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Autore: mormic    17/06/2014    5 recensioni
Effie ha estratto decine di nomi da quella boccia di vetro, ma i suoi unici vincitori, nonostante stiano partecipando alla loro seconda arena, sono stati estratti solo una volta dalle sue dita affusolate. Sono volontari. E questo dovrà pur fare la differenza. Una differenza che Effie dovrà affrontare come non avrebbe mai nemmeno sospettato.
E dalla sera dell'intervista di lei non si sa più nulla, fino alla fine, quando riappare provata e fragile.
Questa è la sua storia, mentre in tutta Panem è il caos della rivoluzione.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Effie Trinket, Haymitch Abernathy, Plutarch Heavensbee
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Grigio e Oro'
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CAPITOLO 1
 
Fisso lo schermo e cerco di non spegnere il sorriso che con tanta abilità so sempre far arrivare sul mio viso, anche quando da sorridere non dovrebbe esserci proprio niente, come in questo caso. Certo, sono seduta su una comodissima poltrona di pelle blu, ma l’odore in questa stanza è nauseabondo e la compagnia poco piacevole.
E sono appena cominciati i settantacinquesimi Hunger Games.
La cornucopia è al centro di uno specchio rotondo di acqua e i sessanta secondi stanno per scadere. Quando suona il gong trattengo il respiro nel vedere Katniss tuffarsi e nuotare dritta verso di essa. 
Sa anche nuotare, la mia vincitrice.
Tutto intorno a me, sui divani dove gli altri mentori e vincitori, nonché gli strateghi, stanno beatamente stravaccati in posizioni che poco si addicono al contegno, si alza un chiacchiericcio concitato.
Mi volto e, senza smettere di contrarre le labbra in un sorriso che solo io so essere finto, cerco Haymitch con gli occhi. È seduto al lungo bancone del bar, sotto una lampada sospesa di luce gialla e sorseggia il suo cocktail con una cannuccia, facendo più rumore possibile.
Un brivido di fastidio mi percorre, ma mi raddrizzo sulla schiena, accavallando le gambe e mi volto di nuovo, dopo che anche lui aveva guardato verso di me.
Solo il bel Finnick arriva prima di Katniss alla cornucopia.
E mentre i due si parlano, l’inquadratura è molto più ampia, ma non riesco a trovare comunque Peeta.
Se si è tuffato starà annegando, ne sono certa.
Il sorriso è ancora lì, mentre osservo quello che accade e sento vacillare la mia sicurezza.
Avanti Mellark. Dove sei?
La regia cambia telecamera e finalmente appare.
Ancora asciutto. Ancora sul suo piedistallo in mezzo all’acqua. Guarda verso Katniss, lo so.
Ma lei sta ancora parlando con Finnick e mentre l’inquadratura si posiziona nuovamente su di loro, noto un oggetto che riflette la luce del sole come il metallo dorato della cornucopia.
Riconoscerei quell’oggetto anche se fosse ridotto in una miniatura. L’ho disegnato io.
Il braccialetto.
Nessuno oltre me lo nota, sono tutti concentrati a ridere delle battute che si scambiano Finnick e Katniss.
Eppure c’è qualcun altro, in quel salone del centro di addestramento fatto a posta per guardare gli Hunger Games in un maxi schermo, che sa che non è di Finnick.
Mi volto ancora e trovo gli occhi di Haymitch puntati su di me.
Il suo sguardo è cristallino, di un grigio chiaro sotto la luce della lampada del bar, ed è fisso nei miei occhi per dirmi qualcosa.
Che stupida sono stata. Avevo messo tutto il mio impegno per realizzare quel bracciale, perché Hamitch si sentisse membro di una squadra, perché i nostri vincitori sapessero di avere un mentore che lavorava per loro non visto, perché ci sentissimo tutti parte di un gruppo vincente.
Penso di essere mortificata per come lo ha dato via.
Penso di detestare Finnick e il suo vizietto di ammaliare tutti, uomini compresi.
Ma so che Haymitch non è uno da comprare facilmente. Semmai è lui, quello in grado di portare dalla sua parte chiunque voglia. Abilità estremamente utile la scorsa edizione dei giochi, quando i paracaduti per i nostri ragazzi sono stati fondamentali per la loro sopravvivenza; dote sprecata in ventiquattro anni di tributi mal nutriti, sgraziati, maleducati e poco intelligenti.
Quindi in realtà, perché è Finnick ad avere al polso quel bracciale?
Ora che lui e Katniss sembrano alleati so che fosse un segnale per lei, ma perché quei due occhi continuano a fissare la mia schiena, ne sono sicura, mentre cerco di capire cosa significhi per me?
Non mi volto più.
Non ho intenzione di far credere a quell’insensibile che possa esserci rimasta male.
Io questa soddisfazione proprio non gliela do.
Mi assesto di nuovo sulla poltrona, posando le mani sul ginocchio accavallato e pianto i miei occhi sullo schermo gigante, fingendo che mi interessi davvero, nascondendo al mondo quanto sia devastante, per me, guardare i ragazzi che io sorteggio ogni anno per mandarli al macello.
Ma ho due vincitori nell’arena quest’anno.
Non mi deluderanno.
Uno dei due tornerà a casa intero, alleviando la mia tortura annuale di dover tornare nel 12 con due bare di legno.
E finita questa edizione della memoria, mi dimetto.
Ne ho le scatole piene di questo lavoro, ma soprattutto di Haymitch Abernathy, del suo lezzo costante di alcool, delle sue maniere da villano, del suo modo di prendersi quello che non gli appartiene e della sua abitudine di svendere quello che gli viene regalato.
Osservo Finnick portare a nuoto Peeta alla cornucopia, Peeta salutare Katniss con un bacio – quanto sono teneri – e allontanarsi nella giungla insieme a Mags.
Per oggi basta.
Seguirò i giochi nella mia stanza.
“Felici Hunger Games a tutti!” esclamo alzandomi di scatto.
In pochi sollevano il bicchiere in segno di saluto. I più sono ancora intenti a conversare tra loro o a fissare lo schermo.
Poco importa. Sono abituata a sgomitare, a sbracciarmi, metaforicamente parlando, perché qualcuno mi veda, nell’angolo in cui sembro nascosta al mondo.
Abbandono la mia poltrona ed esco con la mia andatura ritmica sui tacchi alti, sentendomi finalmente libera di far morire quel sorriso di copertura, cercando di ricacciare indietro le lacrime, convinta che potrò finalmente zittire quel disagio con un bel bagno caldo e dimenticare per un’oretta questa realtà soffocante, infilandomi volontariamente nel mio angolo di solitudine, di cui ho tremendamente bisogno.
Sto per chiamare l’ascensore, quando una mano si interpone tra il mio dito e il pulsante.
“Effie, dobbiamo parlare” dice secco.
“Non c’è niente che devo dirti” rispondo piuttosto gelida.
“Ma io si” insiste lui.
Mi giro verso di lui e lo sguardo di Haymitch parla più eloquentemente di quanto potrebbero fare le sue parole.
Adesso so che c’è molto di più dietro quel braccialetto al polso di Finnick Odair.


Nuova idea!
Spero possa essere di vostro gradimento!
Mi raccomando, recensite!!! Io mi rimetto subito al lavoro!
Mor
 
   
 
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