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Autore: Ninetales    18/06/2014    2 recensioni
Una storia già vista, una storia già raccontata. Le ferite degli uomini creano dolore e questi si ritrovano costretti a ricercare una pace che non può durare in eterno. Spesso trovano la causa di nuovo dolore. Nessuno ha dimenticato la storia della Prima Colonna, ma questo non è bastato ad evitare nuovi sacrifici per il bene di un regno che ha sempre chiesto troppo in cambio.
E se la storia dovesse ripetersi?
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1. 
Midori.


E' buio. I miei occhi sono chiusi, eppure riesco chiaramente a vedere quella fiamma che brucia lontana. Parla, dice di aver bisogno di me mentre il vento si alza ed il rumore di onde infrante contro qualcosa di indistruttibile raggiunge le mie orecchie. Tutto sembra svegliare i miei sensi, ma io non parlo.
Non parlo dall'età di cinque anni, ma continuo a fare sempre lo stesso sogno, anche adesso che frequento le medie in un paesino sperduto tra le montagne di Kyoto.
Non conosco quelle voci, ma ogni volta mi spaventano al punto da trovarmi costretta a svegliarmi nel cuore della notte sul mio futon. 

Non è male qui. I giorni passano continui e tranquilli, privi di qualsiasi novità, ma a me piace così. Nessun tipo di impiccio lungo la strda che mi sono prefissata.
Sono Midori. Il mio nome significa 'verde' ed è stato spesso associato alle foreste verdi che riempiono il mio paese e che ognuno dei suoi abitanti è costretto ad attraversare ad ogni loro spostamento.  Anche io, andando a scuola, sono costretta a passare per una piccola via che lo attraversa di netto, ma ormai è talmente familiare da non suscitare in me alcun timore. Da piccola. Ricordo che da piccola ne avevo una paura fortissima.
Ho legato i lunghi capelli biondi in una coda alta ma questo non sembra riuscire a fermare questi dannati boccoli biondi dall'agitarsi al vento. Il vento. Dovrei essere protetta da questi alberi alti, invece il vento riesce a raggiungermi sempre, come non saprei dirlo neanche io. E' come nei miei sogni, anche se privo di quella voce che trasporta sempre con sè. Questa mattina la strada è più lunga del previsto, ma non posso fermarmi neppure a riflettere su che strada devo prendere: ho un esame importante, ora che ormai si avvicinano i test per l'università non posso permettermi di perderne neanche uno. Ma la strada me lo impedisce.
Giro in tondo da un po' ormai, quando decido di sedermi su un masso più grande che solo in un secondo momento scopro essere un lupo scolpito su una pietra. No, non un lupo, ma qualcosa di vagamente simile, dal pelo molto più folto, tanto da potermi permettere l'appoggio. Mi sollevo con uno scatto, di soprassalto, sia mai che debba mancare di rispetto a quella che sembra essere una divinità del luogo. 
*Ma quale luogo? Casa mia? Avrei dovuto conoscerla una divinità lupo se mai ve ne fossero state.
E' questo il pensiero che mi costringe, senza che neanche accorgermene, a chinarmi in avanti per osservarlo meglio, ponendo il mio viso all'altezza del suo muso fiero e dallo sguardo severo. Il suo pelo mosso come avesse il vento contro, quello stesso vento che da li a poco prende ad agitare la mia coda bionda costringendola a spingersi verso le spalle e ricadere davanti a queste.
- Tua madre. La ricordi?
Una voce. E un nuovo scatto mi costringe ad irrigidirmi dando di colpo le spalle a quel lupo per voltrmi la, dove quello stesso muso sembra puntare.
Una donna. Talmente bella che al principio mi costringe a dimenticare - o forse semplicemente ignorare - quella domanda tanto stupida.
*Come potrei non ricordare mia madre. Questa mattina, come tutte le altre mattine, mi ha salutato augurandomi una buona giornata. E ancora sono certa che è li, ad aspettare a casa il mio rientro e quello di mio padre.*
E' bionda, e mi osserva con uno sguardo talmente dolce da darmi la nausea per qualche istante, ma ovviamente io non rispondo. Non potrei neppure se lo volessi, che possa o meno capirne il motivo. Non parlo, ma la osservo sgranando gli occhi, alla ricerca costante del lupo di pietra dietro di me che sfioro di li a poco con le mani. E pensare che quello stesso lupo fino a qualche istante prima mi intimoriva troppo per potermi permettere anche un solo tocco.
Alta, magra, veste un abito bianco sicuramente fuori moda: dall'ampia gonna e dagli eccessivi merletti. Non indossa un paio di occhiali, ma da li a poco va ad infilarli osservandomi ancora, come se quel semplice gesto potesse aiutarmi a ricordare.
*Non ho la più pallida idea di chi sia.*
Non sembra stupita dalla mia mancata risposta, al contrario, con quel fare ancora dolce si avvicina fino a cercare di portare le sue dita della mano destra, pallida e sottile, sotto il mio mento. Il mio viso è decisamente meno maturo del suo, m quell'espressione sembra rassicurarmi man mano che la osservo.
Ero sicura che lei sapesse. Ma cosa?
- Come sta Kuu?
Mi chiede ancora, ed è allora che la mia espressione dubbiosa rende la sua più sicura, tanto da permetterle un sorriso. Il mio sguardo scende e risale sulla figura di quell'estranea con una diffidenza tale che potrei sembrare quasi un cucciolo di un qualche tipo di animale, ma questo non mi ferma dall'osservarla con minuziosa attenzione. Quei boccoli biondi arrivano quasi all'altezza della schiena di quelli di mia madre, ma oltre a questo non c'è nient'altro che mi permette di accumunarle. Diverso il colore degli occhi, così come il taglio. Diversi i modi e questa sembra essere anche molto più giovane.
- Dille che mi manca. E ringraziala. Ha fatto un ottimo lavoro.
Mi ha costretta in breve, con quelle poche parole, ad ignorare il mio operato di attenta osservazione.


Non la rividi più per qualche tempo. Avevo raccontato a mia madre, o quanto meno le avevo scritto, quello che mi era successo, ma lei nn sembrava affatto preccupata, al contrario. Mi abbracciò di una stretta tanto forte da ricordarmi più una sensazione di tristezza che di effettiva gioia, sebbene quella donna bionda appariva al contrario lieta di vedermi. 
Niente. Nemmeno questo avevano in comune con mia madre. Ma non potevo di certo sapere quale fosse il motivo, non almeno fino a quel preciso istante.

Ci tornai di mia spontanea volontà in quella foresta: la cercavo, e non tardò ad arrivare. Sembrava quasi stesse aspettando che mia madre stessa fosse a conoscenza del nostro incontro prima di riapparirmi davanti, incastrandomi nuovamente tra lei e quel lupo di pietra.
- Midori.
Era appena un filo di voce, come se avesse timore di dirmi dell'altro. Altro che io non sapevo.
- La stai spaventando.
Questa voce invece era più che familiare. Mi voltai di scatto verso la fonte e li la trovai. Mia madre Kuu.
- Non dovresti essere qui. E non avresti dovuto cercarla. 
Niente di severo in quel tono che risuonava più di preoccupazione e di familiarità, eppure quelle poche parole bastarono a costringere quella donna bionda ad abbassare lo sguardo con evidente dispiacere. Io, mi limitavo ad alternare lo sguardo tra le due, soffermandosi di più su mia madre ovviamente, sebbene questa si tenesse a distanza. Non capivo il perchè. Avrei voluta averla vicino in quel momento, ma non sembrava aver minimamente intenzione di accorciare le distanze che ci separavano.
- Lui lo sa?
E' sempre lei, mia madre. Sembra essere riuscita ad ammutolire l'altra del tutto. *Lui?* Una domanda lecita, ma che non riuscii ad esporre. Come tutto il resto.
- No.
La risposta sembrava ovvia ancora prima di venir proferita. Quell'espressione colpevole di quella donna bionda parlava di gran lunga più della sua voce. E in questo più che a mia madre, *somigliava a me*.
Quel pensiero ne annullò ogni altro in quel preciso momento, e fu solo il tocco della mano destra di mia madre sulla spalla a ridestarmi di colpo da quell'incomprensibile vuoto.
- Non potevo starle lontana. Lui è più forte di me.. Io non riesco..
Non la lasciò finire. Mia madre intervenne immediatamente per zittirla, o per meglio dire correggerla, priva di odio ma con la severità che solo una sorella maggiore avrebbe potuto avere.
- E' più forte di te?
Una domanda palesemente retorica. Tanto che anche io non ebbi difficoltà a cogliere quello spazione negato ad un'eventuale risposta.
- L'ultima persona nel tuo stesso stato che proferì queste parole morì sotto un potere che fu anche tuo.
- Non solo.
- Anche tuo.
E di nuovo il silenzio, dopo quel ribattere che sembrava aver risvegliato quella donna bionda dal silenzio. E con esso anche una ferita profonda.
Un silenzio lungo, interminabile, che perfino io mi riscoprii ad odiare. Io che avevo fatto del silenzio il mio vessillo, senza volerlo.
- La porto con me.
Furono queste le parole che spezzarono il cuore di mia madre, e lo capii anche da quella presa sulla mia spalla che si fece più forte: un'artiglita che non mi avrebbe permesso di allontanarmi da lei.
- Hikaru lo sa.
Definitivo. Mia madre non riuscì a ribattere. Ma per me quelle erano solo parole e nomi privi di alcun tipo di significato.
Fu allora, dopo qualche istante, che la presa di mia madre venne meno sulla mia spalla e sul su viso comparve un'espressione di evidente sconfitta.
*Chi è questa Hikaru..*
Un pensiero leggittimo. Nessuno era mai riuscito ad ammutolire mia madre. Nessuno a parte questa Hikaru.
- Vai.
Mi disse solo. Un groppo alla gola. Mi accorsi che il medesimo groppo era anche il suo e quella voce risuonò quasi tremante. Non mi mossi, mi limitai a sollevare lo sguardo in sua direzione, preoccupata. Ero veramente l'ultima delle persone che avrebbe voluto abbandonare la sua casa, i suoi affetti, la sua banale vita scolastica con tutto ciò che ne sarebbe conseguito in un futuro che non sarebbe mai arrivato.
Mi tremavano le labbra, ma quel mi osguardo chiedeva ancora un silenzioso aiuto rivolto a mia madre, quando quella donna bionda prese la mia mano. Non mi accorsi neanche: si era avvicinata tanto da poterlo fare con tutta la chiara intenzione di non volermi lasciare andare.
Non potevo parlare. A nessuno interessava la mia opinione in quel momento. Ne a quella donna bionda a me sconosciuta e meno ancora a mia madre. La odiai in quel momento, ma d'altro canto non potevo sapere quanto in realtà lei soffrisse. Forse più di me.

Gli occhi di quel lupo di pietra brillarono di puro fuoco. Potevo quasi percepirne il calore e sentirne lo scricchiolare di un braciere invisibile, quando la sconosciuta mi tirò a se, avvicinandomi non con poca fatica dal principio. Ed una nuova voce costrinse mia madre a chiudere gli occhi, nel pieno di quel dolore che le lacerava l'anima.
- Qui abbiamo da fare cervellona, sbrigati, non bastano due cuori a reggere il peso e tu te ne vai a spasso per il finto mondo.
Lo chiamava finto mondo, ma per me quello era l'unico. Una donna, ancora. Era tanto magra da sembrare una ballerina, elegante e all'apparenza raffinata: lunghi capelli colore del mare ed uno sguardo come le profondità degli oceani, allungato come quello di un gatto ed altrettanto brava a soffiare. Non la smetteva più di cinguettare, ma la donna bionda sorrise comprensiva.
- Ne bastò uno al tempo.
Furono le unche parole di mia madre a controbattere quelle della nuova arrivata, accompagnata dai rumore dell'acqua infanta sugli scogli. E furono le stesse parole che costrinsero entrambe le sconosciute a rivolgerle lo sguardo. La prima, quella già vista in passato, le donò uno sguardo dispiaciuto, la seconda - la novità - un accenno visibilmente contrariato.
- Bastò? Davvero Kuu? 
Domandò semplicemente la chiacchierona colore del mare.
- Ma cosa vuoi saperne tu. Non c'eri. Ti è stato chiesto un favore, bene, ora hai adempiuto al tuo compito, puoi tornare a casa.
La saccenza. Tutto in quella donna portava ad odiarla: quei modi, quelle parole, quella posizione assunta nel rivolgersi a mia madre, che la vedeva appena sporta in sua direzione con la mano destra ad indicarla, la sinitra a puntarsi al proprio fianco. Eppure, non riuscivo ad odiare neanche lei, come quella bionda che continuava ad invitarmi verso di se con quella presa delicata sulla mia mano.
Mia madre non rispose, ma la bionda si.
- Non dovresti rivolgerti così.
*Non a lei*. Sono sicura che è un pensiero che abbiamo avuto entrambe in quel momento. Io e quella donna bionda.
Ancora silenzio. Ancora una volta. Mia madre si volto passando oltre quel lupo di pietra a cui donò una carezza tanto nervosa da sembrare uno schiaffo.
- Andiamo. Sarà contento anche lui di rivederla. Quale che sarà la sua sorte.
Di nuovo questo 'lui'. Cominciavo ad odiare tutti quelle parole lasciate a metà, ma non potevo che adattarmi. L'indole.
Era questo che mi preoccupava di più in quel momento. Non la mia sorte, non altro. Lontana da casa e dal mio vero futuro niente avrebbe avuto più importanza. Nessuno può decidere per me e dal momento in cui questo avvenne io mi sentii annullata completamente.
Un fascio di luce. Quel bosco ammutolito. Ogni animale aveva bloccato la propria esistenza, le proprie consuete abitudini, per assumere il colore del cielo.
Immobile. Il passaggio che anticipò il nostro cammino e che mi costrinse con una forte luce bianca a chiudere gli occhi di colpo, sollevando la mano libera a coprirmi il viso dall'aria spaventata.
La sua mano non mi lasciò neanche in quel momento. Aveva qualcosa di protettivo, quasi quanto lo era stata la presa di mia madre fino a poco prima, ma nettamente differente. Nessun artiglio, solo il calore di una mano che rassicurava. Piacevole.

Quando riaprii gli occhi un pesce volante ci reggeva sul proprio dorso. E sebbene gran parte di quel pesce ormai avesse assunto parti artificiali di un metallo trasparente che sembava quasi cristallo, la vita di quell'essere dall'aspetto singolare e dalle dimensioni enormi era palpabile sotto il tocco delle nostre mani tra le sue squame. Lo osservai con cura. Osservai con cura quelle isole fatte di montagne cristallizzate ad ogni spazio di quel cielo, fluttuare libere. Osservai i fiumi, i laghi  quei colli. Foreste, nuvole chiare. Sembrava non fosse piovuto da parecchio tempo ormai, ma quella era l'ultima delle proccupazioni.
La testa del pesce si incurvò a fatica verso di noi.
- Il principe è stato avvisato. Non sembra contento della scelta fatta dal fuoco ma suppongo che avrà tempo di accettarlo e comprendere.
Una voce maschile, adulta e fiera, smosse gli animi. Quello di quella donna dai lunghi capelli azzurri sembrò risentirne più di tutte noi in un primo momento e dubito che fosse per il concetto in sè.
- Grazie per esserci venute a prendere.
Era chiaro, anche da quella risposta. Nulla di così importante riguardo alla mia persona. Nulla le interessava.
L'opposto silenzio della bionda invece parlava più di qualsiasi altra cosa, ed è in quel momento, quando me ne accorsi, che mi avvicinai in sua direzione.
- Mi odia?
Era la mia. Era la mia voce. Credetti di averlo solo pensato, ma quella voce di ragazzina, cristallina e femminile mi uscì come la più normale delle azioni. Li, in quel luogo a me sconosciuto, con quelle persone a me sconosciute, sono riuscita davvero a fare qualcosa che mi era impossibile li: nel vero mondo.
Quanto poteva essere vero questo mondo se poteva solo ferire.
Ingenua. Sono un'ingenua. Ogni mondo a proprio modo può ferire.
L'espressione di quella donna bionda era stupita, al contrario dell'altra che mi degnò comunque di attenzione. Un sorriso, tanto semplice quanto caldo ricevetti come prima risposta.
- E' l'esatto contrario.
Stupida. Non potevo aspettarmi una risposta chiara. Una motivazione, qualcosa che potesse aiutarmi a capire piuttosto che confondermi ancora di più. Questo 'lui', che non mi voleva li con loro non mi odiava. Ma non mi voleva comunque li.
Non chiesi oltre, sarebbe stato totalmente inutile, così scelsi di lasciarmi trasportare da quell'enorme pesce meccanizzato da cristalli in un nuovo rinomato silenzio. Il solito.
La donna bionda mi osservò a lungo. Osservò la mia reazione e sollevò la mano libera da quella che stringeva la mia per scostare dietro l'orecchio del medesimo fiancho una lunga ciocca di boccoli dorati, prima di avvicinarsi appena col suo volto verso il mio.
- Lo senti?
Domandò, ma la mia esprssione dubbiosa fu una risposta più che esauriente.
- Il vento..
Specificò lei, prendendo volutamente tempo ancora una volta.
- E' mio.
Nessuno stupore, niente di quello che avevo sentito fino ad ora aveva senso, ma guardai con attenzione quell'espressione d'orgoglio sul suo volto a me sconosciuto. Sorrideva felice, lieta, come se si fosse liberata da un peso troppo grande a me sconosciuto. Non importava, quell'espressione beata era la cosa più bella che avessi visto prima di quel momento. Più dell'illusione di un mio futuro in un mondo reale, più dello scenario di quel mondo fittizio.
Avrei dovuto avere paura, ma niente di quello che vedevo mi spaventava. E non capivo perchè.


[continua...]
  
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