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Autore: Love_My_Spotless_Mind    19/06/2014    2 recensioni
[Roy Kim http://en.wikipedia.org/wiki/Roy_Kim]
Credo sia arrivato il momento, Roy, di raccontarti la nostra storia d'amore.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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La sera del nostro primo incontro, Roy, eri ancora un ragazzino.


Io che suonavo in quel locale da molto prima di te sapevo esattamente cosa fare e ti avrei insegnato tutto quello che avevo, lentamente, imparato.


 Io ero un ragazzo sicuro di me, del mio talento, della mia musica, del mio aspetto fisico mentre tu eri solamente un ragazzino fuggito dai suoi obblighi universitari per inseguire un sogno troppo comune per realizzarsi.


Ci conoscemmo quella sera di marzo, bevendo insieme una birra e parlando di musica.


I tuoi gusti erano veramente banali. Adoravi il solito vecchio rock americano, i soliti grandi nomi, le solite conosciute canzoni. Ma io ti ascoltavo, come se mi stessi pronunciando le parole più interessanti che avessi mai ascoltato nella mia intera vita. Annuivo, ti guardavo, rapito dal tuo modo di parlare, dal tuo coreano diventato un po’ incerto a causa degli studi all’estero.


Avevo voglia di portarti a letto.


Era un pensiero fisso che si ripeteva nella mia mente. Mi bastava guardarti negli occhi per desiderarlo ancora di più.


-Qual è il tuo nome? – ti domandai ordinando qualcos’altro da bere.


-Kim Sangwoo, ma preferirei che mi chiamassi Roy, il mio nome americano. –


Roy.


Ti si addiceva proprio. Lo avrei ricordato esattamente come avrei fatto con il tuo viso, con il tuo modo di gesticolare e parlare.


Avevamo un anno di differenza ma sembravano molti di più, te lo posso assicurare.


Sembravi così innocente, così puro, davvero un bravo ragazzo. Sembrava che la vita non fosse stata ancora capace di scalfirti, cosa che sarebbe avvenuta non molto dopo, anche a causa mia.


Ti spiegai le regole del locale, quanto tempo avevi per le esibizioni, il gusto dei clienti. Stavi per suonare di fronte a quasi un centinaio di ventenni, tutti provenienti da insulse famiglie altolocate, con gli strani cognomi ed il nome con altisonanti significati.


Tu ed io non eravamo altro che il loro sottofondo, te lo spiegai senza mezzi termini. Eravamo lì per non disturbare il loro divertimento ma solamente per confonderci con esso. La nostra musica doveva risuonare nelle loro menti come i sintomi della sbornia che si erano appena presi. Era questo che accadeva.


Se qualcuna di quelle ragazze con gli orecchini d’oro e gli abiti succinti si fosse avvicinata ed ci avesse chiesto di baciarla, noi lo avremmo fatto. Se lei avesse voluto fare altro, noi lo avremmo fatto. Magari avremmo anche ritrovato delle belle banconote nella tasca dei jeans al mattino. Faceva parte del lavoro, era questo quello che desideravano i nostri clienti.


Tu sembravi leggermente confuso.


-Io credevo che avrei dovuto limitarmi a suonare. –


 -Per limitarti a suonare e restartene in santa pace senza che nessuno ti importuni, avresti dovuto lasciare questo bel visino a casa. –


Conclusi io.


Così da quella sera iniziasti a suonare al mio fianco. Eri davvero bravo, lo devo ammettere. Restai stupito, ascoltarti suonare era un piacere. I nostri generi erano diversi ma sembravano convivere bene insieme. Tu con la tua chitarra classica, io con la mia elettrica.



Anche al pubblico sembravi piacere.


Alle ragazze affascinava il tuo viso da bravo ragazzo, i tuoi modi gentili, il sorriso impacciato. Eravamo il bianco ed il nero, noi due. Il bene ed il male, la luce e l’ombra. Anche se il mio, in fondo, era solamente un personaggio, tu eri vero. Tu non sapevi fingere.


Una sera mi chiedesti di suonare ‘ Creep’ insieme. Io accettai. Non mi ero mai emozionato così a cantare insieme a qualcuno, non avevo mai capito che la mia voce potesse essere ancora migliore se unita a quella di qualcun altro.


Io e te eravamo un duo che tutti i locali invidiavano.


Le persone non si limitavano più a ballare distrattamente, loro ci guardavano, ci ascoltavano, sentivano i brividi salire a fior di pelle. Eravamo capaci di creare queste emozioni intense, di suscitare nel corpo delle persone una straordinaria reazione chimica. Vedevo alcuni con le lacrime agli occhi, mentre ascoltavano con estrema attenzione il nostro talento. Loro volevano tenerci tra i ricordi degli eventi più importanti della loro giovinezza. Saremmo divenuti un aneddoto da raccontare ai figli, ai nipoti, il simbolo di un’epoca che andava via con la stessa velocità di tutte le altre ma alla quale i giovani restavano incollati, come se fosse il tempo più prezioso.


-Quei due, quanto erano bravi. – mi sembrava di sentirli dire, a distanza di anni.


Anche nella loro mente saremmo stati lo sfondo dei loro ricordi più cari. Era il nostro compito, il nostro destino.


Ogni sera declinavi le avance di bellissime ragazze rivolgendo loro un sorriso innocente che nessuno avrebbe potuto odiare. Io non ero capace di declinare inviti.


Avevo sempre la sensazione che se avessi perso quell’occasione per fare del mediocre sesso con bellissime sconosciute, non mi sarei sentito abbastanza vivo. E la vita mi sarebbe scivolata tra le dita, come sabbia.


Tu trascorrevi quelle notti leggendo libri, continuando a studiare per esami che non sapevi se avresti più discusso. E coccolato dal piacere dell’incertezza pensavi al tuo futuro. Quanti sogni avevi tu, Roy. Sogni che io invidiavo terribilmente.


Crescendo senza una famiglia non avevo mai imparato a sognare. Cercavo dei sogni e delle speranze nei corpi perfetti di quelle ragazze. Entravo dentro di loro, senza delicatezza, senza sentimentalismi. Semplicemente facevo ciò che la natura aveva prescritto, nulla di più, nulla di meno. Quell’atto appariva meccanico e senza alcun tipo di significato ma non potevo far a meno delle sensazioni deboli che mi donava.



 Anche quelle ragazze sembravano star cercando dell’amore in quei gesti, sentimento che io non ero capace di donargli. E, alla fine, ogni notte mi sentivo sempre più deluso ed amareggiato. Avevo bisogno di qualcuno da abbracciare dopo aver fatto l’amore. Qualcuno da respirare e scoprire lentamente, in ogni dettaglio. Quel sentimento era ciò che mi mancava più di ogni altra cosa.


Tu avevi avuto un’unica storia. Una cosa da ragazzini, fatta solo di baci e stupide promesse. Una di quelle storielle che tutti cercano di definire ‘primo amore’ ma che, in verità, non è nulla.


Provando a pensare a quella ragazzina che si sarebbe pian piano allontanata dalle tue memorie, provavo un po’ d’invidia per lei. Anche se in modo evanescente, lei ti era stata accanto e tu le avevi donato incondizionatamente un periodo della tua vita.


Iniziammo a divenire parecchio amici, io e te. Eri un ragazzo simpatico, conoscendoti meglio. Potevamo parlare di cose stupide e di argomenti complicati, senza avere timore di essere giudicati.


Iniziammo ad incontrarci anche di pomeriggio. Ci sdraiavamo al parco e parlavamo ma per lo più restavamo in silenzio, l’uno di fianco all’altro. Mi piaceva ascoltare i tuoi silenzi, sembravano pieni di riflessioni, di segreti, di sentimenti inconfessabili.


-Cosa pensi di me, hyung? –


-Penso che tu stia crescendo molto in fretta in questo periodo. –


-Da cosa lo hai capito? –


-Dal modo in cui suoni. Sembra che tu stia acquisendo maturità. –


Lentamente mi accorsi di avere solo te. Tu eri il mio unico amico, l’unica persona con cui mi fermassi a parlare prima e dopo il lavoro. Anche se questo mi spaventava, sapevo che non avrei voluto conoscere nessun altro.


Le persone a cui avevo aperto il mio cuore erano pochissime. Fin da bambino avevo temuto la delusione, il tradimento. Ed attraverso la sottile campana di vetro che avevo costruito, potevo osservare il mondo, sicuro che nessuno fosse capace di sfiorarmi.


Lo stesso era accaduto nelle relazioni. Io ero sempre a qualche chilometro di distanza da chi mi amava. Anche se abbracciavo qualcuno, il mio cuore e la mia mente non vivevano mai quel momento. Mi sembrava sempre di osservare la mia vita da un punto estremamente alto che mi impediva di coinvolgermi totalmente. Io vivevo senza farlo del tutto.


Non ero mai stato per nessuno qualcuno per cui valesse la pena lottare o superare le difficoltà. Ed io non avevo mai incontrato qualcuno per cui volessi lottare.


Ti raccontai tutto questo quando mi riaccompagnasti a casa, una notte. Avevo bevuto un po’ troppo e facevo fatica a reggermi in piedi. Non sapendo dove abitassi, mi conducesti a casa tua. Mi aiutasti a sdraiarmi sul tuo letto. Tu, seduto sul pavimento, ascoltasti il mio delirio.


E mai come allora mi sentii compreso. Perché tu non ti soffermasti ad un ascolto e compatimento superficiale. La mattina seguente mi costringesti  a parlarne di nuovo. Per la prima volta ebbi la sensazione che a qualcuno interessasse la mia vita.


-Prima che sia troppo tardi, che le tue difficoltà diventino insormontabili, dovresti iniziare a vivere. – dicesti con un espressione seria. – Lo penso davvero, hyung. Perché dovresti avere un’esistenza a metà ed essere bloccato dalle tue paure? Sono convinto che tu sia abbastanza coraggioso per poter cambiare. Dal primo momento in cui ci siamo parlati ti ho visto come una persona forte. –


Io non ero forte, non lo ero affatto. Io crollavo per un nulla. Io stavo male per un ricordo malinconico. E tentavo di nascondere la mia debolezza più di ogni altra cosa al mondo.  Ma per te era ancora troppo presto per saperlo.


Ci aumentarono la paga per impedire che andassimo a suonare dalla concorrenza. Tu conservavi quei soldi in più con cura, senza spenderne nemmeno un centesimo. Il resto lo utilizzavi per avere una vita semplice, senza vizi e l’unico benessere che ti concedevi erano delle porzioni di cibo un po’ più abbondanti.


Io continuavo con i miei vizi tra cui si aggiunse anche qualche sigaretta ogni tanto. Inalavo il fumo fino a sentirlo riempirmi i polmoni, fino a che il respiro sembrava mancarmi completamente. Mi piaceva poter comandare il mio corpo in tutto e per tutto. E quando lo sentivo implorarmi di smettere era come se avessi tra le mani un potere unico. Anche se sapevo che tutto questo era sbagliato, dentro di me sentivo un vuoto enorme nel quale avevo una paura incredibile di precipitare.


Forse anche per questo mi aggrappai così tanto a te.  Tu non mi avresti permesso di scomparire nel buio, mi avresti tirato su con tutte le tue forze, ne ero certo.


Un giorno andammo a cena insieme. Era un ristorante piccolo ma grazioso, con i tavolini bassi e cibo tradizionale. Ordinammo tanti di quei piatti da sfamare una comitiva ma quel giorno sembravi avere una fame pazzesca ed anch’io mi lasciai trascinare.


Io bevevo molto più di te. Versavo bicchieri di soju uno dopo l’altro senza nemmeno rendermene conto. Tu preferivi mangiare beatamente, con gusto. Ed ogni volta che assaggiavi qualcosa di diverso i tuoi occhi si illuminavano ed il tuo viso si faceva radioso.


-Ho desiderato di mangiare queste delizie troppo spesso quand’ero in America. – dicesti continuando a mangiare con foga.


-Mangia mangia, tranquillo. –


Era bello vederti così entusiasta, così pieno di energie.


In quella sera parlammo  talmente tanto, tra una portata e l’altra, che ad oggi non riesco nemmeno più a ricordare quali fossero i nostri argomenti. So soltanto che il mio interesse nei tuoi confronti impiantava le radici nel mio animo e si accresceva, innalzandosi sempre di più.


Passeggiammo fino a tarda notte nel parco, anche se io faticavo a reggermi in piedi, ma tu eri troppo euforico per andare a dormire.


Continuavi a ripetere che di lì a poco sarebbe accaduto qualcosa di importante, che avrebbe cambiato la tua vita, che ti avrebbe reso un artista a tutti gli effetti. Io non sapevo affatto di cosa si trattasse ma risi e fui felice insieme a te.


Trascorse più di un mese prima di scoprire che avevi  deciso di fare un provino per una casa discografica. Nonostante il tuo costante entusiasmo io cercavo di farti capire quanto fosse difficile diventare dei trainee, essere assunti. Tu, però, eri fermamente convinto di riuscirci.


Anche le tue esibizioni nel locale divennero più tecniche e precise. Quello era il tuo modo per esercitarti e continuavi a farlo ogni giorno, con una dedizione pazzesca.


-Sento che questa sia la mia unica occasione. –


Dicevi con gli occhi pieni di smarrimento, quando mi telefonavi in piena notte, dicendo che non riuscivi ad addormentarti.


-Devi stare tranquillo, ci saranno altre miliardi di occasioni, se questa volta non dovesse andare bene. –


Ripetevo cercando di essere convincente.


-No, lo so che questa sarà l’unica. –


Quando ti negavi da solo delle possibilità, il tuo tono di voce diveniva improvvisamente duro . Come se fossi tu stesso a mettere degli ostacoli di fronte ai tuoi sogni, come se ti dicessi “Se non riesco in un colpo solo, vuol dire che non sono poi così bravo.”


Anche a causa di questa tua determinazione nell’ostacolare te stesso, il giorno dell’audizione ero particolarmente preoccupato. Ti aspettai tutto il tempo, per circa tre o quattro ore, all’ingresso della casa discografica.


C’erano ragazzi poco più che bambini che uscivano di lì in lacrime, terrorizzati dai giudizi degli esaminatori. Dentro di me continuavo a pensare che anche tu saresti uscito spossato e deluso, da quell’audizione. Non avevo per nulla fiducia, in verità.


Tutti, anche quelli entrati dopo di te, raggiunsero i loro familiari, mentre tu non ti decidevi a farti vedere. Per il nervosismo finii un pacchetto di sigarette intere, puzzavo di fumo come una ciminiera ed avevo i nervi a fior di pelle.


Quando sollevai lo sguardo per l’ennesima volta, senza più sperare di vederti, mi venni incontro. Avevi un’espressione decisamente indecifrabile sul volto. Non avrei potuto definire se era positiva o negativa.


-Hanno detto che la mia musica gli interessa. –


Dicesti semplicemente, senza cambiare espressione.


Senza nemmeno pensarci, come un riflesso incondizionato, ti abbracciai, sentendomi davvero felice.


-Come puoi dirmelo in questo modo?! –  ti sgridai.


Per festeggiare comprai birra e pollo fritto che divorammo nella tua camera da letto. Continuavi a descrivere il modo in cui gli esaminatori ti osservavano, le loro parole. Ascoltarti era come rivivere quella situazione senza esserci stato.


Trascorsero appena tre mesi prima che tu venissi assunto con un contratto breve. Avevano deciso di farti fare qualche canzone ma di non farti debuttare effettivamente. Era troppo presto per farti diventare una star a tutti gli effetti e tu non avresti sopportato lo stress che comportava.


Eppure i clienti più fedeli del locale ascoltarono la tua canzone e la comprarono entusiasti. Ero felice per te ma sapevo anche che tutti i tuoi progetti sarebbero stati modificati. Non avresti più potuto terminare gli studi negli Stati Uniti.


Nessuna ragazza chiedeva più di me, le mie esibizioni al locale erano divenute sempre più brevi. Ero diventato l’ombra dell’aspirante cantante famoso Roy Kim. Il tuo viso iniziò ad essere presente nei cartelloni pubblicitari delle imprese locali ed io ero contrario al personaggio che volevano ideare per te.


Tu non eri fatto per quello, lo sapevo bene. Io le schifezze del mondo dello spettacolo le conoscevo bene.


Sempre più persone volevano essere tue amiche, non ci lasciavano soli nemmeno un istante. Tu rivolgevi un sorriso ad ognuno di loro, ci scambiavi qualche parola di poco conto. Ma io ero davvero geloso di tutte quelle persone che di te non sapevano assolutamente nulla.


Loro non conoscevano la tua severità nei confronti di te stesso, il tuo modo di guardare di persone, quante volte ti facevi ripetere una frase un po’ più difficile per capirla bene. Loro non erano interessati a lei, loro non provavano dell’attenzione reale nei tuoi confronti. Lo sapevo bene, bastava guardarli in viso quei tipi lì per capirlo, erano semplicemente in cerca di qualcuno da divinizzare.


Una sera ti aspettai sotto casa. Ero fuori di me, volevo vedere se davvero uscivi con quelle nuove “amicizie” la sera. Rincasasti dopo le quattro del mattino.


-Con chi diavolo sei stato fino a quest’ora? –


-Hyung, che ci fai tu qui? –


Ti avevano fatto bere, avevi gli occhi stranamente lucidi.


-Hyung un corno! Con chi cazzo esci fino a quest’ora del mattino? –


Ti diedi una spinta e tu ti piegasti a terra, senza rispondere.


-Ti sei già dimenticato di me per quei falsi, non è vero? Sono così facile da sostituire? –


Sollevasti il viso per guardarmi.


-Cosa stai dicendo? Mi hanno invitato ad uscire, tutto qui. –


La tua voce restava tranquilla, forse un po’ ferita.


-Sei uno stronzo. –


-Sei ubriaco, come al solito. – Dicesti rassegnato.


Ti tirai uno schiaffo, talmente forte che mi stupii di me stesso.


Tu sospirasti profondamente, cercando di tirarti in piedi.


-E tu? – La tua voce iniziò a tremare visibilmente – Sei sicuro di essere davvero mio amico? Allora perché sei così invidioso della mia felicità? Dici che gli altri sono dei falsi, ma tu? Tu cosa diavolo sei?
Credi di poterti presentare davanti a casa mia, urlarmi addosso e schiaffeggiarmi così senza un motivo? Credi sia normale? Pensi che gli amici facciano questo? Preferirei riparlarne quando sarai sobrio, per favore.

Magari se ci penserai con la mente lucida ti pentirai di quello che mi stai facendo. –


Provai a fermarti ma tu mi scostasti con forza. Entrasti dentro al portone ed io non ebbi più la forza di seguirti.


Quella fu davvero una notte lunghissima per me. Andai a letto con una prostituta e sfogai su di lei l’odio che provavo verso me stesso. Ero arrabbiato per averti fatto del male, per essermi mostrato così meschino ai tuoi occhi.


Non ci incontrammo per una settimana intera. Non venivi nemmeno più a lavoro ed io dissi al capo che stavi poco bene. In fondo, eri un cantante abbastanza conosciuto, adesso; gli altri potevano sopportarlo un piccolo sgarro da parte tua. Se la tua assenza fosse durata ancora, nessuno avrebbe osato dire niente.


Le mie esibizioni erano talmente tristi che i clienti del locale iniziarono a sporgere numerose lamentele al titolare. Ma cos’altro avrei potuto cantare? Ero triste per davvero.


Trascorse poco più di un mese quando il capo mi disse che avevi deciso di licenziarti. Ero sempre stato convinto che lavorare nel locale ti piacesse, non riuscivo a comprendere come avessi potuto accettare di lasciare così facilmente quell’impiego. La mia tristezza iniziò a divenire sempre più tetra e profonda. Mi mancavi da impazzire, Roy, come non mi era mai mancato nessuno nella vita.


Venne assunto un nuovo cantante, un ragazzino appariscente dai modi gentili. Nonostante non fosse una cattiva persona ed avesse delle doti notevoli, non riuscii a rivolgergli la parola. A lavoro nessuno voleva che mi esibissi, avevo perso il mio carattere, ciò che distingueva le mie performance.


Era una giornata particolarmente piovosa quando decidesti di incontrarmi. Ero seduto nell’ingresso del locale a strimpellare la mia chitarra con aria assorta. Quando alzai lo sguardo non potevo credere ai miei occhi.


-Roy. – sussurrai incredulo.


Mi sentii come se tutto il tempo trascorso senza vederci fosse stato improvvisamente cancellato. Mi alzai in piedi, cercando di trattenermi per non saltarti al collo ed abbracciarti.


-Sembra che tu abbia visto un fantasma. –


-Un po’ è così. –


Andammo insieme a prendere qualcosa da bere. Entrammo in un locale accogliente dove ordinammo un aperitivo. Trascorsero parecchi minuti prima che ci rivolgessimo nuovamente la parola.


-Sono rimasto molto deluso dall’esperienza con la casa discografica. – decidesti di esordire improvvisamente. – Quell’ambiente non mi piace, non riesco a lavorare con serenità. L’ultima cosa che voglio, hyung, è diventare un personaggio costruito da qualcun altro. Io sono io, anche se potrei apparire noioso ed estremamente normale, vorrei che il mio pubblico mi conoscesse in questo modo.


Per questo non sono disposto a scendere a compromessi. Preferisco restare fuori dal mondo dello spettacolo. Non voglio essere una macchina macina soldi per nessuno. –


Quando il tuo discorso fu terminato mi limitai ad annuire. Cosa avrei potuto aggiungere? Avevi detto quello che conoscevo da molto prima di te.


-Anche per questa motivazione. – continuasti dopo la breve pausa – Ho deciso di partire. Devo terminare ciò che avevo interrotto. La mia avventura a Seoul finisce qui. –


Nel tuo sguardo avvertii una malinconia che non ti avevo mai visto.


-Mi dispiace di ripartire così ferito ed amareggiato. Non sai quanto mi faccia male. Ma le cose sono andate in questo modo, probabilmente avevo troppe aspettative e sono state deluse tutte. Avrei voluto che la mia avventura fosse meravigliosa, invece mi sento svuotato ,adesso. Avrei dovuto attendere ancora un po’ a conoscere la vita, ora mi sento terribilmente spaventato. Ho paura di non riuscire ad affrontare le delusioni. Mi sento ancora un bambino da questo punto di vista. –


Allungai una mano verso la sua e la strinsi.


-Roy, avrei davvero voluto non essere una delusione. –


I tuoi occhi divennero lucidi ma sapevo che di fronte agli altri, persino di fronte a me, ti saresti mostrato forte e non avresti versato nemmeno una lacrima.


-Non so perché sia andata così JoonYoung, non lo so davvero. –


Terminammo le nostre ordinazioni senza parlare ancora. Poi ti salutai sulla strada, dandoti un timido abbraccio. Posai il viso contro la tua spalla, piangendo sommessamente. Quello era il mio ennesimo fallimento. Non potevo implorarti di restare, non ne avrei avuto alcun diritto. Per questa motivazione ti lasciai andare, senza pronunciare nemmeno un “addio.” Probabilmente non riuscivo a credere che non ci saremmo più rivisti.



Trascorsero quasi otto mesi. Inutile dire che non riuscii a pensare ad altri che a te. Ti sognavo persino di notte. Ogni sogno era così tormentato da lasciarmi sconvolto al mattino. Eri un pensiero fisso, l’unico capace di farmi battere il cuore. Non riuscii ad avere più rapporti con nessuno, il solo pensiero che tu non ci fossi, che non saresti più tornato, mi toglieva la forza persino di fingere di amare qualcun altro.


Lasciai il locale, non aveva più senso deludere le persone con la mia musica piena di tristezza e risentimento. Iniziai a lavorare prima in un negozio di vinili, poi iniziai a riempire le mie giornate con ogni impiego possibile. Non volevo lasciarmi nemmeno un’ora libera, altrimenti i pensieri mi avrebbero divorato. Quello fu l’unico modo in cui riuscii ad andare avanti.


Ti amavo, alla fine riuscii a capirlo. Ti amavo con tutto me stesso, in maniera innegabile. Era una malattia dalla quale non sarei riuscito a salvarmi. Dovevo rivederti. Dovevo farlo ad ogni costo, altrimenti me ne sarei pentito per tutta la vita.


Il mattino seguente ero su un aereo diretto a Washington, con una sola borsa a tracolla come bagaglio. Conoscevo solamente il nome della tua università ed una decina di parole in inglese. Avrei anche potuto perdermi e non tornare mai più a casa ma in quel momento non mi importava.


Con un taxi riuscii a raggiungere l’università. Mi sembrava incredibile trovarmi in un luogo così lontano. Mi dissero che le lezioni sarebbero terminate nel pomeriggio. Attesi nel cortile, seduto su una panchina di pietra, con la mente completamente assente. Quale pazzia mi ero ritrovato a fare per te.


Fu davvero una fortuna incrociarti mentre uscivi dall’imponente edificio.


 Mi guardasti incredulo per svariato tempo, probabilmente non potevi capacitarsi di trovarmi lì, negli Stati Uniti. Probabilmente ti eri convinto che davvero non mi avresti mai più rivisto.


Mi alzai e corsi verso di te, abbracciandoti talmente forte da toglierti il respiro. Eri così sorpreso, mi stringesti titubante, non potendo credere ai tuoi occhi.


Entrammo nel tuo appartamento, proprio vicino all’università. Senza nemmeno avere il tempo di accendere la luce ti avvicinasti a me per baciare le mie labbra. Fu un bacio fugace, timoroso.


-Cosa ci fai qui? – la tua voce risuonò nella stanza, in tutta la sua bellezza.


-Dovevo dirti troppe cose importanti. – provai a spiegare, reso insicuro dall’emozione. – Dovevi sapere che non  ho pensato ad altri che ha te. –


Ti guardai mentre annuivi silenziosamente.


Ti baciai, senza poter resistere al dolce richiamo delle tue labbra. Ti baciai lentamente, desiderando il contatto con il tuo corpo come non avevo mai fatto con nessun altro.


Nessun bacio era stato così ricercato, immaginato, desiderato e voluto. Il mio cuore palpitava dall’emozione, il mio corpo veniva pervaso da brividi violentissimi.


Di quel giorno posso ricordare ancora oggi ogni particolare, la titubanza con cui mi spogliasti, il modo in cui continuavi a guardarmi, non potevi crederci, non ci riuscivi, Roy. Riversi sul pavimento facemmo l’amore per la prima volta, ma non fu un rapporto breve ed insensato come quelli che avevo sempre vissuto. Ci respiravamo lentamente, esploravamo ognuno l’altro con curiosità, scambiandoci sguardi che mi facevano vibrare il cuore.


È stato così bello, spero che anche tu la pensassi così. Ancora oggi mi capita di ripensarci ed ogni volta e come ritrovarmi lì, fra le tue braccia, con i tuoi caldi sospiri contro la mia pelle.


-Credevo che non ti avrei davvero mai più rivisto. – dicesti chiudendo gli occhi, con il viso contro il mio petto.


-Sarebbe stato un errore lasciare tutto in sospeso. –


-Hai ragione, JoonYoung. Ma non credevo che tu avessi capito il mi interesse nei tuoi confronti. –


-Ti ho raggiunto pensando solamente al mio nei tuoi, in effetti. –


La tua risata era dolce esattamente come la ricordavo. Mi era mancata ogni cosa di te, ogni sfumatura del tuo modo di essere. Non avrei mai voluto rinunciare a nulla di te, continuavo a pensarlo, anche in quel momento.


Cenammo insieme e decidemmo di restare svegli per tutta la notte. Seduti sul tetto del palazzo guardavamo le stelle, il cielo di quel blu meraviglioso. La strada, la città e le persone erano sotto di noi e non le degnavamo nemmeno di uno sguardo. Io e te avevamo tutto, ma proprio tutto in quel momento.


La tua mano era stretta nella mia, il tuo sguardo puntato verso l’altro e le labbra rilassate, in un’espressione priva di negatività. Avrei potuto osservarti per sempre.


-Guarda, hyung, una stella cadente! – gridasti allungando una mano verso il cielo, quasi credessi di toccarlo.


-Esprimi un desiderio, forza! – ti incitai ridacchiando.


-Anche tu esprimi il tuo, mi raccomando. –


“Vorrei che il tempo si fermasse adesso. Io, Roy, le stelle, per sempre.” Pensai volgendo il mio sguardo verso di te, guardandoti con tutta l’intensità che potessi.


Il tuo sguardo si incontrò con il mio, le tue labbra si distesero in un sorriso. Ti accarezzai il viso e tu ti abbandonasti alle mie carezze, abbracciandomi forte.


Eppure quella notte trascorse presto, l’alba arrivò ad illuminare i nostri volti, a ricordarci dell’esistenza della vita. A colazione mangiammo insieme, per poi addormentarci profondamente l’uno di fianco all’altro nel tuo letto.


Trascorsero tre meravigliosi giorni nei quali conobbi la felicità vera, quella che non avevo mai incontrato. Mi bastava ridere in tua compagnia per sentirmi finalmente nel luogo giusto, nel momento giusto. Passeggiammo lungo la spiaggia a piedi nudi, ci immergemmo nell’acqua gelida della notte. Ed io continuavo a ripeterti di essere felice, solamente grazie a te.


I litigi non arrivarono a tardare, però. Quando tu venni a sapere che vita di stenti avevo condotto in tua assenza ti infuriasti. Il pensiero che anch’io avessi lasciato il locale che ci aveva fatto incontrare ti infastidiva. Era come se desiderassi che quel luogo restasse per sempre nostro. Per mia volontà non era accaduto.


-Con quali soldi intendi vivere a Seoul ora che li hai spesi per venire qui? –


-A questo non ho pensato, non mi importa lo sai. –


 Il problema è che fossi più maturo tu di me, per certi verso. Nonostante vivessi di bellissimi sogni sapevi pensare  alla vita pratica, ai soldi, alle sicurezze ed io a questo non facevo mai caso. Anche quando mi ritrovavo senza più un centesimo non riuscivo a preoccuparmi.


-JoonYoung non puoi comportarti sempre come un bambino. Ho fatto bene a sentirmi preoccupato per te in questo periodo. –


-Roy, cosa importa adesso il mio ritorno a Seoul? –


-Pensi che resterai qui per sempre? E la tua vita? Ed il tuo lavoro? –


-Vuoi che io me ne vada? –


-Continui a non capire. –


Quella sera mi donasti una scatola contenente un bel po’ di soldi. Stavo dormendo quando mi svegliasti per darmela.


-Roy, sei impazzito? Perché vuoi darmi tutti questi soldi? –


Il tuo sguardo si fece un po’ severo, stringesti le labbra sfiorandomi le spalle.


-Io non ho problemi economici, hyung. Prendili e cerca di migliorare un po’ la tua vita. Ci rivedremo quando terminerò gli studi. –


La decisione era già presa e dopo altri due stupendi giorni in tua compagnia, mi ritrovai sull’aereo diretto a Seoul. Ti scrivevo lettere infinite ogni settimana e tu mi rispondevi dolcemente, incitandomi a riprendere la mia carriera come artista.


Trascorsero tre anni, nei quali tornai a trovarti una sola volta. Anche in quei giorni, però, si susseguirono accese discussioni dovuti al mio stile di vita, ai miei vizi che non avevo mai diminuito.


Al mio ritorno iniziai a lavorare per una casa discografica a cui interessava la musica alternativa ed iniziai a vivere della mia passione. Il nuovo successo, il traguardo che ero riuscito a raggiungere ed il ritrovato amore per la musica mi facevano sentire una persona nuova.


Improvvisamente iniziai a non scriverti più. Quella lontananza, il ricordo dei troppo pochi giorni felici trascorsi insieme, mi avevano fatto star male per tre lunghi anni. Volevo dimenticarmi di te, anche se sapevo fosse impossibile.


In quel periodo, come uno strano scherzo del destino, incontrai la tua sorella minore. Venne al mio concerto, attirando la mia attenzione con la sua bellezza. Era una ragazza stupenda e ribelle, completamente diversa da come eri tu. Lei non conosceva nulla della nostra relazione, semplicemente era rimasta colpita dalla mia musica. Si susseguirono diverse sere in cui trascorrevamo il tempo a parlare di ogni cosa. Era una persona profondamente intelligente, senza che potessi farci nulla mi aveva totalmente rapito. Solamente dopo che iniziammo a frequentarci scoprii della vostra parentela.


Ma, insomma, il destino era infuriato con me? Perché potevo attirare solamente sofferenza? Io volevo renderla davvero felice, eppure continuavo a pensarti. Lei di te non parlava mai, diceva che ti eri allontanato dalla famiglia, che non ti sentiva come se fossi davvero suo fratello.


Volevo amarla, anche se cercai di respingerla. In ogni modo sarei restato unito a te, non potevo accettarlo. Provai a fuggire, fare folli viaggi, provai ad amare altre persone. Tu tornavi sempre nella mia mente. Lei continuava ad influenzarmi con il suo richiamo irresistibile.


Fu una storia sofferta, come solamente io potevo viverne. Non ero capace di rendere felice nessuno, nemmeno quella ragazza. Ci lasciavamo e finivamo con il ritrovarci sempre, in qualche modo.


Ti rincontrai per caso mentre ero in sua compagnia, una sera di luglio, ad un concerto. Lei ti venne incontro per salutarti, io quasi non ti riconobbi. Eri tornato, evidentemente da un paio di mesi.


Continuavi a guardarmi, senza dire niente, poi tua sorella mi presentò come il suo ragazzo.


Ci rincontrammo in un caffè qualche mattina seguente. 


Non riuscivo nemmeno a guardarti negli occhi e tu mi rispondevi con freddezza.


-Non sapevo che fossi tornato. – dissi sedendomi di fronte a te.


Alzasti lo sguardo per guardarmi. Dai tuoi occhi non riuscivo a comprendere quello che provassi.


-Come avrei potuto avvertirti? Non rispondi alle mie lettere da molto tempo, ormai. –


Annuii in silenzio. Non riuscivo a capire perché le cose andassero sempre a finire in modo sbagliato tra di noi. Incontrarti ancora avrebbe voluto dire non riuscire mai a dimenticarti.


-Ti rendi conto di quanto tu possa essere squallido? Proprio mia sorella. Cosa dovrei dirti? Sono sconvolto. –


-Roy… - sussurrai con le lacrime agli occhi, incrociando le braccia contro il ventre.


-Avevi detto che mi avresti aspettato. – ti affrettasti a concludere il discorso.


-L’ho fatto. Ma poi ho creduto…che avrei perso la mia vita se ti avessi aspettato ancora. Volevo vivere un po’, anche senza di te. –


Ti alzasti guardandomi freddamente.


-Non voglio più vederti. Voglio dimenticarmi di te. –


Dopo quasi un mese ti trovai ad aspettarmi sotto la mia casa. Ti lasciai entrare, eri rimasto immobile sotto la pioggia per non so nemmeno quanto tempo. Eri fradicio ed avevi l’aria davvero disperata. Ti lasciai fare una doccia calda, ti prestai dei vestiti puliti e ti preparai la cena.


Mangiammo in silenzio, senza nemmeno guardarci. In quei giorni non avevo pensato ad altri che a te, al ragazzo che non sarei mai riuscito a dimenticare. Continuavamo a cercarci, a soffrire l’uno per l’altro senza riuscire a salvarci.


-C’eri tu nel mio desiderio quella sera, JoonYoung. –


Sussurrasti con lo sguardo basso. Quanto eri cambiato, Roy, il tuo viso era diventato quello di un uomo.


-Si è avverato? – domandai con la voce spezzata.


-Non lo so. –


Anche quella sera, dopo tanto tempo, la trascorremmo svegli ad ammirare le stelle. Nel tuo sguardo avevi perso un po’ di incanto, chissà quanto ne avevo perso anch’io. La vita ci stava deludendo in qualche modo, ogni giorno di più.


 Restavamo semplicemente l’uno di fianco all’altro, senza nemmeno sfiorarci.


Non passò nemmeno una stella cadente. Mi chiesi se la leggenda dei desideri non fosse tutta una farsa. Il tempo non si era affatto fermato, non lo avrebbe mai fatto, per nessuna ragione.


Tu sospirasti profondamente.


Non sapevo perché non ti avevo più scritto, volevo salvarmi da te, molto probabilmente. Ma in quel preciso istante, volevo lasciarmi trascinare da te ovunque avresti voluto condurmi. Non mi importava più di soffrire, volevo semplicemente averti al mio fianco. Volevo sapere che non mi avresti dimenticato.


Iniziammo ad incontrarci ogni notte e a trascorrerla così, in rigoroso silenzio. Poi appena giungeva l’alba volgevi il tuo sguardo di me, ti alzavi ed andavi via.


Sapevo che avevi iniziato ad uscire con una ragazza, in poco tempo iniziasti persino a sorridere. Lei non volli vederla ,però, per parecchio tempo.


Stavi andando avanti esattamente come mi ero illuso di fare io, non potevo dire nulla. Lasciai che il nostro rapporto restasse strano esattamente com’era. Mi bastava guardarti mentre ammiravi tutto assorto le stelle. Iniziai a pensare che se ne avessi vista una cadente avresti dedicato il tuo desiderio a quella lei.


Intanto io e tua sorella stavamo insieme, litigavamo furiosamente e poi facevamo pace. Ci urlavamo contro tutto l’odio dell’universo per poi abbracciarci piangendo.


La mia musica era tornata ad essere suggestiva e sofferente, esattamente come un tempo. Mentre cantavo, alle volte, chiudevo gli occhi e mi immaginavo nel locale dove ci eravamo incontrati. Immaginavo di non averti mai rivolto la parola, di non aver mai desiderato di portarti a letto, di baciarti fino a consumarti.


Una notte, quando si era ormai fatto inverno inoltrato, ruppi il nostro silenzio svelandoti questo segreto.


-Lo sai, quando mi esibisco mi capita di pensare al vecchio locale, alle nostre serate lì. Quando lo faccio ci credo, credo davvero di essere lì. Canto come se non ci fosse un domani, come se quella fosse l’unica ragione per cui vivo.
Roy, non sai quanto quei momenti siano belli. Mi sembra di rivivere quel luogo, di poter sfidare il tempo. Mi sembra di essere salvo. –


Mentre raccontavo qualche lacrima mi rigò il viso, la mia voce tremò ed io smisi di parlare.


-Arrivo a credere che non tutto sia perduto, persino con te. Non credi che sia assurdo? Io che ho distrutto tutto arrivo a pensare queste cose. –


Anche tu iniziasti a piangere silenziosamente, senza voltarti verso di me. Le tue spalle tremavano leggermente.


-Quando ho saputo che il padrone stava poco bene, che era sul punto di morire sono andato a trovato. Per lui è stato un piacere rincontrarmi, gli ho ricordato i vecchi tempi.
Era sempre stato un uomo burbero, severo, eppure mi ha accolto come se fossi suoi figlio. Questo non potrò mai dimenticarlo, ha lasciato un ricordo indelebile nel mio cuore.
Quell’uomo mi ha chiesto di te, se continuassi a suonare ancora.
Se gli avessi detto che non lo sapevo sarebbe stato troppo triste. Gli ho detto che suonavi ogni giorno, che eri felice come il primo momento in cui decidesti di lavorare con noi.
Ed il capo aveva un sorriso così gioioso che mi sono sentito felice anch’io. Lui sarebbe morto, avrebbe portato il nostro ricordo con sé, in un’altra dimensione. Non ti viene un po’ di timore se ci pensi? Che responsabilità è mai questa? –


Feci una breve pausa, nella quale non riuscii a trattenere i singhiozzi.


-La nostra musica sarà nel cuore di quell’uomo anche laggiù, ovunque egli sia andato a finire. O almeno lo spero, voglio sperarci con tutto me stesso.
Voglio credere che per qualcuno fossimo così importanti.
Lo ricordi quello che dicevo? Che noi eravamo la colonna sonora di qualcuno? Ecco, prima ne sottovalutavo l’importanza.
Roy, nei pensieri di qualcuno, nei suoi ricordi, saremo per sempre qualcosa di gioioso, di perfetto.
Non ti fa pensare all’amore tutto questo? A me si e non so nemmeno il perché.
Forse perché ti amo, Roy. Forse perché amo ogni cosa di te.
Forse perché amo persino la tua lontananza ed i tuoi silenzi.
Io amo te, Roy. –


Ti abbracciai, posando il viso contro la tua schiena ed inumidendoti la camicia di lacrime. Non ci riuscii proprio a trattenermi, mi sembrava di essere sul punto di esplodere e distruggere ogni cosa.


Piansi senza riuscire ad incontrare il tuo sguardo, avvolgendo con le braccia la tua vita, unendo le mani sul tuo ventre. Piansi con tutta la disperazione che avevo dentro, la tirai fuori tutta fino a quando mi parve di non avere più forze.


Tu restavi in silenzio e piangevi sommessamente.


Quattro mesi dopo ero vestito di tutto punto per assistere al tuo matrimonio. Il tuo sorriso era raggiante, eri una meraviglia, la stella più luminosa del firmamento. Ed io ero felice per te.


Quando pronunciasti le promesse credevo che non avrei mai assistito ad un momento più emozionante. 
Quando alzasti il velo per baciare la tua amata il tuo sguardo era qualcosa di perfetto.


Poi arrivarono i bambini, lo stesso anno della nascita della tua prima figlia io e tua sorella ci lasciammo per sempre. Non aveva senso continuare qualcosa che non avrebbe in ogni caso avuto futuro. Non fu una separazione particolarmente drammatica, entrambi ce l’aspettavamo da molti anni. Avevamo continuato a rimandarla ma prima o poi sarebbe arrivata.


Io continuavo ad amarti e tu eri felice, cosa potevo chiedere più di questo?



Lo sai, Roy, arriva un momento in cui comprendi che volere a tutti i costi al tuo fianco la persona che ami sarebbe profondamente ingiusto. È in quel momento che inizi ad amare davvero.  Il giorno del tuo matrimonio, mentre ti sorridevo e ti facevo gli auguri, ho capito di amarti come pochi riescono ad amare nella propria vita. Improvvisamente è iniziato a bastarmi questo.


Ogni tanto ci incontravamo e suonavamo insieme, oppure guardavamo le stelle. Quei momenti erano la mia felicità. Finalmente riuscivi a stare in mia compagnia e sorridere.


-JoonYoung, non ti ho mai ringraziato in tutti questi anni per essere restato al mio fianco. – dicesti mentre passeggiavamo sulla riva del fiume, non molti mesi fa.


Ammirammo lo scorrere dell’acqua, i raggi del sole che si specchiavano in essa rendendola brillante. Ed io pensavo a noi, a come la vita ci avesse in qualche modo trascinati, senza mai permetterci una tregua.


-Non ti ho mai ringraziato per avermi amato sempre, in un modo così speciale. –


Ascoltai le tue parole con un lieve sorriso sulle labbra. La nostra vita poteva essere riassunta in una sola frase, che strana sensazione.


-Ti amo JoonYoung, non ho mai smesso. Sembra così banale dirlo adesso, con due semplici parole. –


Sospirasti ed io trattenni quel suono dentro di me per interminabili minuti.


-Grazie JoonYoung, per aver fatto avverare il mio desiderio. –


Alzai lo sguardo verso il suo e gli sorrisi.


-Quale era questo desiderio? –


-Che la mia vita potesse sempre essere colorata dalla tua presenza, amore mio. –


Termina così questo racconto, ora che stai per andare via. Spero che ti abbia fatto bene ascoltarlo, prima di portarlo in un luogo che io non conosco ma che certamente ti renderà felice.


Tua moglie, i tuoi figli, stanno tutti piangendo in sala d’attesa, eppure hanno lasciato entrare me. Forse credevano che avessi un importante messaggio da darti prima di farti volare via per sempre. Ma le cose importanti, io e te, Roy, ce le siamo dette per tutta la vita. Anche se per lunghi giorni e lunghe notti ci siamo fatti compagnia con il nostro silenzio, sento di conoscerti alla perfezione.


Hai deciso di lasciarmi, per l’ultima volta.


Il nostro amore non è culminato in qualcosa come un matrimonio o una famiglia, è rimasto imperfetto, come lo siamo noi. Forse non potevamo chiedere nulla di meglio.


Ti amo, Roy.


Ti prego, fa un buon viaggio.
  
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