*%*%* Salve, carissimi!
Chiedo venia, ma ho scritto una nuova Shot. Non è nulla di
che, e lo so.
Ma, davvero, l'ho scritta di getto. Quando scrivo di getto il mio
lavoro è
sempre pessimo -.-
Comunque, spero l'apprezzerete.
Mi sto specializzando in gift-fic, e questa non fa assolutamente
eccezione.
Una KogaXAya dedicata a Aryuna. Ary è un
vero tesoro, mi supporta sempre
e mi aiuta. E' una persona gentilissima, che merita fan fic molto
più belle di
quelle che io so scrivere. Ma questo penso sia il mio massimo.
La frase di apertura, come ho scritto, proviene da Full Moon, manga per
cui io
e Ary-chan stravediamo letteralmente. Spero vi piaccia ^^.
E commentate! XD
Ciao a tutti!
[Mini revisione del
03/04/10]*%*%*
Il
telefono.
[Di Ayame, Koga e tante cavolate.]
«Ricordo tutte le
emozioni che mi hai trasmesso.
Nonostante il mio cuore soffra in silenzio...
... quando penso a te, si colma di dolcezza.
Il tempo delle lacrime ormai è finito.
Rimproverami con tenerezza, mentre sussurri al vento che spazza la
città, agli
specchi d'acqua e ai ciliegi che fioriscono di notte...
affinché io possa finalmente sorridere, anche solo per un
attimo».
(Full Moon Wo Sagashite -
volume 2 - capitolo 6)
«Salve,
gente! La vostra Aya non è a telefono, ma
non dovete disperarvi, anzi. Lasciate un messaggio dopo il segnale
acustico e
sarete prontamente richiamati, meow!».
Ok.
O andava, o avrebbe anche potuto ritirarsi. Era l’ultima
spiaggia, insomma.
«Pronto?
Ayame, sono Koga. Ehm, ciao. Sai che non so
neppure bene perché ti ho chiamato?». Prese fiato,
perplesso. «O, meglio... So
perché ti ho chiamato, e so di aver
fatto una cazzata. Dovrei attaccare e far finta di nulla, lo so. Ho
già
rovinato abbastanza la nostra amicizia. Ma non ce la faccio».
Ecco,
era arrivato il momento patetico.
…evviva.
«Devo parlarti. E scusarmi, perché ti ho ferita
nel profondo, oggi, sebbene sia
stato il tuo sorriso a tirarmi su negli ultimi tempi»,
biascicò. Si grattò
appena il capo, indeciso sul cosa dire. Poi prese fiato: «
Sono seduto sulla
scala di marmo di casa mia, quella esterna – ricordi le varie
cavolate che ci
facevano da bambini? E quando cadevi, e ti sbucciavi le ginocchia, ed
ero io a
doverti rialzare?». Ridacchiò. «Ho i
capelli bagnati dalla pioggia incessante
e, beh, ringrazio l'acqua che cade dal cielo. Nasconde le, ehm, fare il teatrale non è proprio la mia
specialità, lacrime che continuano a solcarmi le
gote».
Okay,
forse il momento peggiore era passato. Ma Ayame
l’avrebbe preso in giro a vita, e non sarebbe stato
granché piacevole.
«Sei sempre stata una costante fonte di felicità,
sai?», balbettò imbarazzato.
«Sempre. Non c'è mai stato un giorno in cui il tuo
volto abbronzato – dannata tu
che ti fai tutte quelle lampade e poi prendi in giro me! –, i
tuoi capelli
scarlatti e i tuoi occhi smeraldo non mi abbiano tirato su di
morale»,
aggiunse, «peccato io sia un idiota».
Uhm.
Forse i pezzi imbarazzanti non erano ancora
definitivamente finiti, e forse le ragioni per cui Ayame
l’avrebbe potuto
prendere in giro erano ancora parecchie. Argh.
«Ho inseguito costantemente una ragazza
che non mi amava, l'ho braccata,
ho provato a farla innamorare. Ma non è
servito a nulla. Lei amava un
altro – beh, ovvio. Baka io che mi sono illuso».
In
realtà, pur essendo conscio di non aver mai amato
realmente Kagome, l’argomento bruciava ancora –
Koga prese fiato, cercando di
calmarsi. Meglio non mostrarsi agitati.
«Nella mia buca delle lettere, due mesi fa, ho trovato
l'invito al loro
matrimonio, qualcosa che suonava come: Kagome Higurashi e
InuYasha no Taisho
sono felici di annunciare il loro matrimonio, e la invitano
cordialmente alla
cerimonia che si terrà
– boh, non
l’ho letto. Però, sai che ho deciso di
andarci?».
Ecco,
nuovo momento
ridicolo.
«Dopo
tutte quelle scenate che ti ho fatto, dicendo
che quel coglione poteva risparmiarsi questa cavolata di invito, e che
poteva
ficcarselo – sai dove, no? –, il suo invito, ho
deciso di andarci comunque. Ho
comprato un regalo – un costosissimo regalo, un bel regalo,
un regalo perfetto,
e andrò al matrimonio del mio migliore amico».
Però
bruciava parecchio, l’ultima affermazione.
Parecchio-parecchio.
«Il mio migliore amico, quello che mi ha rubato il mio primo
amore,
InuYasha-lo-sfigato. Ti rendi conto, Ayame, di quanto io sia un caso
disperato?
Ah, sì. So che sto
parlando di
fretta. Ma scusa, il tempo è limitato, non ho fatto che una
minuscola ricarica
ed io ho tante – troppe, volendo essere sinceri –
cose da dirti. Così continuo
a parlare a ruota libera. E uhm, scusa».
Deglutì.
«Volevo, non so. Scusarmi? Oggi sono stato un bastardo, nel
vero senso della
parola, e non è vero che non ti amo e che sei una
rompiscatole, non è affatto
vero. Ma mi hai preso alla sprovvista, dai! Insomma, non puoi afferrare
il
braccio – cioè, mi hai strattonato!
Hai iniziato a tirarmi! Come avrei dovuto reagire?».
Argh,
nuovo momento imbarazzante, nuovo momento
imbarazzante! Ayame l’avrebbe davvero, davvero, davvero preso
in giro, questo
era certo.
«Ti ho detto tutto quello che mi passava per la mente, e ho
finto di odiarti. Perché,
sai?, quelle sono le parole che desideravo mi dicesse Kagome.Quando mi
ha
rifiutato, lo ha fatto con una dolcezza infinita – e la cosa,
checché se ne
possa dire, è stata tutto fuorché piacevole. Mi
ha illuso, quando mi sono
trovato davanti l’invito per poco non sono impazzito
e… avrei preferito un
taglio netto», aggiunse, «e mi sono sfogato su di
te. Io… Ti amo. Scusa».
Argh.
*
Spinse
nuovamente il tasto replay con gli occhi lucidi,
inginocchiandosi accanto al tavolino su cui era poggiato il telefono.
Oh, Dio,
oh, Dio, oh, Dio, oh, Dio – stava andando in
iperventilazione. Dannato Koga.
Le
aveva detto: «Ti amo», quell’idiota. Quell’idiota le aveva detto:
«Ti amo».
Ebbe una fitta al cuore, iniziando a singhiozzare.
Era
un idiota patentato, Koga.
Afferrò
la borsetta, riversandone il contenuto sul pavimento,
e afferrò il pacchetto di fazzoletti, soffiandosi il naso.
Poi tirò le
ginocchia al petto, piangendo sul jeans nero, chiazzandolo di macchie
umide e
stringendo con forza tra le dita il fazzolettino umido.
Quel pomeriggio lui le aveva letteralmente spezzato il cuore.
E
adesso era innamorato di lei, o almeno così
diceva.
Un
singhiozzo le si formò in gola – era scappata via,
quando lui si era messo ad urlare, e per la prima volta non era stata
capace di
rispondere a quelle offese. Aveva pianto e nulla più,
perché le riusciva
difficile fare altro.
E
adesso era innamorato di lei, o almeno così diceva.
E lei lo avrebbe perdonato, dopotutto.
Lo faceva sempre.
Da quando erano bambini, e lui la faceva cadere, e lei si sbucciava il
ginocchio; oppure, come quando, per errore, le aveva versato l'intera
ciotola
di ramen sul vestitino nuovissimo.
Koga le faceva sempre male. La faceva sempre immensamente piangere.
Ma il suo dovere era perdonarlo, no?
Scattò su, aggiustandosi i codini ed afferrando il mazzo di
chiavi.
Era come una guerra tra loro: chi distoglie per primo lo sguardo perde.
E lei
non voleva perdere.
Smettere
di guardarlo sarebbe stato segno di resa –
osservarlo sarebbe stata una sfida. Non avrebbe ceduto, Ayame. Non
questa
volta.
Lei
vinceva, sempre.
*
«Ayame?».
Un passo, due, poi la donna sbucò fuori dalla cucina, un
piatto tra le mani e l’espressione
più pacata che Koga le avesse mai visto sul volto.
«Mh?».
«Tuo figlio», scandì lo youkai,
indicando una pila di giocattoli gettati sulla
sua poltrona preferita, «è il demonio. Il demonio,
dico!».
«Su, non lamentarti. Eichi ha il diritto di giocare, non
credi?».
Lui non controbatté, limitandosi ad uno sbuffo frustrato e
sollevando di peso i
giochi – salvo poi lasciarli rumorosamente cadere sul parquet.
Ayame
ridacchiò appena.
«Papà!». Un bambino dai capelli biondo
chiaro e gli occhi marroni arrivò di
corsa. Sembrava irritato, il pupo. «Chi – con che
– come hai osato?».
Koga, come sempre, sospirò. Lui e suo figlio erano l'uno
l'antitesi dell'altro:
lui moro, il piccolo biondo, lui con gli occhi azzurri, il figlio con
gli occhi
nocciola, lui con la carnagione scura, il ragazzino con la pelle
pallidissima.
…e
se non fosse stato per le orecchie a punta e la
coda – dello stesso marrone –, nessuno avrebbe
sospettato la parentela
strettissima. Eichi era anche un piccolo nanerottolo saccente, poi!
Sentì un leggerissimo rumore, e si voltò, appena
in tempo per evitare un
assalto di Momoko, la secondogenita – la
secondogenita che sembrava un piccolo uragano eccitato.
In
un angolo, sulla scrivania, c'era un piccolo
cellulare, vecchio di parecchi anni, intriso di ricordi.
Era il telefono con cui aveva chiamato Ayame.
Era il telefono che li aveva fatti mettere insieme.
Era il telefono.
E non se ne sarebbero mai più sbarazzati.
…o
forse sì?