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Autore: giambo    18/06/2014    2 recensioni
Sono passati ormai tredici anni dalla fine della grande Era della Pirateria. La Marina ha ormai preso pieno possesso delle acque del Nuovo Mondo, sterminandone la maggior parte dei pirati che lo navigavano. I pochi sopravvissuti si sono riuniti attorno a quattro nuovi imperatori pirata che però, con il passare del tempo, stanno invecchiando senza vedere nuovi eredi all'orizzonte.
Monkey D. Kinji è un ragazzino di dodici anni che trascorre le sue giornate a fantasticare su avventure fantastiche in paesi lontani. Sotto le amorevoli cure di due zie adottive, Kinji cresce felice e spensierato, non conoscendo l'eredità terribile del nome che porta dietro. Tuttavia, ad un tratto, Kinji sarà obbligato ad arruolarsi nell'Armata Rivoluzionaria, il cui comandante lo segue e lo controlla fin da quando è nato. Sotto la supervisione del burbero Johan, della ribelle Neyna e della provocante Fumiko, Kinji cresce forte e testardo. Ma la volontà racchiusa nel suo nome lo porterà presto a fare una scelta: se schierarsi dalla parte della Marina, dei rivoluzionari o dalla parte di un teschio sormontato da un buffo cappello di paglia
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo personaggio, Sabo, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'OPNG: One Piece New Generation'
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Il figlio del re

 

Capitolo 1

 

Ricordate sempre le tre grandi guerre che hanno insanguinato la nostra epoca.

La prima fu la “Guerra dei Vertici” dove le flotte del pirata Barbabianca si scontrarono con gli eserciti della Marina. Essa si concluse con la morte del pirata Newgate, di Portugas D. Ace e con il trionfo della Marina.

La seconda avvenne sei anni dopo, e fu chiamata la “Guerra dei Titani”. In quello scontro si affrontarono le flotte dell'imperatore pirata Marshall D. Teach e le flotte del pirata Monkey D. Luffy che trionfò dopo uno scontro durato un'intera settimana.

Ed infine, la più cruda e feroce di tutte, avvenne due anni dopo e venne chiamata la “Guerra delle innumerevoli lacrime”. Fu con essa che ebbe termine la grande Era della Pirateria ed iniziarono “Le Settimane del Sangue”

 

Baltigo, Rotta Maggiore. Dodici anni dopo la grande battaglia di Thall.

 

Urla, schiamazzi, piedi che si muovevano ritmicamente, canti gloriosi e stonati che si mischiavano con il fragore del mare..

Era facile per gli abitanti dei villaggi della costa capire quando si avvicinava un plotone dell'esercito rivoluzionario di pattuglia. I ragazzi della truppa di solito, nonostante i comandanti spiegavano come prima cosa l'importanza di quelle missioni, prendevano con leggerezza quelle fuoriuscite dalle caserme e dai forti sparsi un po' ovunque sull'isola, sfruttando l'occassione per divertirsi, cantare e godere degli agi delle taverne dei villaggi sotto la loro custodia.

Ma quel giorno, gli abitanti capirono che la polvere sulla strada non preannunciava una normale truppa di soldati vogliosi di passare il tardo pomeriggio nella fresca penombra delle loro locande. Infatti, ad un tratto, un comando secco interruppe ogni schiamazzo e canto, facendo procedere il plotone in religioso silenzio. Poco dopo, tra la polvere che brillava sotto i raggi di un tardo sole pomeridiano, si innalzò uno stendardo nero come la pece, con impresso sopra il simbolo dell'Armata Rivoluzionaria in viola.

Poco dopo gli uomini entrarono in fila a passo di marcia nell'abitato, gli sguardi alti e fieri che brillavano tra le faccie sporche di sudore e polvere causati da una sfiancante marcia giornaliera sotto il sole. Mentre gli uomini proseguivano imperterriti, senza dare l'impressione di voler trascorrere la notte nel villaggio, una figura si staccò dalla colonna, avvicinandosi a due donne di mezz'età che assistevano impassibili alla sfilata degli uomini dalla soglia di una casa.

Una volta avvicinatasi, l'individuo si fermò a due passi dalle due. Era alto, anche se i suoi tratti si nascondevano sotto un mantello di uno scuro indefinito, forse marrone, e slanciato. Quest'ultimo nascondeva l'intero corpo, ad eccezione dei piedi che erano fasciati da stivali di pelle nera di buona qualità, seppure infangati dalla lunga marcia.

Una volta fermatosi davanti alle donne, l'individuo sembrò studiarle per qualche istante. Anche se si poteva notare del brillare tra le pieghe del cappuccio che coprivano il volto.

“Quashar! Muttan! È bello rivedervi dopo tutti questi mesi.” esclamò con un timbro di voce chiaramente femminile. Per tutta risposta, la donna chiamata Muttan fece una smorfia.

“Lo stesso non si può dire da parte mia!” esclamò con voce acuta. “Sono anni che spero di non dover più rivedere la tua faccia!”

“Smettila!” la redarguì l'altra. “Non dice sul serio, Neyna-san.” continuò rivolta alla nuova arrivata.

“Lo spero.” esclamò la donna, che nel frattempo si era tolta il cappuccio, rivelando i propri tratti. Era giovane, non doveva superare i venticinque anni, e possedeva un viso bello e reso scuro dal sole del mare, seppure con una mascella un po' troppo pronunciata. I capelli erano bianchi come la neve, e ricadevano selvaggi in corte ciocche che sfioravano le spalle. Un naso diritto, due labbra carnose ed un paio di penetranti occhi viola, completavano la sua figura. “Mi dispiacerebbe sapere che le tue minaccie fossero dettate da verità e non più da orgoglio, Muttan.”

“Muttan-san.” la corresse contrariata l'altra. “Non hai mai imparato il rispetto, mocciosa”. Muttan era una donna alta ed incredibilmente magra, con un volto bello, nonostante la smorfia di disgusto che portava in quel momento, e una chioma di capelli neri e ricci molto ben curati. Aveva due labbra sottili, spesso strette in un'espressione di perenne fastidio, e un naso aquilino che dava al suo volto una vaga idea di discendenze nobili, che invece non possedeva minimamente. Nonostante alcuni capelli bianchi, e delle piccole rughe attorno agli angoli della bocca, che tradivano la sua età, era ancora una donna molto avvenente.

Al contrario Quashar, sua sorella minore, era più bassa e con un po' di carne dei punti giusti che la rendevano più 'morbida' un po' in tutto. Aveva un volto gioviale ed allegro, benevoli occhi castani, ed una bella chioma di capelli color miele che le scendevano fino alle scapole.

Nonostante le profonde differenze di carattere ed aspetto, le due sorelle si volevano bene, ed ormai vivevano insieme da quasi dodici anni, precisamente da quando i loro mariti erano morti in battaglia. Da allora, per le due sorelle, la guerra che si stava consumando ormai da decenni fra i ribelli ed il Governo Mondiale aveva perso ogni interesse.

Neyna snudò i candidi denti in un suadente sorriso all'affermazione della mora. Sapeva quanto tenesse Muttan all'etichetta, ma nonostante tutto, provocarla era una tentazione a cui difficilmente riusciva a resistere.

“Il mio è affetto.” rispose in maniera scherzosa. “E poi, anche tu non sei la brontolona che fingi di essere.”

La smorfia di Muttan si addolcì leggermente. Tuttavia, per evitare che anche le altre se ne accorgessero, se ne tornò in casa in fretta e furia.

Neyna e Quashar scoppiarono a ridere.

“Muttan-yan non cambierà mai.” mormorò con un sorriso sulle labbra l'albina.

“A proposito, che cosa ti porta da queste parti Neyna-san?” domandò Quashar.

Con uno sbuffo l'altra indicò la fila di uomini che sfilava dietro di lei.

“Faccio sudare qualche recluta.” dichiarò sorridendo. “Da quando sono tornata dal North Blue mi annoio, così mi diverto a rendere la vita difficile ai pivelli.”

“Non cambierai mai.” dichiarò con tono preoccupato. “Non sei capace di startene buona.”

Il sorriso sulle labbra di Neyna si fece più marcato.

“Del resto, mi ricordo che da piccola eri un vero terremoto. Non stavi mai ferma! I tuoi superiori non sapevano più cosa fare con te!”

“A proposito di guastafeste” la interruppe l'altra con un sorriso bonario. “Dove si trova quella piccola pesta di Kinji?”

 

 

Monkey D. Kinji stava osservando, con aria stupita, il mare dall'alta scogliera grigia che sorgeva poco fuori dal villaggio. Il mare lo aveva sempre affascinato, nonostante certe volte immaginare la sua immensità lo aveva fatto rabbrividire. Seduto con le gambe distese sulla rada erba che cresceva tra gli scogli, il ragazzino mangiucchiava una canna, immaginandosi immerso in splendide avventure.

Chissà come deve essere navigare per mare. pensò con lo sguardo, nero come la pece, perso nella linea infuocata dell'orizzonte. Deve essere bello affrontare pericoli immensi e mostri selvaggi. Senza contare i pirati! Combattere contro di loro per la propria vita e per quella dei propri amici...sarebbe un'avventura fantastica!

“Sempre qui a fantasticare, eh?”

Kinji sobbalzò, girandosi di scatto. Ma quando osservò a chi apparteneva quella voce, il ragazzino spalancò la bocca in un grande sorriso.

“Neyna!” urlò saltando in braccio alla ragazza. Quest'ultima lo sollevò senza alcuno sforzo per un braccio, glielo torse, e lo buttò a terra con forza.

“Prima regola per sopravvivere?” domandò con un sorriso.

“Mai abbassare la guardia!” esclamò Kinji senza aver riportato alcun tipo di ferita.

La ragazza accentuò il proprio sorriso e lo rilasciò. Questa volta, il tentativo di Kinji di abbracciarla ebbe buon esito. L'albina lo strinse forte, avvolgendolo con il suo mantello.

“Bleah!” esclamò lui arricciando il naso. “Da quanto tempo non lo lavi?”

Neyna fece finta di pensarci su un po'.

“Direi...un paio di mesi.”

“E continui a mettertelo come se nulla fosse?!” domandò sbigottito Kinji.

Per tutta risposta, la guerriera gli agitò l'arruffata chioma nera con una mano.

“Se anche tu avessi solo questo non faresti tante storie, lo indosseresti e basta.”

“E perchè non lo lavi?” domandò il moro.

La ragazza gli si avvicinò con fare misterioso.

“Non ne ho voglia.” gli sussurrò all'orecchio con la faccia di una che aveva appena rivelato un grande segreto.

La risposta piacque al ragazzino che scoppiò a ridere.

“Cosa ti porta qui?” domandò una volta che la sua ilarità si spense.

“Niente di che, solita routine.” fece lei. “Tu invece sei diventato un ometto ormai.”

Kinji divenne rosso in viso.

“Ho dodici anni ormai, quasi tredici...” borbottò imbarazzato. “Non devi prendermi in giro.”

“E chi lo sta facendo? Ormai sei grande! Pensa che, tra un annetto, potresti arruolarti anche tu. Che ne dici, ti va l'idea?”

Il sorriso sul volto del giovane si spense in parte.

“Non saprei...non so se sarei tagliato per entrare nell'Armata.”

“Secondo me ci staresti bene.” continuò la ragazza accarezzandogli il volto. “E' una vita un po' dura, ma bella. Dovresti provarla.”

“Ci penserò...” rispose borbottando il ragazzino.

“Sarebbe una buona cosa a mio avviso. Le zie mi hanno riferito che i tuoi studi non vanno molto bene. E senza istruzione puoi fare solo due cose nella vita: il soldato o il pirata.”

“Le zie non sanno mai farsi gli affari loro...” disse cupo il moro. “E comunque a me fare il pirata non mi va. È una vita stupida. Perché bisogna rischiare la propria vita per un po' di soldi?”

“Già...perché?” gli fece eco l'albina giocherellando con i capelli di lui. “Spesso le persone si comportano in modo strano Kinji.”

Stettero in silenzio per qualche minuto, ascoltando l'infrangersi delle onde sugli scogli sottostanti, ed il malinconico canto dei gabbiani sopra di loro.

“Devo andare.” disse infine Neyna alzandosi e levandosi la polvere dal mantello.

“Di già?” domandò deluso il ragazzino. “Speravo che mi raccontassi una delle tue avventure.”

La ragazza sorrise comprensiva.

“Mi dispiace, ma oggi non ho proprio tempo. Ti prometto però che la prossima volta che ci vediamo ti racconterò tutto quello che mi è capitato nel North Blue.”

“Ci conto! Ciao!” urlò felice Kinji agitando la mano. Neyna rispose frettolosamente al saluto, poi si volse e si mise a raggiungere il plotone delle reclute lungo la strada.

 

 

Quando arrivò alla base il mattino dopo, la ragazza era parecchio indolenzita per la marcia notturna a cui aveva costretto le reclute a sottoporsi. Con il senno di poi, l'albina ammise che non era stata una grande idea, visto che ora, pur avendo raggiunto la base con un giorno d'anticipo sui piani di allenamento previsti, aveva almeno dalle sei alle sette ore di sonno arretrato.

Con uno sbadiglio Neyna entrò nella propria stanza, liberandosi del mantello e buttandolo di malagrazia sulla sua brandina. Dopodiche, si liberò del corpetto di pelle nera e dei pantaloni dello stesso materiale, liberando un corpo magro e atletico. Subito dopo, si buttò addosso una tinozza di acqua ghiacciata, liberandosi dello sporco e del sudore accumulatisi nel corso degli ultimi giorni. La ragazza trattenne bruscamente il respiro nel sentire la pelle punta da centinaia di spilli ghiacciati, tuttavia, qualche minuto dopo, la sensazione di fresco che le invadeva il corpo prese il sopravvento sulla pelle d'oca che le ricopriva le braccia.

Soddisfatta, Neyna si asciugo e si rivestì. Stava per buttarsi a letto, approfittando della giornata libera che aveva guadagnato con la sua marcia notturna, quando qualcuno bussò alla sua porta.

Il suo primo desiderio fu quello di sguainare una delle sue katane per sgozzare il bastardo che osava disturbarla, ma poi si trattenne e chiese ad alta voce chi era che le rompeva l'anima.

“Soldato semplice Kajurno! Ho un messaggio da parte del Comandante Johan, richiede la vostra presenza nel suo ufficio, capitano!”

Neyna sospirò. Poi, maledicendo profondamente Johan, si alzò di malavoglia dal letto su cui si era appena seduta.

Non c'è mai pace in questo posto!

 

 

E così tu sei la nuova recluta?”

E' così, c'è qualche problema?”

Un ghigno comparve tra le labbra dell'uomo.

Sei un'albina.” osservò con voce lievemente sarcastica.

Il culo te lo faccio lo stesso, stronzetto.”

Una risata allegra aleggiò sul campo di addestramento.

Sono proprio curioso di sapere come ci riuscirai ragazzina.”

 

 

Camminava per i corridoi della base con fare annoiato, lasciando che le sue gambe si muovessero a memoria. Ricordava bene il suo primo incontro con Johan, quasi dieci anni fa. Da allora lei ne aveva fatta di strada, ma il suo rapporto con quell'uomo non era mai cambiato. Erano sempre a punzecchiarsi a vicenda, godendo della vicinanza dell'altro, ma allo stesso tempo sopportandosi a fatica.

Sospirò, domandandosi cosa accidenti volesse Johan da lei. Conoscendolo, era capace di convocarla solo per il gusto di romperle le scatole, e toglierle quelle poche ore di sonno che aveva ancora a disposizione.

Ma se è così, giuro che comandante o non comandante lo ammazzo a mani nude.

Una volta arrivata a destinazione, Neyna aprì la porta senza bussare, fregandosene altamente del regolamento. Con lui non esistevano regole.

“Allora, cosa vuoi?” domandò immediatamente andando a sedersi sulla scrivania che si trovava in mezzo alla stanza.

Johan era un uomo vicino alla quarantina, con corti capelli castani, occhi dello stesso colore, ed un fisico muscoloso. Aveva un bel volto, con le guance coperte da una barba rada e un naso diritto. Essendo a petto nudo, il suo torace metteva in luce numerose cicatrici, tra cui una, enorme, all'altezza dello stomaco, che raffigurava vagamente un cerchio, con filamenti biancastri che partivano in ogni direzione, quasi che quacuno gli avesse spento una sigaretta sul petto tracciandogli un cerchio imperfetto con la brace.

In quel momento, il comandante aveva appoggiate le gambe sulla propria scrivania, mentre con la mano sinistra, mancante dell'anulare, reggeva una bottiglia di sakè mezza vuota. Ad eccezione del mobile e di un paio di sedie, l'ambiente circostante era vuoto e spartano.

Johan osservò la ragazza sedersi sulla propria scrivania, ignorando palesemente la sedia libera che c'era davanti a lui. Constatò che la ragazza non cambiava mai il suo atteggiamento di perenne sfida contro il mondo.

“Non posso desiderare di vedere un capitano che sta sotto il mio comando?” domandò bevendo un nuovo sorso di liquore.

“Senti, ti conosco Johan. Dimmi che vuoi, e facciamola finita. Sono stanca, e stamattina non ho voglia di giocare.”

Un sorriso andò ad increspare le labbra dell'uomo.

“Come mai hai avuto tutta questa fretta nel ritornare alla base? Già stanca del tuo nuovo compito?”

Ti piacerebbe, vero? “Avevo solo voglia di tornare. Mi ero stancata di passare le giornate ad osservare pivelli che ansimano per la fatica.”

“Parole non degne di un capitano dell'Armata. Chi ti nominò quella volta? Un vecchio libertino ubriaco?”

L'albina sospirò profondamente, cercando di radunare tutto il proprio autocontrollo. Poi, quando era sicura che non gli avrebbe urlato parole impronunciabili, si azzardò ad aprire bocca.

“Johan, te lo chiedo un'ultima volta, poi giuro che me ne vado, che cosa vuoi?”

Con un brusco movimento della mano destra, quasi impercettibile all'occhio umano, il comandante tirò fuori una pergamena da un cassetto della scrivania, porgendolo alla sua sottoposta.

“Leggilo.”

Neyna lo lesse attentamente. Più andava avanti nel leggerlo, più la sua fronte si increspava di piccole rughe.

“Cosa significa tutto questo?” domandò alla fine restituendolo.

“Significa che nel North Blue le cose vanno male.” replicò secco Johan. “I paesi che avevano conquistato la libertà negli ultimi tempi stanno ricadendo uno dopo l'altro sotto il giogo del Governo Mondiale. Sembra che la Marina stia invadendo di navi e truppe quelle acque. Anche l'altra settimana, Smoker ha inviato tre contrammiragli e cinque corazzate da guerra.”

Neyna annuì. Improvvisamente la sua stanchezza era scomparsa, lasciando spazio ad una mente lucida ed attenta. Se la Marina puntava così tanto a riprendersi il pieno controllo del North Blue, ciò significava che forse in quelle acque c'era qualcosa a cui tenevano parecchio.

Ci sarebbe da chiedersi cosa però...

“Chi comanda la Marina laggiù?” domandò infine.

“Il vice-ammiraglio Helmeppo ha il comando della missione di riconquista, ma per adesso non si è ancora spinto in quelle acque, lasciando il campo ai suoi sottoposti. Il che è una fortuna: i nostri laggiù non sono preparati ad affrontare un combattente di quel calibro.”

L'albina annuì nuovamente. Era stata di recente da quelle parti e sapeva che la maggior parte degli uomini erano combattenti semplici, che non avrebbero avuto la minima speranza contro un vice-ammiraglio del calibro di Helmeppo. Anzi, cominciava a sospettare il perché Johan l'avesse chiamata subito dopo il suo ritorno.

“Vuoi che ci vada io? Conosco bene la situazione laggiù, e potrei organizzare in breve tempo una strategia controffensiva.”

Il comandante si limitò a scuotere il capo, lasciando sorpresa la ragazza.

“Perché no?” Non ti fidi di me, per caso? Non mi reputi forse all'altezza?

“Devo ancora parlarne con il Comandante, solo dopo prenderemo una decisione, ma sospetto che voglia mandare qualche pezzo da novanta da quelle parti.”

“Quindi, potrebbe anche scegliere...te?”

“C'è questa possibilità.”

Subito dopo, il silenzio cadde nella stanza, lasciando ognuno perso nei suoi pensieri. Neyna si accorse, con sorpresa, che il pensiero di Lui in guerra l'ha incupiva. Sapeva che era un grande guerriero, un reduce delle grandi guerre, ma non riusciva a tranquillizzarsi. Si sarebbe sentita più al sicuro se avesse potuta accompagnarlo.

Pazzesco. Passi la maggior parte del tempo ad offenderlo, ed adesso vorresti accompagnarlo in battaglia?

“E che mi dici del tuo amichetto? Kinji?” domandò ad un tratto Johan, mentre terminava la sua bottiglia con un unico, grande sorso.

“Che vuoi sapere di lui?” chiese guardinga l'albina. Che vuoi da Kinji?

Un sorriso sornione spuntò sulle labbra dell'uomo.

“Ho saputo che avete legato molto ultimamente.”

“Cosa c'è? Sei geloso?” domandò sprezzante la ragazza.

“Conosci bene anche tu la storia del nome che porta, quindi non cercare di non capire.” continuò Johan. “Quel ragazzo ha un dono che gli scorre nelle vene, il sangue di un individuo eccezionale.”

“E' solo un ragazzino Johan, non pensi che dovrebbe scegliere lui cosa fare delle sua vita?” Come possiamo parlare di libertà se poi obblighiamo un bambino ad arruolarsi?Qual è a quel punto la differenza tra noi e coloro che combattiamo?

“Io non obbligo nessuno.” si difese il moro. “Semplicemente penso che quel ragazzo, volente o nolente, giocherà un ruolo fondamentale nella nuova era che verrà.” successivamente, Johan portò la mano destra di fronte alla ragazza, sollevando tre dita.

“Tre? Che vuoi dire?” domandò perplessa lei.

“Tre è il numero che il mondo aspettava. Tre è il numero perfetto.” dichiarò con voce pacata ma trepidante di emozione il comandante. “Pensaci Neyna. Rifletti. C'è ne sono stati due fin ora, ma non sono mai riusciti a liberare questo mondo. Non pensi che il terzo sarà colui che arriverà dove gli altri hanno fallito?”

La guerriera spalancò la bocca, ammutolità all'idea che Kinji potesse compiere tali azioni.

“Ma è...” folle, assurdo, impossibile. E' del tutto impossibile che Kinji possa diventare un mostro.

“Lo so, è folle pensarlo.” proseguì l'uomo. “Ma se è stato allevato qui, a Baltigo, un motivo c'è. Il nostro Comandante tiene molto a lui, e spera che un giorno possa diventare la nostra speranza.”

“Che possa diventare...” sussurrò l'albina, terrorizzata all'idea. “Il...il...”

“Sì...proprio così.” concluse il guerriero. “Sarebbe il bene più grande che questo mondo potrebbe ottenere.”

“Ed è per questo” aggiunse subito dopo sporgendosi verso la sua sottoposta “Che presto lo metteremo alla prova. Vedremo se ha la stoffa che aveva suo padre.”

Suo padre.

A sentire quella parola, Neyna rabbrividì. Il solo pensare a quell'uomo le metteva una soggezione assoluta. Era stato qualcosa ai limiti dell'impossibile ciò che quell'individuo aveva compiuto, quasi non fosse stato un comune essere umano, ma un semidio disceso sulla Terra per scatenare il caos. Solo dopo qualche secondo, la ragazza pensò alle ultime parole del suo superiore.

“Lo vuoi mettere alla prova?”

“Sì.” dichiarò con tono grave l'uomo. “Ormai i tempi sono giunti. Kinji non può più aspettare. Deve accettare la sua eredità, volente o nolente.”

 

Accettare la sua eredità.

 

Quelle parole accompagnarono Neyna anche parecchie ore dopo quando, di ritorno nella sua stanza, cercò di riposare. Ma ogni suo tentativo fu inutile: l'albina si limitò a girarsi inutilmente nel letto, in preda ai propri pensieri.

Eredità. Johan l'ha chiamata così, ma si può definire una cosa del genere eredità? Come si può condannare un ragazzino ad un destino tanto impervio e faticoso contro la sua volontà?

Tentò di conciliarsi il sonno girandosi per l'ennesima volta. Ma fallì anche questa volta. La sua mente era rivolta alle ultime parole che aveva scambiato con il suo vecchio amic.

Tre è il numero perfetto...non pensi che possa riuscire dove gli altri due hanno fallito?...potrebbe diventare il più grande bene di questo mondo.”

Kinji pensò la ragazza mentre prendeva a pugni il cuscino per renderlo più morbido. Che razza di destino ti attende, amico mio?

 

CONTINUA

 

Preciso subito che questa è una storia molto lunga, a cui, per vari motivi di carattere personale, non so se riuscirò a dedicare il tempo necessario in maniera costante. Pertanto è probabile che tra un capitolo e l'altro possa trascorrere del tempo. Mi scuso fin da subito con tutti coloro che avranno intenzione di seguire questa storia.

Un saluto!

Giambo

 

  
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