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Autore: Black_in_Pain    18/06/2014    4 recensioni
“Dopotutto, è vero, non sai cos'hai finché non lo perdi.
Finché non lo perdi."
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E' difficile comprendere quanto alcuni aspetti della nostra vita siano importanti per noi. A volte, l'unico modo per capirlo, è quello di lasciarli andare, perderli e desiderare di riconquistarli.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chester Bennington, Mike Shinoda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ps: questa è la prima volta che scrivo qualcosa sul Bennoda e mi auguro con tutto il cuore di non aver elaborato un completo disastro. Spero vogliate darmi il vostro parere o, ancora meglio, un consiglio! Mi scuso anticipatamente per eventuali errori, che di certo non mancheranno. Grazie a chi legge e vorrà recensire. 
Buon proseguimento.




 

“'Cause you don't know what you've got
Until it's gone
 'Til it's gone..."

Linkin Park- Until it's gone.
 
 
Until it’s gone
 
 
L’odore di fumo aleggia per tutta la casa, arrivandomi alle narici ogni volta che inspiro. L’istinto di aprire le finestre è forte, nonostante ci abbia fatto l’abitudine. Normalmente lo farei, ma stavolta no.
Arieggiare l’ambiente significherebbe lasciarlo andare, e questo non me lo posso proprio permettere. L’unica cosa che mi resta di lui, ora, è l’aroma inteso e corposo di sigarette, quelle che gli piacciono tanto e che io invece non sopporto.
Farlo scemare all’aria fresca della mattina, disperdendosi poi per le strade della città, mi sembra uno spreco ingiusto. Qualcuno potrebbe respiralo, captarlo, senza apprezzarne il reale significato, senza capire quanto sia prezioso. Solo io so a chi appartiene, cosa rappresenta. Perciò ho deciso che, a costo di rimanere senza fiato, starò chiuso in casa, ad assaporarne l’essenza.
Mi godo i particolari che questo comporta, come i ricordi della sua passata presenza. Sono dappertutto e li osservo sospirando e sorridendo all’unisono: i piatti sporchi, le lenzuola sgualcite, la doccia usata e ancora profumata di bagnoschiuma…
Sono così rapito, che penso di vederlo addirittura camminare in salotto, con addosso i suoi soliti jeans stretti, che si spettina i capelli bagnati. Lo guardo, già. O almeno è quello che farei se fosse qui. Mi sorride storto, accorgendosi del mio continuo scrutare, e mi fa pure il dito medio, con la sua solita ironia delicata. Vorrei parlargli. Sto per farlo, ma, appena in tempo, mi fermo, accorgendomi che è solo un fantasma, un’immagine crudele, visualizzata dai miei occhi stanchi e provati.Un’allucinazione.
Nonostante sappia tutto questo, prego che la sua figura non scompaia, rimanendo a farmi compagnia finché il vero lui non tornerà. Mi sento patetico, però va bene. Non sono il tipo che si accontenta, eppure proverò a fare un’eccezione.
Cosa penserebbe di me, se mi vedesse in queste condizioni? Ne sarebbe fiero, lusingato? Bhe, certo. Dopotutto, la sua personalità è così ambigua, schietta e megalomane. Mi affascina anche per quello.
Raggiungo la cucina e la trovo naturalmente in disordine. E’ un altro luogo sfortunato, che ha avuto la disgrazia di ospitarci. Ci siamo davvero sbizzarriti. Lui si è sbizzarrito.
Un profumo delizioso mi raggiunge. Forse è un’impressione, ma appena lo percepisco la sua ombra si materializza di nuovo davanti a me. Ha un’ espressione compiaciuta e sorride estasiato, poi diventa subito serio, impegnato a non perdere d’occhio ciò che sta preparando per me. Sa tutto quello che non mi piace. Anche se tende a dimenticarselo, di proposito.
In un attimo sono solo con me stesso. Non c’è più nessuno che cucina. Nessuno che schiamazza. Ci siamo solo io e la malinconia.
Devo pulire e infatti pulisco. Abbiamo pulito tante volte insieme, questa volta no.
Mi sento stanco, non lo intravedo da nessuna parte. Magari,  dormire mi aiuterebbe, stanotte non l’ho fatto… non come avrei dovuto, almeno.
Infatti, appena finisco, cammino svogliato fino alla camera. Mi siedo sul letto, che immancabilmente scricchiola sotto il mio peso, e resto immobile a scrutare la parete. C’è un mio quadro, appeso là. E’ cupo, distorto. Pensavo a tutto e a niente quando l’ho dipinto. Lui lo analizza sempre con cura quando entra qui. E’ un gesto abituale, entrambi ci siamo rassegnati all’idea di essere spiati da un disegno. Stringo forte il lenzuolo bianco, quello preferito da Anna e le chiedo mentalmente scusa. Anche non volendo, la trattengo nei miei rimorsi, come un qualcosa che dovrei omettere, ma che alla fine non trovo il coraggio di dimenticare. Lei è dolce, è madre. E’ mia moglie.
Pare un campo di battaglia. Io sono un anonimo pedone e mi trovo sovrastato dal re e dalla regina, che lottano per mangiarmi. Cambiano solo le modalità con cui i due provano a raggiungere l’obbiettivo. Una è delicata, si muove innocente, arrivando a me aprendo le braccia. L’altro è impetuoso, maleducato. Mi agguanta in malo modo, spalancando le fauci, pronto a divorarmi.
No, non è giusto inserire Anna in questa partita così crudele. Lei non sa in che gioco è costretta a partecipare. Eppure rimane pur sempre la regina. Sì, una regina ignara e inconsapevole.
Sono così esausto che finisco per cadere all’indietro senza nemmeno accorgermene. Adesso è il soffitto che guardo. Fortunatamente, non c’è nessun altro quadro inquietante a farmi compagnia dall’alto. Mi rincuoro di questo e spingo il naso contro il materasso, inspirandone il profumo. Ci sono infinite combinazioni, che però riesco a distinguere singolarmente. Conosco perfettamente queste essenze. Sanno di vita. Sanno di noi.
In questo istante, in questa situazione così patetica, anche l’odore del nostro sudore, mi appare paradisiaco.
Per l’ennesima volta, mentre sono catturato dai ricordi, lui si fa vivo. Si presenta confuso, arruffato. Appena ridestato dal suo sonno leggero. Lo fisso mentre si alza dal letto e cammina nudo per la stanza, in cerca dei suoi vestiti. I tatuaggi pare si muovano in simbiosi con lui, simili a serpenti neri e colorati. Impreca, ancora mezzo addormentato, perché invece di trovare i suoi, di abiti, incappa nei miei. Ovviamente me li lancia, con finta irritazione. Adesso dovrebbero arrivarmi diritti in faccia, seguiti da una risata roca, però non avverto nulla incontrare il mio viso. Non c’è nessuna maglietta, nessuna felpa larga. Ovvero, ci sarebbero anche, ma  quello che manca è qualcuno che possa tirarmeli contro.
Lui non è realmente qui. 
Sospiro ma l’immagine non scompare, anzi, si fa più viva di prima. Allora ritorno seduto e vigile, valutando i gesti. Si avvicina furtivo, suadente, circondandomi il collo con le braccia. E’ fin troppo gentile. Troppo, già. Si vede che è tutto frutto del mio subconscio. Sono io a volere una cosa simile. Sono io a desiderare che mi tratti in questa maniera. So che lo fa, a volte. Ma ci vuole preparazione, lo devo stancare, prosciugare, portare al mio livello. Solo in quel momento, in quello soltanto, posso concedermi una tale benedizione. E lui si lascia fare, imbarazzato. Siamo uomini, dopotutto.
Accarezzo i suoi capelli corti e ricci, che lascia crescere per me. Poi passo alla schiena, ai fianchi. Sento i brividi, suoi e miei.
«Mike…» un sussurro.
Mi ridesto. Sto stringendo l’aria. Il mio stesso ossigeno.
Chiudo ancora un secondo gli occhi. Tempo di posare le mie labbra sulle sue, mentalmente, poi li riapro. Li trovo lucidi e appannati e rimedio abbastanza velocemente asciugandoli con il palmo della mano.
Sto riflettendo sull’idea di recarmi in bagno. Magari, entrando nella vasca, le scene di noi due, lucidi e bagnati, mentre ci passiamo la saponetta a vicenda e ci scambiamo occhiate maliziose, mi raggiungeranno anche lì. Eppure, non lo faccio. Al contrario, mi alzo, arrivo davanti all’entrata di casa e, con la porta di fronte, mi fermo. Non credo di poter sopportare di più. Basta ricordi, basta allucinazioni.
Alla fine, contro la mia volontà, proprio quando sto per toccare la maniglia, lui mi precede, stringendola con forza, e, prima di uscire, mi trafigge con i suoi occhi scuri.
Ho sempre pensato  avesse la guerra, in quegli occhi.
Si infila gli occhiali da sole, sistema la giacca di pelle nera e accende una sigaretta, l’ennesima. Volta il viso definitivamente e sorride storto, con un retrogusto amaro nell’espressione. E’ quella l’espressione che gli ho visto fare. Era quello il suo volto, quando mi ha salutato l’ultima volta.
E’ come se mi dicesse addio. Come se non potesse più tornare da me, ma sa che lo farà comunque.
Adesso potrei dirgli le cose, le piccole cose, che non sono riuscito a dire quando era veramente qui, in carne ed ossa. Però anche il suo fantasma mi fa paura e la voce, di conseguenza, non esce.
Lo lascio andare. Come l’ho lasciato andare in precedenza.  
Corre veloce in strada, i jeans stretti, sempre quelli, lo avvolgono alla perfezione. Lo amo anche mentre fugge da me, provando a dimenticare quello che c’è stato. Quello che abbiamo fatto.
Avrei l’occasione di raggiungerlo. Non lui, non questo colone. Quello vero, intendo. Potrei salire in macchina, prendere la prima strada a sinistra, accelerare come non ho fatto mai e capitare sotto casa sua. Sua moglie mi chiederebbe cosa ci faccio lì e non le mentirei, non di nuovo. Mentre lei piange io lo raggiungerei, per poi stringerlo. Lui stringerebbe me, rimanendo senza respiro, senza fiato. E tutto finirebbe bene. Un bene che in verità è male.
Invece, no. Chiudo la porta, la chiudo bene a chiave, e con essa il mio cuore. E’ tardi, ormai, pur essendo mattina presto. Sarà tra le braccia di lei, avvolto dal suo profumo. Tanto forte da coprire perfino il mio, che gli è entrato nella pelle in tutti questi anni. E’ un gesto consapevole. Comprendo ciò a cui sto rinunciando. Sono consenziente.
Sorrido e immagino ancora una volta, in conclusione, il suo corpo che si muove veloce per raggiungere la sua auto e scappare via da questa casa. E’ bello. E’ andato. Forse non tornerà.
«Chez…» sospiro. Qualcosa si bagna, e non è l’asfalto colto impreparato dalla pioggia.
Dopotutto, è vero, 
non sai cos'hai finché non lo perdi. Finché non lo perdi. 



Eccoci qua! Oddio cha ansia... Spero che vi sia piaciuta. Ero sempre stata indecisa sul pubblicarla o meno. E' rimasta nel mio computer per così tanto e alla fine ho trovato il coraggio... Questo lo devo sopratutto a una presona che mi ha spinto a farmi forza e che spero recensirà e apprezzerà il mio lavoro. Bhe, che dire, incrocio le dita e spero bene. Vorrei scrivere altro su di loro (li amo), ma se non lo ritenete opportuno, ve lo risparmierò!
Un bacio e grazie per aver letto questo disastro...
Pain! 
  
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