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Autore: chos    19/06/2014    5 recensioni
Stanford!Era | Dean è divorato dalla solitudine da quando Sam lo ha abbandonato per andare all'Università, così si lascia convincere a far uso di droghe e, in preda all'effetto di queste, chiama il fratello.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Prima dell'inizio
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I don't do drugs.

 

“Sono uno spasso, non devi preoccuparti: noi abbiamo solo roba buona! Ti sballi e non pensi più ai tuoi problemi. Facile e veloce, non trovi?”
Furono quelle le parole che lo convinsero a tirare la dose di polvere bianca che tanto sembrava allettarlo offrendogli una momentanea pace dei sensi di cui aveva estremamente bisogno, perché da quando suo fratello lo aveva abbandonato era completamente in balia di quella solitudine che non poteva essere colmata dai rari incontri che avvenivano col padre, non appena si liberava dai suoi impegni da cacciatore.
Cacciava anche lui ormai, si era guadagnato il rispetto del suo vecchio e nella sua carriera appena iniziata già il novero dei casi risolti era notevole, ma neppure questo riusciva a farlo distrarre abbastanza da non pensare a Sam, da non pensare a quanto fosse arrabbiato con lui e quanto allo stesso tempo avesse bisogno di stringerlo tra le proprie braccia e non lasciarlo andare mai più via.
Lo vedeva nella fitta boscaglia, durante un inseguimento; lo sentiva quando tentava di chiudere gli occhi per dormire quelle poche ore che si concedeva ogni notte.
Eccolo, ecco il perché si ritrovava nella sua stanza di motel ad assumere cocaina nonostante lui stesso, si ricordava bene, si fosse raccomandato più e più volte con il fratello di non farlo, ché quella roba 'scombinava soltanto il cervello e ti uccideva qualche neurone per nulla', proprio per quel fratellino di cui, preso dall'euforia dell'attimo, digitò il numero.
Non era più in grado di controllarsi, quel freno d'orgoglio che gli aveva proibito di fare ciò che stava facendo in quell'attimo sembrava essersi dissolto proprio come la striscia che prima era sul tavolo ed in quel momento lo faceva girare, in modo circolare, davanti il letto, con un sorriso acceso e l'adrenalina che veniva pompata nel sangue, sempre di più ad ogni squillo, la quale gli smuoveva freneticamente le dita che non erano impegnate a tenere il cellulare.
E infine, qualcuno rispose.
Sam solitamente non rispondeva alle chiamate provenienti da numeri sconosciuti, ma quella volta, tra le braccia della sua fidanzata, fu colpito da uno strano presentimento, che l'obbligò a premere il pulsante verde del suo telefono e chiedere, dunque, chi vi fosse dall'altro capo, mentre con un'occhiata si scusava con la donna al suo fianco. E Dean rise al suono di quella voce, rise felice ed impossibilitato ad esprimere altre emozioni, “Oh, Sammy! Sono io!”.
“Dean?”, fece l'altro, perdendo un battito in un misto di panico e contentezza: anche lui aveva fissato tante volte il suo cellulare, indeciso se farsi vivo o meno, e tutte le volte aveva inghiottito il nodo che gli bloccava le corde vocali e si era tuffato sui libri, motivi per cui aveva lasciato tutto, almeno in apparenza, ma non si spiegava il motivo per cui il fratello si facesse sentire in quel momento, e per di più con quel tono di voce.
Era preoccupato, e a buon ragione. “Dean, sei tu?”.
“Ma ovvio che sono io, fratellino! Come te la passi, mh? Cavolo, l'Università e tutto il resto devono essere proprio pazzeschi, spero che non ti stia divertendo troppo in mia assenza!”, inciampò sui suoi stessi piedi, pronunciando quelle cose, ed ancora ridendo si sorresse sulla testiera del letto che scricchiolò infastidita da quel brutto movimento, proprio come lo era Sam dalle brusche parole di Dean, che lo indisposero nel breve attimo che anticipò la consapevolezza che ci fosse qualcosa che non andava.
“E' successo qualcosa?”, domandò allora il più piccolo nel tentativo di mirare il problema, mentre l'altro si schiarì la voce buttandosi sul materasso che lo fece rimbalzare per due volte prima di stabilizzarsi.
“Naah, volevo solamente sentire il mio Sammy”.
“Non chiamarmi in quel modo, Dean. Sai benissimo che non lo sopporto”, la replica fu immediata, ma la sua espressione era corrucciata, anche quando si voltò verso Jessica con un sorriso fin troppo forzato, per rassicurarla, prima di allontanarsi e raggiungere la stanza adiacente a quella in cui si trovava, massaggiandosi il collo che s'era contratto dall'ansia che piano piano si insidiava in lui.
“Sicuro, ricevuto. Non ti chiamerò più Sammy, come vuoi che ti chiami? Oh, forse dovrei chiederti se, prima di tutto, mi è concesso parlarti. Stavi studiando? Perché immagino che tu faccia questo invece che stare al mio fianco, no?”.
Un'immensa voglia di sbraitargli contro tutta la frustrazione ed i sensi di colpa che si trascinava dietro da ormai troppo tempo, lo prese tutto, ma si controllò, perché quello straparlare da parte di suo fratello non preannunciava nulla di buono: l'unica cosa da comprendere adesso era cosa avesse preso ed il perché, soprattutto alla luce della promessa che gli aveva fatto poco prima della sua inattesa partenza, “Mi avevi promesso che non ti saresti mai rovinato appresso quella robaccia, come papà”, il suo tono era duro, ma tremante di quella paura che voleva reprimere e nascondere dietro una facciata matura e pronta ad affrontare qualsiasi problematica stesse per presentarglisi.
E Dean rise ancora a quell'affermazione, giocherellando con la pistola e guardandola rigirarsi tra le sue dita che sembravano staccate dal suo stesso corpo, come qualcosa di esterno che attirò la sua attenzione per un lungo tempo, prima che riuscisse a concentrarsi nuovamente nel discorso che aveva intrapreso e dire parole che non sarebbero mai uscite dalle sue labbra in uno stato di lucidità, “E' esilarante pensare come proprio papà al momento sia la persona a me più vicina, giusto? Lo stesso che tu hai sempre combattuto adesso è l'unico che ha le palle di prendere il telefono e dirmi che è ancora vivo e che presto ci rivedremo”.
Ancora pugnalate al petto, e ancora, e ancora. Sam dovette poggiare la schiena contro il muro per sopportare il dolore che i pensieri di Dean, influenzati da chissà cosa, gli stava provocando, attento ad ogni battito di quel cuore che si sbriciolava ad ogni lettera di troppo.
“Io... dovevo pensare al mio futuro”, tentò di giustificarsi allora, con così poca convinzione che non convinse nemmeno se stesso; la stessa mancanza di convinzione alla quale si aggrappò l'altro, perduto il sorriso e con una rinnovata foga: “IO SONO IL TUO FUTURO, SAM!”.
Il silenzio che echeggiò in quelle cornette era asfissiante, più per Sam, che solo grazie alla forza d'inerzia riuscì a mettersi ritto e a tenere il telefono tra le mani.
“O quanto meno dovevo esserlo...”, si corresse Dean ricordando le proprie parole con difficoltà, “Dannazione, sono stato sostituito da una catasta di noiosi libri universitari, devo ammetterlo: è proprio umiliante”, continuò, in un delirio che lo fece mettere a pancia in giù, l'espressione inebetita rivolta verso il cuscino, e l'orecchio pronto ad ascoltare qualsiasi cosa dicesse l'interlocutore, mentre sbatteva a destra e a manca senza avvertire alcun dolore.
“Dean, sta' zitto adesso, dimmi solo dove diavolo ti trovi”, fu la laconica risposta di Sam, il quale aveva appreso fin troppo bene quanto fosse grave la situazione, ed aveva bisogno di sapere il suo fratellone sano e salvo, senza più badare a ciò che si lasciava alle spalle: fosse questa l'Università o la ragazza, che alla sua decisione presa in fretta di andar via, si ritrovò spaesata e confusa, prima di seguirlo fino alla porta urlando il suo dissenso ed il suo sconforto ai quattro venti, dal momento che l'unico suono che il ragazzo sentiva, era quello di Dean che adesso canticchiava 'Highway to Hell' perché il posto in cui albergava si chiamava 'Mothell' e pensava fosse divertente ricordarglielo in quel modo.
Nella strada di ritorno l'unico pensiero a cui il più piccolo dei Winchester voleva dare retta, era quello che non avrebbe voluto riprendere i contatti col fratello in quelle circostanze; si era sempre immaginato una reunion completa di abbraccio e pacca sulle spalle, con la comprensione di Dean della scelta fatta e un rinnovato rapporto tra cacciatore/avvocato che forse era quasi utopico, ed invece si ritrovò ad entrare in quella squallida camera dalla carta da parati d'un rosso eccessivamente acceso, che metteva in risalto il restante della droga non consumata ed il corpo del fratello, che non appena si aprì la porta, si mise in piedi con la pistola pronta per un colpo, il quale si annullò non appena l'uomo riconobbe la figura di Sam.
E rimase fermo, immobile, prima di scoppiare in una risata che in condizioni normali sarebbe stato un pianto silenzioso e nascosto, mentre la preoccupazione dell'altro si faceva tanto alta da obbligarlo ad avvicinarsi a grandi passi a lui, nonostante la situazione lo spaventasse alquanto.
“Dean, cosa hai fatto?”, disse allora costringendolo in un abbraccio, mentre il diretto interessato tentava di divincolarsi in tutti i modi, per poi comprendere appieno la domanda che gli era stata posta e guardarlo dritto negli occhi, con le sue pupille spropositatamente dilatate.
“Ti ho portato da me”.

La notte fu lunga: occuparsi di un Dean esaltato dagli effetti della droga non fu per nulla facile, e Sam poté far fronte a quella situazione solo prestabilendosi come obiettivo il dirgli qualcosa di troppo importante per rimanere taciuto, non appena sarebbe stato possibile, ed il momento si presentò non appena quello si svegliò, ritrovando piacevolmente al suo fianco colui di cui aveva più bisogno.
“Sam... tu...?”, cominciò, confuso, ma poté solo portare una mano alla testa, piuttosto che continuare a parlare, portando così il fratello a protendersi verso di lui per offrirgli il suo aiuto, “Sto bene, tu dovresti essere all'Università, piuttosto”.
Ed eccolo lì, il Dean di sempre, che aveva bisogno di nascondere al mondo il suo stato d'animo per star bene con gli altri, ed era ironico il fatto che per la prima volta Sam fosse felice di riscontrare quel tratto nel suo fratellone.
“No che non dovrei, ho mollato tutto, ieri sera”.
“Cosa?”, finalmente, la sua postura si sistemò, e poté guardarlo in faccia, con i suoi occhi stanchi ed infastiditi dalla luce che filtrava dalle finestre, ma soprattutto confuso, ché oramai s'era rassegnato a vivere da solo.
“Beh sai, alla fine non mi sono mai sentito pienamente a mio agio, è meglio così”.
Dean affilò lo sguardo, ma era così provato dai postumi di quella robaccia che doveva considerare una vittoria stare con la schiena dritta, “Pensaci bene, prima di fare stronzate”, disse coricandosi di nuovo, dandogli le spalle, e mai si sarebbe aspettato di sentire quelle braccia che lo avvolgevano in un abbraccio, e quelle labbra che gli baciavano la spalla, prima di dire parole che avrebbero dovuto essere state dette molto tempo prima.
“Mi dispiace”.
Ancora silenzio, ma stavolta era più semplice sopportarlo, tra le braccia di chi aveva tanto aspettato.
“Piantala, e lasciami dormire adesso”.
Un altro bacio sulla guancia, e si addormentarono insieme.
L'equilibrio era stato ristabilito.
I Winchesters?
Di nuovo in pista.
 

NB: Questo scritto non è stato scritto a scopi di lucro  ed i suoi personaggi non mi appartengono.

   
 
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