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Autore: Gondolin    16/08/2008    4 recensioni
Un narratore senza nome e un detective. No, non è un giallo (io no li so scrivere i gialli, sigh), anche se è tratto da un racconto del mistero di E. A. Poe. Perché il narratore e il detective, complici due pipe da oppio, avranno ben altro a cui pensare che a delle indagini. Ebbene sì, mi sono permessa di scrivere una ff su questo racconto: Murders in Rue Morgue. Comunque non serve averlo letto per capire questa storia.
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Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sogni in una casa buia


Durante il periodo che trascorsi a Parigi accaddero molti avvenimenti degni di nota. Il più incredibile ed anche il più noto fu certamente il caso del feroce duplice omicidio in Rue Morgue. Ma a narrare di come l'intricato caso fu brillantemente risolto ho già provveduto in un famoso racconto. Qui vorrei invece parlare dell'uomo che risolse quel caso: Auguste C. Dupin.


Mi trovavo in una oscura e polverosa libreria in Rue Montmartre, vagando tra gli scaffali alla ricerca di un particolare volume molto raro. Dapprima mi persi tra i libri, assaporando l'atmosfera saggia e polverosa, poi mi decisi a cercare con più attenzione. Giunsi allo scaffale dove, secondo l'ordine alfabetico in cui erano tenuti i volumi, avrei potuto trovare ciò che cercavo. Accanto a me notai un uomo. Aveva lineamenti delicati, quasi femminei se non fosse stato per una certa forma affilata e decisa del volto. Allungò una mano bianca e sottile per afferrare un libro accanto a quello che avevo appena preso io. Tornai a posare lo sguardo sul volume che tenevo in mano, accorgendomi con gran disappunto che non era ciò che volevo. Non avrei dovuto meravigliarmi data la rarità dell'oggetto delle mie ricerche. Nel rimetterlo sullo scaffale sfiorai la mano dell'uomo accanto a me: anche lui stava riponendo il libro che aveva preso. Alzando gli occhi per scusarmi notai sul suo volto la stessa delusione che provavo io, così mi arrischiai a chiedere -Neppure voi avete trovato ciò che cercate?-

-Già, e questo mi accade assai raramente, ma non per questo è meno seccante. Voi cosa cercavate?- gli risposi e scoprimmo che volevamo lo stesso libro. Iniziammo a conversare ed egli da subito mi colpì per la sua raffinata intelligenza e la vastità delle sue letture. Fu solo quando eravamo già usciti dalla libreria ed avevamo percorso un lungo tratto di strada che mi resi conto di non conoscere neppure il suo nome. Ci presentammo, poi continuammo la nostra passeggiata, lasciandoci con la promessa di rivederci presto. Ci incontrammo spesso, e Dupin mi aiutò nelle mie ricerche di libri e oggetti antichi. Mi raccontò che la sua era una famiglia molto antica e rispettata, ma per una serie di avvenimenti che non mi dilungo a riportare, la sua situazione economica non era affatto buona. Ciò ci portò ad un'idea sulla cui paternità mi interrogo ancor oggi, ma che non ho mai smesso di benedire: affittare una casa insieme. Così io non avrei dovuto alloggiare in una pensione e Dupin avrebbe goduto di un alloggio migliore del suo. Con un certo sforzo trovammo una villetta fuori dal centro. Non era certo di lusso, ma era confortevole e spaziosa. Scoprimmo di avere il medesimo gusto, discutibile e fantastico, nell'arredamento, così ci deliziammo nello scegliere una mobilia tra il gotico e l'esotico che ci soddisfaceva pienamente entrambi. Iniziammo a vivere di notte come vampiri. Disdegnavamo la luce e, se ci capitava di essere svegli durante il giorno, la escludevamo dalla nostra abitazione con pesanti tende di velluto. Spesso uscivamo a passeggiare al calare della sera o addirittura a tarda notte. Trascorrevamo insieme quasi tutto il nostro tempo poiché nessuno di noi due aveva altre amicizie. Durante le nostre interminabili discussioni Dupin confermò la prima impressione che avevo avuto di lui, ed anzi se possibile la migliorò. Era mezzo matematico e mezzo poeta; per quanto la definizione possa apparire quantomeno strana. Aveva una certa vena creativa, ma non era affatto un uomo con la testa tra le nuvole: anzi prestava attenzione ad ogni avvenimento della vita ed era capace di ragionamenti degni della più brillante mente matematica a partire dai presupposti più svariati. Io lo seguivo nelle sue elucubrazioni, ma di certo non ero in grado di tener testa alla sua fine logica. Cionondimeno egli pareva apprezzare la mia compagnia. Sebbene avessi sempre amato le ore notturne ed i cieli stellati, fino a quel momento avevo condotto una vita piuttosto regolare, quindi il mio aspetto non rivelava lo spettrale pallore che invece distingueva Dupin. Eppure egli non aveva un'aria malsana: tutt'altro.

Una notte ci fermammo a parlare così a lungo che quando spuntò l'alba eravamo ancora seduti sulle nostre poltrone accanto al caminetto. Ci alzammo per chiudere le tende e poi tornammo ai nostri posti. Fui grato del fatto che non avesse deciso di andare a dormire, poiché avevamo iniziato, incredibilmente, una normalissima conversazioni tra amici. Gli avevo raccontato alcuni episodi di poco conto della mia vita, ed egli aveva fatto lo stesso -Non avete mai pensato a sposarvi?- gli chiesi ad un certo punto.

Auguste emise una sincera risata con la sua bella voce tenorile -No, affatto. Per svariati motivi. Uno, amico mio, è il vile denaro. Che futuro potrei offrire ad una donna? Di certo potrei lavorare duramente per arricchirmi, ma qui arriviamo al secondo punto: perché?-

-Per amore- suggerii -Ma ovviamente,- conclusi -se quello manca non vale la pena-

-Esatto. Nessuno mi costringe a sposarmi, ed io non ne sento la mancanza. E voi? Ci avete mai pensato?-

Riflettei un attimo prima di rispondere: -Sì, ci avevo pensato. Sebbene io sia giovane c'è stato un tempo in cui ero ancora più giovane e folle ed ho accarezzato l'idea del matrimonio. Ma poi mi sono reso conto che vi sono molte alternative-

-Assolutamente. E molto spesso sono le donne stesse a desiderare solo di vedervi ai loro piedi per poi lasciar perdere. Io ho dovuto sbatterci la testa un po' prima di capirlo, ma ora sono il più felice scapolo di Parigi- ridemmo insieme, pensando ai poveri mariti intrappolati -Propongo un brindisi- fece lui, alzandosi per andare a prendere due bicchieri e del cognac

-A cosa?-

-All'amicizia, che è di certo un miglio rifugio per l'uomo che l'amore-

-All'amicizia, dunque- bevemmo in silenzio, poi ci dirigemmo verso le nostre stanze dopo esserci augurati la buonanotte. Sul momento non riflettei affatto sul tono col quale il mio amico aveva pronunciato il brindisi, e la mattina dopo già l'avevo dimenticato. Quel tono di nascosta amarezza però mi sarebbe tornato in mente in seguito.


Auguste mi aveva affascinato da subito, ma vivere a stretto contatto con lui me l'aveva reso ancora più caro. Era quasi il migliore amico che potessi desiderare. Quasi, poiché i suo modo di fare, la sua bellezza e la sua intelligenza potevano suscitare solamente due reazioni: feroce invidia o desiderio e amore. E non essendo io una persona invidiosa finii mio malgrado con l'innamorarmi perdutamente di lui. Ogni volta che chiudevo gli occhi vedevo il suo volto. Auguste infestava i miei sogni come uno spettro. Un bellissimo e dolce spettro. L'incubo peggiore però era che a svegliarmi da quei sogni era quasi sempre Auguste in carne ed ossa, il quale giungeva nella mia camera al tramonto per chiamarmi se non ero ancora in piedi. Durante il tempo che normalmente trascorrevamo insieme ero tranquillo e rilassato ed agivo con naturalezza, ma appena uscito dalle nebbie del sonno mi sentivo indifeso. Dovevo compiere uno sforzo sovrumano per trattenermi dall'abbracciarlo e tirarmelo addosso per poi tenerlo su quel letto prigioniero dei miei baci e delle mie carezze. Fortunatamente ero abbastanza certo di non parlare nel sonno. Ma Auguste aveva un intuito dalla precisione raggelante e di tanto in tanto si divertiva a farmi sobbalzare rispondendo ad alta voce ai miei pensieri. Non era magia, mi spiegava, ma semplice attenta osservazione: dell'ultimo argomento nominato, delle mie espressioni del volto, di ciò che intorno a noi attirava la mia attenzione... Ciononostante io rabbrividivo. Sicuramente prima o poi gli avrei confessato i miei sentimenti, ma sarebbe stato alquanto seccante, per usare un eufemismo, se un bel giorno egli mi avesse detto qualcosa come -So che mi amate, perché non me lo volete dire?- al solo pensiero mi sembrava di impazzire. A volte, quando eravamo molto vicini, e ciò grazie al cielo capitava di rado, il suo profumo mi intossicava a tal punto che mi trovavo sul punto di allungare una mano verso il suo collo sottile ed accarezzarlo. Invece restavo fermo.


Un giorno, una delle rare volte che Auguste era uscito da solo, tornò con un sorriso piuttosto sinistro ed un pacchetto altrettanto poco rassicurante sottobraccio -Oppio, mio caro amico, oppio!- rispose al mio sguardo perplesso -Voi siete troppo un bravo ragazzo e a quanto ho capito non avete mai provato queste meravigliose pipe- dichiarò allegramente mentre disfaceva il pacchetto e posava sul tavolino del salotto due pipe ed un altro pacchetto più piccolo

-No, infatti. Non ne ho avuto occasione. Me proverò volentieri-

-Molto bene, questo è lo spirito giusto. La curiosità... la curiosità è fondamentale- si tolse il cappotto, poi si accomodò in una poltrona vicina al tavolino e mi fece cenno di fare lo stesso. Ero un po' eccitato e un po' nervoso, ma non tanto per l'oppio in sé. In fondo non ero poi un così bravo ragazzo. Ma temevo di potermi lasciar sfuggire qualcosa su quello che provavo. Però mi tranquillizzai pensando che se io avessi perso il controllo Auguste non sarebbe stato da meno.


Parlammo, scherzammo; all'inizio ridemmo molto, poi venne il momento dei racconti -C'era una persona, una volta, con la quale condividevo una grande amicizia. Io ero convinto di poter contare sulla nostra amicizia in ogni caso... ma poi troppo tardi capii di essermi innamorato. La mia confessione però ebbe come risposta solo sdegno. Mi voltò le spalle. Per questo credo che l'amore faccia danni e che si debba puntare all'amicizia-

-Questa persona... era un lui o una lei?- chiesi con leggero rossore.

Auguste rise amaramente -Credevo che l'oppio stordisse le capacità di osservazione, non che le acuisse- evitò la mia domanda, ed io non insistetti. Il suo silenzio mi pareva una risposta sufficiente -Quindi credi- avendo la testa leggera avevamo cominciato a darci del tu -che bisogna restare amici anche se in realtà il cuore spingerebbe in tutt'altra direzione?-

-Senza alcun dubbio. O, se è troppo penoso, abbandonare del tutto la persona amata. Ma io ritengo che godere della compagnia di chi amiamo sia la tortura più dolce del mondo e non vi rinuncerei per nulla al mondo- sbatté le palpebre -se me ne capitasse l'occasione-

-Io invece dico che si dovrebbe rischiare- dicevo così, quando invece io stesso non avevo avuto coraggio sufficiente. Eppure mi sentivo rincuorato da quella conversazione. C'era qualcosa in Auguste, quella sera, di amichevole, di tranquillizzante e qualcosa che ancora mi sfuggiva. Decisi di dirgli tutto, ma quando fossimo stati entrambi più lucidi. Non volevo perdere il controllo, volevo assolutamente riuscire ad aspettare. Mi ero già spinto in domande che altrimenti non avrei posto. Auguste però si alzò e ci versò da bere: non potei rifiutare. Parlammo ancora, ma per poco: crollammo addormentati sulle poltrone.

Stranamente, mi svegliai per primo. Mi sentivo bene, tranne per un leggero mal di testa. Mi resi conto di aver dormito con la mano poggiata sul braccio di Auguste, e la spostai con rammarico. Mentre mi chiedevo se fosse stato il caso di svegliarlo mi alzai per dirigermi verso la cucina. Come sempre per colazione, preparai due tazze di tè. Quando le portai in soggiorno il mio amico si stava svegliando -Buongiorno-

Egli sbadigliò e poi rispose biascicando. Mise gli occhi sul tè e i biscotti -Ho una fame incredibile, e tu?- si fermò un momento come se nelle sue parole ci fosse stato qualcosa di sbagliato -Va bene se continuiamo a darci del tu, vero?-

Chissà perché, quella richiesta mi provocò un sorriso interiore -Certamente- facemmo colazione in silenzio, e nonostante la sera precedente la mia decisione vacillò. Come, con quali parole si confessano certi sentimenti? E come l'avrebbe presa Auguste? Mi avrebbe respinto per vendicarsi di ciò che gli era successo? Nell'istante in cui lo formulai mi resi conto che era un pensiero indegno del mio amico e mi vergognai di averlo concepito. Quest'ultimo si alzò e si diresse verso la sua stanza per rassettarsi e sciacquarsi il viso, mentre io rimasi in salotto fino a quando tornò -Ti vedo assente. Cosa succede? Stavolta temo di non poter indovinare i tuoi pensieri. Troppi pochi indizi- si giustificò, fissandomi coi suoi occhi color nocciola, capaci di perforarmi l'anima senza rendersene conto

-Dovrei parlarti. Io... la storia che hai raccontato ieri sera, e quelle cose sull'amicizia: io ci ho pensato-

-E...?- chiese, trattenendo il respiro. La sua reazione impaziente mi scaldò il cuore

-E credo davvero che si debba rischiare. Per esempio, io rischierei con te. Perché mi sono innamorato di te, Auguste- egli sorrise. Di tutte le reazione quella era la più inattesa. Sorrise senza dire niente, felice come un bambino, in un modo in cui non l'avevo mai visto sorridere -Sono stato un codardo- mormorò infine, senza che la sua espressione si incrinasse. Titubante, mi prese una mano ed io avvertii una scossa elettrica giungere fino ai recessi più nascosti del mio essere -Grazie- mi disse, avvicinando il suo volto al mio. Oh, i miei sogni diventavano realtà! Quello spettro meraviglioso si accostava a me di sua spontanea volontà! Dapprima furono solo le labbra a sfiorarsi leggere, a cercarsi. Poi le lingue, come in un gioco, e il sapore dolce della sua bocca. Con una mano gli accarezzai il volto, e con l'altra lo presi per i capelli, spingendolo più vicino a me. Ma c'erano tra noi i braccioli delle poltrone, allora Auguste si alzò e mi si sedette in grembo, provocando un'onda che attraversò il mio corpo. Emisi un sospiro strozzato di desiderio che fece lo sorridere e avvicinai ancora le mie labbra alle sue, respirai l'aria dei suo polmoni ed egli la mia. Mi teneva abbracciato ed io sarei rimasto per sempre, felicemente, intrappolato in quell'abbraccio. Gli posai le mani sui fianchi e posai sul suo collo un bacio respirandone finalmente il profumo senza timore -Mi fai impazzire- sussurrai. Auguste non rispose ma mi accarezzò una guancia, poi mi baciò sulla fronte, sugli occhi, sulle labbra. E ancora mi persi nei suoi baci, carezzandogli la schiena con una mano, l'altra intrecciata alla sua -Anch'io mi sono innamorato di te. Da subito- lo disse come se fosse ovvio che qualcuno che si incontra per caso alla ricerca di un libro fosse degno d'amore.






Nota:

Mi sono fatta un po' di problemi ad iniziare questa storia... insomma Poe è un classico... lo slasho o non lo slasho, questo è il dilemma! Però ditemi voi: due si incontrano per caso in una libreria e poco dopo vanno a vivere insieme. Così. E poi iniziano pure a vivere solo di notte, al buio. Mi sono detta che qui ci voleva proprio. Sì lo so che io vedo pairings strani ovunque, ma non posso farci nulla.

Spero che vi siate divertiti a leggere quanto io a scrivere. E spero che commentiate numerosi!



  
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