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Autore: xmartyr    18/06/2014    1 recensioni
Di quella fotografia parlarono per giorni. Se fosse stato qualcun altro, pensò James, di sicuro Gazza avrebbe premuto in tempo quel dannatissimo pulsante. Invece, assottigliando per bene lo sguardo, si poteva notare quanto fossero in realtà chiusi i suoi occhi occhi, mentre la messa a fuoco lasciava sul serio a desiderare. Possibile ce l'avesse ancora con lui per il semplice fatto di essere un Potter? Alla domanda, James non si rispose. Accartocciò la copia del proprio scatto e la fece scivolare in una delle tasche della divisa, fingendo di dimenticarsene. Una volta raggiunto il dormitorio, l'avrebbe aggiunta alle altre trecento raggruppate negli anni precedenti raffiguranti se stesso in una posa indicibile. Con tutte quelle che possedeva, avrebbe potuto definirsi il re, degli scatti malriusciti. (...)
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Rose Weasley | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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L A S T, N O T L E A S T


d i s t i r a t u r e, l a v a t u r e & f o t o g r a f i e

c a p i t o l o p r i m o 


 

Di quella fotografia parlarono per giorni. Se fosse stato qualcun altro, pensò James, di sicuro Gazza avrebbe premuto in tempo quel dannatissimo pulsante. Invece, assottigliando per bene lo sguardo, si poteva notare quanto fossero in realtà chiusi i suoi occhi occhi, mentre la messa a fuoco lasciava sul serio a desiderare. Possibile ce l'avesse ancora con lui per il semplice fatto di essere un Potter? Alla domanda, James non si rispose. Accartocciò la copia del proprio scatto e la fece scivolare in una delle tasche della divisa, fingendo di dimenticarsene. Una volta raggiunto il dormitorio, l'avrebbe aggiunta alle altre trecento raggruppate negli anni precedenti raffiguranti se stesso in una posa indicibile. Con tutte quelle che possedeva, avrebbe potuto definirsi il re, degli scatti malriusciti. 

Dal mattino della fotografia, decise di non essere un tipo affatto fotogenico.

«Da uno a dieci, quanto male sei uscita nello scatto?» Albus addentò una fetta di pancarrè rigorosamente ricoperta di marmellata alle ciliegie, mentre le magre spalle di Lily si strinsero in una leggera scrollata. «Sii sincera, prometto di non ridere.» Ma le promesse di Albus Severus potevano esser paragonate a quelle di un marinaio. Esistevano poche cose che non lo facessero ridere come un completo idiota, e certamente le buffe espressioni di sua sorella non rientravano fra queste. James si riempì la coppa di succo di zucca, senza distaccare lo sguardo dai due.

«Vuoi davvero vederla, oppure non hai trovato della cioccolata nel baule e tutto ciò di cui hai bisogno per migliorare la giornata è farti una bella risata?» E senza dubbio, fra i tre, Lily era quella ad aver ereditato la spiccata parlantina della madre. Finalmente James si lasciò sfuggire un sorriso, mentre afferrava una manciata di palline di cioccolato con la mano destra e se la portava alle labbra. Adorava sentirli bisticciare, ma più di ogni altra cosa adorava ammettere quanto tosta fosse la sua sorellina. Mentalmente, si immaginò scompigliarle i capelli arancioni, ma si limitò ad osservarli – mantenendo il silenzio.

«Coraggio, Lily, cosa sarà mai? Ti prometto che se mi mostri la tua, io tirerò fuori dall'annuario la mia.» “Certo”, James strinse le labbra, assaporando quella cioccolata oramai divenuta amara – in bocca. “Non si è sprecato a portarsi dietro la copia. Si scarrozza nello zaino addirittura l'annuario completo!”, e fu il suo turno di scuotersi nelle spalle. Questa volta, però, inspirando. «Magari posso anche firmartela, cosa ne pensi?» James sollevò gli occhi, notando quanto spettacolare fosse il cielo stregato della sala Grande. Quante candele poteva contare? Duecento, forse? «Non ho bisogno della tua firma, Alb. Ti vedo ogni giorno! L'ultima cosa che voglio, è che ti metta a disegnarmi dei baffi. Con la faccia che mi è uscita, mancano giusto quelli per somigliare ad un Picasso originale.»

Inutile dire come fosse uscita la fotografia ritraente il giovane Albus Severus Potter. La cravatta verde e argento, perfettamente celata solo in parte dal gilet in lana scura e ben stirato, spuntava sul petto – facendo contrasto col bianco della camicia appena sfornata dalla lavanderia. I capelli, che al contrario dei suoi erano sempre ordinati e tagliati in maniera impeccabile, non sparavano da tutte le parti, ma incorniciavano con armonia il suo volto paffutto e leggermente arrossato. Guardandola, sia James che Lily serrarono le mascelle, incapaci di esprimere il loro disappunto. «Be'?» azzardò il secondogenito, voltando l'annuario per poterlo esaminare meglio. «Cosa c'è? Qualcosa non va?»

«Nulla non va, Albus. Sono solo parecchio gelosi.» A disturbare l'allegro quadretto famigliare, fu una voce che James riconobbe immediatamente come quella di Scorpius Malfoy. Non si soffermò a pensare a come fosse uscita la sua, di fotografia, perché erano rare le volte in cui si poteva godere della visione di un Malfoy in disordine. Quello che però più di ogni altra cosa lo infastidì, fu l'espressione divertita che prese spazio sul volto di Albus. Fra lui e Scorpius erano oramai terminate le guerre portate avanti da antiche tradizioni. Essendo dello stesso anno scolastico, della stessa Casata, e perfino nello stesso dormitorio, impiegarono poco tempo ad abbattere i muri che avrebbero dovuto dividerli per la vita, diventando amici per la pelle. Un'amicizia che né a James, né a Lily piacque mai particolarmente. «Insomma, ti hanno mostrato le loro? Io non ne andrei orgoglioso.»

Certo, lui pareva uscito da una di quelle tele Romantiche in cui perfino il più inutile dei putti ritratti vantava una perfezione immacolata! Con quella chioma platinata e gli occhi dalla iride glaciale, non vi era strega del castello che non venerasse il terreno sul quale camminava. E fissandolo, dall'altro lato del tavolo, James ebbe modo di comprenderne i motivi. La prima cosa che fece, però, fu colpire con una leggera comitata Lily, che afferrò con rabbia forchetta e coltello, minacciando il nuovo arrivato con lo sguardo. «E tu dove le avresti viste, le nostre, Malfoy?» gli domandò, arricciando il sottile naso puntinato di lentiggini. «Te le sei fatte tener da parte per ricoprirci il muro dietro al tuo letto a baldacchino – per caso?» Certo che quella lingua lunga...

Con una risatina, Scorpius si accomodò di fianco al proprio migliore amico, sistemando su uno sgabello libero la borsa in pelle di drago nera che – nel venir adagiata – non procurò rumore alcuno. «Gazza ha appeso le peggiori dietro il proprio, di letto a baldacchino.» Ma logicamente scherzava. «Scherzo. Non ho idea se lo abbia, un letto, ma di sicuro le ha appese al di fuori del suo ufficio. Potremmo andare a dar loro un'occhiata prima di Trasfigurazione, Alb, che ne dici?» 

Finì che ci andarono tutti e quattro. 

«Mi stai prendendo per il culo.» Sgranando le palpebre, ciò che James si trovò davanti al naso fu il manifesto peggiore che avesse mai visto in vita sua. Vi erano centinaia di polaroid, sulla bacheca in sughero, ed ognuna di queste era stata appiccicata con un Incantesimo Incollante, ciò significava che nessuna mano umana sarebbe stata in grado di prelevarle per nasconderle. Con la coda dell'occhio, vide gli angoli della bocca di Scorpius incurvarsi verso l'altro, mentre Lily – dal suo metro e sessanta di bassezza – dovette sollevarsi sulle punte dei piccoli piedi per esaminare alla meglio quell'orrore. Anche la sua, di fotografia, era stata inserita nella collezione. Precisamente, alla destra di quella raffigurante Rose Weasley, loro cugina. 

«Oh.» Le labbra di Albus si spalancarono, andando a formare una “o” perfetta. «Già,» commentò Scorpius, infilando le bianche mani nelle tasche dei pantaloni stirati egregiamente. Ma che razza di elfi domestici specializzati in lavaggio e stiratura avevano, i Serpeverde? «Non trovate sia fantastico?» Tutto ciò che James trovò, fu la voglia di colpire il suo bel setto nasale con un pugno altrettanto ben sestato. Eppure, rivedendo più volte l'immagine della scena nella propria testa, nessuno dei replay era effettivamente andato a finire bene. Per esorcizzare il desiderio si morse la lingua – scuotendo il capo. 


 
– 

Rose gli appoggiò delicatamente la mano sulla spalla, e senza neppure vederla, James la immaginò sorridere. Fra i tanti cugini che abitavano il castello, senza alcun dubbio lei era quella che poteva comprenderlo maggiormente. Forse perché adulta di testa, oppure perché munita di grande spirito di osservazione, fatto sta che non impiegava mai più di una manciata di secondi per comprendere ci fosse qualcosa di sbagliato in lui. «Non voglio tu stia così male per una fotografia,» gli disse, cominciando a ritirare il proprio materiale dalla lunga scrivania in legno antico dell'aula in cui i due avevano studiato per gran parte delle ultime ore. «Che cos'è se non uno scatto? Presto se ne saranno dimenticati tutti quanti,» e la tranquillità con cui buttò giù quelle due frasi per un istante quasi lo convinse a lasciar perdere. James si rigirò fra le dita la punta di una piuma d'aquila, non trovando le parole esatte per dirle che – fra tutte quelle visionate quel tardo mattino – aveva trovato anche la sua. “Ma cos'è, uno scatto, se non uno scatto?”

«Dovresti farti un giro su quel pianerottolo,» le confidò in fine, sollevando gli occhi sul suo volto diafano puntinato di visibili lentiggini. «Sul serio, Rosie. Sei un Prefetto. Non c'è nulla che tu possa fare per toglierle da lì? Sono davvero in bella vista, ed io non possiedo nessuna reputazione da rovinare, ma la tua e quella di Luna...» con un cenno della mano, Rose gli impedì di proseguire. «Jamie, non mi interessa nulla. Come ti ho più volte detto, questa è la mia faccia – ed ho perduto lo scontrino, per cui non posso portarla indietro.» Allora lo sapeva. Ancora sorridendo, Rose Weasley si raddrizzò col busto, gettandosi all'indietro la fiammeggiante chioma composta da ricci gonfi ed ordinati. Quella mattina doveva aver avuto del tempo libero. Almeno lo aveva impiegato in maniera migliore della sua... «Studia, Rune Antiche ti servirà per i M.A.G.O.,» continuò la cugina più piccola di un anno, sistemandosi sulla spalla la tracolla della borsetta in tela raffiguranti alcuni fiori probabilmente disegnati a mano. «O l'anno prossimo avremo una tua nuova fotografia, su quel muro.»

Se la giornata non fosse cominciata col piede sbagliato, James avrebbe anche potuto ridere a quella battuta. Sentì gli angoli della bocca incurvarsi verso il basso e li lasciò fare, senza preoccuparsi di non risultare sgarbato. Mentre prese ad imitarla, cominciando a raccogliere le varie pergamene sparse sulla superficie del largo tavolo per le due ore di tutor pomeridiane, la porticina del lato opposto dell'aula si spalancò, rivelando uno studente alto più o meno quanto Lily che, in mano, stringeva un foglio legato con un vistoso nastro verde smeraldo. «E tu di cosa hai bisogno?»

La prima a rispondere, senza lasciare il tempo al nuovo arrivato di aprir bocca, fu proprio Rose, che oltre a divenir paonazza in viso, si avvicinò con rapidità al giovane Tassorosso e lo accompagnò educatamente alla porta d'uscita – facendogli strada con la mano. «Oh, non c'era bisogno che venissi sin qui – Lawrence. Ti ringrazio. Puoi andare, ora, questo lo prendo io.» Gli sfilò dalle dita la pergamena arrotolata e la fece svanire all'interno della borsetta. La palpebre di James ancora perfettamente assottigliate nell'esaminazione dell'accaduto. Lawrence Hill abbandonò la stanza, mentre il Prefetto rivolse all'unico rimasto in aula il migliore dei propri sorrisi. «Che cosa c'è? L'hai detto tu, sono un Prefetto. Come tale ho numerosi compiti da portare a termine ogni giorno. Questo non è altro che...» fece spallucce, alzando una spalla. «L'ho già visto, quel nastro. Albus ha ricevuto un messaggio con un nastro identico solo ieri mattina. Bizzarro, non trovi? Fu Scorpius Malfoy a spedirglielo.» Non vi era malizia, nelle parole di James, ma doveva esser dovuto al fatto che – no, sua cugina Rose non sarebbe mai e poi mai caduta nella sua trappola di bello e dannato. Rose era intelligente e sveglia; la legittima progenie di Hermione Weasley. Eppure...

«Non scervellarti sul contenuto di questo messaggio, testone. Devo davvero andare.» Un istante, un breve scambio di sguardi, poi Rose uscì – facendo precipitare la polverosa aula del terzo piano in un tombale silenzio. James terminò di riempire la borsa delle proprie scartoffie, poi uscì anch'esso – prendendo la rampa di scale più rapida per raggiungere il piano corretto per sviare, poi, verso la sala Comune. Prima di farlo, lasciò cadere la mano destra all'interno della borsa. “Un'occhiata. Spierò dove va sulla Mappa, e non lo verrà mai a sapere.”


 


Louis Weasley si svegliò coi biondi capelli piatti sulla fronte. Madama Chips, alla sua destra, gli allungò un calice di succo di mele, ma nel pugno della mano stringeva due tonde pastiglie che il giovane avrebbe dovuto ingurgitare con il succo stesso. Sentiva la testa vorticargli, neanche avesse passato la notte in bianco, ma dire all'anziana strega una cosa del genere significava ammettere a cuore aperto di voler rimanere una sera in più in Infermeria, e di certo non rientrava nelle cose che più desiderava al mondo. Fra queste, però, vi erano dei dolcetti ai fagioli dolci che Dominique gli aveva portato dalla colazione giusto un paio di ore prima. Inspirò. 

«Prendi queste, caro, e potrei prendere in considerazione l'idea di mandarti ad Astronomia – questa notte.» Il sorriso gentile della medimaga lo accompagnò sino a quando Louis non si sentì le diverse pilloline scivolargli nell'esofago. Fortuna che, con un'unica sorsata di quel succo di mele, riuscì a mandarle giù senza il minimo problema. Le lezioni di Astronomia, una delle sue materie preferite in assoluto, si svolgevano di notte, precisamente sulla Torre designata a quelle ore di insegnamento. Il suo, essendo il quinto anno, era importante quanto quello degli studenti del settimo, ma non riusciva a sentirsi nervoso a causa della pressione. Non vi era materia in cui Louis andasse male, ma spiegarlo lettera per lettera alla madre era l'unico motivo che gli faceva apprezzare quella costretta permanenza in Infermeria.

Alle spalle di Madama Chips, una studentessa dai neri capelli raccolti in un alto chignon elegante finse un breve colpo di tosse, attirando così l'attenzione della strega. Questa lanciò una rapida occhiata a Louis, poi si voltò – allungando in avanti la mano sinistra. «Sono arrivate? Le analisi di Weasley?» Louis si raddrizzò con la schiena contro il cuscino, ritirando il labbro inferiore. «Appena giunte tramite gufo. Vuole una mano?» chiese con gentilezza Rebecca Winston, chinando di lato il capo. Madama Chips scosse la testa e si allontanò dal lettino, raggiungendo la propria postazione di fianco all'enorme portone d'entrata. Si calò gli occhialetti da lettura sul naso e prese a leggere ognuna di quelle pergamene, facendo attenzione ai dettagli. Rebecca incrociò le braccia sul petto, cercando lo sguardo del paziente. «Cosa c'è? Ti aspetti qualche brutta notizia?»

«Oh. No, no, figurati...» Louis sorrise, e le guance presero colorito tanto velocemente da fargli temere di aver nuovamente la febbre. Rebecca ridacchiò in silenzio, sporgendosi in avanti. Nel farlo, avvicinò alla brandina del biondo le sue pantofole, e con un cenno degli occhi gli indicò il bagno. «Coraggio, alziamoci; ti accompagno a lavarti, così non appena uscirai avrai notizie sulla tua condizione. Andrà tutto bene, te lo prometto.» Louis annuì, scoprendosi le gambe infreddolite e facendole penzolare dal basso materasso. Un'altra notte lì dentro ed avrebbero dovuto ricoverarlo per un altro problema, il male alla schiena. Si infilò le ciabatte e si sollevò, stiracchiandosi. Rebecca, d'istinto, gli pettinò la chioma chiara. «Hai davvero bisogno di uscire da qui. Cerca di rimetterti,» e gli afferrò il braccio, ancorandolo al proprio.

Pochi passi eseguiti in silenzio, e quando finalmente raggiunsero il bagno, Rebecca spalancò la porticina in legno, permettendogli di passare. «Ti attendo qui fuori, tu fai con calma. Nel frattempo, vado a sbirciare...» gli strizzò l'occhio, poi fece sparire le mani nelle tasche del grembiulino a righe verde chiaro e gli diede le spalle, avvicinandosi ad una pensierosa Madama Chips. Louis la seguì eseguire il proprio lavoro, poi si passò la lingua sui denti ed inspirò, chiudendosi nel bagno. Una manciata di minuti più tardi, fu pronto ad uscire. La bocca gli odorava di profumanta menta piperita, mentre la capigliatura era più ordinata, pronta ad incontri sociali. Quando raggiunse la scrivania di Madama Chips, abbozzò un sorriso di circostanza ed incrociò le braccia dietro al busto – in attesa. Rebecca, fedelmente al fianco della sua prodigiosa maestra, parve non avere il fegato di guardarlo in viso. Madama Chips, invece... 

«E così si tratta di epilessia.» Quella sera, Rose e Dominique andarono a trovarlo. La prima, seduta alla fine del letto con le mani ad adornarle il volto, puntò gli enormi occhi azzurri sul volto del cugino ed attese di notare qualche sintomo in lui, mettendono il soggezione. Dominique, invece, coi lunghi capelli chiari raccolti in una treccia disordinata, a stento trovò le parole per esprimere il proprio disappunto. «Come ti senti, adesso?» volle sapere, spostando il peso corporeo sull'altra gamba. Louis si scosse nelle spalle. «Bene, immagino. Madama Chips dice sia stato un attacco da niente, quello di giovedì sera, ma suppone io sia predisposto a molto peggio.» Nel dirlo, sentì la voce tremare. Rose, incapace di trattenere le lacrime, gli gettò le braccia al collo, facendo scomparire il volto contro la sua spalla. «Oh, Louis...»

«Andiamo, Rosie, non ti sembra una reazione spropositata?» nel domandarglielo, Louis arrossì vistosamente, tamburellandole una mano con fare consolatore sulla schiena. Dominique inspirò, sedendosi sul letto – ma dal lato opposto. «Dobbiamo dirlo a mamma e papà.» Nell'udire quell'affermazione, Louis sgranò le palpebre, allarmato. «Che cosa? È necessario?» Rose si tirò su, facendo lo stesso col naso. «Ma certo che lo è. Louis, hai bisogno di cure più specializzate. Non ho nulla da ridire contro Poppy, ma... forse possono portarti al san Mungo.» Le sue labbra, che all'entrata erano di un vistoso rosso ciliegia, adesso lo erano – ma dai morsi che avevano subito. «Che cosa? No! È esattamente quello che voglio evitare! Rose, Dom, voglio rimanere ad Hogwarts. Mi curerò, lo prometto, ma non fatemi tornare a casa.»

«La tua famiglia ha ragione, Louis.» Rebecca, che – a causa del cambio di turno – si era rimossa di dosso cuffietta e grembiulino, si avvicinò al trio Weasley, salutando con un gentile cenno del capo le due ragazze. «Devi curarti in un posto migliore dell'Infermeria scolastica. Ho... delle referenze, in caso. Rose, posso darle a te una volta tornate in dormitorio, ma sappi che avete tutto il mio supporto in questa decisione.» Louis irrigidì le mascelle, Dominique – invece – sollevò entrambe le sopracciglia, annuendo quasi in maniera impercettibile. Rose, che nel frattempo aveva già rimosso dalla tasca della toga della divisa il taccuino per gli appunti, borbottò qualcosa, poi tornò a stringere le bianche mani del cugino. «Per una volta, Louis William Weasley, presta attenzione a chi ti vuole realmente bene.» Il biondo la guardò, torturandosi le dita e sfoggiando un nervoso sorriso. Quella volta lo avrebbe fatto. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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