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Autore: heiloveme    21/06/2014    0 recensioni
Edenton, Carolina del Nord. Una città così piccola e allo stesso tempo, troppo grande e rumorosa. Jasmine non è la solita ragazzina, dolce, solare, divertente. No,lei a soli dodici anni, è già incazzata con il mondo, un mondo bastardo che le rifila un fratello diverso da quello che hanno tutte le sue amiche.
La vita, le rifila un amore, troppo violento, troppo passionale, che la coinvolge fino a farla scappare. Segnando così le sorti della sua vita.
Ora Jasmine ha compiuto da poco vent'anni, il suo cuore è stanco, il suo cuore è diviso. La sua metà, è stata presa e sostituita dalla metà del cuore di un ragazzo, rinchiuso per sempre nel tunnel buio della sua esistenza.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Tornerò", lo promisi a me stessa quando,seduta su quell'aereo, vedevo il luogo dove ero cresciuta, dove avevo lasciato un pezzo di me, allontanarsi, diventare sempre più piccolo. "Piccolo",l'aggettivo adatto per un luogo come quello, un luogo dove tutto ti sta stretto, dove non puoi sfuggire agli occhi curiosi della gente. Gli stessi occhi da cui io stavo scappando. Il nome del posto? Edenton, una delle 100 contee della Carolina del Nord. Da un posto come quello scappi,o scappi o ci muori, e morirci non faceva per me. 

Sentii la voce dall'altoparlante di un uomo, profonda, che ricordava ai "gentili passeggeri" di teneree allacciare le cinture fin quando l'apposito segnale non si fosse spento. Il mio viaggio lontano da li, stava cominciando.Avevo paura, morivo dalla paura, oltre a quella città, non avevo visto molto. Oltre all'odore di quell'oceano, che mi aveva portato la nausea, che mi era entrato nelle ossa per venit anni, che mi aveva impregnato i vesti e che, ora su quell'aereo ancora sentivo, non ne ricordavo molti. Poggiai la testa sul sedile, con le mani, allacciai la cintura che avevo lasciato  volontaeiamente slaccita fino a quel momento, non troppo stretta. Mi abbandonai a alla stanchezza che mi stavo portando dietro da giorni, pensavo, invece era con me da sempre. Chiusi gli occhi. Vedevo ancora il suo volto nitido. "ti odio", gli avrei urlato, ma sentivo solo il respiro farsi sempre più profondo e irregolare, fin quando casa mia, tornò nei miei ricordi. 
La vedevo, era li, come a dirmi "tanto non ti liberi di me, lo sai". Io lo sapevo. Così decisi di lasciare spazio ai ricordi, che prepotenti riaffioravano della mia mente.


La recinzione del giardino era in legno, color mogano per precisione, era scolorita. Probabilmente l'aveva costruita il mio tirsauro o qualcosa del genere. Quell'idiota di mio fratello, sosteneva che fosse li da prima dall'esplosione del big bang. Ridicolo no? Eppure quella casa di antico aveva tutto. La guardavi dall'esterno, e ti rendevi conto che il tetto spiovente sembrava minacciarti di caderti sulla testa ogni istante. La facciata era bianca e la salsedine aveva levato via prepotente l'intonaco in alcuni punti, i pilastri che si innalzavano all'inizio del portico avevano abbandonato il bianco originale e tendevano ormai al grigio chiaro. Le finestre avevano le ante arrugginite, mi madre faticava pure a chiuderle. Per fino la sedia a dondolo, nuova di qualche settimana, sembra inserirsi perfettamente in quell'ambiente antico. Quella casa, comunque mi piaceva. Era l'unica cosa che mia madre possedesse ancora. Dopo il divorzio, non aveva alcuna voglia di restare nella casa coniugale, così era tornata a vivere nella vecchia casa di famiglia, dove ormai era rimasta soltanto nonna. Mio padre non appena aveva saputo che mia madre aspettava me, e mio fratello aveva compiuto da poco tre anni, si era liberato del "problema". Aveva chiamato il suo avvocato, aveva firmato le carte del divorzio, e aveva costretto mia madre a firmarle con lui. Da quel momento era sparito, non dava nemmeno i soldi per gli alimenti e il mantenimento. 
Mia nonna affermava che gli uomini erano così, "dagli un pallone" diceva "daglielo e loro ti ameranno per sempre, ma dagli una grana, come un figlio indesiderato, e loro non ci metto molto a sparire".
"Tanto più se i figli sono due",commentavo in quelle occasioni quasi tra me e me.
Quella casa comunque era troppo grande per noi. Due piani. Io e mio fratello, Chris, avevamo una stanza per uno al piano terra,separate scrupolosamente dal salone. Come se,chi l'avesse costruita, sapesse in qualche modo che in un futuro, due teppisti ci avrebbero abitato. Perché lo ammetto, io ero una gran rompicoglioni, e mio fratello era un vero stronzo. Le occasioni di litigare,non mancavano mica. Non andavamo molto d'accordo,i lividi che ci lasciavamo addosso, rientravano perfettamente in quello che noi chiamavamo "amore fraterno" seguito da una smorfia di disgusto. Comunque cercavamo di avere una civile convivenza dentro casa, quel poco che bastava a rendere felice mia madre, che se ne stava gran parte del giorno in una cameretta buia, a stirare i panni ai quei pesaculo con la puzza sotto al naso. Il ferro da stiro lo sapevo usare per fino io a dodici anni quindi, mi chiedevo perché una donna di trenta,o quarant'anni dovesse portare i vesti a mia madre, per farseli stirare al posto suo. 

Non mi spremevo troppo le meningi, tanto non me ne importava, con quello che faceva mia madre,avevamo i soldi per campare. Così diceva lei. Le credevo poco. Il menù di quella casa, prevedeva brodo di pollo per tutto l'autunno e l'inverno, insalata di riso a primavera e estate. La doccia poteva essere fatta un giorno per uno, e la luce la usavi solo quando il sole era tramontato. Cazzo che guadagno. 
La mia vita però stava per cambiare, e io non lo sapevo.
Cambiò radicalmente un giorno in cui sentii mamma, parlare con nonna, le loro voci erano quasi sussurri, faticavo a stare dietro la conversazione. Urigliare da dietro la porta della cucina, era davvero un impresa ardua. Afferai due concenti scollegati, per il momento. Piano di sopra. Famiglia.
Due menti diaboliche come le loro, portarono alla conclusione di affittare il piano di sopra ad una famiglia di "stranieri". Questo però lo scoprii solo quando, una volta, rientrando da scuola notai un bambino, alto, più alto di me nel nostro giardino. Si capiva che aveva la mia stessa età,nonostante l'altezza.Lo squadrai per qualche minuto, dimenticandomi del peso dello zaino,poi corsi verso la MIA casa.
Entrai cercando mia madre, che non tardò ad uscire dalla cucina non appena sentì lo scricchiolio delle assi di legno del pavimento sotto i piedi.
Non ero magra, lo sapevo, e le mie compagne di classe me lo ricordavano spesso.
Comunque me ne fregava poco,pure di quello.
Mia madre uscì dalla cucina, con un cucchiaio di legno in mano, e un sorriso smagliante.
"Visto Jas? Hai un nuovo amico." disse.

"Non voglio un nuovo amico" sbottai "Che ci fa qua, perché è nel nostro giardino?". 
"Jasmine, voi siete due, e il mio lavoro non basta" la voce di mamma era calma, lo era sempre. Quella donna sapeva farsi odiare. Io lagnavo, è vero, ma lei non perdeva mai la calma. "Così ho affittato il piano di sopra ad una famiglia. Vedrai che ti troverai bene con Travis" proseguì. Io intanto avevo smesso di ascoltarla, e mi guardavo le scarpe,menefreghista, come sempre. Nella mia testa,fluttuava, come una di quelle immagini degli astronauti nello spazio, quelle che mandando in tv , uno solo pensiero. Il mio spazio dovevo condividerlo con due "maschi". 
Che merda.Ora che conoscevo ciò che sarebbe successo dopo,me lo ripetevo nella mente quella frase. CHE MERDA.
Se solo avessi saputo,avrei preso quella famiglia e l'avrei mandata fuori a calci nel sedere. Io e il mio un metro e venti di altezza.
  
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