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Autore: Hermione Weasley    21/06/2014    6 recensioni
Mi hanno sparato, pensò incredula, portandosi una mano alla spalla. Il dolore la investì nel momento esatto in cui si accorgeva di avere una freccia conficcata nella carne. Dischiuse le labbra in un'espressione di muto orrore, facendo saettare lo sguardo verso l'alto, ai tetti che incombevano sulla strada.
Un lampo improvviso disegnò nel cielo nero la sagoma di un uomo.
[Clint x Natasha] [Slow Building] [Completa]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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6


And the only solution was to stand and fight
And my body was bruised and I was set alight
But you came over me like some holy rite
And although I was burning, you're the only light

(Florence + the Machine – Only if For a Night)

 

 

“Mi spieghi che diavolo stai facendo?”

“Hackerando il sito di una lavanderia.”

Non ebbe bisogno di rialzare lo sguardo per immaginarsi con che razza di espressione Clint la stesse guardando.

“Wow, lo SHIELD ti ha promosso al livello nove?” La prese in giro, intrecciando le braccia al petto.

“No, il mio bucato doveva essere pronto ieri, ma stando alla signora Wang non ho correttamente inviato il mio ordine prima di consegnare i miei vestiti al loro stupido fattorino.”

Erano ormai quasi quarantotto ore che era costretta ad andare in giro con i fondi del suo guardaroba: quei capi che avrebbe dovuto buttar via mesi (se non anni) prima e che invece permanevano nel suo armadio per semplice mancanza di tempo (stava dando il peggio di sé nel campo della biancheria intima).

“Il fattorino ha perso i tuoi vestiti?”

“Qualcosa del genere.”

Clint le scoccò un'occhiata valutativa. “Il mio scenario preferito è quello in cui il fattorino è un maniaco. Magari dovresti controllare la cabina telefonica più vicina a casa tua: potrebbe essere ancora lì dentro ad annusare le tue sottane,” si mise a ridere, divertito dall'immagine mentale (che Natasha non mancò di trovare assolutamente orripilante).

“Grazie, Barton, il tuo aiuto è sempre essenziale.”

“Non c'è bisogno di ringraziarmi,” le si mise seduto accanto, sulla panca della palestra. “Quindi stai... ?”

“Sto controllando di aver inviato correttamente l'ordine. E l'ho fatto, eccolo qui,” gli indicò una porzione di testo schiacciata tra una quantità di segni e numeri che per lui – Natasha non fece fatica a rendersene conto – non significavano assolutamente niente.

“Mi fido ciecamente della tua parola.”

“Adesso sto regalando buoni sconti del cinquanta per cento a tutti i loro clienti,” non aveva intenzione di lasciare impunito il furto dei suoi preziosissimi vestiti. Da qualche mese a quella parte aveva inanellato talmente tanti successi uno dopo l'altro, che lo SHIELD le aveva raddoppiato le missioni, decimando sensibilmente il suo tempo libero. Se aveva persino dovuto rinunciare a fare il bucato da sola (cosa che non l'addolorava particolarmente), dove credevano che avrebbe trovato un pomeriggio intero per una sessione di shopping intenso? Tra lo sventare un attacco terroristico e una missione sotto copertura, magari? “... e li sto inserendo nel database dei predatori sessuali dell'FBI.”

Clint si mise a ridere. “Ricordami di non metterti mai i bastoni tra le ruote.”

“Lo faccio ogni giorno, mi pare,” gli scoccò un'occhiata auto-esplicativa. “Non ti allenerai granché se rimani lì impalato.”

“Sto aspettando quelli del primo anno,” la informò, una smorfia scocciata ben evidente su tutto il volto. Natasha inarcò un sopracciglio: una muta richiesta di spiegazioni. “Coulson ha informato Fury del mio exploit in Cambogia.”

Erano trascorsi ormai un paio di mesi dall'ultima missione che li aveva visti sul campo insieme: si erano susseguiti degli incarichi minori che l'avevano annoiata a morte e a lui non era andata poi molto meglio.

“E adesso sei in punizione,” concluse per lui. Aveva imparato che, di solito, le malefatte di Clint (che in fin dei conti malefatte non erano) si concludevano con una serie di scartoffie infinite, verbali di verbali su altri verbali, ma per quanto poteva constatare il direttore aveva trovato un nuovo modo per fargli pagare le conseguenze della sua insubordinazione.

“Già,” confermò con aria abbattuta, prima di accorgersi che un gruppetto di persone si era già assiepato poco distante, in attesa dell'istruttore del giorno. “La mia tortura comincia,” si rimise in piedi, sgranchendosi le braccia, “tu rimani qui, potrei dover lanciare una crociata contro il mini-market sotto casa mia.”

Natasha lo incenerì con lo sguardo mentre Clint raggiungeva le sue reclute. Il modo in cui raddrizzò le spalle e sistemò la postura, come per farsi più grosso e minaccioso, la fece sorridere. Dopodiché tornò alla sua personalissima vendetta contro la signora Wang e la sua congenita incompetenza, digitando furiosamente sul piccolo laptop che lo SHIELD le aveva fornito qualche tempo prima.

O almeno l'avrebbe fatto se l'allenamento di Clint non avesse continuato a distrarla dai suoi propositi.

“Il corpo a corpo è una questione di leve. Non potete scagliarvi contro il vostro avversario come degli indemoniati,” stava spiegando allo spilungone dalle spalle più larghe che Natasha avesse mai visto. “Prova ad atterrarmi,” lo invitò.

Seguì un breve (brevissimo) scontro in cui Clint ribaltò il ragazzino senza il benché minimo sforzo. “Lo vedi?” Gli tese una mano, aiutandolo a rimettersi dritto. “Se siete minuti, non abbiate paura,” si stava rivolgendo ad una ragazza adesso, “la forza bruta non è tutto, quando si viene alle mani...,” la recluta tentò di attaccarlo, ma Clint riuscì ad immobilizzarla in due semplici mosse, di fatto rendendole impossibile un qualsiasi movimento, “... anche se aiuta.”

“Signore, lei non è specializzato nel... combattimento a distanza?” Qualcuno si azzardò a chiedere.

“Sì,” confermò, improvvisamente ringalluzzito dalla domanda.

“E' vero che riesce a lanciare tre frecce contemporaneamente?” Era stato il più basso, grosso e tarchiato a prendere la parola.

“Anche più di tre,” adesso stava sorridendo ampiamente.

“Come mai proprio l'arco?” Una ragazza dai capelli biondi, lunghi e liscissimi.

“Perché no?” Aveva allargato le braccia. “Alcuni di noi vedono meglio da una certa distanza.”

“Ma perché non, supponiamo, una pistola? O un'altra arma da fuoco?” Una coppia di gemelli praticamente identici (Natasha non aveva capito chi dei due avesse parlato, ma era curiosa di sentire la risposta).

“Sono stato anche cecchino, ma l'arco è più divertente.”

Registrò l'informazione e provò a costringersi a prestare attenzione ai fatti suoi e non all'allenamento delle reclute. Eppure quel non so che di tronfio e paternalistico che Clint stava riservando ai suoi improvvisati allievi, contribuiva a renderlo... comico: sapeva di essere una specie di celebrità per quei ragazzi, e non si preoccupava di nascondere la soddisfazione che quel particolare dettaglio gli procurava. La scenetta, in un certo senso, la intratteneva.

“Non dovrebbe esserci qualcuno specializzato nel corpo a corpo ad insegnarci?” Clint, ghiacciato sul posto, si voltò molto lentamente verso l'agente che aveva parlato: un ragazzo alto, smilzo, capelli cortissimi, una grandissima faccia da schiaffi, appostato leggermente in disparte rispetto al resto del gruppo. Un tatuaggio di forma non meglio precisata faceva capolino dallo scollo della t-shirt nera che indossava.

Oh oh.

“Sono perfettamente qualificato per l'insegnamento del corpo a corpo,” si difese con tono sorprendentemente petulante. “Qual è il tuo nome?”

“Weiss.”

“Bene, Weiss, perché non vieni qui a farmi vedere cosa sai fare?” (Natasha sperò ardentemente che lo facesse a pezzi e lo rimettesse al suo posto.)

“Facevo per dire, signore,” specificò il ragazzo con tono fastidiosamente mellifluo, “sarei più curioso di vedere come combatte l'agente Romanoff.”

Non aveva neanche finito di pronunciare il suo nome che le teste dell'intero drappello di reclute si voltarono nella sua direzione, sincronicamente. Natasha serrò le labbra, impedendosi di uscire con qualcosa come no, scusate prima devo scoprire dove sono finite le mie mutande, che non avrebbe aiutato proprio nessuno (anche se avrebbe riscosso successo con Clint). Secondo di poi, non aveva alcuna intenzione di insegnare un bel niente a chicchessia.

“L'agente Romanoff può confermarvi che le mie tecniche per il corpo a corpo sono più che adeguate,” decretò seccamente, le braccia graniticamente incollate al petto.

Natasha non riuscì ad impedire al proprio sopracciglio di schizzare verso l'alto, procurando all'agente Barton quello che aveva l'aria di essere un principio di attacco epilettico.

“L'agente Romanoff non sembra d'accordo,” commentò Weiss con tono professionale. Di nuovo tutti gli sguardi furono su di lei. (Davvero, tutto ciò che voleva fare era occuparsi del ritrovamento del suo guardaroba e/o del fattorino maniaco!)

“All'agente Romanoff piace sottovalutarmi,” lo liquidò.

“Magari per un valido motivo,” Weiss, contro ogni buon senso, decise di insistere.

“Magari perché si sbaglia.”

“Oh magari lei è più portato al tiro con l'arco che a tutto il resto.”

“All'agente Romanoff piace giocare sporco.”

“Non giocano sporco anche i nemici dello SHIELD?”

“Forse dovremmo -”

Lo schianto del laptop che si chiudeva su se stesso riecheggiò tra le quattro pareti, zittendo l'intera palestra nel giro di un misero secondo. Natasha l'abbandonò sulla panca, rimettendosi in piedi con tutta la calma del mondo. Raggiunse il gruppo di reclute in completo silenzio, fronteggiando Clint con aria mortalmente seria. Ricevette in cambio un'espressione confusa (e anche, le parve, vagamente inquietata).

“L'agente Barton è molto probabilmente il miglior tiratore che abbiate conosciuto,” cominciò col dire, “è pur vero che gli uccelli sono famosi per le ridotte dimensioni del loro cervello...”

Un oooooooh di aspettativa accompagnò le sue parole insieme ad un'occhiata di puro sdegno dal diretto interessato.

“I falchi si mangiano i ragni per colazione,” precisò, ripresosi dallo shock iniziale.

“Non se prima riescono a morderti.”

Se è la parola chiave, qui, mi pare.” Senza che se ne fossero accorti, il gruppo si era spontaneamente ed equamente diviso alle spalle dei due agenti. Natasha non lo degnò di uno sguardo, cominciando a stirare prima un braccio, poi l'altro.

“Il morso della vedova nera può causare...,” era tornata a rivolgersi alle reclute con tono chiaro e deciso, mentre accennava un ennesimo esercizio di stretching. Sul più bello, con uno scatto fulmineo si scagliò contro Clint, assestandogli un cazzotto nello stomaco. “... dolore addominale.”

Pat-pattò la schiena dell'uomo, annaspante e piegato in due dal dolore, ostentando assoluta nonchalance.

“Ma 'osì 'on... non 'ale, 'Tas -” l'ennesimo colpo di tosse lo costrinse a zittirsi.

“Difficoltà respiratorie,” riprese Natasha, indicandolo con aria esplicativa.

Avvertì nettamente un leggero spostamento nell'aria: Clint si preparava al contrattacco. Scivolò di lato, evitando per un pelo che la travolgesse. Lo attaccò da dietro, saltandogli sulle spalle, un braccio stretto attorno al collo, impedendogli sia di respirare che di muoversi.

“Rigidità dorsale,” continuò come se nulla fosse.

Come si aspettava, Clint – dopo un primo attimo di smarrimento – la ribaltò su se stessa, scrollandosela furiosamente di dosso. L'atterrò in pochi secondi, sfruttando tutto il suo peso per tenerla schiacciata contro uno dei tanti tappeti blu che ricoprivano il pavimento della palestra. Natasha non si lasciò impressionare: non potendo muovere né braccia, né gambe, fece leva sull'unica parte del corpo che poteva ancora muovere, la testa. Il sorriso di trionfo sulla faccia di Clint si incrinò quando comprese che intenzioni aveva.

“Nat, non ci pro-” Non fece in tempo a completare la frase o a ritrarsi che Natasha gli aveva assestato una testata in piena fronte.

“Cefalea,” continuò l'elenco dei sintomi, approfittando del momento di defaillance del partner per rimettersi rapidamente in piedi. “Vertigini,” aggiunse, alludendo all'espressione decisamente stonata che l'agente Barton stava esibendo in quel particolare momento.

“L'a-avevo detto che g-giocava sporco,” balbettò lui, riuscendo finalmente a raddrizzarsi su entrambe le gambe. Scosse il capo per liberarsi dall'intontimento, rimettendola – infine – a fuoco. L'attacco successivo la sollevò letteralmente dal pavimento. Strinse i denti e si preparò a rispondere: Clint doveva essere entrato nel giusto stato mentale, perché le fu via via sempre più difficoltoso schivare o parare i suoi colpi. Il gruppo si apriva sempre di più, allargando progressivamente il loro campo di battaglia, mentre si rotolavano, si attaccavano, si scagliavano furiosamente l'uno contro l'altra, pugni, calci, ginocchiate (“Non!”), gomitate, morsi (“Seriamente, Nat?!”), strattoni ai capelli (“Stronzo!”). Un applauso estasiato aveva seguito l'ultima manovra di Natasha, che – approfittando dell'improvvisa distanza a separarli – prima gli era corsa incontro e poi aveva saltato a mezz'aria ruotando in torsione fino a chiudergli il collo nella forbice formata dalle proprie gambe. La forza dello slancio aveva spinto violentemente Clint a terra, mentre Natasha era riuscita a ricadere in piedi, riassumendo in fretta e furia la posizione di combattimento. L'uomo rialzò il capo rivolgendole un'espressione di puro terrore misto alla più sincera ammirazione.

“E quello che cavolo era?” Si portò una mano al collo, incredulo.

“Nuova mossa, ti piace?”

“E' stato -” le fece lo sgambetto prima che si potesse rendere conto di cosa stesse succedendo, “pazzesco!”

Cadde rovinosamente, riuscendo miracolosamente ad attutire la caduta, ma non prima che Clint le fosse nuovamente addosso. Si mosse rapidamente di lato, impedendogli di immobilizzarla definitivamente (sapeva che, una volta rinchiusa nella gabbia delle sue braccia, avrebbe potuto ben poco), ma non di afferrarle un braccio che non esitò storcerle dietro la schiena.

“C-Come vi stavo d-dicendo,” la voce rotta dal fiatone, Clint tentò di riprendere la spiegazione... e l'avrebbe anche fatto se Natasha non fosse riuscita a colpirlo a sorpresa con la mano libera.

“Sudorazione,” aggiunse una nuova voce al suo elenco con rinnovato impeto, mentre si scrollava bruscamente l'uomo di dosso. Non aveva neanche finito di rimettersi in piedi che Clint l'aveva tirata giù (di nuovo!). Si abbarbicarono l'uno all'altra mentre il gruppo di reclute (rimpinguato da un consistente numero di astanti e curiosi) ruotava loro attorno, modificando di volta in volta l'area di azione a seconda dei loro spostamenti. Chi applaudiva, chi incitava l'uno, chi l'altra, chi prendetevi una stanza! La cosa andò avanti per due minuti che parvero lunghi un secolo. Fu Clint a porre fine allo scontro: la costrinse a rimettersi in piedi dopo averla afferrata da dietro. Una gamba intrecciata ad una delle sue le impediva di muoversi, mentre le sue braccia (no, a Natasha non era sfuggito quanto fossero enormi) la serravano nella loro ferrea morsa.

“A-Appunto,” l'uomo riprese a parlare, la pelle ricoperta di sudore, il respiro corto, “a-arrivati a questo punto, potrei... romperle le costole e f-finirla.” Natasha riusciva a sentire il suo petto che si alzava e abbassava contro la schiena. “Ma non lo f-farò perché questo è solo uno stupido allenamento,” pronunciò le ultime parole con particolare enfasi.

Natasha, che a sua volta stava cercando disperatamente di non morire soffocata, aveva però ancora tutte le energie sufficienti a far saettare gli occhi al soffitto, esasperata. Prima di poter formulare anche solo mezzo pensiero razionale, gli tirò una testata all'indietro, dritta sul naso, costringendolo ad allentare la presa.

Sciolse le braccia, portandosi le mani ai fianchi e sospirò bruscamente, finalmente libera. Il tonfo che seguì, le suggerì che Clint doveva essere svenuto.

“I vostri a-avversari non g-giocheranno pulito,” avvertì, “ricordatevelo bene.”

 

*

 

“Qualcuno mi metta in contatto col consiglio,” il direttore Fury sbraitava, mentre una sfilza di agenti e consulenti tentavano di tenere il suo passo lungo il corridoio. Victoria Hand procedeva al suo fianco, una lista di nomi alla mano e un'espressione greve sul volto: la questione della nomina del vice-direttore si stava facendo più spinosa del previsto, con sommo disappunto di tutti i diretti interessati (fatta eccezione per chi avrebbe beneficiato di tutto quello stupido caos burocratico).

Alla svolta successiva, furono costretti a fermarsi: un consistente gruppo di reclute e altri agenti in tenuta ginnica ostruiva il passaggio.

“Che diavolo sta succedendo?!” Non era per niente in vena di stronzate, non quel pomeriggio (o meglio ancora, mai).

“L'agente Romanoff ha messo al tappeto l'agente Barton,” una ragazzetto dall'aria insopportabile aveva preso la parola, mentre alcuni suoi compagni – decisamente più intimiditi dalla presenza del direttore – erano indietreggiati di qualche passo, stando ben attenti a non proferir parola.

Scoccò una rapida occhiata oltre i vetri della palestra, mentre un'altra recluta stava arrivando in corsa dalla parte opposta, un kit di pronto soccorso alla mano e una borsa del ghiaccio nell'altra. Natasha le intimò di abbandonare il carico subito all'ingresso e di andarsene immediatamente: da quel che Fury poteva constatare, nessuno aveva avuto il coraggio di mettere in discussione gli ordini (piuttosto opinabili) della donna. Se da una parte la consapevolezza della sua spiccata autorità lo rendeva orgoglioso, dall'altra, il fatto che avesse fatto perdere i sensi all'agente Barton durante una sessione di allenamento dei novizi dello SHIELD non giocava per niente in suo favore. Anzi.

Afferrò il ragazzetto che aveva parlato per il colletto della t-shirt e lo spostò di peso per aprirsi un varco.

“Muovetevi tutti! Aria! Aria!”

Le sue brusche direttive furono subito eseguite: alcuni si allontanarono praticamente in corsa, altri si schiacciarono contro le pareti quasi fino a scomparire, smettendo persino di respirare.

Fury non esitò ad approfittare del passaggio così ottenuto.

“Qualcuno mi metta in contatto con l'agente Coulson!”

“Non aveva detto il consiglio?” Obiettò uno dei consulenti.

“Coulson e il consiglio, ci senti figliolo o stai pensando a qualcos'altro?”

“Nossignore!”

“Non ci senti?”

“Nossignore! C-Cioè... sissignore!”

 

*

 

Il peggior mal di testa della storia arrivò a svegliarlo con la stessa delicatezza di una madre che passa l'aspirapolvere nella camera del figlio alle sette di domenica mattina (non che ne sapesse granché, di mamme e pigri giorni di vacanza).

“Clint?” Natasha incombeva su di lui.

Anzi, fu proprio la voce della ragazza a suggerirgli che quella macchia informe di rosa e rosso era, di fatto, la sua partner. Azzardò un sorriso e se ne pentì subito: ogni suo muscolo facciale invocò pietà per quell'improvvisa tortura. Il che gli ricordò anche cos'era successo, del corpo a corpo con Natasha e della (ne era sicuro) penosa conclusione della prima sessione di allenamento reclute della sua vita.

“Clint, mi senti?”

Le concesse in risposta un rumore gutturale non meglio precisato, che poteva essere un'affermazione o un insulto bello e buono (Clint decise che era entrambe le cose).

“Mi h-hai... mi hai c-chiamato Clint,” biascicò, inorridendo al suono strascicato della propria voce, “se b-bastava f-farmi p-prendere a p-pugni... ci pensavo prima”. Sbatté furiosamente le palpebre, mettendo poco a poco a fuoco i dintorni: si trovavano ancora in palestra. Natasha, dal canto suo, sembrava avere avuto il buon senso di mostrarsi quantomeno addolorata per quel colpo basso.

Una fitta dolorosa gli trapassò le tempie quando tentò di rimettersi seduto. Una borsa del ghiaccio gli pesava sulla fronte e il naso, dolorante, sembrava pulsare. Non di nuovo.

“Non è rotto,” l'avvertimento di Natasha gli risultò colorato di un'urgenza che non le apparteneva. Non sarà stato rotto, ma quando Clint si portò una mano alla faccia per constatare l'entità del danno, gli venne quasi da piangere. Un cerotto faceva bella mostra di sé sull'arco del suo setto nasale.

“A p-posto,” esalò, chinandosi in avanti per appoggiarsi le mani sulle ginocchia, “spero almeno sia quello di Batman”. Mentre cercava di ricordarsi chi era, come, quando e perché, lasciò che Natasha si preoccupasse di tenere il ghiaccio al suo posto.

“Mi dispiace,” la scusa della ragazza era arrivata – per quel che gli riguardava – con un abbondantissimo secondo di ritardo.

“Non è n-niente,” si stropicciò un occhio, il mal di testa che non accennava a volerlo abbandonare, “mi sono rotto il naso p-più volte di q-quante tu mi abbia chiamato Clint.”

“Più di due?”

“Più di cinque.”

Natasha sospirò. “Se ti consola, avresti dovuto vedere che occhiate mi hanno lanciato quando si sono accorti che eri svenuto,” gli confessò, ne era sicuro, col puro intento di farlo sentire meglio, “ho dovuto buttare fuori tutti.”

“Se ti sei ricordata di t-tirare un pugno in faccia a quel pidocchio di Weiss, s-sei perdonata,” le concesse.

“No, però... quando se n'è andato, aveva un'aria piuttosto terrorizzata. Vale?”

“Te lo d-dico tra cinque minuti.”

Rimasero in silenzio per qualche istante, ognuno perso nei propri pensieri. Doveva ammettere che vederla sinceramente desolata (ormai aveva imparato a riconoscerle, le sue finte) gli faceva un certo piacere. Pochi mesi prima non avrebbe esitato ad abbandonarlo in palestra, solo e tristemente svenuto, lasciando che fosse qualcun altro a raccoglierlo col cucchiaino.

“Non credo che Fury ci permetterà di addestrare altre reclute,” fu lei a parlare per prima (altra anomalia).

“A meno che non voglia che li prepariamo per il circo,” alluse e poi gli venne da ridere (data le condizioni in cui versava attualmente la sua faccia, più che altro rideva e piangeva contemporaneamente), “lasciatelo dire da uno che ci ha lavorato: quello era peggio del circo.”

Natasha gli scoccò un'occhiata scettica. “Hai lavorato per il circo?”

“Già,” ammise senza particolari problemi, nonostante quella fosse solo la terza volta che ne informava qualcuno, “quand'ero solo uno stupido moccioso.”

“Cos'è che facevi?”

“Tiravo con l'arco, che altro?” Le sorrise, strizzando un occhio all'ennesima fitta di dolore. La ragazza parve valutare attentamente le sue parole: più che per accertarsi che Clint dicesse la verità, per capire come procedere, o almeno così gli parve.

“Anche i tuoi genitori lavoravano per il circo?”

“No, eravamo solo io e mio fratello,” si bloccò per un misero istante, chiedendosi quanto tempo fosse passato dall'ultima volta in cui si era ritrovato a pensare a Barney.

“Non sapevo avessi un fratello.”

“Non ci vediamo spesso,” si giustificò. Diciamo pure per niente.

Natasha si era di nuovo zittita, i suoi occhi verdi intenti e concentrati quasi stesse formulando un complicatissimo algoritmo per il calcolo di... qualcosa. O magari era esattamente quello che stava facendo, non si illudeva di comprendere cosa passasse per la testa di Natasha Romanoff: anzi, aveva sempre la netta e costante sensazione di essere irrimediabilmente fuori strada quando si trattava della sua partner.

“E poi sei entrato nell'esercito?” Clint le rivolse uno sguardo sorpreso: non si ricordava di aver detto niente riguardo il suo passato nei marines. La ragazza parve aver compreso il suo dubbio perché si affrettò a spiegare, “hai detto alle reclute che eri stato un cecchino.”

“Oh... giusto,” il ricordo di quel particolare dettaglio riemerse dalla cortina di stordimento che continuava ad ottenebrargli il cervello. “Per un certo periodo, sì.”

“E' stato Coulson a portarti allo SHIELD, vero?”

“Chi cavolo sei, una chiaroveggente? Predici il futuro quando non hackeri i siti internet di povere lavandaie asiatiche?”

Si strinse nelle spalle, distogliendo lo sguardo dal suo viso per fissare la propria attenzione su tutt'altro: una cosa che, Clint se n'era accorto fin troppo bene, faceva in continuazione quando si trovava in imbarazzo.

“No, è solo... solo una supposizione.” Le dette un buffetto sotto al mento per farla voltare di nuovo verso di sé, come a sottolineare che non c'era proprio niente di cui preoccuparsi (solo più tardi si sarebbe interrogato su chi cazzo dà “buffetti” alla Vedova Nera?!).

“E' stato Coulson,” confermò non appena ebbe riagganciato il suo sguardo. Lasciò ricadere la mano, massaggiandosi distrattamente la mascella. “E' un miracolo che tu non mi abbia rotto niente.”

“Mi hanno insegnato ad affondare il coltello solo quel tanto che è necessario,” puntualizzò.

Clint intuì che, più che metaforicamente, Natasha l'aveva inteso alla lettera. Era in quei momenti che le si sentiva più vicino, in cui la sentiva più affine a se stesso di qualunque altro collega, Phil compreso. C'era un'oscurità nascosta dietro il verde profondo dei suoi occhi, un pozzo di cui, neppure sporgendosi sarebbe riuscito a vedere il fondo. Gliel'aveva riconosciuta sul viso non appena l'aveva vista – vista davvero – sul tetto della cattedrale di Saint Paul, circondato dalle statue di santi e apostoli in cui non aveva mai creduto (come avrebbe potuto, comunque?), esattamente così come la ritrovava ogni mattina sul proprio, riflessa nello specchio sbilenco del bagno. No, la sua somiglianza con quella ragazzina di tredici anni, strappata alla propria famiglia, addestrata ad essere non un soldato, ma un'arma nelle mani di uomini e organizzazioni privi di scrupoli, non era immediata. Era qualcosa di più profondo, qualcosa che non riusciva a definire a parole. L'avevano privata di un pezzo della sua esistenza, lo stesso che le circostanze e le pessime decisioni dei suoi genitori avevano portato via a lui. Quel che era stato tolto, nessuno l'avrebbe potuto restituire. Eppure c'era quella fierezza che le leggeva nello sguardo ad affascinarlo, il modo in cui si rifiutava di lasciarsi abbattere da qualsiasi avversità, la determinazione con cui aveva deciso di farla finita piuttosto che arrendersi. Una facciata, forse, ma Clint era convinto che la costruisse persino a se stessa, specialmente per se stessa: chissà quanto lavorio interno era necessario per convincersi di non essere arrivata al capolinea, di avere uno scopo nella vita, di non aver finito prima ancora di aver cominciato. Esseri umani danneggiati che fingono di non esserlo, ecco cosa siamo.

“Mi è venuta fame,” asserì dopo una lunghissima pausa. “Ti offro il pranzo.”

“Non mi sembra il caso.”

“Va bene, se insisti puoi offrire tu.”

Natasha sorrise, sul punto – suppose – di declinare l'invito (dalla serata alcolica da Donny's, di cui Clint non ricordava granché, la ragazza aveva cominciato a rifiutare e accettare inviti in egual misura).

“Va bene.”

“Cazzo, ti devo far proprio pena!” Esclamò, sorpreso e divertito (si è arresa subito!).

“Non ne hai idea.” Si era rimessa in piedi e gli tendeva la mano. “Muoviti prima che cambi idea.”

Afferrò la mano che gli offriva, rialzandosi, ancora instabile sulle proprie gambe.

“Agli ordini.”

 

****************
 
Parte 2 (per così dire) del processo di avvicinamento \O/ o... io che accontento i miei stessi capricci. Il cliché dell'allenamento con spettatori non me lo potevo lasciar sfuggire :P E intanto ne approfitto per dare un po' l'idea del tempo che passa. Ah, ho anche scoperto che mi diverto (anche troppo) a scrivere Fury.
Le cose (nel senso di "trama") cominceranno a smuoversi nel prossimo capitolo, se deciderete di rimanere sintonizzati!
Un grazie grande come una casa ad Eli, as usual :3
E anche a tutti coloro che hanno letto (e commentato), in particolar modo missgenius, Blackmoody, DalamarF16 e Lady Leggy :)
Alla prossima!
S.
 
  
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