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Autore: wrjms    19/06/2014    2 recensioni
"San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla".

Sherlock e John osservano il cielo a San Lorenzo.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I don't have friends. I've just got one.'
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Prompt: Cometa
Word Count: 736
Genere:
Angst,
Triste, Introspettivo

Pairing:
Johnlock

Accompagnamento:
“We Move Lightly”,
Dustin O' Halloran


Sherlock Holmes - unico consulente investigativo del mondo, l'eroe di Reichenbach, l'Uomo del Cappello - non si era mai particolarmente appassionato all'astronomia, com'è rinomato, a tal punto che era arrivato persino ad eliminarla completamente dal suo Mind Palace e a smentirla con ogni parte di sé. Eppure, John Watson - medico militare e personale baby sitter del più giovane dei fratelli Holmes – era sempre stato attratto dalla materia e, nonostante avesse a lungo tentato di nascondere questa passione al suo coinquilino, il tentativo non aveva fatto molti progressi.
Era la notte del dieci di Agosto e i tetti londinesi, ultimamente abituati alla calura estiva, erano stati rasserenati da una pioggia recente e dalla brezza fresca che questa aveva portato. Sherlock e John sedevano, vicini, sul tetto del 221 di Baker Street, accontentandosi di ricercare nel cielo le luci degli aeroplani e di fingere che fossero stelle, non badando affatto al resto del mondo, spalla contro spalla e avvolti dalla coperta rosso scuro che una volta giaceva sullo schienale della poltrona di John. Due tazze di tea non erano state toccate da quando erano state portate su dall'appartamento, la bevanda calda dentro di esse ormai raffreddata. Sherlock stesso se n'era dimenticato; lui che ricordava tutto, lui che non rinunciava mai ad una tazza di tea. Ma egli, più che fissare il cielo, preferiva osservare John, le sue iridi illuminate dalla pallida luna che non lasciavano mai il firmamento, la sua presa mentale sulle stelle, la sua incontrastata meraviglia nel constatare che qualcosa, chissà cosa, era proprio lì sotto i suoi occhi e non se ne sarebbe andato se anche avesse mosso lo sguardo. Sherlock lo guardò e per un attimo gli sembrò di dimenticare tutto: la deduzione, la ricerca, l'esibizionismo, forse persino l'amore. Guardandolo non vide un oggetto da comprendere, la vittima di un caso, la cavia del suo ennesimo esperimento. Vide l'ammirazione e la passione, e, in fondo, nascoste dietro a strati di insicurezza, la tristezza e la desolazione, la nostalgia e l'amarezza. Sentì il bisogno, per la prima volta in tanto tempo, di prendergli la mano e di stringerla, di farsi carico di tutta la sua maliconia e di rimanere in silenzio con essa nel petto. Tuttavia, avendo abbassato lo sguardo, fece per dire qualcosa di sciocco, o per lanciare una lamentazione al cielo vuoto e fin troppo scuro, ma venne interrotto dalla voce candida del dottore.
«Avevo un telescopio, quando ero bambino. Me lo comprò mio padre quando morì mia madre. Aveva il colore dei suoi occhi, lo stesso del cielo notturno, e pensai che se vi avessi guardato abbastanza attentamente attraverso avrei potuto dimenticare di osservare il cielo e credere di essermi immerso dentro ai suoi occhi», sussurrò con sguardo malinconico, puntato al terreno, le dita che giocavano distrattamente con l'orlo della coperta. «Non avevo calcolato, ovviamente, che del cielo non esisteva solo il colore, ma anche gli abitanti. A San Lorenzo, dopo un anno dalla sua morte, vidi una stella cadere. Pensai fossero le sue lacrime. Evidentemente ero troppo ingenuo per realizzare che al cielo non importa nulla di ciò che ci accade, quindi tantomeno ai morti».
Sherlock lasciò che le
cicale riempissero il silenzio e che John appoggiasse la testa alla sua spalla, respirando profondamente contro il suo petto, il frinire e i lenti spostamenti d'aria gli unici suoni ad accompagnarli nel sonno. Poi, in una lenta ninna nanna, cominciò a recitare.
«San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla
».
John tacque a sua volta, questa volta stringendo la camicia di Sherlock con una mano, mentre la destra dell'altro s'appoggiò con dolcezza sul suo braccio e lo strinse a sé. John aprì gli occhi per un istante, scrutando il cielo davanti a sé.
Una cometa cadde oltre il tetto del St. Batholomew Hospital.

Quando John Watson riaprì gli occhi giaceva sul prato ancora umido per la pioggia, le fronde degli alberi secolari tese ad abbracciare il cielo sotto al suo sguardo assonnato. Il medico si lasciò sfuggire un sospiro, si puntellò sui gomiti, si alzò.
Di Sherlock non rimaneva che la tomba sopra alla quale aveva dormito e il ricordo spezzato di un sogno che già sbiadiva.
L'Universo non era mai stato tanto malvagio.

E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!


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Angolo dell'Autrice
Due storie in due giorni – sono una macchina da combattimento (▰˘◡˘▰) Teoricamente non valgono, eh, dato che quella di ieri non mi convinceva un granché e temo che questa sia troppo criptica e di aver lasciato un finale troppo vago ed esageratamente misterioso. Però è tardi e come ieri non ho capacità di ragionare a quest'ora e le fic angst mi distruggono per piacere comprendetemi
Siete un fandom adorabile e niente, spero di avervi soddisfatti. Alla prossima fic! ♡

P.S. Nel caso, come al solito, abbia cannato in metodi di comunicazione: John ha sognato tutta la prima parte del testo. Post!Reichenbach.

   
 
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