Nick
(forum ed eventualmente sito): Chloe R
Pendragon.
Titolo: La fiamma
immortale
Fandom: Merlin.
Genere: Erotico,
Introspettivo, Sentimentale.
Rating: Arancione.
Pairing/personaggi: Merthur
Pacchetto scelto: Merlin 2.
Elementi utilizzati: [One-shot di almeno 2500 parole, Rating
Arancione | Merlin/Arthur, Candele]
Avvertimenti/Note: Lime/Triangolo.
Nda (facoltative): Ho messo “Triangolo” tra le note, anche
se si tratta più che altro di gelosia.
La fiamma immortale
Titolo: La fiamma immortale
Autore: Chloe R Pendragon
Prompt: 14 - Gelosia
Fandom: Merlin
Rating: Arancione
Avvertimenti: Triangolo, Lime
Eventuali note dell’autore: Nessuna
La notte avvolgeva Camelot con la sua silenziosa
oscurità, aleggiando indisturbata sul regno addormentato. Le strade erano
deserte e, ad eccezione del piccolo gruppo di persone che si svagavano alla
taverna, gli abitanti erano rientrati nelle proprie dimore e giacevano dormienti
sui propri letti.
Tutto taceva anche all’interno del palazzo reale,
dove, fino a poche ore prima, vi era stata una gran confusione: difatti un paio
di giorni addietro Lady Morgana era stata presumibilmente attaccata dai druidi
mentre riposava nelle sue stanze, per poi essere stata rapita dagli stessi. Se
non fosse stato per l’intervento dei cavalieri, capitanati dal valoroso
principe, probabilmente la fanciulla non avrebbe più fatto ritorno in patria.
Ora che i Pendragon erano nuovamente riuniti sotto
lo stesso tetto, tutto sembrava tornato alla normalità; eppure è risaputo che
l’apparenza inganna… Infatti, il povero Arthur non riusciva ad abbandonarsi
tra le braccia di Morfeo, tormentato com’era dai suoi logoranti pensieri. La
sua mente continuava a infierire su di lui, ricordandogli la scena a cui aveva
assistito poco tempo prima, quando aveva visto Merlin allontanarsi dalla camera
della figliastra del re, un dolce sorriso dipinto in volto.
Inspiegabilmente si era sentito ferito, quasi
tradito da quella situazione, da quella complicità che si stava creando tra i
due; nonostante avessero condiviso mille avventure insieme, quell’idiota di un
servitore non gli aveva mai sorriso in quella maniera, mentre gli era bastato
avvicinarsi un po’ di più alla sua sorellastra per lasciarsi andare così? Cosa
aveva lei di tanto speciale?
Il ragazzo scosse vigorosamente la testa,
domandandosi cosa gli importasse di quella situazione, senza però trovare una
risposta razionale; continuò a rigirarsi tra le candide lenzuola, sperando di
riuscire a dormire, ma fu tutto inutile; così si alzò dal talamo e attraversò
silenzioso la stanza fino a raggiungere la parete di fronte a lui. Iniziò a
tastare l’imponente muro di pietra finché non trovò un mattone che sporgeva
impercettibilmente. Lo estrasse dalla sua postazione e frugò nell’insenatura
rivelata, al fine di prendere ciò che essa conteneva: una candela consumata.
Per quanto potesse apparire insulsa, agli occhi del
principe questa aveva un valore inestimabile, giacché era stata la presunta
causa dell’incendio dei giorni precedenti, sfruttata dai “cospiratori” per
uccidere la pupilla del re. In tal modo quell’oggetto a prima vista
insignificante aveva innescato la rocambolesca serie di eventi successivi e, di
conseguenza, aveva permesso al suo servo di avvicinarsi sempre di più a
Morgana: per Arthur, dunque, quella misera candela era divenuta il simbolo
delle sue pene.
Se la rigirò tra le mani per qualche momento,
scrutandola con attenzione, quasi a volerne cogliere ogni dettaglio, così da
comprendere meglio cosa stesse accadendo. La strinse con forza, facendosi
addirittura sbiancare le nocche, tanta era la frustrazione che provava; non
riusciva a capire cosa gli stesse succedendo, perché era tanto indispettito da
quella situazione? Cosa c’era che non andava realmente nel legame tra Merlin e
la sua sorellastra?
La sua rabbia era priva di fondamento, dato che, se
i due fossero diventati sempre più amici, avrebbe avuto un’alleata in più per
convincere Uther a non bandirlo dal regno qualora avesse fatto una delle sue
quotidiane stupidate; inoltre, il principe si era avvicinato molto a Gwen e la
figliastra del monarca non si era minimamente opposta, perciò dov’era il
problema? Che fosse geloso del suo valletto? No, si disse, quello era fuori
discussione: erano amici loro, nulla di più, giusto?
Il futuro sovrano sbuffò sonoramente,
stropicciandosi gli occhi con la mano libera, convinto che l’ora tarda fosse la
responsabile di quei pensieri assurdi e privi di fondamento. Rimise tutto al
proprio posto e si stese nuovamente sul letto, avvolgendo il corpo muscoloso
nelle candide lenzuola, con la speranza di riuscire ad addormentarsi. Rimase
sveglio per un’ora, continuando a rimuginare su quella folle insoddisfazione
che gli stringeva il cuore e che fiaccava il suo spirito, finché non cedette al
tormentato sonno che gli tenne compagnia per tutta la notte.
«Buongiorno!! Oggi è una
magnifica giornata, non trovate? Sarebbe un peccato sprecarla dormendo, no?»,
la voce squillante di Merlin fu accompagnata dall’improvviso ingresso dei raggi
solari all’interno della camera, inondando il viso di Arthur con la loro
abbagliante luminosità. Il principe, esausto dopo la nottata trascorsa in balìa
degli incubi, avrebbe voluto trattenersi il più a lungo possibile tra le
morbide lenzuola, tuttavia si decise ad alzarsi per poter “interrogare” il suo
servitore sull’accaduto.
«A cosa devo tutto questo
entusiasmo? Mi sono perso qualcosa?», domandò con la voce ancora impastata dal
sonno; era intenzionato ad andare in fondo alla faccenda, doveva sapere. Il
servitore però si limitò a scrollare le spalle e a rispondergli con un sorriso
smagliante.
«Nient’affatto, è solo che è una
splendida mattinata, tutto qui: non siete d’accordo?».
Il principe inarcò un sopracciglio
e grugnì un assenso poco convinto, pensando che quell’idiota gli avrebbe dato
più filo da torcere di quanto si aspettasse.
«Dato che dovrei parlare con mio
padre, ti dispiacerebbe perderti in queste fesserie dopo aver svolto i tuoi
doveri e avermi aiutato a vestirmi?», gli chiese rivolgendogli un’occhiata
eloquente, trasudando irritazione parola dopo parola. Il servo sbuffò
sommessamente e si mise all’opera, accompagnando ogni gesto con un mormorio
concitato, atto a sottolineare il proprio malcontento. Arthur lo guardò in
tralice, come a voler comunicare il suo disappunto, dopodiché diede un’occhiata
alla stanza, per poi ordinare a Merlin di lasciarlo da solo; nonostante le
proteste del giovane, alla fine il figlio del sovrano ottenne l’obiettivo prefissatosi,
così raggiunse il mattone sporgente e lo estrasse dalla parete, in modo da
prendere la candela.
La fissò intensamente per qualche
secondo, poi alzò la mano con cui la reggeva e giurò su di essa che avrebbe
scoperto qual era il segreto del sodalizio tra Morgana e il suo amico. La
nascose all’interno dello stivale sinistro, poi rimise tutto in ordine e si
avviò da Uther. Camminava con disinvoltura tra i mastodontici corridoi che
conosceva a menadito, i passi risoluti e l’incedere deciso degni del futuro re
di Camelot; giunto sulla soglia della sala del trono, bussò con fermezza contro
la massiccia porta che lo separava dal padre e attese un assenso dall’altra
parte.
Ottenuto il permesso, il principe varcò la soglia e salutò il
monarca con riverenza, per poi avvicinarsi e lasciare che questi gli cingesse
le spalle con un braccio, in segno d’affetto. Dopo aver scambiato i doverosi
convenevoli, Arthur si decise a porgli la domanda che gli ronzava in testa da
quando si era svegliato, cercando di apparire il più spontaneo possibile.
«Padre, è dal giorno in cui
Morgana ha subìto l’attacco da parte dei druidi che non passiamo un po’ di
tempo tutti insieme: che ne direste se prendessimo i nostri cavalli e facessimo
una passeggiata nei boschi circostanti? C’è una giornata così bella, potremmo
approfittarne per evadere dalle responsabilità di corte e stare in armonia tra
noi Pendragon…». Si augurò di essere stato convincente, in fondo non gli
sarebbe dispiaciuto trascorrere una mattinata con la sua famiglia, sebbene le
sue intenzioni fossero diverse; per sua fortuna, il re sorrise soddisfatto, il
volto illuminato dalla letizia che la proposta gli aveva dato.
«Mi sembra un’ottima idea,
Arthur: bisogna celebrare il nostro successo contro chi pratica la magia e il
ritorno a casa di Morgana. Ordina a qualcuno di far preparare i cavalli e porta
con te il tuo servitore: ci occorre una persona che porti le provviste, visto
che intendo mangiare all’aperto!».
Il principe annuì raggiante, poi
si congedò e si diresse spedito verso le stalle: tutto era andato come
previsto, in questo modo avrebbe potuto studiare da vicino l’affiatamento che
c’era tra la sua sorellastra e quell’imbranato di Merlin.
Partirono un’ora dopo, Uther in
testa al piccolo gruppo, seguito da suo figlio e dalla sua figliastra, mentre
il servitore stava in fondo alla fila, la sella invasa da innumerevoli bisacce
contenenti le provviste. Parlarono serenamente, ridendo spensierati per la
prima volta dopo settimane, accompagnati dalla rigogliosa natura circostante:
lo spazio intorno a loro brillava di un verde talmente intenso da sembrare di
trovarsi all’interno di uno smeraldo, fiori profumati ed erbe aromatiche
spandevano le loro essenze nell’aria, inebriando coloro che s’addentravano
nella foresta.
Nonostante l’atmosfera fosse
rilassata, Arthur non perse occasione per scrutare sottecchi la pupilla del re,
prestando particolare attenzione a tutte le volte in cui scambiava occhiate
complici con il suo servo; pur essendo felice di trovarsi in quel luogo incontaminato
con i propri cari, non poté impedirsi di provare una fitta al cuore quando
notava la complicità tra i due, invidiando Morgana e anelando a prendere il suo
posto.
Quando il sole raggiunse il
culmine della sua altezza, il sovrano di Camelot levò la mano destra e indicò
un albero imponente dalle fronde ampie e folte, decidendo di accamparsi lì;
legarono i cavalli nelle immediate vicinanze, poi Merlin stese un’ampia coperta
sull’erba lussureggiante e dispose i viveri sopra di essa. Mangiarono avidamente,
placando i morsi della fame che fino ad allora erano rimasti silenti,
conversando amabilmente, beandosi di quegli istanti di assoluta tranquillità.
Terminato il lauto pasto, il
monarca stabilì che era giunto il momento di fare ritorno a palazzo, ordinando
al servo di mettere tutto a posto più in fretta che poteva; mentre questi
s’accingeva a svolgere le sue mansioni, si accorse che la figliastra del re era
rimasta senz’acqua, così accelerò i tempi e, sistemate le bisacce, si offrì di
andare a riempire la fiaschetta della ragazza, la quale lo ringraziò con un
sorriso radioso.
Il principe s’indispettì per
quella premura, per cui chiamò il suo servitore e gli lanciò anche la sua,
dicendogli di occuparsi pure di quella, lanciandogli uno sguardo provocatorio
che nascondeva la sua ira. Cominciò ad avvertire un fastidio al piede sinistro,
come se avesse un sassolino nello stivale, finché non comprese che si trattava
di quella maledetta candela; sembrava quasi che si fosse accesa e che stesse
cercando di bruciare le membra di Arthur, come a voler infierire su di lui e
infiammare il suo spirito.
Il futuro sovrano di Camelot
ridusse i suoi splendidi occhi blu a due fessure e digrignò i denti, ringhiando
sommessamente e stringendo i pungi fino a far sbiancare le nocche, schiumante
di rabbia. Quando Merlin tornò dal fiume con le fiaschette, i quattro si
rimisero in viaggio, galoppando verso il palazzo; quella gita fuori le mura
doveva servire a liberare la mente dalle tensioni dell’ultimo periodo, tuttavia
per il principe non era stata di grande aiuto, anzi, aveva acuito il suo
malcontento, confermando i suoi sospetti e alimentando il proprio tormento.
Tornati a palazzo, Arthur ordinò
al suo servo di preparargli una tinozza con dell’acqua calda, determinato a
rimproverarlo in privato per la sua deplorevole condotta; come poteva fare gli
occhi dolci a Morgana, sotto gli occhi di tutti, senza il benché minimo pudore?
Durante il tragitto, il principe aveva decretato che il suo magone nascesse
dallo sconcerto per il comportamento spudorato del suo servitore, non trovando
una spiegazione altrettanto logica: lo avrebbe rimesso al suo posto, a
qualunque costo.
Quando giunse nella sua camera,
trovò Merlin ad accoglierlo con un sorrisetto soddisfatto, cosa che acuì l’insofferenza
del futuro re; si spogliò frettolosamente e s’immerse nell’acqua tiepida,
beandosi per un attimo di quella piacevole sensazione. Chiuse gli occhi e
dischiuse leggermente le labbra carnose, reclinando la testa ed emettendo un
lungo sospiro; dopo una giornata tanto stressante, quel bagno era l’ideale per
svuotare la mente e rigenerare l’anima.
Ricordandosi della presenza del
servo, si riscosse dal torpore che lo stava annichilendo e si voltò verso di
lui, inarcando un sopracciglio nel vederlo arrossire e abbassare lo sguardo,
grattandosi imbarazzato il capo. Decise di archiviare quella reazione e di
andare dritto al punto, giacché temporeggiare era inutile, senza contare che
non era nel suo stile.
«Mi hai deluso, Merlin!», esclamò
serafico, facendo riecheggiare quelle parole nel silenzio della camera; il
servitore rimase interdetto, non capendo cosa avesse fatto per amareggiarlo.
«Di cosa state parlando?» chiese
con un filo di voce, spingendo il suo interlocutore a sbuffare e a scuotere la
testa.
«Parlo del tuo atteggiamento nei
confronti di Morgana: sapevo che eri un idiota, ma non pensavo che fossi pure
un pazzo…». Il ragazzo deglutì, domandandosi se il principe avesse scoperto la
verità su di loro e sui loro poteri, perciò decise di fare il finto tonto, non
immaginando quanto avrebbe irritato il principe.
«Continuo a non capire di cosa mi
stiate accusando, io e Mor…».
«Non ci provare, Merlin! Ho visto
tutte le premure che hai nei suoi confronti, così come ti ho visto uscire dalla
sua stanza ieri sera; credi che sia stupido?», ringhiò con rabbia, senza
permettere al servo di completare la frase: era stanco di quelle menzogne,
voleva solo la verità, quella che un tempo si dicevano sempre, mentre ora gli
veniva negata. Credeva che il loro rapporto fosse speciale, prima di scoprire
l’affiatamento tra lui e la sua sorellastra; non poteva farci niente, non
poteva sopportarlo…
«Beh, forse, un pochino…», disse
l’altro per cercare di stemperare la tensione, ma, vedendo che il suo tentativo
non era stato gradito, si affrettò ad aggiungere: «Arthur, non è come può
sembrare…».
«Ma non mi dire! Presumo che tu
possa spiegarmi tutto, giusto?», disse il futuro re, trasudando sarcasmo, gli
occhi fiammeggianti fissi sul suo interlocutore, che intanto sudava freddo.
«Proprio così! Si è trattato solo
di un equivoco, credetemi!» esclamò il giovane mago, annuendo convulsamente:
non aveva mai visto il suo amico così infuriato, e la cosa peggiore era che non
ne capiva il motivo.
«Un equivoco, certo! Come ho
fatto a non pensarci?! Ti ho detto di smetterla, Merlin, ho compreso la
situazione: ti sei preso una cotta per la mia sorellastra, ammettilo!», rispose
schiumando di rabbia, sentendo una fitta al cuore nel pronunciare quell’ultima
frase. Uscì dalla tinozza e si asciugò frettolosamente, per poi farsi aiutare a
rivestirsi e riprendere il discorso prima che l’altro potesse replicare,
ignorando deliberatamente lo sguardo attonito che gli rivolgeva.
«Ascoltami bene, Merlin: anche
ammettendo che Morgana ricambi il tuo sentimento, Uther non approverebbe mai la
vostra unione, non permetterebbe mai che la sua figliastra sposi un servo, perciò
mettiti il cuore in pace e cerca di abbandonare certi amori impossibili, mi
sono spiegato?».
Arthur sentì la bocca
improvvisamente secca, lo stomaco in fiamme e la gola occlusa: se la frase di
prima gli aveva fatto male, questa lo aveva devastato. Come se non fosse già
abbastanza, vide il suo interlocutore irrigidirsi, gli splendidi occhi azzurri
colmi di lacrime: lo stregone annuì impercettibilmente, le labbra serrate e i
pugni chiusi, mentre il suo esile corpo tremava. Il principe si sentì morire
nello scorgere la sofferenza che le sue parole avevano causato, specie quando
il suo compagno di sempre si congedò con un cenno del capo e si voltò per
andarsene: cosa aveva fatto?
Non avrebbe lasciato le cose in
quel modo, tutto per colpa della sua gelosia: lo afferrò per un braccio e lo
costrinse a girarsi, per poi stringerne il pallido viso tra le mani. Fino a
quel momento non si era mai accorto di quanto fossero limpidi i suoi occhi, di
quanto fosse diafana la sua pelle o di quanto fossero sottili le sue labbra: da
quella distanza sembravano quasi appetitose, tant’è che il futuro re si chiese
che sapore potessero avere.
I loro nasi erano così vicini da
sentire il fiato del servo bruciargli il mento, mentre gli spigolosi contorni
del suo volto parevano invitare la sua lingua a giocare con loro, inseguendoli
e gustandoli. Non poté resistere a quei seducenti inviti, così annullò la
distanza che li separava e lo baciò, inizialmente con timidezza, per poi farsi
sempre più audace; Merlin rimase frastornato per una manciata di secondi,
dopodiché ricambiò quell’effusione con crescente passione, tracciando i
contorni perfetti dei regali denti e lasciando che l’altro gli mordesse il
labbro inferiore e intrecciasse la lingua con la sua, avvinte in una languida
danza.
Arthur fece scorrere le sue avide
mani lungo il corpo sinuoso del servo, portandole sotto la maglia blu e
conficcando le unghie nella sua schiena, lasciandovi segni infuocati. Si staccò
dalla bocca agognata per assaggiare ogni lembo di pelle scoperta, scendendo
sull’incavo del collo, dove indugiò per suggere e mordere, inducendo nell’altro
lievi gemiti di piacere. Il mago frattanto portò la mano sinistra tra i biondi
capelli del principe, stringendoli con foga mentre quella libera s’intrufolava
dentro i pantaloni dell’amante, inizialmente per bearsi del contatto con quelle
natiche sode che più volte aveva osservato ingolosito, per poi spostarsi sul
davanti e afferrare il membro turgido e gonfio di passione.
L’erede al trono gemette e, dopo
aver mordicchiato il lobo dell’orecchio destro del servitore, lo sollevò per il
bacino e lo trascinò sul letto, intenzionato a godere della sua compagnia fino
in fondo; al diavolo quei discorsi stupidi che aveva fatto poco prima e al
diavolo quella dannata candela, che ora rotolava sotto il talamo poiché Arthur
aveva “accidentalmente” rovesciato lo stivale in cui era nascosta.
Nonostante tutto, quella candela
era nuovamente riuscita a causare un incendio nel palazzo di Camelot, sebbene
stavolta si trattasse del fuoco della passione: tuttavia il primo si può
estinguere, mentre il secondo è dotato di fiamme immortali.