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Autore: Frida Rush    21/06/2014    3 recensioni
E se Sherlock e Jim avessero una relazione e vivessero insieme? E se avessero anche un bambino? E se il suddetto bambino fosse molto simile a loro? Cosa succederebbe?
Spero di avervi incuriositi! Ovviamente il pairing è Sheriarty, non credo che scriverò altro ormai, spero vi piaccia.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Semplicemente la mia OTP che convive con un marmocchio xD
Dedicata a quella gran donna di Arias perché voi non potete capire quanto io la ami, che voleva tanto zucchero filato e un po’ di cannella (sembra che stia scrivendo una ricetta di un dolce) anyway, grazie a chi leggerà e se vi scappa un commentino su cosa secondo voi dovrei cambiare o migliorare perché non è facile gestire questi due babbuini in versione genitori quindi penso siano OOC…
Tralasciando i miei scleri e i miei complessi mentali, grazie a tutti e in particolare alle persone che mi sostengono anche sulla mia pagina facebook I am Jim locked!
 
 

 
Un tiepido raggio di sole entrò dalla finestra semi aperta della nostra camera e mi colpì direttamente sul viso, svegliandomi dolcemente. Aprii gli occhi, strofinandoli con una mano per eliminare le ultime tracce di sonno che avevo e guardai per un momento il soffitto. O meglio, la parte superiore del letto, visto che aveva un baldacchino con le tende di seta azzurra e mi soffermai a guardarle. Mi piacevano veramente tanto, quelle tende, erano rilassanti e morbide, con delle cordicelle blu notte che vi pendevano con dei piccoli magneti. Rilassanti.
In quel momento mi ricordai di una cosa importante che sarebbe dovuta accadere quel giorno, così allungai lentamente una mano di lato, andando a toccare la spalla del mio compagno, scrollandolo un po’ per svegliare anche lui.
-Jim…?- mormorai e non ricevendo risposta voltai il viso per vederlo. Era girato di spalle, respirava profondamente e teneva le braccia attaccate al petto e le gambe rannicchiate, per il freddo. Strisciai sul letto, uscendo da sotto le coperte e gli accarezzai la schiena nuda, baciandogli la spalla, salendo con le labbra sul collo e mordendo appena il lobo dell’orecchio.
-Jim, svegliati! Dai, faremo tardi- gli sussurrai nell’orecchio, ma la cosa sembrò non cambiare nulla, così iniziai a spazientirmi e mi tirai su, scrollandolo e chiamandolo più forte. Quello mugolò qualcosa di incomprensibile e lo vidi aprire gli occhi e guardarmi assonnato.
-Che vuoi?- mi domandò scontroso e io feci una risatina.
-Credevo che due ore e mezza di sano sesso sfrenato ti rendessero dolce, invece mi sbagliavo. Dai alzati, su- lo incitai, ma lui ficcò di più la testa sotto il cuscino mugolando proteste.
-Ho sonno, mi hai fatto stancare troppo stanotte!- alzai gli occhi al cielo, ributtandomi sul letto con un sospiro spazientito.
-Devo forse ricordarti che mi sei praticamente saltato addosso? Non puoi dare la colpa a me!- ribattei e quello tirò fuori la testa e mi guardò velenoso.
-Dettagli- disse con nonchalance.
A quel punto sorrisi e, quando vidi che si era nascosto di nuovo, lo scoprii buttando all’aria le coperte e dandogli un sonoro schiaffo sulla natica, facendolo sussultare.
-James Moriarty, alzati subito, non mi va di fare tardi proprio oggi!- Jim si alzò immediatamente sbruffando come non mai e donandomi una completa visuale del suo fondoschiena mentre si infilava un paio di boxer verde fosforescente con dei decori viola. Sì, indossava mutande sempre molto appariscenti. Li adoravo, i suoi boxer, quelli in particolare, in realtà adoravo tutto di lui, anche i suoi modi bruschi e scontrosi, non che io fossi molto diverso, erano più le volte in cui litigavamo che altro! Però alla fine si risolveva sempre tutto con un bacio a sorpresa, per far capire che l’altro era stato perdonato. Non era semplice vivere insieme, dal momento che i nostri caratteri erano molto forti, quindi insieme eravamo una vera e propria bomba atomica. Io con i miei esperimenti chimici e le mie altre strane fissazioni, lui con la fissa per i vestiti e l’attaccamento per le cose materiali e la mania del dare ordini… sì, era complicato.
Tuttavia in quel momento avevo tutti i diritti di essere infastidito, non molto, lo ammetto, ma almeno un po’.
-Sei un rompipalle, te l’ho mai detto?- disse dandomi ancora le spalle e andando verso il mobile davanti a sé, armeggiando con qualcosa che stava sopra. Non riuscii a fare a meno di ridacchiare. Mi leccai le labbra, guardando la sua schiena costellata di graffi.
-Mi ami anche per questo-
Lo vidi irrigidirsi a quelle parole e il mio piccolo ghigno aumentò notevolmente. Avevo fatto centro. Poi si sciolse tornando normale e riprendendo ad armeggiare.
-Che parolone! Sei sicuro che io ti ami, Sherlock? Non mi sembra di averti mai detto che ti amo- mentre parlava lo sentivo sorridere a trentadue denti, un sorriso di scherno.
Era vero, non mi aveva mai detto che mi amava, e nemmeno io, era successo tutto così in fretta. Un bacio, un “sono attratto da te” e ora vivevamo insieme in casa sua. Ma nessuno dei due si era mai lamentato della cosa, in fondo non c’era bisogno di dirlo a voce, ci bastavano piccoli gesti per capirlo.
A quel punto mi alzai e, ancora nudo, gli andai vicino, abbracciandolo da dietro e posando il naso sul suo collo, così riuscii a vedere che stava effettivamente ridendo. Gli diedi un bacio appena sotto la mandibola, poi un altro e un altro ancora, stringendogli la pancia e accarezzandogli di tanto in tanto il petto. Lui sorrise ancora e girò il capo per cercare le mie labbra che gli concessi molto volentieri. Una mano restò sulla pancia e lui vi intrecciò la propria, mentre l’altra salì lungo il petto e gli afferrò dolcemente la gola, per spingerlo più verso la mia bocca mentre lui mi stringeva i riccioli con la mano libera. Quel bacio fu passionale e carico di desiderio, rispecchiava alla perfezione le nostre personalità e, soprattutto, il nostro rapporto. Jim si voltò senza staccare le labbra dalle mie e fece combaciare i nostri petti, accarezzandomi il viso e i capelli. Io invece continuavo a tenerlo per i fianchi stretti e sexy. Dopo poco ci staccammo e ci guardammo negli occhi, mentre lui posava una mano sulla mia nuca e con l’altra prese una ciocca di capelli proprio dietro la testa. Aveva uno sguardo strano e teneva la bocca leggermente schiusa mentre mi fissava.
-Comunque… mi sa che devo dartela vinta, per questa volta- disse lentamente, riferendosi a fatto che ero un rompipalle. Devo ammetterlo, quella fu la migliore dichiarazione d’amore che mi fosse mai stata fatta. Dopo un secondo era già tornato il solito Jim, sarcastico e puntiglioso, tanto che iniziò a parlare.
-Allora? Da quand’è che ti interessa non fare tardi la mattina?- mi domandò e io alzai le spalle contraendo le labbra.
-Non è a me che importa, importa a Chris- dissi infatti e lui mi sorrise.
Proprio quando finii di parlare la porta della camera si spalancò e un arzillo bimbetto di quasi sei anni si precipitò dentro, correndoci incontro a braccia aperte, tutto eccitato. Non volevo farmi vedere nudo da lui, diamine, era solo un bambino, così mi midi dietro a Jim e mi avvolsi il lenzuolo in vita a coprirmi le parti intime.
-Papà!- urlò il bambino saltando in braccio al mio compagno che lo tirò su baciandogli la guancia.
Christopher, nostro figlio. Era un bambino davvero speciale, con dei riccioli neri e ribelli, ma aveva gli occhi così scuri che sembravano essere un tutt’uno con la pupilla, curioso, estroverso e senza peli sulla lingua. Era nostro figlio.
Dopo aver iniziato la nostra relazione io e Jim avevamo deciso insieme di provare ad avere un figlio, è stata più che altro una sfida tra di noi, perché lui desiderava tanto un bambino e io invece non riuscivo proprio a sopportarli i marmocchi. Così rumorosi, ficcanaso e stupidi, ma poi mi ero lasciato convincere e me ne ero uscito con un sonoro “facciamolo”. Era una sfida con me stesso e un modo per far contento Jim che, nonostante fosse un criminale e un assassino, aveva un grande senso di protezione verso le poche persone a cui teneva, cioè me e il suo fidato cecchino tuttofare, Sebastian. Inoltre essendo rimasto orfano molto presto e non avendo ricevuto amore da dei genitori diceva di voler donare a suo figlio l’amore che lui non aveva mai ricevuto e fu questo a farmi cambiare idea. Perciò avevamo deciso di prendere un utero in affitto e fecondarlo con il nostro seme, tant’è che non sapevamo chi dei due fosse il padre biologico e non volevamo affatto saperlo.
Moriarty si sedette sul letto tenendo in braccio il piccolo che gridava felice.
-Allora, sei contento di iniziare la scuola, tesoro?- gli domandò sorridendo e stampandogli un bacio sulla guancia.
-Sì! Tanto felice, così potrò imparare la matematica, la geografia e tantissime altre cose!- esclamò Chris agitandosi tra le braccia del papà e tremando tutto per la felicità. Il mio piccolo, così curioso e desideroso di conoscenza…
-Bene, allora vai a vestirti su, poi scendi in sala e fatti preparare quello che vuoi da Sebastian, noi scendiamo subito- gli disse Jim e il piccolo annuì vigorosamente per poi ridere vedendomi con il lenzuolo.
-Ma papà, perché sei nudo e hai addosso solo quello?- chiese ridendo e io gli sorrisi evitando di dare spiegazioni. Gli andai vicino e gli accarezzai la testa dandogli un bacio sul nasino.
-Ascolta tuo padre e fai come ha detto-
-Va bene!- e scese dalle gambe di Moriarty correndo velocemente verso la sala da pranzo al piano di sotto mentre ero ancora chinato su di lui, approfittai per dare un veloce bacio a Jim che mi sorrise fiero che suo figlio stesse crescendo sano e curioso.
 
Dopo pochi minuti eravamo a tavola a goderci un’abbondante colazione che comprendeva ogni ben di Dio, mentre Chris parlava di quello che avrebbe voluto fare ed imparare quel primo giorno di scuola. Jim intanto aveva divorato il terzo piatto di pancake. Era davvero affamato, come gli succedeva sempre dopo aver passato un’intensa notte di fuoco e lo vedevo particolarmente soddisfatto.
-Papà, papà andiamo dai o faremo tardi il primo giorno di scuola!- disse Chris saltando giù dalla schiena e andando a prendere lo zaino mettendolo sulle spalle ma Jim lo prese per un braccio.
-Ehi signorino, fermati un po’! guardati, ma come hai fatto a conciarti così? Hai lo zucchero anche sulle orecchie- lo rimproverò e Chris rise mentre il padre lo puliva.
Finimmo di mangiare e uscimmo di casa dirigendosi alla macchina e visto che il bambino voleva assolutamente che mi sedessi dietro con lui Moriarty si mise al volante mettendo in moto la macchina e allontanandosi dalla villa. Chris era un bambino iperattivo e piuttosto sveglio per la sua età, così non mi stupii nel sentirlo parlare a motore di quello che avrebbe voluto imparare, delle cose che gli piaceva fare a casa e che avrebbe voluto perfezionare con l’aiuto della maestra e Jim ci lanciava ogni tanto degli sguardi dallo specchietto retrovisore, sorridendo e parlando di tanto in tanto.
Ci volle un po’ per raggiunger la scuola di nostro figlio, nel pieno centro di Londra (la nostra villa era ai confini della città), ma quando arrivammo Chris venne scosso da un piccolo brivido vedendo tutti quei bambini. Non era andato all’asilo e forse sarebbe stato difficile fare amicizia per lui, avendo molte delle capacità mie e di Jim come l’acuto spirito d’osservazione e la lingua tagliente. Notai la sua inquietudine e lo abbracciai rassicurante mentre notai una strana espressione dipingersi sul volto di Jim, mentre guardava la massa di bambini.
-Non preoccuparti, andrà tutto bene. Sii te stesso e impegnati- mi sembrava la cosa migliore da dirgli e lui mi abbracciò forte.
-Va bene- scese dall’auto e gli dicemmo che saremmo andati a prenderlo alla fine delle lezioni. Poi sparì in mezzo alla folla e lo vedemmo chiedere informazioni sulla sua classe e sui suoi insegnanti. Scesi anche io e andai a sedermi al posto accanto a Jim e lo guardai. Sembrava preoccupato, aveva le sopracciglia sottili aggrottate e le labbra tese, inoltre mi sembrò che stesse stringendo piuttosto forte il volante.
-Che c’è?- gli chiesi, ma lui scrollò le spalle e fece retromarcia per tornare indietro. Avevamo parecchio lavoro da fare quel giorno, io dovevo lavorare ad un caso abbastanza complesso e già sapevo che avrei trascorso la giornata tra le sostanze chimiche e le provette al laboratorio dell’ospedale, mentre lui… beh, lo si può immaginare.
-Te lo chiedo di nuovo, che cos’hai?- dissi quando arrivammo all’ospedale, dopo aver trascorso il viaggio in silenzio e lui scosse la testa alzando le spalle con nonchalance.
-Nulla, sono un po’ agitato per Chris, mi sembra logico, è il suo primo giorno di scuola- mi rispose e lo capivo. In effetti anche io ero piuttosto in pensiero, ma sapevo che anche se fosse successo qualcosa, a lui non sarebbe importato. Era quel tipo di bambino che non si curava del giudizio altrui e io ne ero fiero.
-Stai tranquillo, andrà tutto bene. Ora vado, ci vediamo stasera-
Lui mugolò in assenso e scesi dalla macchina, poi lo vidi sfrecciare via per le strade della città. Chissà che cosa avrebbe fatto oggi, un cliente importante da incontrare, un omicidio su commissione, una rapina alla banca mondiale… mi sarei aspettato di tutto.
Mi avviai nell’edificio, sicuramente Molly mi stava spettando visto che le avevo chiesto di tenermi libero il laboratorio per un caso, perciò non persi tempo e mi rifugiai tra gli acidi, gli ossidi e le provette.
 
 
Erano le quattro del pomeriggio quando alzai gli occhi dal microscopio e presi il cellulare dalla giacca per mandare un messaggio a Lestrade. Era stata la madre, era ovvio, avevo già dei sospetti, ma avevo bisogno semplicemente di prove concrete e le reazioni chimiche erano state di molto aiuto. Inviai il messaggio e stavo per rimettere il telefono in tasca quando lo sentii vibrare nella mia mano, ad avvisarmi che stavo ricevendo una chiamata. Numero sconosciuto. Chi poteva essere?
-Pronto?- dissi accettando la chiamata e una voce calma e ovattata parlò subito dopo.
-Pronto? È lei il signor Holmes?- chiese l’uomo e risposi che, sì, ero io e lui andò avanti –Salve, sono il preside della scuola di suo figlio Christopher, avrei urgente bisogni di parlarle, se potesse essere qui il prima possibile potremo discutere della condotta di suo figlio-
Oh Cristo! Questo non andava per niente bene! Chissà cosa poteva essere successo quella mattina e mi allarmai, ma gli dissi che sarei arrivato lì nel giro di venti minuti, poi riattaccai. Mi misi le mani nei capelli, scompigliandoli e cercando di mantenere la calma. Poi indossai il cappotto in fretta e furia e uscii.
 
 
 
Eravamo seduti al tavolo della sala di casa nostra e Christopher teneva gli occhi bassi e le gambe a ciondoloni sulla sedia, dondolandole per il nervosismo. Io e Jim ci guardavamo, poi io decisi di iniziare a parlare. Mi sporsi in avanti, posai i gomiti sul tavolo, intrecciai le dita delle mani e sospirai.
-Chris, la maestra mi ha detto cosa è successo oggi…- iniziai con calma e lui mi guardò spaventato.
-Papà, te lo giuro, è stato più forte di me, non volevo fare niente di male- tentò di dire, ma io lo bloccai.
-Fammi finire di parlare-
Jim non diceva niente, ci guardava e basta e fece un cenno al piccolo per invitarlo a tacere. Andai avanti.
-Dunque, non voglio sgridarti, voglio solo farti capire che quello che hai fatto è sbagliato. Non puoi dire alla maestra che è stupida e che non sa fare il suo lavoro, l’hai fatta piangere, te ne rendi conto?-
-Ma è vero, non sapeva spiegare e gli altri bambini facevano domande stupide, mi sono innervosito e le ho detto quello che pensavo…- disse Chris e io mi resi conto che forse aveva ragione, in fondo lui era diverso e più intelligente degli altri. Anche io facevo notare gli errori alle mie insegnanti e venivo costantemente rimproverato sia da loro che dai miei genitori e quando i miei compagni mi prendevano in giro per le mie doti deduttive io me ne fregavo altamente. Riuscivo a vedere me stesso in mio figlio. Sospirai e lo guardai.
-Va bene, va bene, ma evita di combinare altri guai come oggi, ci siamo capiti?-
In quel momento vidi che Jim si era innervosito e si sistemò meglio sulla sedia, chiamando Sebastian che arrivò subito dopo.
_Seb, porta via Chris, portalo in giardino e stai un po’ con lui, per favore, io e Sherlock dobbiamo parlare-
-Litigherete per colpa mia?- chiese il piccolo e Jim gli sorrise.
-No tesoro, voglio solo parlare con papà di alcune questioni- rispose lui e Sebastian lo prese in braccio uscendo dalla stanza e chiudendo la porta. Moriarty mi guardava e si alzò venendomi vicino. Si passò una mano tra i capelli e sospirò. Poi scrollò leggermente le spalle.
-Non voglio che venga deriso dai suoi compagni, ok? Troviamo una soluzione- mi disse e io rimasi sconcertato.
-Che soluzione vorresti trovare, scusa?- mi alzai e me lo trovai di fronte.
-Non lo so! Qualsiasi cosa, ma non voglio assolutamente che venga emarginato o preso in giro dagli altri bambini per quello che sa fare, deve imparare a controllarsi-
-Jim, non puoi pensare sul serio una cosa del genere. Se una persona ha una certa personalità non puoi cambiarla e tanto meno una come quella di Christopher- sbottai e lui allargò le braccia.
-Non ho detto che deve cambiare, ok? Ho solo detto che dovrebbe imparare a moderarsi con le parole e con le sue doti. Imparare a controllarsi, per farsi “accettare” dalla società-
Quel discorso non me lo sarei mai aspettato da lui! Pensare che Chris dovesse nascondere le sue doti per far sì che le persone lo accettassero mi faceva venire la pelle d’oca.
-Jim, la società fa schifo, la gente non ti apprezza facilmente, qualsiasi cosa tu faccia ci sarà sempre qualcuno lì pronto a criticarti!- gli spiegai e vidi che iniziava a perdere la pazienza infatti gridò.
-E tu credi che non lo sappia? Dannazione sei tosto quando vuoi!- e iniziò a girare per la stanza. Mi resi conto che era davvero arrabbiato e che c’era qualcosa che voleva dirmi ma che non aveva ancora detto.
-Avanti, sputa il rospo, cos’è che mi stai nascondendo?- glielo dissi in faccia, non amavo i giri di parole e lo vidi fermarsi.
-Ah, non lo so, magari il fatto che anche io venivo preso di mira a scuola dai miei compagni dell’orfanotrofio?-
Lo disse in un tono sarcastico, che mi fece capire che era più arrabbiato di quello che dava a vedere. Ma quello non me l’aspettavo proprio. Avevo sempre creduto che Jim fosse stato un bambino forte a scuola, sempre con una fila di persone pronte a servirlo e in quel momento capii che forse avevo immaginato tutto.
-Tu non puoi capire che cosa significhi non avere i genitori ed essere costretti a vivere in un orfanotrofio dive ti trattano da schifo! Forse sai cosa si prova ad essere presi in giro dai coetanei, ma io ero diverso da te!-
Era vero. Quando ero piccolo e mi prendevano in giro dicendomi che ero strano, che dovevo smettere di fare quelle deduzioni fastidiose o altro, io me ne fregavo, andavo avanti per la mia strada a testa alta senza badare a loro, vivendo con la consapevolezza che io ero più intelligente di loro e che non mi meritavano. Ma in quel momento non ci badavo proprio al mio passato.
-Non sai quanto ci stavo male nel sentirmi chiamare “il ragazzo strambo”, “il matematico”, “il secchione”, “Jim il bambino fenomeno”! Ci stavo malissimo, fino a quando non ho capito che dovevo moderare le mie doti, sembrare uno di loro, confondermi con la massa e non per farmi accettare, ma per riuscire a sopravvivere!-
Stava facendo un discorso che a me sembrava veramente assurdo, non riuscivo quasi ad accettare il fatto che Jim Moriarty, un uomo forte, stronzo e un criminale fosse stato un bambino timido ed introverso. La rabbia per le sue parole mi assalì e non riuscii a trattenermi.
-Forse eri solo un codardo che non sapeva cavarsela da solo! Ti lasciavi condizionare troppo, mio caro, così sei finito a farti i complessi in testa, senza vivere la tua vera personalità!-
Mi pentii subito di averlo detto, io non potevo averlo detto, io non volevo dire una cosa del genere,  ma quando mi resi conto che avevo detto la cazzata più colossale del mondo era già troppo tardi. Volevo rimediare dicendogli che ero fuori di me e che non pensavo davvero quello che avevo detto, perché in effetti non lo pensavo affatto, ma lo vidi irrigidirsi con una mano leggermente in avanti e le labbra schiuse. Scosse la testa guardandomi deluso, troppo deluso.
-Che stronzo- sibilò e si voltò percorrendo la stanza a grandi falcate lasciandomi lì, interdetto e a rimuginare sui miei pensieri. Poi mi decisi a muovermi e lo seguii scusandomi diverse volte.
-Jim! Ti prego sai che non lo penso sul serio- dissi alla fine mentre chiudeva la porta della nostra camera e mi mandava a quel paese.
-Lasciami in pace se non vuoi che ti rovini la faccia!- mi urlò da dentro la stanza e pensai che avrei fatto meglio a lasciarlo sbollire un po’. Se fossi entrato là dentro e lo avessi anche solo toccato probabilmente l’intera villa sarebbe saltata in aria.
Tornai in salotto e i sedetti sul divano, pensando a quello che aveva detto. Era vero, si preoccupava troppo di quello che pensavano gli altri, lasciandosi condizionare dal giudizio altrui, ma era forse colpa sua? Era stato debole in passato e la cosa lo aveva segnato profondamente, facendolo diventare l’uomo forte e bastardo che era ora e capii che questo aumentava il mio rispetto e la mia ammirazione nei suoi confronti. Essere deboli è un difetto per certi versi, ma lui era stato capace di prendere in mano la sua vita e di rivoltarla come voleva lui, dimostrando al mondo di essere capace di grandi cose, a volte terribili, sì, ma grandi.
Ero stato proprio un coglione. Andai di nuovo verso la nostra camera, ma bussare non era una buona idea, almeno non in quel momento, così lasciai passare un biglietto sotto la porta e me ne andai, dovevo mettere a letto Chris.
 
 

Mi dispiace, sono stato un idiota non volevo offenderti, ho capito che
ti è stato fatto del male e non vuoi che la stessa cosa accada a Chris.
Perdonami se puoi, se non puoi perdonami lo stesso perche ti amo.
 
 
 
Quando tornai in sala vidi che Sebastian e Chris erano rientrati e il piccolo aveva già cenato visto che aveva fame. Lo presi in braccio e lo riempii di coccole e baci, ringraziando Sebastian e dicendogli che per quel giorno aveva finito.
-Dov’è papà?- chiese Chris con uno sguardo preoccupato e io lo baciai.
-Tranquillo, non si sentiva molto bene ed è andato in camera. Vedrai che domani starà meglio- lo rassicurai e lui mugolò qualcosa.
-Avete litigato vero? Mi dispiace, non lo farò più…- sembrava davvero mortificato, così risi e gli dissi che l’avrei accompagnato a letto.
Una volta in camera lo spogliai e gli feci indossare il pigiamino, mettendolo sul letto e rimboccandogli le coperte.
-Senti, tesoro, non possiamo passare sopra questa cosa, ok? Io e papà non siamo affatto arrabbiati, però vogliamo insegnarti che non puoi mostrare al mondo la tua intelligenza in modo così ampio perché la gente potrebbe non capirti e prenderti in antipatia- iniziai e lui mi guardò alzando un sopracciglio, perplesso.
-Stai dicendo che devo cambiare me stesso per piacere a quegli sciocchi dei miei compagni e alla maestra? Io non voglio!- esclamò e io mi affrettai a correggermi.
-Ma no, non ti sto dicendo che devi cambiare, sto dicendo che devi essere te stesso ma in modo più… moderato. Sii più gentile con i tuoi compagni e con la maestra, se devi far notare loro che qualcosa è sbagliato non aggredirli, dillo con calma e facendo capire loro che la pensi diversamente. Altrimenti potresti passare per altezzoso ed antipatico, capisci?-
-Sì, certo, ora ho capito- mi disse felice -Allora cercherò di tenere a bada le mie capacità, sarò più gentile e capiranno che non sono antipatico-
-Bravissimo! Ora chiudi gli occhi e dormi, stellina- lo coprii per bene e gli baciai la guancia, poi mi alzai e stavo per chiudere la porta dietro di me quando lui mi chiamò.
-Poi potrò venire con te a lavorare sui tuoi casi?- mi domandò.
-Magari tra un po’ di tempo-
-Ma potrò?- insistette e io ci riflettei un po’ su, poi sorrisi e feci un cenno con la testa.
-Certo…-
-Grazie-
Chiusi la porta e andai in salotto, sedendomi sul solito divano davanti al camino e cercando di rilassarmi un po’. Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare dal rumore della legna scoppiettante nel camino e lasciai che l’ansia e la tensione scivolassero via dal mio corpo.
Dovevo essermi appisolato qualche minuto perché venni svegliato di soprassalto da Jim che si sedeva pesantemente accanto a me. Aprii gli occhi e li strofinai, vedendo che indossava un paio di pantaloni del pigiama e una maglietta intima bianca a maniche corte, che gli risaltava le braccia muscolose e forti. Attesi che dicesse qualcosa e lui allargò leggermente le mani, facendomi vedere che teneva aperto il biglietto che gli avevo lasciato. Mi sorrise quasi incredulo.
-“Perdonami se puoi, se non puoi perdonami lo stesso perché ti amo”? Seriamente?- mi prese in giro guardandomi di sbieco ed entrambi ridacchiammo, poi tornai serio e lo guardai.
-Mi dispiace…- lui fece un gesto con la mano come a dire “non importa”  e mi guardò.
-Non lo pensi sul serio… vero?- mi chiese con gli occhi velati di preoccupazione.
-Ovvio che no, anzi! Ti ammiro ancora di più perché sei stato capace di cambiare la tua vita, quindi perché dovrei?- e lo vidi sorridere. Era un sorriso che rivolgeva solo a me, lo stesso sorriso che mi aveva rivolto la prima volta che ci eravamo baciati, un sorriso carico di sentimento, sincerità e gratitudine. Lo attirai a me e gli feci posare la testa sulla mia spalla, lasciando che si riposasse su di me e gli presi la mano intrecciando le nostre dita.
-Allora chiudiamo qui la discussione- sussurrò e io lo strinsi di più.
-Ho parlato con Chris, gli ho detto di essere moderato e ha capito cosa intendo- gli dissi e lui sorrise.
Passammo un buon quarto d’ora in quella posizione, in silenzio, io gli accarezzavo i capelli scompigliati e lui stringeva forte la mia mano, fino a quando non allungò il viso quel tanto che bastava per raggiungere il mio orecchio e soffiarvi sopra.
-Per l’appunto… ti amo anch’io…-
Sentir dire quelle parole con quel tono dalla sua meravigliosa voce mi riempì il cuore di gioia e gli strinsi ancora di più la mano, accarezzandone il dorso con il pollice.
-Lo so, Jim, lo so…-
  
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