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Autore: Darkry    19/06/2014    1 recensioni
Karol, una ragazza ricchissima, ha appena compiuto ventuno anni.
Il padre decide di regalare a lei e ad i suoi più cari amici, Tracey e Mark, una crociera di 106 giorni.
Ancora non sa che il destino la chiamerà a pareggiare i conti. Ancora non sa che lì, sulla nave, incontrerà Jake, che le aprirà gli occhi su un mondo da lei dimenticato, su emozioni messe a tacere dopo un brusco incidente.
Lì, sulla nave, Karol riscoprirà se stessa, scoprirà cosa significa amare e soffrire per amore... in un sogno fatto di ghiaccio.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO 8.


 
 
Ice Dream trailer cliccare qui per vedere il trailer della storia. 


«Mark!» urlo, fendendo la folla e infilandomi tra la gente.
Per un attimo lo perdo di vista nel corridoio affollato e maledico Jake per avermi trattenuta, lo maledico per avermi quasi baciata davanti al mio migliore amico, lo maledico per il potere che esercita su di me ogni volta che lo vedo, ma soprattutto lo maledico perché mi rende stupida e impotente, mi rende incapace di pensare con la mia testa. Quando sono con lui non importa cosa penso, cosa mi dice il cervello. È il cuore a comandare e mi fa paura.
Lo odio e lo maledico perché odio me stessa e il mio autocontrollo inesistente.
Mi alzo sulle punte dei piedi e vedo la testa scura di Mark allontanarsi sempre di più.
Corro a perdifiato, ben consapevole che le possibilità che riesca a raggiungerlo in mezzo a tutta questa gente, con la mia velocità sono pochissime.
«MARK GIRATI!» è come se la mia voce rimbalzasse contro un muro di gomma. Torna indietro e si girano tutti a guardarmi tranne lui. Approfitto dei piccoli passaggi che si sono creati e mi infilo tra le persone, dribblando la gente.
È pochi metri avanti a me.
Allungo una mano e lo sfioro.
Mi slancio in avanti e la mia presa si fa salda attorno al suo polso.
Lo costringo a voltarsi e quando lo fa tiene gli occhi bassi.
Mi concedo qualche secondo per riprendermi dal fiatone. «Si può sapere che cazzo ti è preso?» domando.
In realtà lo so.
So cosa gli è preso e mi sento un mostro a doverglielo chiedere ma non posso farci nulla.
Mark non risponde e non so se essere contenta o meno.
«Guardami».
Gli tremano le spalle, ma non alza la testa.
«Mark» mormoro più dolcemente, «guardami».
Solleva lo sguardo e i suoi occhi sono rossi di pianto e di rabbia.
Una scheggia mi si infila tra le costole e scende in profondità, tagliando e ferendo.
Mi lancio su di lui e lo abbraccio forte, cercando di non farlo scivolare via.
Lui è il mio amico e lo rimarrà sempre, ma ho paura di perderlo con questo fatto dell’innamoramento. Non riesco più a stare con lui come stavamo prima.
E adesso è ferito e anche se le sue braccia mi avvolgono come una coperta e ricambiano l’abbraccio, sento una distanza incolmabile aprirsi tra noi.
Rimaniamo abbracciati per non so quanto tempo e io inspiro il suo profumo, strofinando il viso sulla sua maglietta aderente, come facevo sempre quando ci abbracciavamo per consolarci l’un l’altro.
Quando ci separiamo so di avere il viso bagnato di lacrime e gli sorrido.
«Siamo due stupidi, Mark» dico e dopo un attimo lui ride e si asciuga gli occhi, tenendomi la mano.
«Forse hai ragione, Kar» l’angolo sinistro della bocca gli si solleva in un sorriso triste e abbattuto.
Intreccio le mie dita alle sue, decisa a dedicare il mio intero pomeriggio all’amico migliore che possa esistere al mondo. Il mio sorriso si allarga fino a diventare una risata che lo lascia attonito per un momento.
«Lo siamo, Mark! È l’unica certezza che posso darti!».
Lui sembra pensarci su un momento e poi si stringe nelle spalle.
«Probabilmente è vero» mi strizza l’occhio e un attimo dopo mi trascina in una folle corsa in mezzo alla folla.
Corriamo a perdifiato, urlando cosicché la gente si scosti per farci passare, piegati in due in preda a risate isteriche insensate, con gli occhi lacrimanti per il vento che ci investe sul ponte della nave.
Ci fermiamo senza fiato su una parte del ponte isolata e guardiamo il mare tinto d’arancio sotto di noi, appoggiandoci alla ringhiera. L’odore salmastro dell’acqua mi assale le narici e riverso il capo all’indietro, godendomi tutta questa tranquillità, e la luce calda e arancione del tramonto che mi batte sulle palpebre.
Pace.
Dopo anni, pace.
Se sapevo che per trovarla avrei dovuto correre e urlare a perdifiato con Mark l’avrei fatto molto prima.
Mark mi solletica la pancia e io mi stacco dalla ringhiera urlando e scappando, in preda alle risate.
Adesso ride anche lui ed è così bello vederlo sorridente, felice, sereno e non teso come in tutti questi giorni.
Questa crociera doveva essere una vacanza per tutti noi, dovevamo avvicinarci e goderci la nostra amicizia ogni singolo minuto, ma finora non è stato così.
Io ho sempre cercato di scappare dall’assillante presenza di Tracey e da quella fin troppo dolce di Mark e, nonostante abbia avuto le mie buone ragioni per farlo, me ne sono pentita.
Mi piacciono i miei amici e mi piace passare tempo con loro.
«Cosa facciamo?» mi chiede Mark sorridente, avvicinandosi a me.
Per la prima volta però non ho paura di questa vicinanza perché leggo nei suoi occhi la vecchia complicità di quando giocavamo in strada o facevamo gli scherzi ai ragazzi nei corridoi della scuola.
«Mhmm…» rifletto.
«Gelato?» propongo, sfoderando dal mio repertorio il mio più affascinate sorrisetto da bimbetta da cinque anni.
Mark sorride e mi passa un braccio attorno alle spalle «Approvato!».
Arriviamo al bancone del gelato, che è un piano sopra la piscina. Se ci sporgiamo possiamo vedere la gente che si fa il bagno e che nuota allegramente o prende il sole.
In un angolo vedo una ragazza scrivere qualcosa su un taccuino e mi sporgo un po’ di più, incuriosita.
La penna scorre veloce sulla pagina e potrei quasi vedere le parole che prendono forma sul foglio, dando vita ad una storia, ad una favola.
Chissà se qualcuno scriverà mai la mia, di storia.
Mi assale un senso di inquietudine. Non ci sarebbe nulla da dire.
Niente di interessante, sono solo una ragazza come tante. Improvvisamente ho come l’impressione che la mia vita manchi di qualcosa.
Di un obiettivo, di una motivazione, di qualcosa che mi spinga ad alzarmi ogni mattina con la voglia necessaria a combattere per raggiungere il mio sogno.
Una volta ce l’avevo, quel sogno.
Adesso non più.
E improvvisamente capisco come in tutti questi anni mi sia trascinata lentamente, giorno dopo giorno, costretta ad una vita che ormai mi stava stretta, perché mi ero negata tutto, persino la libertà di sognare.
E adesso?
«Gusti?» Mark mette fine alle mie riflessioni e accenno un lieve sorriso per non rovinare tutta la giornata.
Mi avvicino al bancone e guardo attentamente attraverso il vetro.
«Tronky, Nutella e Bacio» proclamo sorridente.
Mark scuote la testa, con un sorriso esasperato stampato sul volto.
Poco dopo ci incamminiamo con i nostri gelati.
Da che ho memoria io ho sempre preso gusti cioccolatosi e lui sempre gelati alla frutta.
«Sembra buono» dico, osservando i colori sgargianti del suo gelato. Mark sgrana gli occhi e me lo porge.
«Assaggia» mi incita.
Io gli do il mio e prendo il suo e contemporaneamente assaggiamo i gelati.
«Non male» ammetto, mentre il sapore della mela mi invade la bocca e mi rimane appiccicoso sulle labbra.
Lui arriccia il naso e mi porge il mio cono.
«Il cioccolato è decisamente sopravvalutato» afferma con cipiglio serio e sprezzante.
Se in questo momento cadesse un meteorite proprio su di lui spiaccicandolo in pieno, o se un fulmine lo incenerisse seduta stante, non proverei dolore.
«Hai voglia di scherzare, vero?» lo guardo trucemente, cercando di sembrare pericolosa.
Molto pericolosa.
Mark non sembra accorgersene o forse decide di ignorare la mia aria bellicosa e si stringe nelle spalle con nonchalance.
«Giochiamocela» dice solo e non ho bisogno di chiedergli a cosa si riferisca perché sono anni che facciamo queste sfide e non ci stanchiamo mai.
Sorrido, sentendo la vittoria quasi in pugno.
Ci giochiamo la ragione su qualunque battibecco e chi perde non può contraddire l’altro per l’eternità. Ovviamente immortaliamo il momento della vittoria con foto e quant’altro mentre prima, quand’eravamo piccoli, facevamo anche una cerimonia solenne con candele, scettro e corona.
«Scegli tu l’arma» sorrido, inclinando il viso di lato e sfidandolo con lo sguardo.
Oggi mi sento combattiva.
Normalmente Mark mi lascia scegliere l’arma della sfida per cavalleria, ma oggi ho voglia di fare uno strappo alla regola.
Lui sorride, sembra pensarci un po’ su «ping-pong» proclama alla fine.
«Perfetto!» esclamo quasi urlando e ci affrettiamo a finire i nostri rispettivi gelati mentre vaghiamo alla ricerca del tavolo da ping-pong.
La porta a vetri scorrevole si apre sulla terrazza al piano più alto dove ci sono una serie di tavoli destinati ai vari giochi come biliardo, squash, biliardino e ping-pong. Mi avvio saltellando verso la mia postazione afferro due racchette e ne lancio una a Mark che la afferra al volo, sorridente.
Mi sento leggera e frizzante come una bollicina, l’adrenalina mi scorre nelle vene facendomi spostare il peso da un piede all’altro e non posso fare a meno di essere felice per questo pomeriggio fantastico e per il sorriso raggiante e contagioso di Mark.
Lancio la pallina in alto e la colpisco con forza, facendola rimbalzare velocemente dall’altra parte del campo. Mark non è abbastanza svelto e il primo punto è mio.
«Per il cioccolato!» annuncio con aria solenne, mentre Mark alza gli occhi al cielo, visibilmente scocciato.
«Per i gusti alla frutta totalmente sottovalutati!» risponde, e la vera battaglia ha inizio, senza esclusione di colpi.
Ringrazio mentalmente mio padre con cui ho giocato a ping-pong migliaia di volte a casa e per tutte le mosse tattiche che mi ha insegnato.
Dopo mezz’ora, il cioccolato ha il suo meritatissimo primo posto e Mark ha una faccia dura e sconfitta mentre io ballo in maniera scatenata la lambada.
Lo prendo per mano trascinandolo all’interno della nave.
«Dai, andiamo a curiosare in giro!».
Mark alza gli occhi al cielo e mi segue mentre ci avventuriamo per i corridoi.
 
Due ore dopo siamo intenti ad osservare le foto appese nella galleria. Tracey è stata immortalata mentre si aggiusta il reggiseno sorridendo all’obiettivo, con accanto un Ian decisamente imbarazzato e rosso in viso che non si è accorto dello scatto. Io e Mark ridiamo senza freni mentre scegliamo tutte le foto da portar via.
Mentre Mark porta le foto al bancone e si fa dire il prezzo io guardo le altre che ho in mano.
Una in particolare mi colpisce.
Ci sono io pensierosa, che guardo qualcosa con gli occhi persi nel vuoto. Accanto a me, Mark mi guarda come se non ci fosse altro al mondo.
Mi si stringe il cuore e lo osservo da lontano, stringendo la foto tra le dita.
Ride, si passa una mano tra i capelli ed è felice. Mi guarda per un attimo e mi fa cenno di raggiungerlo.
E se stessi sbagliando tutto? E se fosse lui la persona giusta, la persona da amare?
Stringo le labbra e guardo ancora una volta la foto. La piego e, lentamente la faccio scivolare in borsa.
Mark si avvicina e mi porge la scheda che uso ogni volta per pagare qualsiasi cosa, cosicché i miei genitori non si insospettiscano e non mi accusino di essere un’avara di prima categoria.
Hanno questa concezione della ricchezza. Più hai, più devi spendere, per te e per gli altri. Tenersi tutti i soldi non serve, non li fa crescere e non ti rende felice.
Io non vi dò tanto peso anche perché se c’è una cosa che ho imparato in tutti questi anni è che i soldi non comprano la felicità né rimarginano le ferite.
Tengono lontani i problemi per un po’, al limite, ma loro ti aspettano e ti seguono ovunque, come un’ombra.
«Andiamo?» mi chiede Mark facendomi trasalire.
Annuisco e mi passa un braccio attorno alle spalle mentre usciamo sul ponte del quarto piano e guardiamo il mare ormai scuro.
Abbiamo passato insieme tutto il pomeriggio e mi sono sentita tremendamente bene con lui, proprio come ai vecchi tempi in cui non avevamo paura di dirci nulla.
L’aria si è fatta fredda e sul ponte ci siamo solo noi.
Mentre le onde si infrangono contro la nave volto lo sguardo verso Mark e lo scopro intento a fissarmi. Non stacca gli occhi dai miei e io non riesco a distogliere lo sguardo.
«Ti amo».
Voglio essere risucchiata.
L’ha detto.
L’ha detto!
Sono state due parole pronunciate velocemente ma troppo chiaramente per essere cancellate.
Mi guarda, aspettando qualcosa, qualunque cosa, ma l’unica cosa che riesco a fare è guardarlo e respirare per quel che mi riesce.
I suoi occhi scuri sembrano lucidi per il riflesso dell’acqua e forse non solo per quello, penso tra me.
Abbasso lo sguardo e mi ritraggo, facendo un passo indietro.
«Ehm… devo andare, Mark» dico a bassa voce, odiandomi mille volte per non avere il coraggio di dire quello che penso, di dirgli ciò che provo.
«Da chi? Da lui?» fa un passo avanti, le mani sono serrate e la voce è tagliente.
Assottiglio gli occhi mentre sento il sangue ribollirmi nelle vene per la rabbia.
«E anche se fosse?» sibilo.
Non mi va che tiri Jake in ballo, adesso.
Lui non è qui e non c’entra nulla con questa storia.
«Lui non ti è mai stato accanto!» urla, rosso in viso. Gli scivola una lacrima dall’angolo dell’occhio destro e in un attimo la rabbia è sparita e mi sento in colpa, mi dispiace tremendamente per lui.
«Lui non ti conosce, non sa chi sei, né cosa hai passato!» continua, facendomi indietreggiare. «Pensi che starà ancora accanto a te dopo una scopata? O dopo aver saputo ciò che hai vissuto? Io ti sono stato accanto tutti questi anni! IO sono sempre stato vicino a te, senza mai lasciarti! Chi è lui? Nessuno, Karol!» le sue parole trasudano rabbia e rancore e sono ingiuste. Digrigno i denti e serro i pugni, ficcandomi le unghie nella carne.
La rabbia mi assale, più forte di prima e lo odio per ciò che ha detto, vorrei distruggerlo.
«Tu non hai nessun diritto di trattarmi in questo modo!» urlo. «Sono una donna, Mark, faccio ciò che voglio e nessuno ti ha chiesto di starmi accanto tutti questi anni! È stata una tua scelta e adesso non pretendere un pagamento per ciò che doveva essere un gesto spontaneo ma che evidentemente non lo era! È la mia vita, decido io come gestirla e soprattutto decido io a chi darla e a chi no. E detto questo il discorso è CHIUSO!» mi giro e corro dentro la nave, fiondandomi in un ascensore e premendo un pulsante a caso.
Sono fumante di rabbia e l’unica cosa di cui ho bisogno in questo momento è scaricare i nervi affondando le lame nel ghiaccio
.
 

*** IL RITORNO ***
Ave a tutti! Lo so, sono imperdonabile.
In effetti non so più nemmeno quanti di voi EFFETTIVAMENTE leggano o si caghino questa storia dopo tutti i ritardi di pubblicazione e dopo le merde di capitoli che vi propino ogni volta che rispunto dal nulla.
Non so che dire.
Di promesse non ve ne faccio più, tanto si è capito che sono incapace di mantenerle, ma spero vivamente che i tempi d'oro ritornino per il mio povero encefalo che sta cerebralmente deperendo piano piano. Insomma, manco di inventiva, volontà e ispirazione.
Perciò LEVATE QUELLE DANNATE BAMBOLE VOODOO tanto lo so che siete voi! :p
Un bacio a tutti e che la forza sia con voi!

Krys la rediviva. 
  
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