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Autore: perfectlouis    19/06/2014    1 recensioni
Perché la vita può cambiare in un semplice giorno d'estate.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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CAPITOLO UNO.

-Dio, smettila di fare la bambina!

-Ah, quindi sarei una bambina ora?

-La sei sempre stata.

-Perciò se ora mi incazzo perché te la fai con altre tipe sarei una bambina?

-Non me la faccio con altre tipe, cogliona! Sono mie amiche, okay?

-Tue amiche? Non sapevo ci si comportasse così con delle amiche. Beh, bello.

-Sai cosa? Non ho voglia di discutere, ci si vede.

-No, caro. Qui quella che non ne ha voglia sono io, chiaro? Mi sono rotta del tuo atteggiamento, mi sono rotta delle tue cazzate, delle tue amiche, delle tue scenate. Mi sono rotta di tutta questa merda. Mi sono altamente triturata i coglioni del tuo giro di amici, della tua eccentricità e di tutti i “vaffanculo” che ho trattenuto al posto di spararteli in faccia. Quindi, ora, vaffanculo tesoro mio.


Guardai per alcuni secondi il ragazzo davanti a me con disprezzo, mentre lui elaborava le mie parole. Scossi la testa guardandomi le punte dei piedi, avevo appena messo un punto a quel noi. Potevo quasi sentire i suoi occhi neri perforarmi il corpo.
Un pesante silenzio regnava nel grande salone in cui ci trovavamo. Volevo andarmene, ma era come se i miei piedi stessero facendo uno sciopero. Lui non distoglieva lo sguardo da me, socchiuse le labbra, stava per dire qualcosa.

-Scherzavi.
Le sue pupille, che a malapena si distinguevano dall’iride, cercavano una qualche scintilla di speranza nei miei occhi.

-Cheryl, scherzi vero? Non stai mettendo fine a tutto questo, vero?
Il suo sguardo diventava pesante, i suoi occhi tristi. Afferrai rapidamente la borsa che avevo posato sul divano e corsi alla porta.

-Non lo so Eric, non lo so.

Chiusi la porta alle spalle, respirai profondamente e mi diressi a casa.
L’estate era arrivata anche a Bristol e il caldo era tanto. I raggi del sole mi obbligavano a socchiudere gli occhi e a portare una mano sulla fronte in modo da crearmi dell’ombra. Troppa afa per ragionare su Eric. Ma dovevo, era l’unico pensiero che occupava la mia mente.
Gli avevo urlato in faccia cose che per molto tempo mi ero tenuta per me e non ci avevo pensato due volte. L’avevo ferito eppure non mi sentivo in colpa. Sentivo che era giusto così. Che per troppo tempo avevo sopportato i suoi sbalzi d’umore, per troppo tempo avevo subito standomene zitta solo per far sì che la nostra storia andasse avanti. E infatti era andata avanti per sei mesi, ma ora basta. Era arrivata la fine anche per noi e per una volta ero io a volerla. Per il mio bene e perché, di nuovo, credevo che fosse “giusto così”.
Mi infilai in una stradina ombrosa che portava a casa mia. Dei bambini, approfittando del caldo, giocavano a palla o a ricorrersi. Sorrisi passandogli accanto. Pochi metri e mi sarei lanciata sul letto.

E fu quello che feci. Dopo una rapida doccia, mi trovavo scaraventata sul letto a fissare stupidamente il soffitto. Lo facevo spesso. Credevo che, in qualche modo, potessi trovare una risposta in quel intonaco bianco. Scossi la testa e mi girai di lato.

-Davvero la vuoi finire qui con Eric?
Lo amavo. Sì, lo amavo, almeno questo credevo. Nei suoi occhi neri mi ci perdevo, tra le sue braccia stavo bene, ma allora perché l’avevo aggredito così? Perché alla fin fine non mi sentivo in colpa, ma più leggera?

-Cheryl, semplicemente non lo ami.
Dissi a me stessa. Forse era davvero arrivata la fine. Probabilmente non ero più in grado di mandare avanti questa storia per quanto mi potesse far.. male? No, non credo mi facesse male.

-Allora, è finita?
Questo dialogo con me stessa mi stava uccidendo. Però era finita. Insomma.. senza troppi giri di parole non lo amavo più o almeno non quanto prima. E se questo amore stava “perdendo colpi” era meglio che perdesse del tutto.

Sbloccai l’iPhone, non fui stupita della serie di messaggi che avevo ricevuto da Eric:
-Cheryl, possiamo chiarire tutto. Scusami, io.. io giuro, non volevo dirtele quelle cose. Incontriamoci…
-Amore, scusami ti prego. Forse sei sotto la doccia, sì, sicuramente sei sotto la doccia, tu rispondi sempre ai messaggi.
-Piccola… parliamone, vedrai che risolveremo tutto, come sempre.

Mi passai una mano tra i capelli scostando il lungo ciuffo che mi occupava la visuale. Forse sì, dovevamo parlare, ma io vedevo solo la scritta “fine” se pensavo a me e lui assieme. E dovevo dirglielo al più presto. Aprì così il suo ultimo messaggio e digitai decisa:
-Sì, dobbiamo parlare. Domani mattina alle undici sii sotto casa mia.
La fine delle scuole mi permetteva di fare più cose e sentivo che il giorno seguente sarebbe stato lungo, molto lungo.

-Va bene, a domani cucciola.
La malinconia mi travolse. Sarebbe stata l’ultima volta in cui lui mi chiamava cucciola. Sapevo per certo, conoscendolo bene, che tra noi non ci sarebbe rimasta nessuna amicizia, niente di niente, che sicuramente ci saremmo comportati da sconosciuti. Ma, ancora una volta, sentivo che “era giusto così.”

Il suono del campanello mi allontanò dai miei pensieri. Mi alzai dal letto di corsa e andai ad aprire.

-Ci metti sempre una vita ad aprire una cazzo di porta.
Era Chad, mio fratello.

-Le hai le chiavi coglione, apritela da solo.
Mi voltai e me ne tornai in camera mia sbuffando ad ogni singolo passo.

Semplicemente ci odiavamo. O perlomeno, lui non mi aveva mai mostrato affetto perciò non lo facevo neppure io. Era quindi nata una sorta di odio tra di noi, che poi non era odio puro, era odio “fraterno”.. insomma, era quello che era.
Chad aveva diciannove anni, perciò due in più di me, ma il suo cervello ne contava otto. Avevamo lineamenti simili, occhi azzurri, capelli biondo cenere, corporatura alta e snella. Caratterialmente eravamo entrambi espansivi, aperti, socievoli e amichevoli. Io più matura, ma stronza. Lui in alcune occasioni più serio, ma coglione. Tutti e due fumavamo da far schifo.

A cena c’era la famiglia riunita. Papà capotavola, un uomo di quarantacinque anni, non esattamente magro, coi capelli corti e ricci che però iniziava a perdere. Si chiamava Robert, ma tutti abbreviavano a Rob. Alla sua destra c’ero sempre seduta io, lo amavo. Era il mio principe dell’infanzia e, anche se non lo dicevo, sotto sotto lo era ancora. Mentre alla sua sinistra c’era mamma. Casalinga, aveva abbandonato gli studi al liceo per papà, credo che sarebbe diventata un infermiera. Lei era ancora magra nonostante i parti, i lunghi capelli le cadevano morbidi e mossi sulla schiena. Forse i capelli erano l’unica cosa che io e Chad avevamo preso da lei. Il suo nome era Elizabeth e qui i soprannomi quasi non finivano. Accanto a me sedeva Chelsey, la mia sorellina di soli cinque anni. A differenza nostra era la fotocopia di mamma, in tutto e per tutto, e perciò era molto diversa. Aveva capelli lisci e color cenere, pelle olivastra e occhi marroni. Il viso era allungato e aveva lineamenti più dolci. La adoravo, era la mia stellina. Chad la prendeva in giro costantemente dicendole che non era nostra sorella, ma alla fine la coccolava tantissimo e stava sempre con lei. Spesso morivo di invidia, volevo che lui si comportasse così anche con me, non sempre, ma almeno qualche volta. Ma sapevo che non sarebbe mai successo. Di fronte a Chelsey sedeva Chad.
Nostra madre ci aveva dato a tutti un nome che iniziava per “C”, credeva fosse figo, noi glielo lasciavamo credere.

A cena quasi terminata mamma mi chiese come andava con Eric.

-Domani lo lascio.
Dissi alzandomi per mettere il mio piatto a lavare. Tutti si voltarono sorpresi, tranne Chelsey impegnata a giocare con Kuper, il suo pupazzo a forma di pappagallo.

-Cosa?
Chiese papà.

-Avete capito, domani alle undici ci vediamo e gli spiego la situazione. Non sopporto più i suoi sbalzi d’umore e il suo atteggiamento nei miei confronti.
Spiegai risedendomi.

-Nah, non l’hai mai amato tu, è solo stato un tuo passatempo personale Cheryl.
Esclamò Chad strafottente con un sorrisetto sul viso.

-Ma tu che cazzo ne sai?
Quasi urlai.

-Cheryl!
Mio padre mi richiamò. Mi alzai di scatto in piedi.
 
-Ma “Cheryl” cosa, papà? Insegna a tuo figlio a farsi i cazzi suoi.
Strinsi i pugni lanciando uno sguardo a Chad. Stava ridendo. Che pezzo di merda. 

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Angolo scrittrice.
Se state leggendo questo vuol dire che avete letto il mio primo capitolo. 
Premetto che ho provato diverse volte a scrivere una sorta di FanFiction e di concluderla, ma non ci sono mai riuscita. Però amo scrivere, e forse non mi riesce così bene, e perciò ci riprovo con questa. 
Diciamo che per il momento non so esattamente dove voglio andare a parare, però mi piace quello che sta venendo fuori.
Adesso che è estate credo che sarò molto costante col pubblicare capitoli nuovi e spero che voi li seguiate. 
Beh, che dire, se vi è piaciuta lasciate una recensione, grazie a chi lo fa. 


Vi consiglio di passare a leggere e magari anche recensire questa fanfiction qui sotto perchè merita davvero, è al terzo capitolo ed è davvero molto molto bella.
Ecco il link -->
 http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2657475&i=1 

Se volete seguirmi su twitter sono --> @restanoiricordi 

Grazie e alla prossima.

 
  
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