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Autore: Sebs    19/06/2014    4 recensioni
In un universo dove si sa esattamente a che punto della propria vita si incontrerà la propria anima gemella, grazie ad un Orologio stampato sulla pelle che, nel momento della nascita, inizia il conto alla rovescia si muovono i nostri protagonisti: John aspetta con trepidazione quel momento, mentre Sherlock crede ci sia un errore, e che il suo Orologio sia solo un errore umano. Ma quando finalmente l'Orologio segnerà il secondo zero...
[soulbond!Johnlock con accenni di soulbond!Mystrade]
Genere: Malinconico, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harriet Watson, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando i suoi compagni di classe raggiunsero l'età per capirci qualcosa dell'amore (o almeno così sostenevano), anche lui iniziò a farsi qualche domanda. Come faceva quell'Orologio che aveva sul polso sinistro significare qualcosa? Così un giorno che sua sorella non aveva i lineamenti induriti dalla rabbia contro i loro genitori, John le chiese se poteva farle qualche domanda. Lei annuì, e John si disse che aveva scelto proprio il giorno giusto per parlarle: sembrava quasi allegra.
Harriet aveva iniziato le superiori quell'anno, e, tutt'insieme era cambiata. Non era più la ragazzina allegra che giocava volentieri con il suo fratellino che frequentava ancora le elementari, ma un'anima in pena che vestiva di nero e per comunicare gridava sbattendo la porta di camera sua.
Si sedettero sull'altalena, e Harry gli chiese cosa ci fosse che non andava.
-Harry, alcuni dei miei amici a scuola hanno l'Orologio bloccato.
-Intendi... Intendi l'orologio... Quell'Orologio?
John annuì, sbottonandosi il polsino della camicia. -Questo. Cosa vuol dire, Harry?
-Beh, tu hai presente mamma e papà?
-Sì.
-Anche loro ce l'hanno, no? Solo che anche a loro si è fermato. Quell'Orologio segna quanto tempo ti manca dall'incontrare la persona che sposerai. Per quello ad alcuni dei tuoi amici si è fermato. Vuol dire che hanno già incontrato la persona che sposeranno. E non hai idea di come ci si sente quando senti per la prima volta il suo nome, o quando pronuncia per la prima volta il tuo! È semplicemente fantastico.
John fissò il conto alla rovescia che non si fermava mai.
-Harry?
-Sì, Johnny?
-A te si è fermato già?
Harriet iniziò a dondolarsi.
-Sì. Si è fermato quest'anno. Il primo giorno di scuola.
 
-Cosa stai facendo, fratellino?
-Mycroft, sei tornato a casa?
-Già. A quanto pare, il college diventa stranamente vuoto, nelle vacanze di primavera. Allora? Cosa fai tutto solo nella biblioteca?
-Ricerche...
-Su cosa? Magari posso darti una mano.
Sherlock sorrise, sarcastico. -Non è un campo che ti riguarda. Sei... alquanto ignorante in materia.
-Davvero? Mettimi alla prova.
Sherlock si voltò, fissando il fratello negli occhi grigi. Aveva quasi sperato che, andando al college, non avrebbe dovuto più vederlo tutti i giorni gironzolare per casa. Non che fosse un fratello molto caloroso, ma di tanto in tanto ricordava la sua funzione di fratello maggiore e gli dedicava qualche attenzione. Sherlock sospettava che fosse semplice senso di colpa.
-Ricerca di Anatomia. Il sistema e il funzionamento degli Orologi. Prego.
Mycroft alzò le sopracciglia. No, non era proprio il suo campo.
-Puoi sempre tirarti indietro, Mycroft. Me la cavo da solo.
-Non è che ti si è fermato e vuoi solo risolvere i tuoi quesiti d'amore, piccolo Sherly?
-Oh, Mycroft, so cos'è il sesso e quello che viene frainteso con l'amore. È semplice chimica. E biologia. E un voto scritto a penna, che mi abbasserà la media se continui a disturbarmi.
Mycroft uscì in punta di piedi, e Sherlock copiò a penna tutto ciò che riuscì a trovare a proposito.
 
Con il passare del tempo, John vedeva sempre più persone con l'Orologio fermo, e ogni volta si sentiva più solo. Non era il solo, però, e il suo bel carattere attirava l'amicizia (e anche altro) del genere femminile.
Andava bene a scuola, e uno dei professori delle superiori lo aiutò a chiedere una borsa di studio per l'università di Medicina, così da poter sfruttare al massimo il suo talento.
Ma il suo punto fisso rimaneva l'Orologio, che puntava una data molto posteriore persino a quella della laurea.
Così, rassegnato da un'attesa così prolungata, firmò la domanda, e, poco tempo dopo, ricevette una risposta positiva.
Le mattine e i pomeriggi all'università erano intrise di studio, mentre le sere e i week-end erano liberi al divertimento. Molte volte si era trovato a stringere amicizie molto profonde con delle ragazze, ma, sebbene si frequentassero per lunghi periodi, queste dopo un po' decidevano che non era giusto, o che avevano incontrato il ragazzo giusto. Così, alla fine della giornata, John si trovava sempre solo, lui e quella laurea in Medicina.
 
-Mycroft, come va il college?
-Bene, padre. Gli studi procedono bene, e manca ancora poco per la laurea. I miei professori hanno persino detto che sarebbero fieri di aiutarmi a cercare un lavoro degno del mio impegno e dei miei voti a Buckingham Palace!
La loro madre gli sorrise, fiera, e Sherlock aggiunse:-Ti dai tanto da fare, con la penna e con la lingua, Myc, complimenti!
-Sherlock, ritira subito ciò che hai detto!
-No,- la interruppe il padre. -Tu Sherlock? Hai finito con questa storia dell'anno sabatico?
-Certo, padre. Ho in mente questo lavoro...
-Lavoro, Sherlock? Tutti gli Holmes vanno al college prima di prendere il loro posto nella società.
-Appunto, padre. Non voglio prendere il mio "posto nella società". Farò ciò che mi piace, magari migliorerà la qualità della mia vita. Quel college non ha fatto bene a nessuno di voi, mi pare.
-Sherlock, non ammetto questa impertinenza alla mia tavola.
-Volete che mi alzi e che me ne vada?-, disse, poggiando il tovagliolo sulla tavola e alzandosi.
-Sherlock, se te ne vai da questa tavola sarà per preparare la valigia e andartene via da questa casa. Siediti. Farai legge come tutti gli Holmes. Discorso chiuso.
-Sherlock, per favore, siediti-, lo supplicò sua madre.
Sherlock obbedì. Ma solo perché non aveva idea di dove sarebbe potuto andare a stare.
 
-Signor Watson, prego, si sieda.
Essere chiamati dal Rettore non era proprio un buon segnale. Di solito portava all'abbandono dell'università, e quando John fu chiamato nel suo ufficio sentì mancare il terreno sotto i piedi.
Il suo compagno di stanza, Mike Stamford, gli disse che magari non era niente di relativo all'università. John era uno dei migliori, magari avrebbe avuto una menzione speciale.
-Dai suoi documenti leggo che ha ricevuto una borsa di studio per accedere all'università, ma, vede, l'università, dopo aver aperto i campus si è trovata in una condizione economica... spiacevole. Capisce cosa sto cercando di dirle?
-Mi caccerete.
Non c'era esitazione nella sua voce. Era un dato di fatto, e non c'era niente che potesse fare.
Il Rettore abbassò lo sguardo. -Lei è uno dei migliori, troverà certamente una strada.
-No! Non la troverò, la mia famiglia, loro...
Pensò a sua sorella, e a come fosse autodistruttiva la relazione con quella donna di cui era innamorata dalle superiori. L'aveva portata sulla strada dell'alcolismo, e i loro genitori non avevano intenzione di vederla da quando avevano scoperto sia le sue "tendenze", sia le abitudini della sua compagna. L'Orologio ci aveva davvero visto bene? Com'era possibile che quello fosse amore?
Ma almeno lei aveva trovato qualcuno. John si sentiva ancora più infinitamente solo.
Il Rettore sospirò. -C'è un'altra opzione. Potresti... arruolarti. Ti danno la possibilità di studiare, ma alla fine del corso di studio, ecco, sei in trappola. Non approvo la loro politica, ma la loro preparazione è pari alla nostra, e capisco bene come sia sprecato il tuo intelletto in, diciamo, un lavoro comune. Ma sia chiaro: io non ti ho proposto questa alternativa e non ti sto passando un modulo d'iscrizione.
John nascose il foglio tra i suoi libri. -Grazie, signore. Grazie infinite.
 
-Mi ha chiamato, Lestrade?
-Sì, Sherlock. E, Greg, per favore.
-Sì, come vuoi. Parlami del cadavere. Anzi, non dire niente. Parlerà lui.
Sherlock s'inginocchiò vicino al corpo, e Lestrade alzò gli occhi al cielo. Quel ragazzo sì che era un bel tipo.
La prima volta che lo aveva visto stava correggendo uno degli Ispettori Capo di Scotland Yard, quando era ancora un semplice poliziotto. E quelli si trovarono a dover ammettere che il giovane aveva ragione. Così, una volta diventato lui un pezzo grosso, aveva pensato che avere una mano nei primi tempi non sarebbe stato tanto male. Ma poi quel tipo aveva iniziato a fiutare i casi e a seguirlo come un cagnolino felice, e non se l'era sentita di cacciarlo via a calci, nonostante a volte avrebbe voluto farlo.
Si alzò fiero, senza staccare gli occhi dal cadavere.
Ma forse si alzò troppo in fretta, perché iniziò ad ondeggiare e Greg cercò di darli appiglio, tenendogli le spalle.
Ma non era abbastanza, infatti Sherlock piegò le ginocchia e chiuse gli occhi.
Lo portarono fuori, sperando che un po' d'aria avrebbe aiutato.
Gli tolse la sciarpa blu e sbottonò i primi bottoni della camicia, ma solo dopo si accorse della vera causa del suo malore. L'Orologio continuava ad accendersi e a spegnersi, e, a quanto ricordava dagli studi delle superiori, significava che la "sua" persona stava morendo.
-Sherlock, Sherlock, avanti, tieni duro, Sherl...
 
-Watson! Watson avanti rispondi! Non puoi morire così!
L'operazione per il proiettile era finita, ma l'anestesia continuava a dare qualche problema. Per quell'ora avrebbe dovuto essere sveglio; il suo Orologio continuava a lampeggiare, ma i macchinari non rivelavano niente.
Il secondo medico del campo sospirò, e provò con una piccola dose di eccitante.
-Watson, non farci questo.
In quel momento iniziò a tossire e spalancò gli occhi. Anche l'Orologio si stabilizzò.
-Ci hai spaventati, amico.
-Scusatemi, ragazzi.
-L'Orologio ha lampeggiato un bel po', sembra che il tuo tipo o tipa ti stesse dicendo "datti una regolata, bello mio, noi non ci siamo ancora conosciuti!"
John sorrise. Magari "il suo tipo o tipa" voleva incontrarlo così tanto come voleva incontrarlo lui.
-Tienitela stretta, quando la trovi, mi raccomando.
John annuì. -Lo farò, tranquilli.
 
A meno di dodici ore dall'incontro con la sua persona, Mycroft ricevette una chiamata da Scotland Yard, che gli chiedeva di andare in ospedale perché suo fratello si era sentito male mentre era su una scena del crimine.
Arrivò correndo, e trovò un uomo fuori dalla porta della stanza di Sherlock. -Lei è l'Ispettore?
L'uomo, alto, con un inizio di capelli bianchi, staccò gli occhi da suo fratello e gli strinse la mano.
-Sì. Ispettore Greg Lestrade.
Mycroft sentì un colpo alla bocca dello stomaco. -Greg Lestrade?
Lui annuì, e il suo viso assunse un'espressione sorpresa e sollevata.
-Io sono Mycroft Holmes e...
Si controllò il polso. Sì, quello era il momento che aveva segretamente aspettato per tutta la vita.
-Mycroft Holmes-, ripeté Greg. Dopo qualche attimo di silenzio, abbassò gli occhi dalla vergogna. -Sherlock sta bene. I dottori credono che la sua persona abbia sfiorato la morte e che la sua fosse una reazione conseguente a ciò. Ora stanno meglio entrambi. Più spavento che altro.
 
Era tornato a Londra dopo tanto di quel tempo che quasi si sorprese di riconoscere le strade. Era così diversa dall'ultima volta che era stato lì, decine di anni prima.
Ma c'era qualcosa di entusiasmante in quella giornata, che lo portava sempre più vicino alla sua persona. Ormai mancavano meno di un paio d'ore.
-Watson! John Watson! Sei proprio tu?
-Mike, ciao. Come va?
Un vecchio amico dell'università. Il suo compagno di stanza. Il mondo non si era davvero fermato.
Chiacchiere inutili tra vecchi amici. Gli erano mancate? Affatto.
-Strano, ho parlato con un'altra persona, oggi, che cercava un coinquilino. Le coincidenze!
John sentì come un colpo allo stomaco. -Presentamela. Non ce la faccio più a stare in albergo.
Lui annuì e disse che sarebbero dovuti andare al St. Bart's.
 
-Mike, come mai sei... oh. Un aspirante coinquilino.
Sherlock non sollevò gli occhi dal microscopio, ma appena lo fece, notò che l'uomo che Mike Stamford aveva portato con sé si stava fissando il polso a bocca aperta.
-Forse dovrei... Lasciarvi soli-, disse Stamford, uscendo di corsa.
-Cosa...?
Poi capì. Sbottonò il polsino della camicia, e vide che il suo Orologio, percorso da una cicatrice che aveva da poco più di un mese, segnava tutti zero.
L'uomo che Sherlock si trovava davanti era basso, e aveva un bastone, ma non aveva bisogno di sedersi. L'abbronzatura che aveva sul viso e sulle mani non superava il polso o il colletto della maglia. Il taglio dei capelli e il portamento indicavano che era un soldato.
L'uomo che John si trovava davanti era più giovane di lui, ma Mike aveva detto che non era uno studente, sebbene passasse molto del suo tempo lì. I suoi vestiti erano puliti e stirati, e, a colpo d'occhio, firmati. E lo fissava con i suoi splendidi occhi chiari spalancati.
-Io... Io sono John Watson.
-Eri morto, vero? Scusami, ma ad un certo punto, un po' di tempo fa, sono stato ricoverato in ospedale, ma ero sano come un pesce e...
-Sì. Ti ho fatto stare male, io...
Sherlock sorrise. -So che sei un soldato, avrei dovuto pensarlo. Mi è passato di mente.
John annuì. Come faceva a sapere che era un soldato? Non l'aveva mica detto?
-Io sono Sherlock Holmes.
Si avvicinò e gli strinse la mano. -Molto, molto piacere, Sherlock Holmes.
-È un piacere anche per me, John Watson. Davvero.




Angolo dell'autrice ~
Salve a tutti, questa è sia la mia prima Johnlock che la mia prima soulbond, anche se è un po' diversa dalle tradizionali, in quanto non è dato il nome dell'anima gemella ma il momento in cui si incontrerà: è un'idea un po' strana però mi piaceva troppo per piegarla agli standard delle soulbond.
Se volete farmi sapere come l'avete trovata, mi rendereste davvero molto felice.
Sebs

 
  
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