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Autore: anqis    21/06/2014    4 recensioni
Con le dita tremanti disegnò la forma delle sue labbra, del naso, degli zigomi, di lui. Questa volta fu lei che chiuse gli occhi, come se avesse voluto imprimersi nella mente quei tratti del viso che non era in grado di vedere.
«Dio» sospirò e lui trattenne il fiato, «esisti. Esisti davvero.»
Au!Shadowhunters
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tra le mani solo aria.
 
 
 
 Era una tiepida giornata di Marzo quando la vide per la prima volta.
Si trovava seduto sulla panchina più malconcia di St. James Park, sicuro che difficilmente qualche turista o passante si sarebbe fermato lì per una sosta – sarebbe stato seccante dover assistere al loro sbigottimento quando si fossero accorti di una presenza ingombrante ad occupare lo schienale, invisibile ai loro occhi mondani.
Con le spalle abbandonate contro le assi di legno rovinate dalla pioggia e dallo trascorrere dei giorni, si stava perdendo nell’immensità del cielo, quel giorno di un pulito e pallido azzurro. C’erano volte in cui volgendo lo sguardo in alto, alle battute pessime di Louis o ai rimproveri di un più serio Liam, appariva terribilmente fragile, quasi fosse sul punto di aprirsi e crollare su di loro. In quei momenti, Zayn si sentiva come schiacciato da un peso invisibile e neanche le  sue spalle forti risultavano abbastanza per reggere a quella inevitabile sensazione di impotenza: rispetto al mondo, non era che un briciolo di un grosso pezzo di pane. Dimenticato e spazzato via da una folata di vento.
C’erano volte in cui si incazzava e allora si imprimeva sulle braccia rune finché le vene non risaltavano sulla pelle per il dolore, impugnava la spada angelica e chiamava Louis, su cui sapeva poteva contare quando si trattava di spargere sangue demoniaco sui binari della metropolitana londinese. Altre, come queste, semplicemente si arrendeva e si chiudeva in un gabbia di silenzio, lasciandosi alle spalle le porte dell’Istituto, dove sapeva non avrebbe trovato pace – Liam e i suoi sguardi apprensivi dicevano più del dovuto.
Le braccia scoperte dalla solita giacca di pelle nera, questa poggiata al suo fianco, si godevano il calore debole del sole. I raggi arrivavano ai suoi occhi filtrati dalle lunghe e folte ciglia, creando disegni di ombra sui zigomi alti che nonostante tutti i pugni ricevuti negli anni, continuavano ad essere motivo di invidia. Zayn era bello in quella posa immobile, il perfetto protagonista di un dipinto. Ma c’era qualcosa di tormentato in quella bellezza eterea e distante, irraggiungibile.
Una distanza che venne colmata da un paio di scarpe di tela. Si accorse di lei soltanto quando sentì la superficie liscia della cartella di pelle che poggiò, accostarsi al suo fianco. Non sussultò, nonostante fu sinceramente sorpreso: doveva essere completamente concentrato nei propri pensieri per non essersi accorto del suo avvicinarsi. Così come lei che non parve notare il muro invisibile contro cui la sua cartella era andata a scontrarsi.
Zayn si voltò appena per decidere se fosse il caso di alzarsi e lasciarle – controvoglia – il posto. I suoi occhi, ancora accecati dalla luce del sole, incontrarono il profilo di un viso pallido tempestato da leggere lentiggini, contornato da capelli di un caldo color mogano, corti fino le spalle, e gonfi. Ciò che attirò veramente la sua attenzione fu il rosso intenso, ma scuro, di cui le labbra piene erano dipinte. Si soffermò con interesse su quel viso comune, che però ai suoi occhi risultò degno di attenzione. Decise quindi di non muoversi.
La mondana –  così chiamavano gli umani privi del sangue angelico che invece scorreva nelle sue vene – raccolse le gambe strette in un paio di jeans skinny – quelli che Louis aveva cominciato a portare quando andava a fare la spesa, spesa che nessuno si spiegava l’utilità poiché le provviste giungevano direttamente dalla capitale del mondo dei Nephilim, Idris. Su di esse aprì un sottile album di fogli bianchi e disegnati. Si osservò un attimo attorno, alla probabile ricerca di un soggetto e Zayn poté vedere, quando lei si voltò nella sua direzione, i suoi occhi. Era di un caldo marrone, di una sfumatura più chiara dei suoi. Ma diversamente da quelli di Zayn, che apparivano impenetrabili nella loro severità, quelli di lei erano profondi come i tombini in cui era spesso costretto ad infilarsi durante le missioni. A neanche un metro di distanza, Zayn continuò a mantenere lo sguardo concentrato nel suo. E si sentì pervaso dalla stessa adrenalina che provava quando si lasciava cadere in quei buchi di buio.
La osservò socchiuderli e dopo aver aggrottato le sopracciglia, aprirsi inaspettatamente in un sorriso dolce. Si impedì di arretrare, ricordando a se stesso che lei non fosse in grado di vederlo: la runa dell’invisibilità bruciava all’interno del braccio, in modo quasi fastidioso. Se ci ripensa ora, forse era semplicemente il desiderio di essere visto. Seguì la traiettoria del suo sguardo fino al soggetto del suo interesse: una signora anziana che spezzettava del pane da gettare alle anatre nel fiume. Quando tornò nuovamente a lei, la trovò con il viso chino sul foglio e le dita impegnate a tracciare le prime linee di bozza con una matita consumata e che scompariva nella sua mano piccola. L’indice era fasciato da un cerotto. Dedusse fosse una ragazza distratta e dallo stato in cui era ridotto il suo patetico tentativo di medicarsi, poco attenta.
I minuti trascorsero e lui rimase lì a tenerle segretamente compagnia. Non si accorse di come il sole scese dietro i grattacieli, com’era impegnato a studiare il modo in cui le sfumature delle matite ad acquarello si incastravano e si scioglievano tra di loro. Così come non realizzò di essersi avvicinato a lei fino a percepire l’odore dei suoi capelli: sapevano di pulito e di miele. Non fu abbastanza veloce a spostarsi quindi, quando lei mosse distrattamente la mano per aprire la cartella. Le dita toccarono appena il suo braccio, ma bastò quello.
La mondana volse di scatto lo sguardo su di lui con gli occhi spalancati. Il respiro gli si bloccò in gola e non osò muovere un singolo muscolo. Pochi centimetri separavano i loro visi e lui poteva sentire i capelli di lei solleticargli il naso.
Poi lei alzò il braccio e tutto ciò che le sue dita impugnarono fu aria fredda.
 
 
Zayn non disse a nessuno ciò che accadde. Aveva rischiato di farsi scoprire e se non era infrangere le leggi del Conclave, era sicuramente un’azione sconsiderata, soprattutto da parte di un cacciatore del suo calibro.
Zayn Malik, figlio di una delle famiglie di Nephilim più note e rilevanti della società pakistana, non poteva assolutamente commettere o anche solo rischiare un errore del genere, non quando la fama del nome della sua casata era riposta nelle sue mani. Allontanato dalla patria natale alla sola età di otto anni, era stato cresciuto nella grande metropoli londinese, dove i suoi genitori sapevano avrebbe atteso il miglior percorso di istruzione, con il compito di integrarsi nella società occidentale, in modo tale da poter divenire un contatto tra i due emisferi.
Non avrebbe sopportato lo sguardo di rimprovero che Paul era solito a rivolgere a lui e nel contempo a se stesso. Zayn credeva non si perdonasse il fatto che dopo tutti gli anni non fosse stato capace ad abbattere le mura che sin da piccolo si era costruito attorno, come invece era riuscito con gli altri ragazzi. Non che Zayn gli fosse ostile, semplicemente non cercava in lui una figura paterna: ce l’aveva già e l’aveva abbandonato all’età di otto anni, quindi non ci teneva ad averne un'altra. Inoltre, ormai vicino alla maggiore età, aveva imparato che poteva contare su nessun altro che se stesso. Decise di mantenere quindi segreto l’episodio causato da un suo attimo di disattenzione, per evitare problemi e scocciature come la risata di Louis o le domande inopportune di Liam. Ed oltre a ordinarsi una maggior cautela, si promise di non tornare al parco. Avrebbe trovato altri posti dove potersi rifugiare.
 
 
Fu con la rabbia che gli ribolliva dentro che si sedette sulla panchina. Rabbia perché nonostante la promessa, divenuta poi un ordine, si era arreso a quel capriccio che aveva cercato in tutti i modi possibile di tacere nell’angolo più buio della sua testa.
Capì che non poteva evitarlo, quando Liam per poco non corse il pericolo di perdere l’uso della spalla durante una missione a causa sua: gli era parso, in piedi sul cofano del taxi con il viso sporco di sangue che non era il suo, di vedere un chioma familiare. L’artiglio del Divoratore era affondato nella spalla di Liam prima che lui potesse evitarlo ed un grido di dolore si era propagato per la strada, sovrastato dai clacson delle auto. Si era affrettato a rimediare ed aveva ucciso il demone con un coltello piantato nella schiena, ma Liam era ormai ferito e il veleno aveva già cominciato ad affluire nelle vene, sempre più in risalto sulla pelle pallida. La situazione era peggiorata quando l’iratze che Louis tracciò sulla ferita non funzionò – è troppo profonda, cazzo. Con il cuore in gola lo trasportarono fino all’Istituto, con il respiro del suo compagno che si faceva sempre più fievole al suo orecchio e il terrore che questo si potesse fermare. L’intervento di Paul fu veloce e tempistico, ma l’ansia non scemò fin quando il viso di Liam, contratto dal dolore, non si rilassò in un sospiro di sollievo. In quel momento, si concedette di sedersi sul lettino alle sue spalle. Ma non era finita, perché incrociò gli occhi di Louis, gelidi.
«Qualunque cosa sia succedendo, risolvila» gli disse con voce tagliente e fredda, «Non puoi rischiare di perdere il tuo parabatai per un simile errore, Zayn. Era tuo compito guardargli le spalle e quelli erano solo dei Divoratori. Li avremmo dovuto far fuori senza un minimo di difficoltà, come sempre.»
Aveva irrigidito la mascella, incapace però di dire nulla.
«Risolvila» gli aveva intimato un’ultima volta, per poi lasciarlo da solo ad affrontare le conseguenze dei propri sbagli.
Quando Liam si era svegliato, la prima cosa che aveva visto era stato il viso spigoloso di Zayn contratto dalla frustrazione e dalla rabbia nei propri confronti. Sapeva che durante il suo sonno non si era mosso – così accade tra parabatai. Liam non aveva tentato in nessun modo di confortarlo, di rassicurarlo che non fosse colpa sua, perché sarebbe stato mentire. Si era limitato a raggiungere la mano stretta in un pugno di Zayn, spiegarla come una foglia accartocciata, e unire le sue dita alle proprie.
«Che non succeda più» aveva detto e Zayn aveva annuito, in silenzio.
Dopo, tra bende da cambiare e una bacinella di acqua intinta di sangue, gli aveva ordinato di raccontargli cosa stesse succedendo. Non glielo aveva chiesto, perché sapeva che non avrebbe risposto se non sotto ordine. Zayn aveva morsicato le parole limitandosi a raccontare la vicenda con più oggettività possibile, ma a Liam non erano sfuggiti alcuni dettagli: come le mani che tremavano e il modo in cui evitò poco celatamente il suo sguardo. Zayn Malik che manteneva il sangue freddo anche in un covo di vampiri, che affrontava negli occhi anche l’Inquisitore stesso, uno dei personaggi più inquietanti e importante di Idris. Che guardava la morte in faccia, con le mani imbrattate di sangue e la spada angelica impugnata, che bianca e lucente spiccava in contrasto al nero inchiostro dei suoi occhi imperscrutabili, lui, Zayn Malik aveva paura. Paura perché si era imbattuto in qualcosa di così banale e comune, che non l’aveva neanche preso in considerazione. Liam sorrise anche con il bruciore dello stilo sulla pelle dorata, suggerendogli di fregarsene per una buona volta delle regole e di seguire il suo istinto. E se era Liam Payne a dire una cosa del genere, Zayn non poté che seguire il suo consiglio.
Ma non era ancora del tutto convinto di ciò, quando la vede arrivare. La cartelletta di pelle rovinata le sbatteva contro al fianco accompagnando ogni suo passo. I capelli più gonfi dell’ultima e prima volta le incorniciavano il viso che appariva più roseo dell’ultima volta. Le labbra questa volta erano prive di rossetto, di un candido rosa ispiravano aria. Giunse correndo e Zayn riuscì a spostarsi in tempo per evitare la cartelletta che lei abbandonò sulla panchina.
Si sedette con fare frettoloso e impaziente e lui non poté che paragonarla ad una tempesta. Con la stessa furia aveva spazzata ogni suoi pensiero nei giorni precedenti, costringendolo a tornare di nuovo lì, sul luogo dell’incidente. Si rilassò contro lo schienale e si godette le vista delle sue dita attorno alla matita ancora più corta, il cipiglio concentrato e le labbra che costantemente si torturava. Il sole scese, le risa dei bambini si affievolirono e scomparve anche la coppia che lei stava ritraendo.
Con un sospiro chiuse il blocco da disegno e buttò fuori un lungo sospiro. Zayn la guardò di sottecchi, domandandosi cosa sarebbe successo allora. Poi, come se lei lo avesse sentito, si voltò nella sua direzione privandolo del respiro. E lo guardò.
Zayn deglutì, pietrificato. Non sapeva cosa fare, come comportarsi, se doveva andarsene, ma era impossibile che lei potesse vederlo, che fosse un Nascosto? Pensò che fosse una fata o una strega, perché quei occhi doveva avere qualcosa di magico per come lo aveva immobilizzato.
La ragazza chiuse gli occhi, liberandolo dall’incantesimo. Si accartocciò su se stessa e si strinse la testa tra le mani, scuotendola appena. Zayn mandò giù uno strano groppo che gli si era formato in gola. Si sentì un’idiota per aver considerato la possibilità che lei sapesse della sua presenza.
Si lasciarono così, quel tardo pomeriggio.
Zayn sempre confuso, più tranquillo, ma deciso a tornare – soprattutto ora che si era assicurato del basso rischio di venir scoperto. La ragazza coi capelli ancora più disordinati, la fronte corrucciata e le narici impregnate di un odore non nuovo.
 
 
Passarono mesi, forse, e Zayn cominciò a tenerle compagnia non solo alla panchina, dove lei sedeva ogni martedì, giovedì e sabati. 
Accadde un giorno che si trovava in un vicolo con i ragazzi, alle prese con dei Eidolon – demoni mutaformi, difficili da individuare a causa delle sembianza umane che spesso assumevano. La spalla di Liam era completamente guarita e Zayn si era premurato di non correre più lo stesso pericolo: i suoi sensi e i suoi riflessi erano più che in allerta quando si trattava di missioni. Non si sarebbe mai perdonato un altro sbaglio, non quando una delle conseguenze poteva essere Liam. Stava ripulendo la spada con la manica della giacca quando l’aveva notata camminare sul ciglio opposto della strada.
Gli era sfuggito una risata quando con le scarpe di tela era finita dritta in una pozzanghere. Agli occhi di Louis doveva essere parso un sadico, ma Liam doveva averla vista e compreso.
Una spintarella amichevole e «dai, vai, qui ci pensiamo noi».
Zayn aveva inclinato il viso in una muta domanda. Ma prima che l’altro rispondesse, si era reso conto della voglia di seguirla e sapere di più. Lo aveva ringraziato con un sorriso ed era scomparso dietro l’angolo, ignorando Louis che «Per l’Angelo, io tutto questo schifo non lo tocco!»
Così Zayn si era ritrovato seduto sul divanetto di una caffetteria vintage, rinfrescato dall’aria condizionata del locale – una cosa buona i mondani l’avevano inventata – e divertito dal libro che lei stava leggeva: la copertina sfoggiava il ritratto più brutto che avesse mai visto di un vampiro. Questo però non gli impedì di avvicinarsi quel poco che bastasse perché potesse leggere le parole. E così condivisero il loro primo libro.
Non si accorse, preso dalla trama sorprendentemente accattivante, di come ad un certo punto lei inspirò forte e puntò gli occhi scuri sulla fodera del divano: era schiacciata, come se qualcuno vi fosse seduto.
 
 
Arrivò l’autunno a Londra.
Gli alberi si dipinsero di tutte le tonalità del rosso, arancione e del marrone. Pioveva sulla grande metropoli, le gocce colpivano le finestre dei grattacieli, le tettoie delle auto e la veranda sotto cui Zayn e lei si erano rifugiati.
Erano lì da più di dieci minuti e lui si stava chiedendo quando lei avrebbe deciso di muoversi. Era stato tentato di farle riparo con la giacca, ma non era sua intenzione confondere le idee della mondana: gocce che si bloccano in aria e deviano la loro traiettoria perpendicolare, sarebbe stato la rovina delle leggi della fisica.
Dopo due minuti, la vide decidersi. Con gesti impacciati raccolse tra le mani i diversi sacchetti che aveva poggiato a terra e cominciò a correre. Zayn la fiancheggiò con facilità, trattenendosi dal ridere dell’espressione invece stanca di lei che, aveva imparato nel corso di quella segreta convivenza, era negata in ogni attività fisica.
Avrebbe voluto allungare una mano e scostarle quel ciuffo che le copriva la fronte e portargliela dietro l’orecchio, ma non poteva. Irrigidì la mascella, rimproverandosi del pensiero. Era da un periodo che sembrava che la situazione non gli bastasse. Era consapevole di non poter chiedere di più, ma gli era anche impossibile evitarsi di pensarci.
Si stava infliggendo i soliti rimproveri, quando sentì un rumore stridulo riempire l’aria. Volse il viso nella direzione da cui provenne e vide un auto correre a forte velocità verso di loro, ancora in mezzo alla strada. Zayn guardò la mondana aspettando che si fermasse: ma lei continuò a camminare. Notò solo allora le cuffie e capì: non aveva sentito il rumore della gomma sull’asfalto. E mentre lei camminava, l’auto si faceva sempre più veloce.
Zayn agì ancora prima di pensare.
La prese tra le braccia e con un brusco movimento la spinse in avanti portandola con sé. Inciamparono a terra, ma l’auto li superò, lasciando dietro di sé fumo e il respiro affannoso del Nephilim.
«Per l’Angelo» sussurrò con voce roca.
Se ne pentì immediatamente. Con una lentezza spaventosa abbassò lo sguardo su di lei che ora fissava il punto da cui presumeva avesse sentito la voce. Era sdraiata sopra di lui, stretta dalle braccia forti di Zayn che l’avevano costretta a poggiare il viso contro il suo petto per metterla al riparo da possibili colpi. Le gambe di entrambi erano incastrata l’una a quella dell’altro. Furono la prima cosa che tentò di districare e quando pensò di essersi liberato, lei posizionò le gambe ai lati dei suoi fianchi immobilizzandolo a terra, la schiena premuta contro l’asfalto bagnato. Mosse le braccia alla rinfusa ed una riuscì pure a stringersi attorno al suo polso che costrinse a terra. Zayn avrebbe potuto tranquillamente togliersela di dosso, ma non lo fece.
La ragazza aspettò qualche secondo, forse per assicurarsi che lui non potesse muoversi. Strinse le dita attorno al suo polso e Zayn vide nei suoi occhi qualcosa che sembrava quasi sollievo. La presa si indebolì appena e con timidezza la sentì muovere i primi passi sul suo corpo. La mano scese carezzando la pelle interna e più sensibile del braccio, soffermandosi con pazienza lì dove era in rilievo, cicatrici di vecchie rune. Zayn chiuse gli occhi quando la sentì giungere sull’addome: con lentezza esasperante salì e lui ringraziò che quel giorno indossasse solo una maglietta a maniche lunghe. La pelle dove toccata, bruciava come sotto la punta dello stilo. Un sospiro sfuggì dalle sue labbra quando le dita gli carezzarono le clavicole, il collo e la linea della mascella. Aprì gli occhi trovandosi a respirare il profumo dei suoi capelli che liberi dall’elastico, gli solleticavano il viso. Lei lo stava guardando con gli occhi sgranati, ma non spaventati. Con le dita tremanti disegnò la forma delle sue labbra, del naso, degli zigomi, di lui. Questa volta fu lei che chiuse gli occhi, come se volesse imprimersi nella mente quei tratti del viso che non era in grado di vedere.
«Dio» sospirò e lui trattenne il fiato, «esisti. Esisti davvero.»
Zayn avrebbe voluto rispondere di sì, ma non le fece.
Per una seconda volta, lei si trovò a stringere tra le mani solo aria.
 

 
Da quel giorno, trascorsero anni, ma Morgan non smise mai di pensarci.
C’erano notti, quando il caldo o il brusio della città divenivano insopportabili e le rubavano il sonno come i più furbi e silenziosi ladri, in cui abbassava le palpebre e riusciva ancora a sentire sotto i polpastrelli sensibili le linee di quel viso – era sicura fosse un viso – che aveva saggiamente e pazientemente toccato. Sorrideva al soffitto e lasciava le lenzuola, dove il corpo caldo e familiare di suo marito riposava, ignaro dell’abitudine notturna della moglie.
Coi capelli striati da raggi argentei, camminava sul parquet chiaro del corridoio, carezzando i muri con le mani non più giovani, ma che conservavano la stessa delicatezza dei primi anni. Si soffermava un secondo di più sulle porte delle camere dei bambini, assicurandosi che dormissero sonni tranquilli.
In salotto, apriva le finestre e che facesse freddo o caldo, si sedeva sulla poltrona più vicina, stringendo tra le mani un blocco di fogli che – diversamente dalle sue opere – non aveva mostrato a nessuno.
Allora, cercando di raccogliere ogni singolo ricordo e quella sensazione di pelle sotto le dita, ritracciava linee e tratti che ormai erano diventate protagoniste dei disegni segreti di una vita. E osservando alla fine, quelle labbra piene, ma piccole, gli zigomi alti sfumati e due occhi chiusi dalle ciglia lunghe, le pareva quasi di sentire quello stesso odore confonderle i sensi: carta bruciata, ferro e fumo.
Sorrideva, scaldata dalla luce della lampada, ad un ombra stagliata sul muro di fronte a sé, dalle spalle larghe, ma magre e vicine – sempre – a lei.
 


 
 Buon sabato mattina,
spunto dopo aver ripulito finalmente l’account efp (addio long mai concluse çç) per pubblicare questa ennesima one shot che tengo nella cartelletta da un po’ di tempo.

Credo siano dovute alcune spiegazioni sia a chi ha letto i libri, visto solo il film (che trovo inaccettabile perché rispetto alla saga vale un quarto), ma soprattutto a chi non ne ha sentito mai parlare.
Breve introduzione: la one shot è ambientata a Londra in una realtà dove esiste parallelamente un mondo Nascosto, così chiamato perché gli occhi dei Mondani (gli insulsi Babbani di Harry Potter, ovvero i comuni mortali) non sono in grado di vederlo. Esso è regolato da una comunità di umani diversi chiamati Nephilim o Shadowhunters, nei quali scorre il sangue angelico, donato da Raziel, grazie al quale caratteristiche comuni come la forza e la velocità vengono “accentuate” dalle rune, simboli impressi sulla pelle dagli stilo, strumenti adibiti a questo scopo, simili a lunghe penne dalla punta ardente. Il loro compito è quello di distruggere e uccidere i Demoni e vigilare sui Nascosti (vampiri, lupi mannari, fate, stregoni).
Ora, per rispondere a possibili future domande su perché questa scelta di finale: le rune sono simboli molto potenti che solo coloro che posseggono il sangue angelico sono in grado di sopportare, nel caso in cui un Mondano qualunque fosse soggetto ad esse, il risultato sarebbe un Dimenticato, esseri orribili rovinati da una magia troppo potente, o la morte. Ciò non significa che un umano non possa diventare un Nephilim, ma deve essere provvisto di certe caratteristiche (come la Vista, la capacità di vedere il mondo Invisibile) che in questo caso Morgan non possiede. Perché Zayn non si svela e decide di stare con lei nascondendo la propria identità? I Nephilim non accettano questa possibilità, la quale comporta l’esilio dalla comunità: Zayn sarebbe stato costretto ad abbandonare la famiglia, l’Istituto, gli amici e diventare un semplice Mondano. E per quel poco che avete letto, lui non poteva permettersi neanche di pensarci. Decide quindi di rimanerle affianco, all’ombra.
Spero di esser stata  abbastanza chiara: se aveste dubbi potete contattarmi qui, via messaggio o recensione, oppure su
ask.
Credo sia la prima Au che scrivo, spero non faccia troppo schifo e che a qualcuno sia piaciuta ahaha sono ansiosa di conoscere qualche opinione, mi farebbe molto piacere (:
Grazie per esservi fermate per leggere,
 
Anqi.
 

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