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Autore: Jiulia Duchannes    22/06/2014    13 recensioni
PARINGS: LEONETTA-MARCESCA-DIECESCA-NAXI-FEDEMILLA-DIEGHETTA accenni PANGIE
Introduzione modificata.
C'era Diego, che voleva solo l'amore di suo padre e la gloria.
C'era Violetta che si mascherava da puttana, e non lo era.
C'era Leon che aveva gli occhi spenti.
C'era Francesca che con la sua dolcezza si faceva amare da tutti.
C'era Marco che era troppo perfetto.
C'era Maxi che sorrideva per finta.
C'era Ludmilla con le gambe troppo magre.
C'era Federico che faceva lo stronzo.
C'era Nata con le felpe larghe.
C'era Camilla con il rossetto nero.
Una setta di cacciatori di streghe, un padre che non sa amare, un collegio, dieci ragazzi, tre streghe, potere, gloria, onore, amore amicizia, odio, segreti, demoni, occhi spenti, cuori chiusi e sorrisi finti.
WITCHES HUNTER.
Dal testo.
-Non mi importa più, di lui, della setta, della gloria. Siete la mia famiglia, combatterò, con voi-Disse Diego con decisione.
-E lo uccideresti, se fosse necessario?-Chiese sospettosa Camilla, fissandolo negli occhi, che sembravano bruciare di una nuova energia, di un nuovo fuoco, di vendetta.
-Morirei, se fosse necessario-
E tutti lo sapevano in quella stanza, che sarebbe potuto succedere.
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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~Witches Hunter

Diego varcò la soglia dello Studio Onbeat, la più prestigiosa scuola di musica di New Orelans capitale dello stato americano della Louisiana,  inspirando profondamente.
Da lì iniziava la sua missione. Avrebbe catturato le numerose streghe che frequentavano la scuola e vivevano nel centro della città, dimostrando a suo padre il suo valore, facendogli cambiare idea sul suo conto.

Da sempre era stato considerato lo sfaticato, stupido, debole Diego Dominguez, figlio di Juan Dominguez, capo della setta dei Cacciatori di Streghe che dai tempi della caccia alle streghe si occupava dell’ estinzione della razza. Era sempre stato il figlio incapace di un padre che aveva portato al massimo splendore la setta, sempre quello che mai avrebbe saputo fare di meglio o quanto il padre.

Per tutta la vita, per ogni singolo istante,  non era stato altro che l’ombra del suo perfetto padre, per ogni secondo gli era stato ricordato dallo stesso Juan quanto non valesse nulla.

Ma  quel giorno, quel giorno avrebbe cambiato tutto. Sarebbe divenuto il più temibile cacciatore di streghe di New Orelans, così magari suo padre sarebbe stato orgoglioso di lui , magari gli avrebbe anche detto un “ti voglio bene”  che gli era stato negato per ben 17 anni.

Quella scuola di musica nascondeva molti segreti dietro la facciata pulita e colorata. nascondeva alunni talentuosi e per lo più cattivi ragazzi, scarti di famiglie importanti, come lui,  con problemi più grandi di loro e streghe, troppe,  pericolose.

Era un giorno di settembre più caldo del solito, in cui l’aria afosa rendeva quasi impossibile respirare, e Diego Dominguez stava per iniziare un avventura diversa da quella che si aspettava. Camminò per i corridoi scrutando i ragazzi e le ragazze vestiti di nero, blu, con giacche di pelle e capelli tinti, che sfoggiavano sorrisi beffardi e sguardi freddi. Sembravano tutti molto rilassati nonostante quel giorno la maggior parte di loro sarebbe tornata a casa a sopportare i rimproveri  continui dei genitori.

Era il giorno delle audizioni allo Studio e ogni candidato avrebbe dovuto passare una dura selezione di canto e una ancor più dura di danza.

Dominguez non era affatto preoccupato, lui era sempre stato bravo in entrambe le discipline, in oltre era bello, il che aiutava.


Violetta sbuffò chiudendo lo sportello della macchina violentemente, mentre suo padre, German Castillo, la rimproverava per la forza esagerata usata per compiere quel gesto. “ Non gli va bene nulla” pensò Vilu sbuffando. Si mosse a passi veloci sperando di allontanarsi il più presto possibile dalle urla di German, fare  quella dannata audizione ed entrare nello Studio, così da poter vivere lì con altri ragazzi come lei. Una volta lì gli insulti, i litigi e tutte quelle offese che fingeva non la scalfissero minimamente, sarebbero finiti. Avrebbe conosciuto gente nuova, fatto ciò che più le piaceva e soprattutto avrebbe vissuto senza quel suo padre iperprotettivo e perennemente nervoso.

Sapeva che non sarebbe stato facile entrare allo Studio,  ma sapeva anche di possedere un talento raro, una voce potente e dolce, chiara, limpida. Perfetta. Pochi avevano un talento come il suo, nessun professore con un minimo di cervello l’avrebbe bocciata, ne era convinta.

Arricciò una ciocca delle sue punte blu al dito, camminando con classe per i corridoi, sotto lo sguardo di tutti gli altri canditati. Sorrise, sicura di se come non mai.

Sua madre non sarebbe stata orgogliosa di lei vedendola, questo Violetta lo sapeva, ma lei si sentiva bene solo cos’, con i pantaloncini troppo corti e la maglietta aderente, con i capelli tinti e il volto coperto dal trucco.

 Sua madre Maria era morta un anno prima, per colpa di un cancro, e dall’ora Violetta non era stata più la stessa ragazzina acqua e sapone che rispettava gli ordini esagerati del padre.

 Era diventata  una ragazzaccia, come diceva suo padre, di cui oramai ignorava ogni comando, ogni parola. Una poco di buono, la chiamavano le madri delle amiche.

Ma se ne fregava Violetta, o almeno ci provava.  Il fatto era che sua madre, maledettamente giovane,  era morta, senza vivere la vita a pieno a causa della gravidanza e della nascita di Violetta quando aveva solo 18 anni, così la Castillo si sentiva in dovere di vivere fino in fondo la vita, senza regole. Per sua madre, per lei.


Leon Vergas  si aggiustò la giacca di pelle mentre assisteva all’audizione di una ragazza, se fossero
stati tutti come lei, sicuramente Leon avrebbe avuto buone ragioni per temere di non essere ammesso.
Ma Leon Vergas era  sicuro di se, lo era sempre stato.
Era eccessivamente sicuro, lo dicevano tutti che l' eccessiva autostima era il suo peggior difetto. Ma, insomma, era bravo, lo sapevano tutti,  era determinato ed appassionato. Che motivi aveva  per temere una ragazzina? O mille altri? Lui era migliore, il migliore.

I suoi futuri insegnati si complimentarono con la ragazza, Camilla Torres era il suo nome,  la quale li ringraziò ed uscì dalla sala di canto accompagnata dal rumore dei suoi scarponi neri che sbattevano contro il parquet ad ogni passo.

Leon la osservò. “Inquietante” pensò.  Aveva lunghi capelli rossicci che le ricadevano sulla maglia nera e bianca, una bocca troppo larga colorata di viola, il colorito pallido e gli occhi cerchiati di nero come dopo una rissa.

I canditati successivi furono più tosto deludenti, tanto che Leon si auto convinse ancor di più che sarebbe entrato in quella scuola.

Per lui entrare lì non era un semplice desiderio come per quei ragazzi che lo circondavano, era
questione di vita o di morte. Doveva allontanarsi da sua madre, altrimenti l’avrebbe uccisa ne era sicuro. Non era più un bambino, ora capiva, e nonostante fosse succube della donna che lo aveva messo al mondo, sapeva difendersi se lei avesse provato  a fare ciò che per anni le aveva concesso di fare con il suo corpo di bambino.  All’inizio sembrava normale che sua madre lo toccasse in quel modo, col passare degli anni si era accorto che la sua possessività e il modo di relazionarsi con lui erano totalmente sbagliati. Ma lui era  un ragazzino all’ora, orfano di padre, che conosceva solo l’affetto malato della sua mamma, e nonostante capisse che non era normale continuava a lasciare che sua madre lo toccasse.

A 16 anni si rese conto che l’unico modo per scappare da quella vita era allontanarsi definitivamente dalla madre, ma dove poteva andare un minorenne? L’unico modo era trovare un collegio dove poter vivere e studiare e dove sua madre l’avrebbe volentieri mandato. Quando lesse dello Studio Onbeat fu come ricevere un regalo a Natale. Sua madre fu facile da convincere, aveva sempre voluto vederlo famoso, ricco “ Così io e te staremo sempre insieme, piccolo, e tu ci manterrai con il tuo stupendo lavoro” diceva.

Leon non aveva intenzione di fallire, di tornarsene da lei a subire tutto quello. Per lui entrare allo Studio era questione di vita o di morte, per lui era l’unica salvezza.


Ludmilla Ferro  era sempre stata la tipica ragazzina viziata di famiglia ricca, dai genitori assenti, rovinata dal continuo ricevere oggetti materiali anziché affetto.

Ma a cosa serviva l’affetto se si aveva il potere, la bellezza, i soldi e il talento? A Ludmilla serviva, serviva sentirsi amata, anche solo per una volta in vita sua.  I suoi genitori erano i proprietari della più famosa  agenzia di commercio d’arte dello Stato, perciò erano sempre impegnati con quelle loro tele sporche, come le chiamava la Ferro.

Era stata accudita dalla servitù ,gente che non la sopportava e  passava del tempo con lei solo perché era pagata per farlo.

 La sua unica amica era la spagnola Natalia Navarro, che aveva conosciuto all’ospedale, quando entrambe erano state ricoverate, Ludmilla per anoressia, Nata per essersi tagliata una vena mentre si tagliava i polsi come suo solito.

  La Ferro aveva smesso di mangiare, e iniziato a vomitare,  per attirare l’attenzione dei genitori e quando le cose le sfuggirono di mano fu come scendere all’inferno, arrivò ad avere le gambe che non riuscivano a sostenerla.

Ludmilla scese dalla sua limousine seguita dalla sua inseparabile amica Nata. Per entrambe entrare allo Studio Onbeat era un modo per ricominciare da capo, incontrare persone nuove, che non le additassero a causa del loro passato.


 Natalia  aveva cominciato a tagliarsi all’età di 13 anni quando i suoi si erano separati perché sui padre aveva tradito la madre con una più giovane mettendola incinta.

 Nata non era mai stata forte, suo padre era sempre stato la sua ancora,  il suo modello, il suo migliore amico,  l’unico da cui non si aspettava un tradimento, il primo a tradirla.

 La Navarro aveva perso ogni speranza che in un mondo tanto difficile e crudele come quello in cui viveva, pieno di ingiustizie e cattiveria, vi fosse qualcuno di buono, puro, incapace di far del male.

Qualcuno come lei, qualcuno come l’uomo che credeva fosse suo padre.


Francesca Comello non si era mai sentita tanto felice in vita sua come quando aveva preso il microfono tra le mani e aveva cominciato a cantare sul palco dello Studio Onbeat, di fronte a quelli che sperava, e in cuor suo sapeva, sarebbero divenuti i suoi professori.

Il canto era sempre stato la sua più grande passione, la sua salvezza. Era il suo modo di esternare i sentimenti senza piangere davanti agli altri. Non le piaceva piangere, soprattutto davanti alla causa delle sue lacrime, la faceva sentire così fragile e debole, e lei non lo era. Sapeva di non esserlo. Lei era una roccia, come le diceva sempre suo fratello Luca. Luca le ripeteva sempre che lei era come il suo faro, l’unica ragione per la quale continuava a sopportare quella vita, era l’unica luce che avesse mai visto, l’unica cosa gli facesse pensare di avere una vita degna di essere vissuta.

Luca aveva avuto una vita estremamente difficile, molto più di quella di Fran. Si era dovuto prendere cura di lei per anni, dopo che entrambi erano stati adottati da una famiglia che, a differenza di come si era presentata, si era rivelata essere composta da ricchi menefreghisti, i quali vedevano i fratelli Comello più come giocattoli che come bambini e che avevano lasciato al maggiore dei due il compito di prendersi cura della più piccola. Luca non aveva mai avuto una vita normale, anzi, aveva avuto problemi di alcol all’età di 18 anni, e tutt’ora non ne era completamente uscito.

“Sono rimasto in questa maledettissima casa per te, non ti lamentare se bevo qualche bicchierino. OK?!” le gridava sempre contro Luca quando lei cercava di sgridarlo.


Maximiliano Ponte amava il suo cappellino più di ogni altra cosa. Era praticamente impossibile vederlo senza il berretto blu che aveva da anni. Glielo aveva regalato il suo papà prima di morire. Il signor Ponte era un ufficiale di polizia, morto in una sparatoria, davanti agli occhi di suo figlio, il quale era stato preso in ostaggio assieme ad una decina di persone in un supermercato della piccola cittadina in cui vivevano. Maxi  non potrà mai dimenticare l’immagine di suo padre cadere a terra, come a rallentatore, con gli occhi spalancati per il terrore, e il sangue che imbrattava la divisa. Il piccolo Ponte aveva solo 12 anni all’epoca, ed era entrato in quel supermercato per un capriccio.

Voleva comprare una di quelle bevande al cioccolato che tanto amava e che a casa erano terminate.

Maxi si incolpava ogni singolo minuto della sua vita per la morte del suo eroe. Se non fosse stato lì probabilmente so padre non avrebbe provato ad entrare nel supermercato in modo così avventato, e magari, in quel momento sarebbe stato lì a sostenerlo, mentre si esibiva davanti all’esigente professore di danza Gregorio.


Ma non c’era e Maxi lo sapeva  che era solo per colpa sua.


Marco si sentiva fuori posto circondato da ragazzi così dark, così strani, così diversi da lui.

Sembravano usciti da uno di quei film che parlano della vita nei quartieri poveri delle città americane, eppure per quel che sapeva  Marco erano tutti di buona famiglia.  Si sentiva osservato, forse per il suo abbigliamento sofisticato, o perché non incuteva abbastanza terrore, o forse perché sembrava essere un pecora bianca in mezzo ad un branco di puma feroci.

Era figlio del famoso scrittore Ponce de Leon e della sua Editrice. La sua vita era stata a dir poco perfetta. Cresciuto da genitori amorevoli, in un ambiente sano, con un educazione rigida. Aveva ricevuto un’ istruzione più che buona nelle migliori scuole della città e aveva coltivato ogni tipo di talento potesse avere: pittura, canto, teatro, pianoforte, chitarra. Suo padre voleva divenisse un giornalista, sua madre preferiva fosse un famoso compositore. Ma a Marco non piaceva scrivere, e non era un eccellente compositore.

A lui piaceva cantare, lo faceva sentire come un attore, pronto a cambiare personaggio a seconda della canzone da eseguire, amava poter essere qualcun altro anche solo per qualche minuto. Così si era iscritto  allo Studio Onbeat, facendo credere a sua madre che una volta uscito di lì sarebbe divenuto il compositore più famoso al mondo.


Federico Pasquarelli camminava  nei corridoi con le mani nelle tasche dei jeans , fissando le converse rovinate dal tempo.

Se fosse stato ammesso allo Studio Onbeat avrebbe sicuramente ricominciato a farsi, lo sapeva che la libertà non faceva per lui, che doveva essere tenuto sotto controllo.

Aveva cominciato a drogarsi all’ età di 15 anni, senza un motivo preciso,  i suoi amici lo facevano.

Perché lui non avrebbe dovuto?  Era iniziato tutto con un po’ di droghe leggere ogni tanto, per poi arrivare ad avere il bisogno compulsivo di droghe più pesanti, fino a che non aveva avuto un overdose ed aveva rischiato di morire.

Suo padre dall’ora lo aveva rinchiuso in una struttura di riabilitazione per drogati, come lui, e ora che ne era uscito lo aveva costretto a trovarsi un collegio dove andare.

Federico non aveva un particolare talento, se non la musica, l’unica cosa in cui riuscisse bene. Così suo padre lo aveva costretto ad andare a fare le audizioni per entrare in quella dannatissima scuola.

Lo aveva lasciato davanti al cancello aspettando che entrasse. Già dall’esterno aveva odiato quella scuola, con quella sua facciata così solare, colorata, felice. Volevano farti credere che lì dentro ci fosse un mondo perfetto e senza problemi, o almeno era quello che credeva Fede.

Fece le audizioni, lasciando tutti a bocca aperta con la sua voce.

Due giorni dopo solo 10 dei 103 candidati si trovavano davanti al collegio  musicale “Studio Onbeat” con le valigie in mano, e il cuore colmo di sogni, speranze, propositi per il futuro che li attendeva.

Diego storse il naso. C’era odore di streghe


Angolo autrice
Ciaoo. Torno a scrivere su questo fandom che per mesi è stato come casa mia dopo tanto tempo e ne sono entusiasta. Spero di essere migliorata rispetto a prima XD
Che ve ne pare dell storia? In questo capitolo introduciamo i personaggi principali tranne due: Pablo e Angie che sarenno fondamentali
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