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Autore: Raven Callen    20/06/2014    8 recensioni
[A Yssis, per il suo compleanno]
Akio scrutò la strada, oltre il vetro di quel grattacielo, che si muoveva sotto di lui.
Nonostante la distanza – era all’ultimo piano, del resto - riusciva a sentire un certo brusio venire da sotto, la città pulsava rumorosamente di vita, ignara della sua presenza.
***
Certi sentimenti, a volte, possono risultare pericolosi.
Sono un gioco, un gioco interessante - senza dubbio - ma rischioso da portare avanti. Saresti pronto a scommetterci la vita?
Genere: Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Caleb/Akio, Jude/Yuuto, Kageyama Reiji
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Storia dedicata a Yssis, per il suo compleanno! Tanti auguri, Soushi ^^
Spero che ti piaccia, genietta. O che almeno non ti sconvolga troppo…

 
 
 
 








Sottofondo ideale: Time Of Dying (Three Days Grace
 
 
 
 




 
Sentimento Letale

 


(Sei disposto a correre il rischio?)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Akio scrutò la strada, oltre il vetro di quel grattacielo, che si muoveva sotto di lui.
Nonostante la distanza – era all’ultimo piano, del resto - riusciva a sentire un certo brusio venire da sotto, la città pulsava rumorosamente di vita, ignara della sua presenza.
Lui, figura silenziosa. Lui, emissario della morte.
Silenzioso, implacabile, inafferrabile e soprattutto invisibile. In quel mondo caotico e sempre di fretta passava inosservato come un’ombra, nessuno poteva fermarlo.
Lui era un assassino di professione, del resto.
Non poteva desiderare condizioni di lavoro migliori di quelle. In questo era stato parecchio fortunato.
Fudou rise, considerando che l’addestramento da “assassino vecchio stampo” effettivamente serviva a qualcosa.
Certo, non si vestiva come il protagonista di Assassin’s Creed, non girava incappucciato come uno dei Cavalieri dell’Apocalisse: indossava dei semplici pantaloni della tuta, neri, una maglietta a maniche corte sportiva e un giaccone pesante. Ai piedi un paio di scarpe da ginnastica.
Era assolutamente normale, mimetizzato con l’ambiente.
Non possedeva neanche una spada, troppo vistosa nel ventunesimo secolo – non era mica un avanzo da museo, lui!
In compenso aveva a disposizione un’ampia collezione di coltelli – di tutte le fogge e funzioni – oltre che ad un certo numero di armi da fuoco, veleni e altre armi non convenzionali, alcune delle quali sembravano pescate direttamente da un polveroso tomo sulla tortura medievale.
Nell’immediato aveva con sé la sua lama preferita, un coltello sottile ma resistente, con cui aveva portato a termine i suoi primi incarichi.
Era con quella lama che aveva colpito Sakuma Jirou, abile sicario suo avversario, e con cui l’aveva privato dell’occhio destro.
Una rivincita, per quella ferita che quel celeste da strapazzo gli aveva causato alla testa, che gli era quasi costata la vita. Un po’ più a fondo, e il pugnale di quel mentecatto gli avrebbe aperto il cranio.
Per poterla curare era stato costretto a radersi buona parte dei capelli, con un solo ciuffo al centro della testa. Ora che i suoi capelli erano ricresciuti non si vedeva più quella cicatrice pallida e lievemente in rilievo che li segnava il capo.
Istintivamente Fudou si passò una mano tra i capelli, percorrendo con i polpastrelli i contorni di quella ferita.
Non era per Sakuma che si trovava in quel raffinato appartamento.
Era, invece, per vedere una persona con cui doveva chiudere i conti, così si diceva.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma il vero motivo era la nostalgia.
 
Voleva vederlo, erano passate varie settimane dal loro ultimo incontro.
Incontro in cui lui, Fudou Akio, avrebbe dovuto ucciderlo: perché era questo ciò che faceva, il suo mestiere. Il punk lavorava in proprio ora, ma quel soggetto era pericoloso.
Inoltre a lui era stato assegnato esattamente lo stesso compito: ucciderlo.
Quel sicario era la punta di diamante dell’organizzazione di killer – che si occupava anche di altri “lavori sporchi” minori – più potente e preparata del globo.
Il direttore era un certo Kageyama Reiji, uomo geniale e spietato: era per lui che Akio lavorava, prima, e sapeva bene che era meglio non mettersi mai sulla sua strada.
Fudou era una mina vagante, imprevedibile, e per stanarlo ci voleva un professionista.
Infatti il Comandante – così lo chiamavano tutti – aveva mandato il suo miglior agente ad eliminarlo.
Un agente incredibilmente intelligente, che non aveva mai sbagliato un colpo, il pupillo del boss.
Con uno così sulle sue tracce, Fudou poteva benissimo considerarsi già morto.

Eppure erano passati sei mesi dal loro primo “scontro” e lui respirava ancora. E Akio era sicuro che non tutto dipendesse dalle sue abilità difensive e offensive. Orgoglio feriti a parte, non si poteva negare l’evidenza. In ogni caso, non avrebbe mai permesso di farsi uccidere. Da nessuno.
 
 
 
 
[“ Non lasciare mai che qualcuno decida della tua vita, figlio mio, né della tua morte.”
 
Quella frase riemergeva direttamente dalle nebbie della sua infanzia.
Al tempo in cui suo padre – …padre.. puah! Quell’uomo senza spina dorsale non meritava di essere riconosciuto come un padre – aveva lasciato che i suoi superiori lo uccidessero, senza fare alcunché per impedirlo. Era stato trattato come una pezza da piedi, nella vita come nella morte.
Aveva preferito morire, abbandonare sua moglie e suo figlio.
Akio non sarebbe mai riuscito a perdonarlo.
Per questo aveva intrapreso lo stesso lavoro del defunto genitore, lavorando per gli stessi uomini che avevano fatto uccidere suo padre – uomini che erano morti all’improvviso - , e diventando uno dei migliori.
Da quel vecchio episodio sua madre gli ripeteva sempre quella frase: l’aveva cresciuto con quelle parole, nutrendolo di rabbia, frustrazione, vuoti, mancanze e senso di abbandono.
 
“ Se devi vivere, è perché tu lo hai deciso. Se devi morire, deve essere per mano tua, al momento che tu hai stabilito.”]
 
 
 
Per questo portava sempre un’arma con sé.
Non tanto per difendersi o attaccare, quanto per poter adempire a quell’ordine, che lui aveva fatto suo, in qualsiasi momento. Meglio uccidersi con le proprie mani, che lasciare che siano altri a farlo.
È per quel motivo che Fudou strinse un po’ di più il suo coltello, nascosto sotto la giacca, mentre sentì la porta della casa aprirsi con un fruscio.
 
 
***
 
 
- Bentornato a casa, Kidou-kun. Com’è andata la tua ultima missione? -
L’interpellato si irrigidì leggermente, ma abbastanza perché l’intruso se ne accorgesse, e accese la luce.
Subito Akio Fudou, l’individuo che Kidou stava inseguendo da ormai sei mesi, si palesò, sfacciatamente come solo lui sapeva fare, nel bel mezzo del suo salotto.
- Come mai qui, Fudou? Ti sei stufato di vivere, per caso? – lo freddò il rasta, avanzando di qualche passo e adagiando con noncuranza la propria giacca di marca sul divano.
- Niente di così drastico, diciamo che mi mancavi. – ghignò il moro. – ancora non ti sei deciso a cambiare il rivestimento del divano? –
Kidou lanciò d’istinto un’occhiata al mobile menzionato: il suo divano, così come una raffinata poltroncina poco distante dalla grande vetrata centrale, era rivestito di lucida pelle nera.
 
- Ritengo che sia perfetto così com’è. -
- Io lo preferirei rosso. –
- Questo perché sei un’esibizionista. –
A quel punto Akio si lasciò sfuggire un’ampia risata, reclinando appena la testa all’indietro.
- Strana frase da dire ad un assassino. – fece notare, una volta soffocate le risa.
- Lo sarebbe se ti potessi definire un assassino. –
- Solo perché non ho fatto fuori nessuno negli ultimi tre mesi? Diciamo che sono in licenza. –
- Tu lavori in proprio. –
- Allora diciamo che ho temporaneamente chiuso bottega e mi sto godendo una lunga e meritata vacanza. - e con movimento fluido l’intruso si sedette sulla poltrona, la sua poltrona.
Kidou strinse appena i pugni, ricacciando indietro il fastidio.
Perché si, era infastidito. E non solo perché quella era una brutta giornata, non solo perché quell’idiota si era introdotto in casa sua, di nuovo, e si stava comportando come se quel luogo gli appartenesse.
Quello non era niente in confronto al fastidio per non aver ancora adempiuto alla sua missione, ovvero eliminare quel seccatore dal mondo dei vivi.
 
 
***
 
 
- Ho da fare, Fudou, non ho certo tempo per giocare alla coppia sposata con te. -
In effetti il rasta indossava un’elegante camicia bianca e dei raffinati pantaloni neri, abbinati delle scarpe di ottima fattura. Un paio di occhiali dalle lenti scure spuntavano dalla tasca della sua giacca.
Non veniva da una missione, ma da una riunione della società che dirigeva insieme al suo vecchio.
- Si, si, lo so, ti devi occupare della Kidou Corporation, la società di tuo padre, portare a termine gli incarichi di quel vecchio barbagianni del Comandante, fare il bravo bambino e un sacco di altre cose noiose. E’ naturale che poi tu sia così stressato. –
In quel frangente Akio si era accomodato meglio sulla poltrona nera, accavallando le gambe e sistemandosi meglio sui comodi braccioli.
Il capo era delicatamente appoggiato sul dorso della sua mano destra.
Il rasta si era fatto più vicino: nonostante non mostrasse nessun segno evidente, Akio sapeva quando fosse irritato da quella situazione. Lo conosceva decisamente troppo bene – aveva imparato in fretta a riconoscere ogni sua reazione dal più piccolo dei dettagli, giocare sempre in bilico sul filo del rasoio. Ne andava della sua vita, dopotutto. - e poteva vedergli la frustrazione negli occhi.
- Non mi piace portarmi il lavoro a casa. Se te vai subito potrei anche lasciarti vivere, per questa volta. -
- Pensavo che si trattasse di un incontro di piacere, questo. -
Le iridi vermiglie di Kidou si accesero, anche se il suo tono rimase calmo. – Allora sarà un vero piacere per me ucciderti. –
 
Con uno scatto fulmineo le mani del rasta si erano andate a serrare contro la sua gola in una morsa ferrea.
Era accaduto molto rapidamente, ma Fudou non era impreparato.
Dopo lo sbigottimento iniziale le labbra del punk si incurvarono, piene di divertimento.
Sfidando lo sguardo colmo di determinazione del suo assalitore, Akio gli afferrò saldamente i polsi e vi fece forza per allontanare le mani di Kidou dalla sua gola.
Nonostante all’apparenza Kidou Yuuto sembrasse fatto di porcellana – e non si poteva dire altrimenti, con quella pelle pallida e mai intaccata, a differenza di Akio che era pieno di tagli e cicatrici - in realtà possedeva una forza fisica non indifferente.
Inoltre non era affatto facile concentrarsi con quei due occhi color rubino che lo fissavano con intensità: sembrava potessero farlo sciogliere come acido in qualsiasi momento.
 
Fudou dovette lottare per guadagnarsi ogni singolo centimetro di libertà e di vita.
Così come dovette lottare per bruciare ad uno ad uno i centimetri che separavano le sue labbra da quella di Kidou.
E lo fece, con tenacia, fino a che non gli fu vicinissimo.
- Credevi davvero che questa volta mi avresti ucciso? Sappiamo troppo bene entrambi come andrà a finire. – gli sussurrò, prima di infrangere anche quell’ultima misera distanza che li separava e baciarlo.
Anzi, no, per divorarlo.
Come solo Fudou Akio era capace di divorare il cuore e la mente di Kidou Yuuto.
Non sarebbe mai potuta finire in modo diverso, quella loro guerra personale.
 
 
***
 
 
Kidou lo odiava. Lo odiava così tanto che rischiava di impazzire.
E si odiava, perché per l’ennesima volta era stato sconfitto.
Si vergognava del modo in cui aveva cominciato a ricambiare il bacio di quel maledetto.
Con furia, foga, bramosia. Desiderio.
Si, Fudou riusciva a far nascere dentro di lui un’insospettato interesse per cose che, in tutte le altre circostanze, non avrebbero suscitato in lui la minima reazione.
Da quando quella cosa – quell’emozione nuova – si era scatenata, Kidou non era capace di compiere il suo dovere in maniera efficiente. Non quando si trattava di Akio.
Se ne rendeva conto ogni volta di più, ma preferiva non pensarci: era definitivamente compromesso.
Era stato infettato da una malattia mortale iniettatagli dagli quegli occhi di ghiaccio e non poteva farci assolutamente niente.
Ma se proprio era condannato a bruciare, avrebbe trascinato Fudou con sé.
Così come ora lo stava trascinando sul tappeto.
 
Caddero con un tonfo attutito, senza separarsi minimamente.
Erano diventati un unico intrico di corpi, parevano inestricabili.
Nella colluttazione avevano urtato il tavolino basso li vicino e avevano rovesciato appunti, fogli, dei bicchieri e una penna. Anche se liquido contenuto nei bicchieri si stava riversando a terra – macchiando tutto - Yuuto non se ne curò minimamente. Dopotutto non gli era mai piaciuto, quel tappeto.
 
 
 
 
Kidou si concesse un secondo per scrutare Fudou, sotto di lui, che non ghignava più ma rispondeva al suo sguardo con attenzione.
Lo spettacolo che si palesava agli occhi di Yuuto era assurdo e illogico, ma non per questo privo di un suo fascino.
Era come se Fudou Akio fosse una maschera: una spessa maschera di ghiaccio che lo avvolgeva completamente. Fudou era una persona fredda, così fredda che quasi scottava.
Eppure quando erano soli – loro due e nessun altro – quel gelo scompariva.
Kidou avrebbe giurato di poter udire chiaramente lo scrocchio secco del ghiaccio che si riempiva di crepe e si spaccava con uno scricchiolio leggero. Questo riuscì a placare la sua furia, in buona parte.
 
- Sei un deficiente. - sillabò il rasta.
Non era più nemmeno furioso, solo affamato.
L’altro si lasciò sfuggire un accenno di risata.
- Me lo dici sempre. -
- Te lo dico perché è vero. –
- E perché sono un deficiente? –
- Lo sai, il perché. –
- No, che non lo so. -
- Perché ti ostini a portare avanti qualcosa che, lo sappiamo bene entrambi, non finirà bene. –
Era vero, verissimo, ma non per questo bruciava meno.
- Sta zitto. – quasi gridò, Fudou, aggrappandosi ai capelli dell’altro. – Sta zitto. –
Kidou non se lo fece ripetere.
 
 

 
***
 
 
 
 
Akio fu il primo a svegliarsi, quando la luce grigia del mattino lo colpì dritto sulle palpebre.
Brontolò parecchio e in maniera neanche troppo silenziosa, prima di aprire un occhio e guardarsi attorno.
Ci mise qualche secondo per focalizzare la stanza ben arredata, il letto che pareva un deserto di lenzuola e quella dannata tenda che copriva solo in parte quella dannata finestra – anche se era meglio dire “parete di vetro” – perché si erano dimenticati di chiuderla bene.
Con un'altra serie di mugugni – proteste di un gatto contrariato – si girò dal lato opposto del letto, trovandosi davanti agli occhi la schiena nuda di Kidou.
A volte Fudou si chiedeva se Yuuto non fosse semplicemente una statua greca a cui era stata infuso il soffio vitale, altrimenti non si spiegava come potesse avere la pelle così maledettamente liscia, pallida e perfetta. Pura. Inviolata, fatta eccezione per la linea di segni rossastri nella zona del collo che seguiva poi il profilo della spalla sinistra. E per i solchi sottili dei graffi che lui, con orgoglio, poteva dire di aver tracciato.
Quando si dice la soddisfazione.
 
Con i polpastrelli il moro tracciò il profilo della spina vertebrale dell’altro, avvertendo ogni vertebra sotto le dita. La pelle non era gelida come ci si sarebbe aspettato, ma emanava un dolce tepore che sapeva di serenità.
Il ricordo delle ore precedenti ancora vivo, da custodire come il più prezioso dei tesori.
 
 - Ti sei svegliato per primo, questa volta… - un sussurro leggerissimo, ma loro erano assassini di professione, erano stati addestrati ad udire l’inudibile.
- Già. Tu invece no. Questo sì che è strano. –
Il suono di lenzuola smosse vibrò nell’aria e poi Akio si trovò di fronte il viso di Yuuto, vicino da poter osservare ogni più piccola contrazione dei muscoli del volto.
Era sempre un’attività interessante, quella di osservare il viso del rasta. Scrutare la pelle e il modo in cui si contraeva, l’aggrottarsi delle sopracciglia, le smorfie, il movimento delle labbra.
Solitamente era da questi movimenti impercettibili – Akio il conosceva come se stesso – che era possibile comprendere gli stati d’animo del giovane uomo. Gli occhi erano intensi ma non sempre sufficientemente indicativi.
 
- Questo è un brutto segno. Anzi, un pessimo segno. Ci stiamo abituando, ci stiamo legando, e questo non va bene. –
- Tsk, tu ti starai legando. –
- Anche tu. –
- Ehi, è solo sesso, niente di più. –
- Se fosse solo sesso allora potresti trovarlo altrove, invece sei ancora qui. –
- Mi fa comodo tenere in scacco la persona che dovrebbe eliminarmi. Chiamala polizza d’assicurazione, se vuoi. –
Fudou ghignò, convinto di aver vinto.
Ma avrebbe dovuto saperlo, era impossibile sconfiggere Kidou Yuuto in un discorso. Non era mai successo e mai sarebbe accaduto. E quella non era l’eccezione alla regola.
Qualunque argomento lui trovasse, l’altro provvedeva sempre a smontarlo con un'unica affermazione.
- Non è così, e tu lo sai. Se tu temessi solo per la tua vita ti sarebbe bastato uccidermi approfittando delle infinite occasioni che hai avuto. Anche poco fa, anche ora. Avresti potuto farlo mille volte, ma non l’hai mai fatto. –
Il ghigno ora era svanito. La sua argomentazione andata in frantumi.
- Non è così. -
- Invece lo è. –
Akio perse la pazienza.
- Ti diverti così tanto ad infierire?! –
Yuuto rispose con fermezza. Era sempre stata una persona risoluta, lui.
- Credi che io mi stia divertendo? Che non mi senta scombussolato a causa di qualcosa che tu hai provocato? –
- Ah, adesso sarebbe colpa mia? –
- Si che lo è! Chi mi è saltato addosso, la prima volta? Chi mi ha baciato? –
Con un grugnito Fudou si mise seduto, stringendo i pugni.
- Non è qualcosa che dipende da me, ma non mi pento di quello che ho fatto.
Il silenzio scese tra loro, mentre ognuno pensava ai fatti propri.
Cominciarono a rivestirsi, piano, dandosi le spalle a vicenda.
 
 
***
 
 
 
Kidou si abbottonò in silenzio la camicia, lanciando un occhiata all’altro.
Il punk stava tentando di infilarsi entrambe le gambe dei pantaloni in contemporanea e vederlo saltellare in equilibrio precario era abbastanza divertente.
Sul petto una collana – un semplice filo con una pietruzza viola attaccata – gli rimbalzava ad ogni movimento.
Aveva i capelli che sembravano il pelo di qualche animale selvatico, tutti arruffati e annodati.
“Mi piacerebbe potergli preparare del caffè.”
Quel pensiero lo colpì a tradimento, facendolo protendere per metà verso la cucina.
La sua mano tesa verso la maniglia della porta rimase bloccata a metà dell’azione, per poi chiudersi a pugno e tornare ad occuparsi dei propri vestiti.
Figurarsi se quel testone l’avrebbe accettato. Però sarebbe stato bello, sarebbe stato normale.
 
- Potresti venire con me. –
Il rasta alzò gli occhi da asole e bottoni per scrutare il compagno con occhio critico.
- Venire con te? –
- Smettila di fare dell’ironia, idiota. Dico sul serio. Potresti lasciare tutto, lasciare Kageyama e la sua organizzazione. Scappare. Potresti farlo. –
- Perché dovrei? –
A volte Kidou si chiedeva se entrambi non fossero masochisti, se non si divertissero a ferirsi a vicenda, incidersi reciprocamente la pelle con parole taglienti.
- Non venirmi a dire che ti trovi bene, qui. Ingabbiato in questo appartamento all’ultimo piano, ad eseguire gli ordini di quel tipo inquietante e intanto sfacchinare per portare avanti la società del tuo padre adottivo. Non esci con nessuno, non ti diverti, non fai niente che non sia un dovere o un ordine. Non ti stai godendo niente di questa vita. Sei un fringuello in gabbia, un premio. Come puoi continuare ad andare avanti così? –
- Non pensavo ti importasse così tanto di me. –
Akio sogghignava sempre in un modo che segnalava a chiare lettere “cattive intenzioni”.
- Ehi, geniaccio, non fraintendermi. Non è che ci tenga o chissà che altro. E’ solo che vederti buttare nel cesso la tua vita mi fa venir voglia di prenderti a schiaffi. Stai solo perdendo tempo ad obbedire a qualcun altro. –
- Cosa ne sai tu? Cosa ne sai delle responsabilità, dei doveri nei confronti di altre persone? Sembri, no, anzi, sei il tipo di persona che pensa solo a se stessa, fottendosene degli altri. Cosa ti fa pensare che il tuo modo di vivere sia migliore del mio? –
- Mio padre. - Fudou piega le labbra e questa volta gli esce un mezzo sorriso. – Mio padre viveva esattamente come te e si è fatto ammazzare come un coglione. –
Yuuto si pentì di ciò che aveva detto, aveva piantato la lama troppo a fondo.
 
- Non posso, comunque. –
- Io l’ho fatto. –
- Ma io non sono come te. Non riesco ad agire in modo impulsivo, non riesco a non pensare alle conseguenze. Non sono come te, io non riesco a fingere di non vedere i rischi e i pericoli. –
Le labbra di Fudou si incurvarono verso il basso. Poi il moro scrollò le spalle e sbuffò.
- Come ti pare, io ci ho provato. Beh, grazie per la bella serata, ora devo andare. –
- Fudou, aspetta..-
Lo richiamò a vuoto, la porta sbatté.
Un sospiro.
Non voleva che andasse così.
 
 
 
***
 
 







 
- Kidou…-
- Si, Comandante? –
- C’è qualcosa che ti turba, ragazzo? –
- No, signore, niente. –
Il Comandante scrutò per un istante il suo pupillo, imperscrutabile.
Poi tornò a guardare dritto davanti a sé.
- Mmm… Fudou Akio è ancora vivo. Dovresti fare qualcosa in proposito, Kidou. –
- Certo, signore. Me ne occuperò al più presto. –
- Forse sarebbe meglio affidare l’incarico a qualcun altro…-
- N-no, Comandante, è tutto sotto controllo. –
Kageyama posò la mano sulla spalla di Kidou, prima di andarsene.
- Come credi, Kidou. Non deludermi. –
Il peso di quelle parole chiuse quell’incontro.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 
 
Fudou correva, seguito da quegli individui.
Come cavolo avevano fatto, a trovarlo? Era assurdo, eppure eccoli lì, riusciva a intravedere le loro armi nascoste sotto le giacche scure.
Era l’una di notte, pioveva. Si trovavano in una stradina buia della periferia cittadina. Anche volendo – anche se avesse messo da parte il suo smisurato orgoglio per chiedere aiuto – nessuno l’avrebbe udito mai. E anche se ci fosse stato qualcuno, chi avrebbe aiutato un assassino?
Ringhiò, scoprendo i denti. Il cappuccio fradicio gli copriva la visuale e quella specie di diluvio non aiutava di certo.
Akio svoltò in una stradina secondaria, e poi in un’altra - rischiando di scivolare ad ogni inversione di strada troppo brusca – per inoltrarsi nelle viscere di quella zona.
Non avrebbe voluto fuggire così vigliaccamente, ma quelli erano in sette, e lui da solo non poteva certo sperare di sopraffarli. Era bellicoso, ma non stupido.
Sembrava solo un brutto sogno, con la pioggia, la penombra e il battito del suo cuore a delinearne i contorni.
Ma le lame affilate, quelle no, non se le era immaginate, non era un sogno.
Correva per salvarsi la vita.
Il suo pugnale, nascosto nello stivale, era ancora lì. Ma non voleva usarlo, non voleva morire.
Voleva rivederlo.
 
Imboccò l’ennesima via, l’ultima. Quella sbagliata.
Si ritrovò con le spalle contro un viscido e puzzolente muro.
Cercò di farsi coraggio, mettendosi in posizione di attacco. Avrebbe venduto cara la pelle.
 
- Ma guarda un po’… Fudou, da quanto tempo non ci vediamo. Sarai sorpreso di vedermi. –
Come poteva non riconoscere quella voce? Maledetto…
- Da quanto tempo, Jirou. In effetti, sono sorpreso, non credevo che ti saresti portato appresso la cavalleria. Che c’è, stai diventando troppo vecchio e rammollito per cavartela da solo? – ghignò il punk, spavaldo come sempre.
Sakuma assottigliò l’occhio buono, trattenendosi dal picchiarlo e ucciderlo subito.
- Anche al capolinea, ridi in faccia alla morte. Forse dovrei tagliarti quella lingua biforcuta. –
- Forse solo così riusciresti a tenermi testa, vecchio mio. –
Sakuma ghignò. – Credo che non lo sapremo mai, Fudou. Questa sarà l’ultima volta che ci vediamo, vorrei poterti dire che mi mancherai, ma non mi piace mentire a chi sta per morire. –
Akio finse un’espressione candida.
- Oh, che peccato. Salutami il tuo fidanzatino, allora. Non l’hai portato con te, vedo. Mi sarebbe piaciuto sputarvi in faccia per l’ultima volta. –
Due guanti neri lo afferrarono per la giacca e lo sbatterono contro il muro. Una pietra sporgente doveva avergli ferito la testa, perché sentiva del sangue che cominciava a colare giù fino al collo.
Sakuma tornò alla sua posizione iniziale, ad un metro di distanza.
- Le ultime parole? –
- Portate i miei saluti a quel vecchio trombone di Kageyama! – gridò Fudou, estraendo il pugnale e lanciandosi all’attacco.
Vide solo l’occhio dorato di Jirou, prima che sei ombre si avventassero su di lui.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
- Signorino Kidou? –
- Si? –
- E’ arrivato questo per lei.. –
 
Kidou prese tra le mani quello strano pacchetto. Era di un bianco accecante, grande quanto una scatola da scarpe, senza carta da pacchi, senza un biglietto, senza niente.
Curioso.
- Chi me lo manda? –
- E’ anonimo, signorino, non ne ho idea. –
- Fa’ niente, vai pure.. –
Congedato il domestico, Yuuto andò in salotto sua per aprirlo.
Era strano, non aspettava nessun pacco.
Che fosse di Akio? No, non era possibile, ci sarebbe stato di sicuro qualche simbolo per fargli capire chi era il mandante.
Il rasta si decise ad aprire la scatola.
 
Una manciata di capelli castani planò dolcemente sul pavimento in marmo, senza fare rumore alcuno.
Il ciondolo viola – sporco di sangue, sangue secco – cadde invece producendo un acuto tintinnio, unico suono a spezzare il mortale silenzio sceso nella stanza.
L’interno della scatola, altrettanto bianco, era chiazzato di rosso. Rosso scuro, rosso denso.
Non potevano esservi fraintendimenti.
Yuuto era gelato, il pacco gli era caduto dalle mani.
Un attimo dopo iniziò ad urlare.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 
 
Kidou tornò alla realtà con violenza.
La gola bruciava, Dio, quanto bruciava. Forse aveva urlato. O forse no.
Non appena si riprese, il rasta si accorse della sua mano, aggrappata con forza alla sua camicia, nel punto in cui doveva trovarsi il cuore – cuore che, per inciso, batteva furiosamente.
- Non era reale… non era reale… -
Pian piano il respiro tornava regolare, mentre Kidou distendeva i nervi tesi e indolenziti.
Si era appisolato un momento sulla sua poltrona. Come diamine aveva fatto ad addormentarsi lì?!
Si passò una mano sul volto stanco, asciugandosi il sudore.
Sul tavolino davanti a lui, rimesso in ordine, spiccava una busta bianca con due iniziali violacee impresse sul retro.
R.K. Il Comandante.
La paura e i ricordi dell’incubo lo presero alla gola.
Con mani tremanti afferrò la busta e fece per aprirla.
 
 
 
 
Il campanello suonò.
La busta cadde per terra.
Kidou corse ad aprire.
 
 
 
- Ti sono mancato? –
Sull’uscio stava Fudou. Mal ridotto, con delle ferite fresche addosso, ma vivo.
Subito il rasta lo afferrò, prima che crollasse a terra.
Lo strinse più forte di quanto fosse lecito, affondando con forza il viso nell’incavo del suo collo pesto.
Non voleva che l’altro si accorgesse del sollievo, della gioia e dell’ombra di paura che andava spegnendosi in fondo al suo sguardo. Non era abituato a provare tutte quelle emozioni insieme, era una cosa così poco da Kidou. Solo Akio riusciva a scombussolarlo così, solo Akio…
 
- Ahio! Cazzo, sono ferito, non puoi fare un po’ più di attenzione?! –
Kidou lo ci badò, troppo occupato a ringraziare – chi non lo sapeva nemmeno lui. – ringraziare che Fudou fosse ancora vivo.
- Ehi, cos’è tutto questo affetto? Ok che gli sgherri di Sakuma mi hanno dato una bella ripassata, ma così sei esagerato! Manco fossi morto! –
Kidou gli tirò un pugno nello stomaco, senza staccarsi da quello strano abbraccio.
- Porca puttana, che dolore! –
- Razza di deficiente, scherza di nuovo così e ti ammazzo io, garantito. –
Fudou nascose un ghigno nella smorfia di sofferenza per il colpo.
Si era spaventato, il suo Kidou-kun.
Non perché lo amasse, a quelli come Yuuto non era concesso amare. Forse non ne era neppure capace.
Però….
Però…
 
 
Mentre Kidou si apprestava a medicare le ferite del compagno, la busta candida era rimasta, abbandonata, sul tavolino.
All’interno, un biglietto.
 
 
 
 
 
 
“Questa volta chiuderò un occhio, ragazzo.
Tienilo a freno e vedi di non farmi cambiare idea.
 
- R.K.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 













Angolo del Corvo:
 

 
Ok, francamente non so bene cosa sia questa… cosa.
È una di quelle storie nate dal nulla, perché ti viene un guizzo di ispirazione, allora ti metti alla tastiera e questa si scrive da sola.
Beh, più o meno. Si è scritta da sola a singhiozzo, diciamo. Un po’ si e un po’ no.
E’ da un pezzo che la sto scrivendo, in verità. Temevo di non farcela per questa data.
Hai visto, Sis? Credo di essere la primissima ad averti fatto gli auguri, spacco il minuto ^^
Eh, che efficienza.
Mi dispiace di essere stata completamente assente in questi giorni, mi auguro davvero che questo possa ripagarti dell’attesa.
E poi questa shot ha un lieto fine! Stupisciti e sorprenditi, cara ^^
Lo sai che con me non è una cosa così scontata, anzi. C’è comunque una bella dose di angst: tormento, dubbi, tematica oscura… Però ci ho messo il lieto fine e la scena finale è.. beh, abbastanza dolce, considerando il contesto.
Ho un po’ paura di leggere la tua recensione in proposito… speriamo bene ^^
Spero solo di non aver sbagliato giorno…. n//n
 
Allora, credo che non servano particolari spiegazioni per la trama, no?
Questa è una AU in cui vi è un’agenzia di Assassini (e altre attività criminali minori) comandata dal sommo Kageyama, con la sua squadra di uomini selezionati.
Il suo pupillo, ovviamente, è Kidou, chi altri?
In quest’ambientazione tutt’altro che rosea ho voluto mettere i ragazzi della Teikoku. Perché loro ci stanno troppo, in una situazione così. Si prestano volentieri ai miei esperimenti dark tendenti al macabro *sorriso angelico*
Loro e nessun altro. Anche perché vorrei vedere che succederebbe se mettessi uno come Endou in questo contesto. Una pecora in un branco di lupi, praticamente.
Quindi, dicevamo, toni foschi. Fosco! <3 Scommetto che quell’incubo ha fatto presagire il peggio a molti, vero?
E invece no, il Comandante non ha ordinato di uccidere Fudou-chan!
(toh, questa volta non l’ho ucciso ^^
Akio: *sarcasmo* mi hai solo fatto prendere un sacco di botte…
Me: su, su, un passettino alla volta v.v)
Perché Kageyama, nonostante non abbia una bella reputazione (sia nell’Anime che nel Fandom), al suo pupillo ci tiene e – siccome ha capito della KidoFudo in corso, perché lui sa tutto v.v – non farebbe mai qualcosa che potesse danneggiarlo. Si è solo limitato a dare un piccolo avvertimento al nostro punk preferito. (aww, sembra una cosa così paterna, detta in questi termini.. ^^)
 
Era da un pezzo che volevo scrivere una KidoFudo come si deve, una shot coi controfiocchi! Personalmente sono molto soddisfatta del mio lavoro v.v
 
Non credo che ci sia altro da aggiungere.
Il resto dovete dirmelo voi ^^
Ci vediamo nelle recensioni!
Kiss
 
The Raven
  
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