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Autore: Scarlett_Brooks_39    22/06/2014    2 recensioni
Di quella sera ricordo tante cose: il mio bellissimo vestito celeste, lungo ed avvitato; Joy, il mio ragazzo, che mi era venuto a prendere con la sua nuova macchina; I nostri amici, che in quegli abiti eleganti stavano benissimo e che ridevano e scherzavano; il nostro primo ballo, le sue mani sulla mia schiena, le giravolte sulla pista. Poi il suono di un clacson, delle ruote che stridono sull'asfalto, due luci accecanti ed il buio più totale.
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Non ricordo cosa avvenne precisamente. Un attimo prima ridevo e scherzavo con il mio ragazzo, Joy, che mi stava riportando a casa dopo il ballo di fine anno e l'attimo dopo sentivo il suono di un clacson, delle ruote che stridevano sull'asfalto, due luci accecanti ed il buio più totale.

Quando aprii gli occhi mi ritrovai in un lettino d'ospedale, con l'ago di una flebo infilzata al braccio e tanti macchinari intorno che segnavano i battiti del mio cuore. I miei occhi balzavano da tutte le parti della stanza per capire dove mi trovavo, perché mi sentivo disorientata. Non ricordavo niente ed era una situazione davvero frustrante, soprattutto per me che ero abituata ad avere sempre tutto sotto controllo. Ero come privata di qualcosa che mi spettava e, se ciò che volevo sapere non fosse arrivato da me, allora sarei andata io da lui. Feci per muovere le gambe, ma queste non si spostavano. Provai più forte, aggrappandomi alle sbarre del lettino e cercando di spingerle in fuori, ma niente, erano come immobilizzate. Non percepivo più niente, niente. Non le sentivo più. Il mio cuore iniziò a battere così forte che temevo uscisse dal corpo. Ero esasperata, mi sembrava tutto un sogno, un incubo. Adesso mi sveglio, non può essere vero... E se lo fosse? No, non può! Non può! Ho solo diciotto anni, non può succedere a me! Senza neanche accorgermene stavo piangendo. Tirai via la coperta con mani tremanti ed osservai le gambe che non rispondevano al mio comando. Erano magre, ferme...troppo ferme. Il panico mi pervase quando alla fine ricordai tutto: la macchina, Joy, la musica, il ballo, il camion, il clacson, le luci... Si sovrapposero nella mia mente troppo velocemente da controllarle ed il panico, mischiato alla rabbia, mischiata al dolore, alla tristezza, all'impotenza, all'incredulità mi provocarono un colpo alla testa, come se qualcuno mi avesse colpita con una mazza da baseball, ma era ovvio che non era così, che era molto peggio.
"Anita! Anita!" Era la voce dei miei genitori che stavano entrando dalla porta della stanza in cui ero ricoverata con una gioia mista al sollievo. Mi abbracciarono calorosamente, ma io non sentivo niente. Adesso, ad essere paralizzata non erano solo le mie gambe, era tutta me stessa. Rimanevo immobile, come se fossi fatta di pietra, a fissare un punto nel vuoto che non aveva forma.
"Non si muovono." Fu tutto quello che riuscii a dire con la voce rotta dal pianto.
"Non si muovono!" Ripetei, alzando la voce e voltandomi verso di loro. Mia madre teneva le mani alla bocca, disperata di vedermi in questo stato e mio padre rimaneva con la bocca socchiusa, gli occhi pieni di compassione.
"Non può succedere a me..." Volevo solo pensarlo, ma mi uscì in un sussurro. Per mia madre quella frase fu il colpo di grazia ed ora stava soffocando dei singhiozzi appoggiata alla spalla di mio padre. Forse volevano spiegarmi tutto con finta calma e positività, ma avendoli anticipati avevo sbaragliato il loro piano.
"Tesoro, il dottore ha detto che potrai camminare di nuovo, magari, con la giusta terapia...." Mio padre stava cercando di consolarmi, appoggiandomi la mano sulla spalla, ma io non volevo questo. Io ero arrabbiata, delusa, spiazzata da tutta quella tragedia. Così, senza pensare a lui, al fatto che magari avrei potuto ferirlo, gridai a denti stretti :
"Non guariranno. Non torneranno a muoversi. Sono paralizzata e passerò la mia vita su una sedia a rotelle! Tu non capisci cosa sto provando e non provare a consolarmi! Io non voglio la vostra compassione, voglio solo essere lasciata in pace! Andatevene, lasciatemi sola!" Con gli occhi lucidi e spalancati dalla risposta ricevuta loro si avviarono verso la porta, uscendo. Adesso ero arrabbiata anche con me stessa per averli trattati in quel modo. Non avendo altra scelta, scoppiai in lacrime, ma in realtà quello fu un sollievo.

"Posso entrare?" Quella voce dolce e vellutata apparteneva a Wanda. Non so spiegare cos'era. Per altri un'amica di famiglia, per me... una specie di confidente sulla quale potevo sempre contare.
"Wanda, certo." Avevo dormito un po' e la rabbia stava sbollendo. Ora mi sentivo solo depressa.
"Non ti chiederò come ti senti."
"Beh, grazie. Ho trattato male i miei genitori e chissà quanto ora loro ci stiano male. Sono solo un'egoista. Merito molto peggio di questo."
"I tuoi sono disperati, è vero, ma anche tu non te la passi meglio. Anch'io avrei reagito ugualmente al tuo posto."
"I medici dicono che con la giusta terapia potrei ricominciare a camminare, ma io non ci credo. Le mie gambe non si muovono, non posso più farci niente, devo solo rassegnarmi all'idea di avere una vita diversa."
"Sai Anita, a volte i miracoli esistono, devi solo avere fede." Wanda non era una persona religiosa ed il suo commento era fuori luogo, però in un certo senso poteva avere ragione... oppure no.
"I miracoli esistono per le persone buone, io non lo sono, altrimenti non mi sarebbe successo tutto questo." "Dio ti aiuterà, non importa se sei buona o cattiva."
"Posso vedere i miei genitori?"
"Si, vado a chiamarli."
"Volevo chiedervi scusa per quello che ho detto. Non ero in me e spero che possiate perdonarmi." Loro mi abbracciarono felici e mi sembrò di stare bene. Peccato che quella felicità non durò a lungo.
"Dov'è Joy? Sta bene? Vorrei vederlo." I miei genitori si guardarono negli occhi con un'espressione triste e struggente.
"Anita, Joy..." Iniziò mia madre. Già sapevo che non era un buon segno.
"Joy non ce l'ha fatta. È morto." All'inizio pensavo che scherzassero, ma i loro sguardi non mentivano. Allora era vero, Joy non c'era più. Non mi veniva da piangere, stavo molto peggio. Continuavo a ripetermi ' Non è così, si sbagliano, lui è vivo ' ma sapevo che era una bugia. Mi accorsi che non avrei più rivisto quei capelli biondi, quegli occhi azzurri e che non avrei più sentito qualcuno chiamarmi 'principessa' come lo faceva lui e che nessuno mi avrebbe più guardato come faceva lui. Volevo davvero piangere, ma non ci riuscivo, perché c'era troppo dolore dentro me. Dovevo solo rassegnarmi all'idea che non c'era più e non ci sarebbe più stato. La mia vita era cambiata in una notte, che sembrava bellissima, ma che si era trasformata in tragedia.


Dieci anni dopo...
Di quella sera ricordo tante cose: il mio bellissimo vestito celeste, lungo ed avvitato; Joy, il mio ragazzo, che mi era venuto a prendere con la sua nuova macchina; I nostri amici, che in quegli abiti eleganti stavano benissimo e che ridevano e scherzavano; il nostro primo ballo, le sue mani sulla mia schiena, le giravolte sulla pista. Joy si era offerto di riaccompagnare sia me che una coppia di nostri amici, Miranda e John, ma loro avevano trovato un passaggio all'ultimo minuto. Penso a quanto sia crudele o benevolo il destino. John e Miranda potevano essere coinvolti in un incidente stradale ed invece erano salvi, illesi, mentre io ero in sedia a rotelle e Joy era morto. Joy non c'era più e quest'ultimo colpo mi aveva letteralmente uccisa. Quando mi dimisero tornai nella mia casa, in camera mia e trovai tutto come avevo lasciato quella sera, compresa la scrivania affollata di trucchi e prodotti per capelli. Un tempo ero una ragazza solare, ora mi sentivo vuota e depressa. Passavo le mie giornate estive ascoltando la musica e leggendo. I miei amici venivano spesso a trovarmi, cercando di coinvolgermi nelle loro uscite, ma io rifiutavo sempre, perché mi vergognavo di essere su una sedia a rotelle. Con la fisioterapia le mie gambe si stavano rinforzando ed i miei genitori ne erano entusiasti... allora perché io no? Forse perché avevo immaginato la mia nuova vita bloccata su quella sedia e non avevo pensato che ero ancora in grado di vivere, che c'erano ancora tante cose da vedere o da fare, anche nelle mie nuove condizioni. Col tempo mi accorsi che non potevo più continuare in quel modo, così fui più ottimista nei miglioramenti e, giorno dopo giorno, ricominciai a camminare. Non so descrivere la sensazione: le gambe che prima non sembravano più appartenermi erano avvolte da un fastidioso, quanto meraviglioso, formicolio. Le prime volte che provavo a camminare sembravo una specie di robot malmesso, ma col tempo i movimenti divennero più fluidi anche se continuavo a zoppicare. Mi sentivo bene, durante i miei 'secondi passi'. Come un bambino, camminavo verso una nuova esistenza, ricominciando a vivere. Oggi sono passati dieci anni da quella notte. Dopo il college mi sono specializzata in fisioterapia e psicologia; lavoro come psicologa in un centro che aiuta i ragazzi, le donne e persino i bambini che, proprio come me, rimangono paralizzati su una sedia a rotelle. Voglio aiutarli a riacquistare la fiducia in se stessi, ad immaginare una nuova vita, vedere nuovi orizzonti oltre i loro limiti. So che non è facile, non lo è stato neanche per me, ma penso che bisogna sempre andare avanti, dimostrarsi forti, anche quando tutto il mondo sembra caderti addosso. Sono sposata ed ho due splendidi bambini. A volte mi soffermo a guardare il cielo e nelle nuvole scorgo il volto di Joy, che mi sorride, proprio come una volta. Mi sento felice perché sento che sarà sempre nel mio cuore, che non se ne andrà mai. Gli ultimi momenti che ho vissuto con lui prima che il camion sbandasse e ci travolgesse nella nostra corsia sono stati alcuni tra i più belli della nostra storia e non li dimenticherò mai. Non so perché sono sopravvissuta solo io, ma so che Joy non se ne è mai andato veramente, perché veglia su di me, sulla mia famiglia e sulle persone che amo. Lui è il mio angelo custode che sento tutte le volte in cui devo affrontare una situazione difficile. La mia vita è cambiata totalmente in un solo attimo e spesso mi ritrovo a pensare a come sarebbe stata se fossimo venuti via prima, se quel camion non ci avesse travolti e la risposta è che non lo so. La vita è imprevedibile, nessuno sa cosa può succedere, per questo va vissuta giorno dopo giorno. Oggi mi sento più forte e voglio condividere e trasmettere questa mia forza alle persone che ho intorno; forse è una cosa banale, forse sono troppo piccola per aiutare tutti, ma mi sento bene, perché sento che sto facendo la cosa giusta.

Questa storia partecipa al contest "Dolci e Dolorosi ricordi" di SignoraKing sul Forum di EFP....buona lettura! Image and video hosting by TinyPic
  
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