognuna delle Spade. Prendeva e dava potere, ed esse iniziarono a mutare.
Quando vennero avvolte da una cupola di luce e Shanna con loro, Edmund gridò i nome di lei, per timore che potesse accaderle qualcosa. Fece per muoversi ma il tutto non durò che pochi secondi.
Il canto di Shanna si spense e la cupola svanì, risucchiata dalle Spade. Le scie di luce blu serpeggiarono attorno ad esse e si concentrarono in sette gemme di forma ovale, incastrandosi in cima alle else.
Shanna cadde sulle ginocchia, esausta, e sarebbe finita stesa sul pavimento se Edmund non fosse corso accanto a lei per sostenerla.
La fanciulla si accasciò tra le braccia del Re Giusto, emettendo un sospiro profondo.
“Shanna! Shanna, apri gli occhi!” la chiamò ancora lui, preoccupatissimo.
Lei sorrise ad occhi chiusi. “Sono stanca…ma sto bene, non preoccuparti”
“E’ stato incredibile”
“Cos’è questo tono incredulo? Pensavi davvero che non ce la facessi?” chiese lei scherzosa, schiudendo le palpebre e rivelando i bellissimi occhi blu.
Blu, esattamente come gli zaffiri incastonati sulle else, pensò Edmund, simili a quello incastrato sopra l’impugnatura di Rhasador, la spada di Caspian. E come su Rhindon, la spada di Peter, anche sulle lame delle Sette Spade vi era inciso qualcosa nell’antica lingua di Narnia. L’aspetto dei talismani era veramente mutato, anche se non di molto: erano più lunghe e sottili, in un certo qual modo più raffinate.
“Ho bisogno di dormire” sussurrò Shanna, veramente stanca.
Senza dire nulla, Edmund la sollevò come fosse una piuma. I loro sguardi s’incrociarono per un breve istante.
Non erano mai stati così vicini.
La ragazza gli strinse la camicia sul petto, affondandovi il viso, e rimase così, stretta a lui, anche quando Edmund l’adagiò nel proprio letto. Si addormentò serenamente, mentre lui la vegliava.
 
 
Eustace si era offerto di fare il primo turno di guardia quella notte, ed ora era seduto sulle rocce appena fuori dal portone del monastero. Aveva acceso un piccolo fuoco per scaldarsi, il mantello sulle spalle.
Di lì a poco, Jill, Pozzanghera e il dottor Cornelius lo raggiunsero. Quest’ultimo portava un vassoio con sopra quattro tazze fumanti. Ne porse una a Eustace.
“E’ un’ottima tisana di mirtillo, l’ho preparata con le mie mani”
Il ragazzo sbirciò il contenuto con malcelato disgusto. “Non offendetevi, ma odio le tisane”
“Ti scalderà, se non altro” disse Pozzanghera, sedendo sulle rocce ed iniziando a trafficare con qualcosa avvolto in un vecchio mantello.
“Che cosa stai facendo?” chiese Jill. “Ehi, ma quello è l’arco di Susan!”
“Esatto. Voglio provare a vedere se riesco ad accomodarlo, anche se ho dei seri dubbi a riguardo. Ahimè, non sono un abile artigiano, le mie dita di rana non me lo consentono”
“Siete sempre così pessimista, Mastro Pozzanghera?” domandò il dottor Cornelius con una risatina.
“Non avete visto niente, signore” commentò Eustace a bassa voce.
Il Paludrone gli lanciò un’occhiata. “Ti ho sentito...”
Cornelius attizzò il fuocherello, iniziando a chiacchierare con i due ragazzi mentre Pozzanghera lavorava. Si raccontarono le reciproche storie, l’arrivo a Narnia di Eustace e Jill, la missione affidata loro da Aslan, i quattro segni (Jill si era impegnata per ripeterli spesso durante il giorno).
Cornelius fu di nuovo sul punto di dire qualcosa riguardo al Leone, quando l’ululato del lupo si levò nell’oscurità, distraendolo.
“Ve l’avevo detto che il Re sarebbe presto arrivato” disse Pozzanghera.
“Eravate preoccupati per lui?” chiese Cornelius ai due ragazzi.
“Sì, è così. Io sarei voluta andare a cercarlo, ma gli altri non hanno voluto” rispose Jill. “Avevo paura che potessero ricomparire i soldati di oggi”
“Mia cara, i soldati di Rabadash non si spingerebbero mai fin quassù, hanno troppa paura”
“I soldati di Lord Erton però non ne hanno” obbiettò Eustace. “Quelli che ci hanno inseguito oggi erano guardie di palazzo, comandate da Lord Ravenlock”
Cornelius fece un’espressione cupa. Al nome di Erton e Ravenlock, orribili ricordi erano affiorati alla sua mente.
“Oh, scusatemi!” esclamò Eustace. “Io dimenticavo…”
“No, non fa niente. Immagino sarete tutti a conoscenza del mio passato di traditore”
Pozzanghera si fermò all’istante, scambiandosi uno sguardo di sottecchi con gli altri due.
“Miriel ce l’ha detto” borbottò Eustace. “Ma io penso ci sia stata una ragione se l’avete fatto”
Cornelius fece un verso di disgusto verso se stesso. “La ragione è la debolezza di un vecchio sciocco”
Il lupo ululò di nuovo.
“E’ tutta colpa mia se ora vivono così”
“Non l’avete lanciata voi la maledizione” replicò Eustace in tono asciutto. “Avete parato con mia cugina?”
Cornelius si sistemò il mantello attorno al corpo. “Sì, ho parlato con la Regina, e penso che se fosse stata nel pieno delle forze mi avrebbe torto il collo. Credimi, non è stata felice di vedermi. Ho visto nei suoi occhi tutto il disprezzo che nutre per me. Una volta mi voleva bene, si confidava con me, mi chiedeva consiglio. E’ molto cambiata…”
Bevve un sorso e il suo sguardo si perse nei ricordi.
“Quando la vidi la prima volta, dal vero intendo e non in un ritratto, rimasi incantato. Fu al castello di Miraz l’Usurpatore, durante un attacco dei Vecchi Narniani ribelli. Capii immediatamente perché Caspian si era innamorato di lei”
“Era il volto dell’amore” disse Pozzanghera, senza mai smettere di lavorare.
Cornelius lo guardò, dapprima stupito, poi annuendo comprensivo.
“Anche tu, eh, Pozzanghera? Sì, nessuno di noi è immune alla dolcezza della nostra Regina. La sua grazia, la sua gentilezza e bellezza…Tutti noi eravamo innamorati di lei, in qualche modo, così come lo era il principe Rabadash”
“Rabadash non la ama” replicò Eustace. “Ne è ossessionato. E’ un pazzo”
Cornelius inorridì. “Sì, la sua era una passione morbosa, quasi folle. D’altra parte, in quale altro modo potrebbe amare un uomo malvagio come lui? Le tentò tutte pur di averla. So che, durante il viaggio per mare, la rapì con l’intenzione di condurla a Calormen e sposarla contro la sua volontà”
Eustace annuì.
“Già…” Cornelius attizzò ancora il fuoco, le braci danzarono nel cielo notturno.
Ora, Jill e Pozzanghera – che di quella storia sapevano meno di tutti – pendevano dalle labbra del professore.
“Rabadash non si arrese mai all’evidenza” proseguì Cornelius. “Non capì che mai avrebbe ottenuto il cuore di Susan, nemmeno con l’inganno o con la forza, poiché il cuore della Regina Dolce appartené al Principe Caspian X il giorno in cui si incontrarono per la prima volta nelle foreste di Narnia. Appartenerono l’uno all’altra con un solo sguardo, ed erano già entrambi perduti nel loro immenso amore. Tutti conosciamo la loro storia, e vederli felici, sposati, genitori di due splendidi bambini, fu per noi che li amiamo il regalo più bello. E per loro, fu la benedizione di Aslan.
“Per anni, Caspian e Susan assaporarono la felicità tanto agognata, ma Rabadash tornò per dividerli e maledirli. Per lui, sapere che Susan aveva avuto due figli da Caspian fu quasi un affronto personale. Rabadash chiamò a sé tutti i poteri delle tenebre pur di riuscire a dannare i due innamorati. Giurò che se non l’avesse avuta lui, nessun altro l’avrebbe avuta mai.
“L’amore del Re e della Regina diveniva ogni giorno sempre più forte, più grande, più profondo. Non c’era modo di dividerli, nemmeno con la maledizione. Rabadash lo capì quando imprigionò Susan sulla Grande Torre, trattandola brutalmente, facendole credere che Caspian era morto e poi mettendola di fronte a quella nuova terribile realtà di una vita a metà.
“Ma la Regina non si arrese mai a lui, neppure in preda alla disperazione. Ella avrebbe preferito morire piuttosto che essere violata da un uomo come Rabadash. Eppure, egli ancora insisteva! Ancora si rifiutava di cedere!
“Quando Caspian riuscì a liberare Susan dalle grinfie del malvagio principe, fuggirono per mettersi in salvo. Insieme a Miriel, Briscola e Lord Rhoop, avevano deciso di andare sulla Collina Segreta, il luogo più celato di Narnia, là dove l’Imperatore d’Oltremare incise sulla roccia le Leggi della Grande Magia. Nessuno avrebbe mai potuto scoprire il loro nascondiglio nel cuore delle Grandi Foreste, nemmeno Rabadash, per quanto seguitasse ad inseguirli senza tregua… se solo fossero riusciti a partire prima che un vecchio stolto li tradisse!”
“Dottore…”
“No, Eustace, è vero!”
“Ma Lord Erton minacciò di uccidere Tempestoso e Drinian! Chiunque si sarebbe comportato come voi!”
“No, no!” esclamò più forte il professore. “Erton risparmiò i miei due amici, sì, ma uccise decine di abitanti di Narnia. Morirono per causa mia, capisci? Il Re e la Regina si rifugiarono da Tartufello, ma io rivelai a Lord Erton la loro posizione. Egli, con i suoi soldati, li raggiunse in un attimo ed appiccò il fuoco al bosco. Chi non perì di spada, perì nell’incendio”
“Oh, vi prego, basta!” implorò Jill.
Ma Cornelius continuò, lo sguardo fisso al fuoco.
“Non fui solo responsabile di tradimento, ma anche della morte di tanti amici. Non posso biasimare se il Re e la Regina ora mi odiano” Gli occhi di Cornelius brillarono di lacrime. “Avrei voluto che li vedeste quando erano felici…Non torneranno mai ad esserlo, per causa mia. Povere creature, senza più il ricordo della loro semi vita umana… Se solo fossero stati animali parlanti, avrebbero potuto almeno parlarsi, ma Rabadash non ha concesso loro nemmeno quello. Hanno solo il tormento di un breve istante: è solo un attimo, al sorgere e al tramontar del sole, attimo in cui riescono a malapena a sfiorarsi...ma neanche. Eppure, loro seguitano ad amarsi, e così sarà in eterno”
Jill, come Cornelius, fissava il vuoto, frastornata.
“Sempre insieme, eternamente divisi”
“Sì...Finché il sole sorgerà e tramonterà, finché ci saranno il giorno e la notte. Per tutto il tempo che sarà loro concesso di vivere” Cornelius tornò a voltarsi verso i due ragazzi e il Paludrone. Tutti e tre avevano un’espressione di pena sul viso.
“Vi siete imbattuti in una tragica storia, amici miei. Ed ora, che lo vogliate o no, siete perduti in essa come tutti noi”
Cornelius si alzò, dando loro le spalle, camminando lentamente verso l’interno del monastero.
La voce del lupo si fece sentire di nuovo, più vicina.
Jill, Eustace e Pozzanghera rimasero seduti, avvolti nel buio, aspettando di vederlo arrivare.
 
 
“…signora…”
Susan sbatté piano le palpebre, mettendo a fuoco la stanza.
“Mia adorabile signora?”
“Ombroso?” fece lei con un filo di voce.
Il pipistrello zampettò accanto al giaciglio dove era stesa, l’espressione un misto tra il sereno e il preoccupato.
“Siete, sveglia! Oh, cara, quanto desideravo rivedere i vostri occhi! Come vi sentite?”
“Debole e dolorante. Tu come stai?”
Susan alzò piano la mano, facendo una carezza sulla testa del pipistrello, osservando l’ala ferita. Fece una smorfia, sentendo i punti tirare.
“Non muovetevi troppo”
Ombroso si voltò dall’altra parte, arrossendo, mentre lei si metteva più comoda. La Regina non indossava nulla se non la trapunta con cui il dottor Cornelius l’aveva coperta.
“N-non dovete preoccuparvi per me, è solo una ferita superficiale, la mia. Domani sarò come nuovo. Vostra sorella mi ha somministrato il suo cordiale”
Susan cercò di tirare un respiro profondo, lentamente.
Ombroso si rivoltò per metà. “Per fortuna la freccia non vi ha trafitto dalla parte del cuore”
Susan sorrise. “Già, o a quest’ora avreste mangiato spezzatino di falco”
“Oh, non scherzate!”
“Perdonami, caro Ombroso, ma la tua espressione è troppo preoccupata. Non fare quella faccia, guarirò dopotutto”
Il pipistrello le si avvicinò e sedette accanto a lei, le ali avvolte attorno al corpo.
“Come stanno gli altri?” volle sapere lei. “Caspian?”
“Stanno bene. Il Re è corso subito al vostro fianco, mia Regina. Era davvero sconvolto. Lo eravamo tutti. Mi dispiace di non avervi protetta a sufficienza”
“Dispiace a me” disse lei, chiudendo gli occhi.
Il pipistrello parve stupito. “Voi non dovete chiedere perdono!”
“Sì, invece, perché non è colpa tua se mi è successo questo. Tu non lo avresti mai permesso, sono io che sono tornata indietro quando non avrei dovuto. Non è forse andata così?”
Ombroso si stropicciò le zampe anteriori. “Bè…s-sì. Ma avete fatto ciò che l’istinto vi ha dettato in quel momento, non avreste potuto agire altrimenti: il Re era in pericolo. Nella confusione della lotta, nessuno di noi se n’era accorto tranne voi. Siete stata coraggiosa, mia adorabile signora”
Il pipistrello fece una pausa, poi si morse le labbra e con voce tetra disse: “Porterò sempre nel cuore il vostro dolce ricordo. Oh, il mio cure piange! Snif snif…Vi auguro di trovare i vostri figli e che possiate tornare a vivere la vostra vita com’era prima che ci incontrassimo. Non vi dimenticherò mai...addio”
Susan sbatté più volte le palpebre, confusa. “Come?”
Guardò Ombroso camminare lentamente verso la porta, le ali struscianti sul pavimento, la schiena incurvata.
“Dove stai andando?”
“Vi lascio. Lascio la compagnia di Narnia. Sono venuto meno alla parola data al Re di non permettere che vi accadesse nulla” Ombroso tirò su col naso. “Se fossi più coraggioso, resterei e accetterei la mia sorte, lasciandomi tagliare la testa da Re Caspian. Ma non sono un impavido come potrebbe esserlo un leone. Sono solo una fastidiosa e inutile creatura mangia zanzare!”
Susan lo osservava a bocca aperta.
“Per la criniera di Aslan, Ombroso, che diavolo ti sei messo in testa?! Lasciarci?! Farti tagliare la testa da Caspian?! Sei forse impazzito?!”
“Ma Maestà Dolcissima, io non sono più degno di servirvi!”
Susan scosse il capo. Non rise soltanto perché se lo avesse fatto i punti avrebbero tirato di nuovo.
“Vieni qui un momento” sorrise.
“Signora, dovete riposare…”
“Sto meglio, ora. Vieni”
Ombroso le si avvicinò di nuovo, provando una stretta al cuore nel vedere il volto di lei pallido e stanco.
“Maestà…”
“Ti ringrazio tanto per quello che fai. Sei un caro amico. Non far caso a Caspian se ogni tanto ti da addosso. Credo lo faccia anche con gli altri ragazzi”
Ombroso annuì.
“Cerca di capirlo, Ombroso, e cerca di capire anche che a modo suo ti vuole bene. Ti è affezionato e ti è grato quanto me”
“Mah…su questo avrei dei seri dubbi…”
“Rimani, Ombroso, ti prego”
“Ooohhh!” fece lui, la voce tremula. “Non guardatemi così, Maestà, siete sleale…E va bene, resto!”
Susan sorrise soddisfatta. “Molto bene. Ora potrò dormire tranquilla”
Ombroso la lasciò sola pochi istanti dopo.
Nella sua mente si affollavano vari pensieri di natura romantica…
“Mi ha pregato di rimanere…mi ha guardato in quel modo…ha sospirato…Che ella m’ami, finalmente?”
 
 
Nel silenzio della notte, quando tutti ormai riposavano, si udì grattare alla porta della stanza in cui stava Susan, come se un animale stesse cercando di aprirla con le unghie.
Con un po’ di fatica, la Regina si appoggiò su un gomito, il cuore che batteva più forte.
“Caspian?” chiamo a mezza voce.
Un attimo dopo, si aprì uno spiraglio e comparve il muso del lupo.
Susan sorrise apertamente.
Lui, spingendo con tutta la testa, riuscì ad insinuarsi dentro la stanza, trottando subito vicino a lei, leccandole il viso.
“Ciao” fece Susan, accarezzandogli il manto folto e caldo, dandogli tanti baci sul muso, sul capo, sul naso.
Lei si risdraiò completamente e il lupo le si stese accanto.
Il volto allo stesso livello del suo muso, la giovane guardò nei suoi luminosi occhi gialli.
Era uno sguardo umano. Vi lesse apprensione e amore.
“Sto bene, tranquillo”
Lui alzò la testa e mosse la coda.
Lei sorrise ancora, continuando a guardarlo.
Niente parole, perché non servivano.
Se lui avesse potuto, Susan ne era certa, l’avrebbe presa tra le braccia, l’avrebbe rassicurata, baciata e poi avrebbe dormito con lei, proteggendola, inondandola del suo amore.
Il fiato del lupo era caldo e le dava conforto. In forma d’uomo o di animale, Caspian era il suo sostegno, la sua sicurezza.
Susan si strinse a lui, e per la prima volta dopo mesi e mesi, percepì la serenità dentro al cuore. Sarebbe durata solo poche ore, ma l’aiutò ad addormentarsi tranquillamente.
Il lupo la guardava dormire, il suo dolce profumo gli riempiva le narici placando l’inquietudine. Quel profumo di fiori che sempre lo conduceva a lei.
Il suo senso di libertà era forte quanto il suo senso di protezione: l’istinto lo spingeva ad allontanarsi per attraversare foreste e colline, ma alla fine lo portava a tornare da lei. Anche se il lupo sapeva che i giovani uomini e donne con cui viaggiavano non erano pericolosi, lui doveva rimanerle vicino per far si che non le accadesse nulla.
Guardandola, gli pareva di poter ricordare di lì a un infinitesimo attimo tutto ciò che quella creatura meravigliosa era per lui.
Il lupo era l’uomo e l’uomo era il lupo. Le emozioni e i sentimenti di uno erano quelli dell’altro. Solo il suo aspetto cambiava: il cuore era sempre lo stesso, le memorie erano racchiuse nel suo cuore prima che nella sua mente.
Purtroppo però, un istante dopo aver ricordato un sorriso, un gesto, un abbraccio, dimenticava tutto quanto ed era come non aver ricordato affatto.
Vedeva ma non metteva a fuoco. Era come se stesse osservando la vita della sua metà umana attraverso un vetro appannato.
Nel profondo, il lupo sapeva che lei era più dell’umana che condivideva con lui le notti più dolci e tristi. Tuttavia, non poteva esprimersi in gesti e parole per farle capire cosa sentiva.
L’amava ma non se ne rendeva conto. Non riusciva a dirglielo.
Ma che cos’erano le parole per lui?                                                              
Eppure, lei lo capiva: con uno sguardo, un movimento, nel silenzio della sera, quando il mondo dormiva tranne loro.
In primavera, avevano passeggiato tra boschi freschi e profumati; in estate, si erano seduti sulle rive di qualche lago, facendo il bagno alla luce delle stelle; in autunno, lei lo aveva coperto con il suo mantello dopo la pioggia, scaldandosi con lui davanti alle braci di un fuoco improvvisato; d’inverno, avevano camminato fianco a fianco nella neve, mentre lei gli parlava di cose che lui non comprendeva del tutto.
La voce di lei era il suono cristallino dell’acqua, il soffio del vento, il canto di un uccello. Era il suono che aveva il potere di calmarlo quando la parte più feroce cercava di prendere il sopravvento. Non perché volesse essere malvagio, ma sempre e solo perché qualcosa o qualcuno minacciava di dividerli o di farle del male.
Lei gli donava la forza per respirare e andare avanti.
Lei era la sua vita.
Ciò nonostante, pochi istanti prima dell’alba, prima della trasformazione, se ne andò.
 
 
Cornelius li lasciò dormire più del previsto. I ragazzi erano stanchi morti dopo le emozioni del giorno precedente.
Il professore, intento a preparare la colazione, attendeva la comparsa del Re. Fu anche per parlare in pace con lui che non svegliò il resto della compagnia.
La prospettiva di discutere con Caspian lo innervosiva molto: sapeva che avrebbe ottenuto lo stesso sguardo di disprezzo e le stesse risposte avute dal suo breve dialogo con la Regina. Malgrado ciò, doveva incontralo. Doveva dire al Liberatore che forse una speranza c’era.
Quando il pranzo fu pronto, Cornelius lo mise in caldo e si recò da Susan per vedere come stava. Trasformandosi in donna aveva reagito senz’altro meglio alle cure, da falco era un poco più debole, ma la medicina che aveva preparato appositamente per lei l’avrebbe rimessa in forze.
Fu inaspettato, quando aprì la porta, trovarsi davanti Caspian, inginocchiato a terra accanto al giaciglio vuoto. Il falco se ne stava sul suo avambraccio, allegra allargava le ali, emettendo suoni acuti e melodiosi. Il viso del Re era illuminato dai primi raggi di sole, il sorriso pareva quello di una volta.
Ma lo sguardo di Caspian divenne più scuro della notte quando si volse e vide il suo vecchio precettore.
Lentamente, il Re di Narnia si alzò, fronteggiando l’ometto che lo fissava imbarazzato.
“Pensavo che poteste essere morto, vecchio. Un tempo avrei voluto uccidervi io stesso ma… vi sono molto grato per ciò che avete fatto questa notte” disse, osservando il falco ripiegare le ali.
Cornelius fece un paio di passi dentro la stanza. “La Regina dovrà riposare almeno mezza giornata e prendere questa medicina”
Il professore allungò una mano verso il falco, ma Caspian allontanò il braccio come se non volesse farlo avvicinare.
Garbatamente ma con fermezza, il Re prese la bottiglietta dalle mani del professore.
“Lo farò io” disse risoluto. “Vi ho ringraziato perché era giusto farlo. Senza di voi, lei sarebbe morta, ma nulla è cambiato da quel lontano giorno, dottore. Non cercate scuse per conquistarvi il mio perdono”
Proprio come aveva immaginato, pensò Cornelius: il Liberatore usava le stesse parole e lo stesso tono di sua moglie.
“Non sono un uomo così subdolo, Maestà”
“Non costringetemi a dire cose spiacevoli, professore. La situazione è già abbastanza difficile così”
Caspian gli voltò le spalle e si chinò a raccogliere la piccola sacca di tela che aveva posato a terra, mettendovi dentro la boccetta.
“Più tardi mi darete le istruzioni su come usare la medicina. Destriero dov’è?”
“C’è una piccola stalla sul lato sud del cortile…Sire, vi supplico di darmi un minuto del vostro tempo. Un minuto soltanto, non chiedo di più”
“Non desidero ascoltare nulla di quel che avete da dire”
“Ve ne andrete, dunque? Tornerete a Narnia e affronterete il principe Rabadash? Sì, i vostri compagni me l’hanno detto…Vi supplico di non farlo!”
“Sono finiti i giorni in cui mi dicevate ciò che dovevo fare o no, dottore”
Caspian sorpassò il suo precettore, ma Cornelius lo afferrò per una spalla e lo costrinse a voltarsi nuovamente.
“Mio signore, vi prego, prestate ascolto alle mie parole. Anzi, alle parole di Aslan!”
Caspian sbarrò gli occhi. “Di cosa parlate?”
“Il Grande Leone si è mostrato a me e mi ha rivelato come la maledizione può essere spezzata! Egli ha disposto un termine a tutto questo, ma state attento: non dovrete assolutamente affrontare Rabadash da solo! Se lo ucciderete, il sortilegio non potrà mai cessare! Dovrete invece pazientare e attendere il solstizio d’inverno. Voi e Susan dovrete affrontare Rabadash, entrambi voi, da uomo e donna, veri esseri umani. Così, la maledizione sarà vanificata, finirà, e da quel momento sarete liberi!”
“Impossibile” replicò subito Caspian.
“Finché al giorno seguirà la notte, no. Ma a tre giorni dal solstizio d’inverno, ci sarà una notte senza il giorno e un giorno senza la notte”
Caspian distolse lo sguardo, tradendo una risata. “Siete diventato pazzo restando quassù da solo”
“Non sono pazzo!” esclamò Cornelius. “Maestà, osservate ciò che vi sta accadendo intorno: i Pevensie qui, la Settima Amica di Narnia finalmente tra noi, e adesso, dopo due anni Aslan ha fatto sì che ci ritrovassimo. Egli mi ha dato la possibilità di redimermi, mi ha perdonato! Datemi anche voi l’opportunità di riscattarmi e salvare voi e Susan”
“Potrei anche darvela quell’opportunità, ma non aspettatevi il mio perdono” disse Caspian freddamente.
Cornelius divenne immensamente triste. “Un tempo eravate il mio ragazzo…”
 “Il vostro ragazzo è cresciuto e il suo cuore si è tramutato in pietra. Non cercate di scioglierlo con le vostre lacrime”

 
 
 
Salve cari lettori, come state???
Ho messo la mappa, visto? Vi piace? Non è ancora finita, però non volevo aspettare :) Per ora ne ho postata solo un pezzo, cioè quello che ci interessa di più. Tutta intera la troverete nei prossimi giorni sulla mia pag facebook. Lo so, non è perfetta come se fosse fatta con il pc, ma a me piace disegnare a mano.
Una breve nota: molte delle frasi che appaiono in questo capitolo (il racconto di Cornelius accanto al fuoco e la conversazione tra lui e Caspian) sono prese dal copione di Ladyhawke.
  

Ringraziamenti:
Per le seguite: 
Aesther, aleboh, Araba Shirel Stark, battle wound, Christine Mcranney, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, Friends Forever, G4693, HarryPotter11, HikariMoon, Jordan Jordan, lucymstuartbarnes, LucyPevensie03, lullabi2000, Mia Morgenstern, Mutny_BrokenDreams, piumetta, Queen Susan 21, Robyn98, Shadowfax, Starlight, SuperStreghetta, Svea, SweetSmile, TheWomanInRed, vio_everdeen, Zouzoufan7,_joy
 

Per le ricordate: Araba Shirel Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie, Starlight13, Zouzoufan7
 
Per le preferite:  ale146, Araba Shirel Stark, bulmettina, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli, ChibyRoby,  cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My World, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, harukafun, ibelieveandyou, jesuisstupide, JLullaby, Jordan Jordan, Judee, katydragons, lauraymavi, Lucinda Grey, lucymstuartbarnes, Marie_ , mewgiugiu, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Sandra1990, Shadowfax, vio_everdeen, Zouzoufan7, _joy, _Rippah_ 
 
Per le recensioni dello scorso capitolo:  battle wound, Christine Mcranney,  FioreDiMeruna, lucymstuartbarnes, Shadowfax, vio_everdeen, _joy
 

 Angolino delle Anticipazioni:
Eheheh…..la prossima volta si inizia con il risveglio di Edmund e Shanna!!! Prevedo imbarazzi a go go!!! xD
I nostri eroi lasceranno il monastero e rincontreranno il Gigante Scompiglio, che li aiuterà ad attraversare il Ponte dei Giganti. Cornelius non andrà con loro.
Non vi prometto nulla, ma forse si vedranno i bambini e la Strega Bianca: iniziano i preparativi per la Festa d’Autunno.

  
Come al solito, vi ricordo che per gli aggiornamenti di questa ff e di “Fragment” dovete passare alla mia pagina facebook.
Vi adoro tutti,
Susan♥

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