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Autore: Rubina1970    21/06/2014    5 recensioni
Chiedo scusa ai fan di Goldrake per essermi appropriata indegnamente del nome di Rubina. A lei, per lo stesso motivo. Alle fan di Venusia, perché è tanto caruccia, ma non ce la vedo con lui. A lui, per essergli entrata nei pensieri.
Ma i pensieri di un uomo, magari di quegli uomini che cercano di non rivelarsi troppo, come Actarus, sono l’ultima frontiera dell’eros, per me. Sapere che cosa vuole e pensa, che cosa prova, i suoi sogni e le sue paure, conoscere le sue pulsioni e svelare tutti i suoi pudori … Che c’è di più intimo? L’amore di una donna è vorace e vuole l’anima, il corpo non basta.
Così, ho trovato un amore nato nello spazio, ben nascosto in un angolo del cuore di Actarus. Il passato non cambia, ma sognare non è vietato nemmeno agli eroi. Immaginate di compiere anche voi un viaggio nell’amore segreto e proibito di un eroe sentimentale e nostalgico. Godetevelo!
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io non possiedo i diritti per nulla di questa storia eccetto che per la trama e la sua forma. I personaggi sono opera di Go Nagai, appartengono a lui e alla Toei Animation per anime e manga, alla Bandai per i gadgets, alla Dynit per l’edizione italiana … e a chissà chi altro.
 
 
– Buonanotte, Actarus. 

– Buonanotte.

Actarus mise la testa sul cuscino, e Alcor spense la luce. Buonanotte … come ogni notte, disse buonanotte a tutti quelli che aveva perso. Suo padre il re, che sperava lo benedicesse, anche se in realtà sapeva di aver seguito tutti i suoi insegnamenti, quindi non poteva che essere dalla sua parte. Sua madre, che lo amava tanto e che ogni tanto gli sorrideva ancora, in sogno. Naida, povera stella, il primo amore, un fiore (una calla? alta, bionda e purissima) reciso davanti ai suoi occhi. Kain, giovane giovane, che aveva visto bambino e che non aveva retto all’idea di essere diventato uno strumento di Vega (anche perché, forse, era ancora innamorato di Maria). Maros detto Marcus, morto da poco, il suo amico e salvatore che gli aveva ridato la salute quando credeva di essere spacciato. Tanti altri volti amati, a cui chiedeva quotidianamente protezione e perdono per il fatto di essere ancora vivo. E poi, lei: capelli rossi, pelle diafana e labbra a cuore. Non voleva pensare a lei, per questo la teneva sempre alla fine, sperava di addormentarsi prima. Non capitava mai.
 
***
 
Vide che c’era un gran sole: che occasione migliore per stare un po’ con Rubina e farle vedere il mondo nuovo? Partirono in macchina, con la capotte aperta per godersi l’aria. Lei aveva raccolto la sua massa di capelli in una coda morbida, ma qualche ciuffo sfuggiva e questo le donava. La camicetta disinvolta e i jeans corti estivi la facevano sembrare una turista occidentale in vacanza. Non si erano portati il pranzo, era meglio fermarsi a mangiare da qualche parte, se doveva sperimentare la vita sulla Terra. “Se c’è qualcosa, ti chiamo, ma speriamo di no”, aveva detto ad Actarus suo padre, e gli aveva strizzato l’occhio, facendolo arrossire violentemente. La luna, per fortuna, non era apparsa minacciosa.
 
La campagna coltivata, bella e florida, con i suoi diversi aspetti di colore e odore (“Lo senti? Un campo di finocchio, è buono da mangiare.”). La città con la sua periferia nuova ed il suo centro storico, templi a pagoda, giardini pubblici e privati, negozi alla moda, strade tipiche e tanta gente. Il ristorantino coi suoi profumi, il tavolino riparato sotto il glicine – il cameriere, sornione, aveva visto subito che per loro era perfetto l’angoletto intimo e romantico del posto. Il vino bianco freddo e lei che imparava ad usare le bacchette, ridendoci su. Rubina sgranava i begli occhi chiari, faceva un sacco di domande, e lui era pazzamente felice che lei si divertisse così. Se si fosse portato la macchina fotografica, avrebbe fotografato solamente lei. Presero il caffè.
 
– Dove ti piacerebbe andare, dopo, al lago o al mare?
 
– Il mare! Sì, voglio vedere se è come il nostro … cioè, come quello di Fleed.
 
Lui si commuoveva ogni volta che lei parlava come se fosse nata fleediana. Non lo era, era venuta a studiare sul pianeta da ragazzina, e siccome era una principessa, era stata ospite a corte. L’aveva conosciuta proprio così, e aveva notato subito alcune cose: la sua bellezza non comune, il suo entusiasmo per le usanze e le leggi di Fleed, la sua allegria contagiosa, e poi di nuovo quant’era bella. A quei tempi, aveva inventato ogni scusa per stare con lei, anche trascurando i propri studi. Si era innamorato senza scampo, e pareva che avesse il vento in poppa, perché lei contraccambiava con trasporto i suoi sguardi infuocati e i suoi primi timidi baci, e tutti trovavano opportuno un loro fidanzamento. Poi, le cose erano andate com’erano andate, ma adesso lei era tornata. Si era sacrificata per lui (salvandosi poi per puro miracolo), perciò … lo amava. Al solo pensiero, Actarus sentiva il solletico nel cuore, e dovunque si trovasse sorrideva. Era più forte di lui. Non era stato così felice da Fleed.
 
Passeggiarono ancora un po’, beandosi di tutto: i vicoli tranquilli, i giardini che sprigionavano il profumo dell’estate in arrivo, le case in stile, le vecchie botteghe, la reciproca compagnia. Soprattutto, la reciproca compagnia. E non si curavano  che la gente li guardasse, così esotici, così evidentemente felici, così sfacciatamente belli.
 
Trovarono una spiaggia che pareva messa lì per loro, non molto edificata, vicino alla superstrada ma in posizione nascosta grazie alle dune, praticamente deserta (in maggio! e nessun segno di chiamate dal Centro Ricerche: Actarus aveva fortuna, quel giorno). Si era portato un ampio asciugamano, sul quale si misero seduti l’uno vicino all’altra, a guardare il tramonto che si avvicinava. Il vento di mare era piacevolissimo, e giocava coi capelli color fiamma di Rubina, mentre il sole le dorava il viso e lo sguardo, rendendola, se possibile, ancora più bella. Anche la sabbia era dorata, e calda.
 
– La sabbia e l’acqua sono come quelle di Fleed … Mi è tutto chiaro. Sai, mi hai detto una bugia, quando ci siamo visti. Non è vero che sei cambiato. – Come inizio era promettente, perché Actarus sapeva che lei una volta lo apprezzava, ma ancora non sapeva decidersi a farsi avanti, perciò la lasciò parlare.
 
– Forse sì, in certe cose, però non molto. Io l’ho capito, sai? Tu non sei mai diventato un guerriero. La ragione per la quale combatti è la tenerezza del tuo cuore: tu sei davvero affezionato a questo pianeta, e ci sono tante persone che vuoi proteggere. Se avessi potuto, lo avresti fatto anche per Fleed. La ragione per cui combatti è solo questa. – Rubina parlava con voce rassicurante ed affettuosa, guardando il mare. Actarus invece non guardava più altro che lei: quella era musica per lui, e si lasciava andare ad una sensazione calda, di speranza e amore. Amore, certo, perché non avrebbe dovuto amare anche lui? doveva difendere il pianeta, d’accordo, ma lei gli stava ricordando che anche quello lo faceva per amore, e non perché la guerra fosse il suo destino.
 
– Se potessi evitarlo, lo avresti già fatto. Tu non hai tradito mai i princìpi nei quali sei cresciuto, non hai mica scelto tu la violenza. Combattere non ti piace, perché tu sei ancora il principe di Fleed, dove la violenza era bandita. E la sete di vendetta non sai che cosa sia. Ora, puoi aiutare i vivi e riscattare i morti. E tutto perché non sei cambiato. – Lo guardò seria, occhi negli occhi: – Sei diventato più triste, è naturale, e preoccupato. Ma sei sempre il mio caro Duke, io conosco la tua gentilezza d’animo, e sono fiera di quello che fai. Vincerai, tu devi. E non solo per questo pianeta o per te stesso …, anche per me …
 
Ad Actarus mancava il respiro per l’emozione. Era lì, e gli aveva letto dentro, e quello che aveva letto in lui, gli piaceva:
 
– È incredibile, tu davvero sei sempre la stessa! Mi capisci sempre così bene … Tu non sai quanto mi mancava … questo. – Parlava col cuore in gola, e la voce tradiva il suo turbamento. Actarus aveva una voce eccezionalmente bella, fonda e potente, ma mai che riuscisse a dissimulare bene. Le prese la mano. – C’è un’altra cosa, sai … che non è cambiata … Io … ecco, io … Rubi, ti amo tanto!
 
Finalmente la baciò, e il cuore gli scoppiò in petto per la gioia. Lei, dolcissima, gli passava le dita tra i capelli e rispondeva al suo lento bacio trepidante, un braccio possente di lui intorno alla vita, un altro che gentilmente le cingeva le spalle. Actarus la spinse con delicatezza a distendersi sull’enorme asciugamano (stando attento ad evitare che lei s’insabbiasse i capelli) e riprese ad annegare nei baci. Ogni tanto si scambiavano uno sguardo appassionato, un tenero sorriso, e nessuno dei due sentiva il bisogno di parlare.
 
E allora, Actarus dimenticò tutto. Non esistevano il Centro Ricerche, la minaccia di Vega, il passato che faceva ancora tanto male, la strada oltre le dune: c’erano solo loro due. C’era la pelle di Rubina, pelle di rossa scaldata dal sole e dal desiderio, bianca ma pronta ad arrossarsi dove passava un bacio. C’era la pelle di Actarus che bruciava a contatto con lei, al pensiero di averla tra le braccia, e sentirsi ardere così gli faceva perdere il controllo. C’erano le mani di lei, sottili, capaci delle carezze delicate che lui non aveva mai avuto, e le sentiva sulle spalle, sulla schiena … e le voleva sentire dappertutto! C’era quella bocca profumata e tenera, che diventava sempre più impaziente di avere la sua e di baciargli il viso e il collo. Amava lui … non aveva avuto nessun altro? certo che no! Tutti quegli anni a pensare a lei, dicendosi che l’aveva persa per sempre senza crederci mai, e adesso poteva inebriarsi del suo profumo, del suo specialissimo sapore! non erano fiori, nemmeno frutti: era la Donna. L’Unica, desiderata senza speranza e senza fine. E lui era il suo uomo, e non gli importava se il suo cuore, che batteva furiosamente, fosse esploso per amore, sarebbe morto felice perché lei era tra le sue braccia. Era tutta lì, la sentiva palpitare, scaldargli il viso col suo respiro, fremere e cercare lui, di più, più forte, ancora! Gli unici suoni che Actarus udiva erano i sospiri languidi e rochi di Rubina, i propri, due gabbiani distanti, e le onde.
 
***
 
Una finestra sbatté. Era un po’ strano che ci si dimenticasse una finestra aperta al Centro Ricerche, ma proprio quella notte, era successo. Subito dopo si udì un singhiozzo strozzato.
 
– Actarus, che hai? Non dormi? – una pausa.
 
– Non è niente, è stato un sogno. – La sua voce era un sussurro. Alcor capì tutto e decise di non fare domande. Da quando avevano seppellito la povera principessa veghiana, Actarus era come in trance, e sembrava davvero avvilito. L’umore era basso un po’ per tutti, anche Venusia non sorrideva più (doveva essersi resa conto di qualche cosa di nuovo, riguardo ai sentimenti di Actarus, e non era niente di buono per lei).
 
– Mi dispiace. Se hai bisogno di qualcosa, qualunque cosa, conta su di me.
 
Allora Actarus, che non ne poteva proprio più di trattenersi, si decise a piangere liberamente (e disperatamente) anche se c’era Alcor, e l’amico apprezzò in silenzio tanta fiducia. Poi Alcor si alzò, senza dire una parola gli andò vicino, si sedette sul suo letto e gli posò una mano affettuosa sulla spalla. Nelle mani strette a pugno di Actarus, non c’era
 traccia di sabbia dorata.
  
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