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Autore: Chloe R Pendragon    20/06/2014    4 recensioni
Da quando Merlin ha scoperto i poteri di Morgana le dedica molte più attenzioni: come la prenderà Arthur?
Ebbene sì, sono tornata un'altra volta, spero che la storia vi piaccia: mi farebbe molto piacere avere le vostre opinioni, per cui chi vorrà recensire sarà il benvenuto!! ^^
Quinta classificata al contest "Fandom Packets (Contest Multifandom a Pacchetti)" indetto da Ili91.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Morgana, Principe Artù, Uther | Coppie: Merlino/Artù
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Seconda stagione
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La fiamma immortale

Nick (forum ed eventualmente sito): Chloe R Pendragon.
Titolo: La fiamma immortale
Fandom: Merlin.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale.
Rating: Arancione.
Pairing/personaggi: Merthur 
Pacchetto scelto: Merlin 2. 
Elementi utilizzati: [One-shot di almeno 2500 parole, Rating Arancione | Merlin/Arthur, Candele]
Avvertimenti/Note: Lime/Triangolo.
Nda (facoltative): Ho messo “Triangolo” tra le note, anche se si tratta più che altro di gelosia.

 

La fiamma immortale




Titolo: La fiamma immortale
Autore: Chloe R Pendragon
Prompt: 14 - Gelosia
Fandom: Merlin
Rating: Arancione
Avvertimenti: Triangolo, Lime
Eventuali note dell’autore: Nessuna

 

La notte avvolgeva Camelot con la sua silenziosa oscurità, aleggiando indisturbata sul regno addormentato. Le strade erano deserte e, ad eccezione del piccolo gruppo di persone che si svagavano alla taverna, gli abitanti erano rientrati nelle proprie dimore e giacevano dormienti sui propri letti.

Tutto taceva anche all’interno del palazzo reale, dove, fino a poche ore prima, vi era stata una gran confusione: difatti un paio di giorni addietro Lady Morgana era stata presumibilmente attaccata dai druidi mentre riposava nelle sue stanze, per poi essere stata rapita dagli stessi. Se non fosse stato per l’intervento dei cavalieri, capitanati dal valoroso principe, probabilmente la fanciulla non avrebbe più fatto ritorno in patria.

Ora che i Pendragon erano nuovamente riuniti sotto lo stesso tetto, tutto sembrava tornato alla normalità; eppure è risaputo che l’apparenza inganna… Infatti, il povero Arthur non riusciva ad abbandonarsi tra le braccia di Morfeo, tormentato com’era dai suoi logoranti pensieri. La sua mente continuava a infierire su di lui, ricordandogli la scena a cui aveva assistito poco tempo prima, quando aveva visto Merlin allontanarsi dalla camera della figliastra del re, un dolce sorriso dipinto in volto.

Inspiegabilmente si era sentito ferito, quasi tradito da quella situazione, da quella complicità che si stava creando tra i due; nonostante avessero condiviso mille avventure insieme, quell’idiota di un servitore non gli aveva mai sorriso in quella maniera, mentre gli era bastato avvicinarsi un po’ di più alla sua sorellastra per lasciarsi andare così? Cosa aveva lei di tanto speciale?

Il ragazzo scosse vigorosamente la testa, domandandosi cosa gli importasse di quella situazione, senza però trovare una risposta razionale; continuò a rigirarsi tra le candide lenzuola, sperando di riuscire a dormire, ma fu tutto inutile; così si alzò dal talamo e attraversò silenzioso la stanza fino a raggiungere la parete di fronte a lui. Iniziò a tastare l’imponente muro di pietra finché non trovò un mattone che sporgeva impercettibilmente. Lo estrasse dalla sua postazione e frugò nell’insenatura rivelata, al fine di prendere ciò che essa conteneva: una candela consumata.

Per quanto potesse apparire insulsa, agli occhi del principe questa aveva un valore inestimabile, giacché era stata la presunta causa dell’incendio dei giorni precedenti, sfruttata dai “cospiratori” per uccidere la pupilla del re. In tal modo quell’oggetto a prima vista insignificante aveva innescato la rocambolesca serie di eventi successivi e, di conseguenza, aveva permesso al suo servo di avvicinarsi sempre di più a Morgana: per Arthur, dunque, quella misera candela era divenuta il simbolo delle sue pene.

Se la rigirò tra le mani per qualche momento, scrutandola con attenzione, quasi a volerne cogliere ogni dettaglio, così da comprendere meglio cosa stesse accadendo. La strinse con forza, facendosi addirittura sbiancare le nocche, tanta era la frustrazione che provava; non riusciva a capire cosa gli stesse succedendo, perché era tanto indispettito da quella situazione? Cosa c’era che non andava realmente nel legame tra Merlin e la sua sorellastra?

La sua rabbia era priva di fondamento, dato che, se i due fossero diventati sempre più amici, avrebbe avuto un’alleata in più per convincere Uther a non bandirlo dal regno qualora avesse fatto una delle sue quotidiane stupidate; inoltre, il principe si era avvicinato molto a Gwen e la figliastra del monarca non si era minimamente opposta, perciò dov’era il problema? Che fosse geloso del suo valletto? No, si disse, quello era fuori discussione: erano amici loro, nulla di più, giusto?

Il futuro sovrano sbuffò sonoramente, stropicciandosi gli occhi con la mano libera, convinto che l’ora tarda fosse la responsabile di quei pensieri assurdi e privi di fondamento. Rimise tutto al proprio posto e si stese nuovamente sul letto, avvolgendo il corpo muscoloso nelle candide lenzuola, con la speranza di riuscire ad addormentarsi. Rimase sveglio per un’ora, continuando a rimuginare su quella folle insoddisfazione che gli stringeva il cuore e che fiaccava il suo spirito, finché non cedette al tormentato sonno che gli tenne compagnia per tutta la notte.

 

«Buongiorno!! Oggi è una magnifica giornata, non trovate? Sarebbe un peccato sprecarla dormendo, no?», la voce squillante di Merlin fu accompagnata dall’improvviso ingresso dei raggi solari all’interno della camera, inondando il viso di Arthur con la loro abbagliante luminosità. Il principe, esausto dopo la nottata trascorsa in balìa degli incubi, avrebbe voluto trattenersi il più a lungo possibile tra le morbide lenzuola, tuttavia si decise ad alzarsi per poter “interrogare” il suo servitore sull’accaduto.

 

«A cosa devo tutto questo entusiasmo? Mi sono perso qualcosa?», domandò con la voce ancora impastata dal sonno; era intenzionato ad andare in fondo alla faccenda, doveva sapere. Il servitore però si limitò a scrollare le spalle e a rispondergli con un sorriso smagliante.

 

«Nient’affatto, è solo che è una splendida mattinata, tutto qui: non siete d’accordo?».

 

Il principe inarcò un sopracciglio e grugnì un assenso poco convinto, pensando che quell’idiota gli avrebbe dato più filo da torcere di quanto si aspettasse.

 

«Dato che dovrei parlare con mio padre, ti dispiacerebbe perderti in queste fesserie dopo aver svolto i tuoi doveri e avermi aiutato a vestirmi?», gli chiese rivolgendogli un’occhiata eloquente, trasudando irritazione parola dopo parola. Il servo sbuffò sommessamente e si mise all’opera, accompagnando ogni gesto con un mormorio concitato, atto a sottolineare il proprio malcontento. Arthur lo guardò in tralice, come a voler comunicare il suo disappunto, dopodiché diede un’occhiata alla stanza, per poi ordinare a Merlin di lasciarlo da solo; nonostante le proteste del giovane, alla fine il figlio del sovrano ottenne l’obiettivo prefissatosi, così raggiunse il mattone sporgente e lo estrasse dalla parete, in modo da prendere la candela.

La fissò intensamente per qualche secondo, poi alzò la mano con cui la reggeva e giurò su di essa che avrebbe scoperto qual era il segreto del sodalizio tra Morgana e il suo amico. La nascose all’interno dello stivale sinistro, poi rimise tutto in ordine e si avviò da Uther. Camminava con disinvoltura tra i mastodontici corridoi che conosceva a menadito, i passi risoluti e l’incedere deciso degni del futuro re di Camelot; giunto sulla soglia della sala del trono, bussò con fermezza contro la massiccia porta che lo separava dal padre e attese un assenso dall’altra parte.

Ottenuto il permesso,  il principe varcò la soglia e salutò il monarca con riverenza, per poi avvicinarsi e lasciare che questi gli cingesse le spalle con un braccio, in segno d’affetto. Dopo aver scambiato i doverosi convenevoli, Arthur si decise a porgli la domanda che gli ronzava in testa da quando si era svegliato, cercando di apparire il più spontaneo possibile.

 

«Padre, è dal giorno in cui Morgana ha subìto l’attacco da parte dei druidi che non passiamo un po’ di tempo tutti insieme: che ne direste se prendessimo i nostri cavalli e facessimo una passeggiata nei boschi circostanti? C’è una giornata così bella, potremmo approfittarne per evadere dalle responsabilità di corte e stare in armonia tra noi Pendragon…». Si augurò di essere stato convincente, in fondo non gli sarebbe dispiaciuto trascorrere una mattinata con la sua famiglia, sebbene le sue intenzioni fossero diverse; per sua fortuna, il re sorrise soddisfatto, il volto illuminato dalla letizia che la proposta gli aveva dato.

 

«Mi sembra un’ottima idea, Arthur: bisogna celebrare il nostro successo contro chi pratica la magia e il ritorno a casa di Morgana. Ordina a qualcuno di far preparare i cavalli e porta con te il tuo servitore: ci occorre una persona che porti le provviste, visto che intendo mangiare all’aperto!».

Il principe annuì raggiante, poi si congedò e si diresse spedito verso le stalle: tutto era andato come previsto, in questo modo avrebbe potuto studiare da vicino l’affiatamento che c’era tra la sua sorellastra e quell’imbranato di Merlin.

Partirono un’ora dopo, Uther in testa al piccolo gruppo, seguito da suo figlio e dalla sua figliastra, mentre il servitore stava in fondo alla fila, la sella invasa da innumerevoli bisacce contenenti le provviste. Parlarono serenamente, ridendo spensierati per la prima volta dopo settimane, accompagnati dalla rigogliosa natura circostante: lo spazio intorno a loro brillava di un verde talmente intenso da sembrare di trovarsi all’interno di uno smeraldo, fiori profumati ed erbe aromatiche spandevano le loro essenze nell’aria, inebriando coloro che s’addentravano nella foresta.

Nonostante l’atmosfera fosse rilassata, Arthur non perse occasione per scrutare sottecchi la pupilla del re, prestando particolare attenzione a tutte le volte in cui scambiava occhiate complici con il suo servo; pur essendo felice di trovarsi in quel luogo incontaminato con i propri cari, non poté impedirsi di provare una fitta al cuore quando notava la complicità tra i due, invidiando Morgana e anelando a prendere il suo posto.

Quando il sole raggiunse il culmine della sua altezza, il sovrano di Camelot levò la mano destra e indicò un albero imponente dalle fronde ampie e folte, decidendo di accamparsi lì; legarono i cavalli nelle immediate vicinanze, poi Merlin stese un’ampia coperta sull’erba lussureggiante e dispose i viveri sopra di essa. Mangiarono avidamente, placando i morsi della fame che fino ad allora erano rimasti silenti, conversando amabilmente, beandosi di quegli istanti di assoluta tranquillità.

Terminato il lauto pasto, il monarca stabilì che era giunto il momento di fare ritorno a palazzo, ordinando al servo di mettere tutto a posto più in fretta che poteva; mentre questi s’accingeva a svolgere le sue mansioni, si accorse che la figliastra del re era rimasta senz’acqua, così accelerò i tempi e, sistemate le bisacce, si offrì di andare a riempire la fiaschetta della ragazza, la quale lo ringraziò con un sorriso radioso.

Il principe s’indispettì per quella premura, per cui chiamò il suo servitore e gli lanciò anche la sua, dicendogli di occuparsi pure di quella, lanciandogli uno sguardo provocatorio che nascondeva la sua ira. Cominciò ad avvertire un fastidio al piede sinistro, come se avesse un sassolino nello stivale, finché non comprese che si trattava di quella maledetta candela; sembrava quasi che si fosse accesa e che stesse cercando di bruciare le membra di Arthur, come a voler infierire su di lui e infiammare il suo spirito.

Il futuro sovrano di Camelot ridusse i suoi splendidi occhi blu a due fessure e digrignò i denti, ringhiando sommessamente e stringendo i pungi fino a far sbiancare le nocche, schiumante di rabbia. Quando Merlin tornò dal fiume con le fiaschette, i quattro si rimisero in viaggio, galoppando verso il palazzo; quella gita fuori le mura doveva servire a liberare la mente dalle tensioni dell’ultimo periodo, tuttavia per il principe non era stata di grande aiuto, anzi, aveva acuito il suo malcontento, confermando i suoi sospetti e alimentando il proprio tormento.

 

Tornati a palazzo, Arthur ordinò al suo servo di preparargli una tinozza con dell’acqua calda, determinato a rimproverarlo in privato per la sua deplorevole condotta; come poteva fare gli occhi dolci a Morgana, sotto gli occhi di tutti, senza il benché minimo pudore? Durante il tragitto, il principe aveva decretato che il suo magone nascesse dallo sconcerto per il comportamento spudorato del suo servitore, non trovando una spiegazione altrettanto logica: lo avrebbe rimesso al suo posto, a qualunque costo.

Quando giunse nella sua camera, trovò Merlin ad accoglierlo con un sorrisetto soddisfatto, cosa che acuì l’insofferenza del futuro re; si spogliò frettolosamente e s’immerse nell’acqua tiepida, beandosi per un attimo di quella piacevole sensazione. Chiuse gli occhi e dischiuse leggermente le labbra carnose, reclinando la testa ed emettendo un lungo sospiro; dopo una giornata tanto stressante, quel bagno era l’ideale per svuotare la mente e rigenerare l’anima.

Ricordandosi della presenza del servo, si riscosse dal torpore che lo stava annichilendo e si voltò verso di lui, inarcando un sopracciglio nel vederlo arrossire e abbassare lo sguardo, grattandosi imbarazzato il capo. Decise di archiviare quella reazione e di andare dritto al punto, giacché temporeggiare era inutile, senza contare che non era nel suo stile.

 

«Mi hai deluso, Merlin!», esclamò serafico, facendo riecheggiare quelle parole nel silenzio della camera; il servitore rimase interdetto, non capendo cosa avesse fatto per amareggiarlo.

 

«Di cosa state parlando?» chiese con un filo di voce, spingendo il suo interlocutore a sbuffare e a scuotere la testa.

 

«Parlo del tuo atteggiamento nei confronti di Morgana: sapevo che eri un idiota, ma non pensavo che fossi pure un pazzo…». Il ragazzo deglutì, domandandosi se il principe avesse scoperto la verità su di loro e sui loro poteri, perciò decise di fare il finto tonto, non immaginando quanto avrebbe irritato il principe.

 

«Continuo a non capire di cosa mi stiate accusando, io e Mor…».

 

«Non ci provare, Merlin! Ho visto tutte le premure che hai nei suoi confronti, così come ti ho visto uscire dalla sua stanza ieri sera; credi che sia stupido?», ringhiò con rabbia, senza permettere al servo di completare la frase: era stanco di quelle menzogne, voleva solo la verità, quella che un tempo si dicevano sempre, mentre ora gli veniva negata. Credeva che il loro rapporto fosse speciale, prima di scoprire l’affiatamento tra lui e la sua sorellastra; non poteva farci niente, non poteva sopportarlo…

 

«Beh, forse, un pochino…», disse l’altro per cercare di stemperare la tensione, ma, vedendo che il suo tentativo non era stato gradito, si affrettò ad aggiungere: «Arthur, non è come può sembrare…».

 

«Ma non mi dire! Presumo che tu possa spiegarmi tutto, giusto?», disse il futuro re, trasudando sarcasmo, gli occhi fiammeggianti fissi sul suo interlocutore, che intanto sudava freddo.

 

«Proprio così! Si è trattato solo di un equivoco, credetemi!» esclamò il giovane mago, annuendo convulsamente: non aveva mai visto il suo amico così infuriato, e la cosa peggiore era che non ne capiva il motivo.

 

«Un equivoco, certo! Come ho fatto a non pensarci?! Ti ho detto di smetterla, Merlin, ho compreso la situazione: ti sei preso una cotta per la mia sorellastra, ammettilo!», rispose schiumando di rabbia, sentendo una fitta al cuore nel pronunciare quell’ultima frase. Uscì dalla tinozza e si asciugò frettolosamente, per poi farsi aiutare a rivestirsi e riprendere il discorso prima che l’altro potesse replicare, ignorando deliberatamente lo sguardo attonito che gli rivolgeva.

 

«Ascoltami bene, Merlin: anche ammettendo che Morgana ricambi il tuo sentimento, Uther non approverebbe mai la vostra unione, non permetterebbe mai che la sua figliastra sposi un servo, perciò mettiti il cuore in pace e cerca di abbandonare certi amori impossibili, mi sono spiegato?».

Arthur sentì la bocca improvvisamente secca, lo stomaco in fiamme e la gola occlusa: se la frase di prima gli aveva fatto male, questa lo aveva devastato. Come se non fosse già abbastanza, vide il suo interlocutore irrigidirsi, gli splendidi occhi azzurri colmi di lacrime: lo stregone annuì impercettibilmente, le labbra serrate e i pugni chiusi, mentre il suo esile corpo tremava. Il principe si sentì morire nello scorgere la sofferenza che le sue parole avevano causato, specie quando il suo compagno di sempre si congedò con un cenno del capo e si voltò per andarsene: cosa aveva fatto?

Non avrebbe lasciato le cose in quel modo, tutto per colpa della sua gelosia: lo afferrò per un braccio e lo costrinse a girarsi, per poi stringerne il pallido viso tra le mani. Fino a quel momento non si era mai accorto di quanto fossero limpidi i suoi occhi, di quanto fosse diafana la sua pelle o di quanto fossero sottili le sue labbra: da quella distanza sembravano quasi appetitose, tant’è che il futuro re si chiese che sapore potessero avere.

I loro nasi erano così vicini da sentire il fiato del servo bruciargli il mento, mentre gli spigolosi contorni del suo volto parevano invitare la sua lingua a giocare con loro, inseguendoli e gustandoli. Non poté resistere a quei seducenti inviti, così annullò la distanza che li separava e lo baciò, inizialmente con timidezza, per poi farsi sempre più audace; Merlin rimase frastornato per una manciata di secondi, dopodiché ricambiò quell’effusione con crescente passione, tracciando i contorni perfetti dei regali denti e lasciando che l’altro gli mordesse il labbro inferiore e intrecciasse la lingua con la sua, avvinte in una languida danza.

Arthur fece scorrere le sue avide mani lungo il corpo sinuoso del servo, portandole sotto la maglia blu e conficcando le unghie nella sua schiena, lasciandovi segni infuocati. Si staccò dalla bocca agognata per assaggiare ogni lembo di pelle scoperta, scendendo sull’incavo del collo, dove indugiò per suggere e mordere, inducendo nell’altro lievi gemiti di piacere. Il mago frattanto portò la mano sinistra tra i biondi capelli del principe, stringendoli con foga mentre quella libera s’intrufolava dentro i pantaloni dell’amante, inizialmente per bearsi del contatto con quelle natiche sode che più volte aveva osservato ingolosito, per poi spostarsi sul davanti e afferrare il membro turgido e gonfio di passione.

L’erede al trono gemette e, dopo aver mordicchiato il lobo dell’orecchio destro del servitore, lo sollevò per il bacino e lo trascinò sul letto, intenzionato a godere della sua compagnia fino in fondo; al diavolo quei discorsi stupidi che aveva fatto poco prima e al diavolo quella dannata candela, che ora rotolava sotto il talamo poiché Arthur aveva “accidentalmente” rovesciato lo stivale in cui era nascosta.

Nonostante tutto, quella candela era nuovamente riuscita a causare un incendio nel palazzo di Camelot, sebbene stavolta si trattasse del fuoco della passione: tuttavia il primo si può estinguere, mentre il secondo è dotato di fiamme immortali.

 




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