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Autore: Oceans_216    23/06/2014    5 recensioni
Kurtbastian AU
Io sono il numero quattro.
Non ho un vero nome né una vera identità, ma solo un numero di identificazione, e questo è il quattro.
Io e i miei otto fratelli non siamo umani, ma proveniamo da un pianeta di nome Lorien, troppo lontano per poter quantificare gli anni luce che lo dividono dalla Terra.
Ognuno di noi ha una collanina con un ciondolo a forma di ottaedro ma differiscono l'uno dall'altro per la decorazione sopra esso impressa. Se riunite, le nove collanine forniscono il potere assoluto a chi le indossa, rendendolo l'imperatore di tutto l'universo.
La nostra era una popolazione pacifica che, anche se in possesso di cotale potere, non lo utilizzava per scopi malvagi, ma lo custodiva.
Ma non tutti sono come noi: un'altra popolazione, i Mogadorian, bramava il nostro potere e ci attaccò.
I nostri genitori, re e regina di Lorien, ci affidarono una collanina ciascuno ed un numero, proteggendoci con un incantesimo: potevamo morire, sì, ma solo nella giusta sequenza.
[...]
Ero il prossimo.
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti *ride istericamente*
Okay, sono un po' agitata perchè questa è la prima vera fanfiction che scrivo da sola...
Comunque! Piacere di conoscervi, io sono Arianna ed ho 18 anni.
E' la prima Kurtbastian che scrivo e questo prologo l'ho scritto circa un anno e mezzo fa (se non di più) ma non avendo avuto l'ispirazione per scrivere gli altri capitoli, non l'avevo mai pubblicato. E' tutto l'inverno che raccolgo le idee e consigli per la trama, perciò finalmente penso di essere pronta per pubblicare :)
Come qualcuno avrà notato, la trama non è farina del mio sacco: mi sono ispirata ad un film, 'Sono il numero quattro' con Dianna Agron e Alex Pettyfer. Inizialmente saranno simili, soprattutto perchè ho preso anche delle conversazioni dal film, ma vi posso assicurare che andando avanti sarà completamente diverso! So che il film è tratto da un libro (una saga, in realtà) che però NON ho letto perchè ero preoccupata che la ff vi assomigliasse troppo, perciò anche se avete letto i libri la storia sarà diversissima ;)
Il raiting è giallo ma mi avvalgo della facoltà di 'scurirlo' nei prossimi capitoli.
Un'ultima cosa, per chi volesse potete trovarmi qui su twitter: http://twitter.com/beingawarbler
Ora, finalmente, vi lascio alla storia! ENJOY :)



 LOSE CONTROL
  Sono il numero quattro



Io sono il numero quattro.
Non ho un vero nome né una vera identità, ma solo un numero di identificazione, e questo è il quattro.
Io e i miei otto fratelli non siamo umani, ma proveniamo da un pianeta di nome Lorien, troppo lontano per poter quantificare gli anni luce che lo dividono dalla Terra.
Ognuno di noi ha una collanina con un ciondolo a forma di ottaedro ma differiscono l'uno dall'altro per la decorazione sopra esso impressa. Se riunite, le nove collanine forniscono il potere assoluto a chi le indossa, rendendolo l'imperatore di tutto l'universo.
La nostra era una popolazione pacifica che, anche se in possesso di cotale potere, non lo utilizzava per scopi malvagi, ma lo custodiva.
Ma non tutti sono come noi: un'altra popolazione, i Mogadoriani, bramava il nostro potere e ci attaccò.
I nostri genitori, re e regina di Lorien, ci affidarono una collanina ciascuno ed un numero, proteggendoci con un incantesimo: potevamo morire, sì, ma solo nella giusta sequenza. Il maggiore dei miei fratelli diventò il numero uno ed il minore il numero nove. Io ed il mio gemello decidemmo di fare diventare me il quattro e lui il cinque, poiché la collanina che doveva custodire lui era leggermente più potente della mia.
Inoltre, ogni volta che qualcuno di noi sarebbe morto, il nostro corpo ci avrebbe dato dei segnali, per farci capire quando sarebbe arrivato il nostro turno, e quindi ci saremmo dovuti nascondere meglio.
Quando arrivammo sul pianeta Terra, venimmo affidati a dei tutori, che avrebbero avuto il compito di istruirci e di proteggerci con tutte le loro forze.
Infine, per non farci prendere dallo spavento e dal dolore per la perdita di tutti i nostri cari, cancellarono la mente a noi ultimi sette, lasciandola solo ai miei due fratelli maggiori.
Perciò, tutto ciò che so delle mie origini mi è stato riferito dal mio tutore, Henri, quando il numero uno morì, poiché uno strano tatuaggio era comparso, in modo molto doloroso, sul mio polpaccio.
Poi i tatuaggi divennero due e, in seguito, i tatuaggi divennero tre.
Ero il prossimo.

 
  °°°

 
Aprì gli occhi, ritrovandosi steso sulla sabbia.
Provò ad alzarsi, ma il dolore lancinante al polpaccio lo fece desistere dall'intento: eccolo lì, il terzo tatuaggio. Più che tatuaggio era un marchio e, anche se compariva per colpa dell'incantesimo, era come se gli fosse stato fatto con una spranga di ferro ardente.
Un fruscìo dietro a un cespuglio gli fece alzare lo sguardo, ma quando incontrò quello di Henri poté tirare un sospiro di sollievo.
L'uomo adulto fissò la sua gamba e poi, dopo aver riflettuto, parlò.
“Il terzo marchio... il numero tre è morto. Tu stai bene?”
“Sì” rispose il ragazzo che, aiutato da Henri, si sollevò da terra.
Cominciò a mandare via la sabbia dal suo costume e dal suo ventre muscoloso, sibilando per il dolore che il marchio gli causava.
“Com'è successo questa volta?”
“Ero vicino alla spiaggia quando ho sentito qualcosa, come un'energia, trascinarmi  in mare e poi sott'acqua... Mi è comparso il viso del numero tre, mentre veniva ucciso e subito dopo la mia gamba ha cominciato a fare luce e a bruciare nel punto in cui si stava formando il marchio. Una figata anche questa volta, insomma” rispose il ragazzo sarcastico, chiudendo gli occhi e mettendosi la mano sinistra tra i capelli.
“Anche questa volta, c’era l’acqua… Ti ha visto qualcuno?” domandò Henri, preoccupato.
Il silenzio che seguì alla sua domanda fu eloquente.
Henri diede una pacca sulla spalla al ragazzo e insieme si incamminarono verso la loro casa sul mare.
“Daniel, sai cosa vuol dire tutto ciò, vero? Dobbiamo andarcene”
“Ma Loyola Beach mi piace!” sbuffò l'altro, ben consapevole che, lamentele o meno, il loro trasferimento sarebbe stato imminente.
Henri, ruotando gli occhi alle parole del 'protetto', si diresse verso l'armadio e ne tirò fuori tre valigie, che furono presto riempite di oggetti e vestiti.
Dovettero però abbandonare tutto ciò che poteva essere un indizio della loro vita lì: le foto del liceo, il diploma, tutti i documenti.
Daniel, sconfitto ed arreso, uscì dalla casa e si sedette poco lontano, sulla spiaggia, aspettando che il tutore finisse di distruggere tutto quello che il ragazzo poteva definire come 'ricordi' degli ultimi anni vissuti lì.
“Forza, sali sulla jeep” disse l'uomo dopo pochi minuti.
Il ragazzo si alzò e si pulì i pantaloni, per poi salire in macchina.
Appena si allacciò la cintura, vide una lucertola sul cruscotto dell'auto e, prendendola in mano si rivolse ad Henri.
“Devo bruciare anche lei o posso tenerla?” disse ironico, tenendo in bella vista l'animale sul palmo della mano.
“Daniel, smettila, lo sai che non dipende da me. Dobbiamo distruggere ogni cosa, è-”
“La prassi, sì, lo so” concluse la frase per lui, sbuffando.
“Addio Florida, sei stato il paese dove ho fatto più conquiste e il più soleggiato. Mi mancherai!” disse Daniel drammatico, appena varcarono il confine del paese.

 
 °°°

Dopo qualche giorno di viaggio, finalmente si presero una pausa, fermandosi in un hotel in Ohio.
“Okay, ho sistemato tutto con la tua vecchia scuola. Questa è la tua nuova identità. Ma devi stare attento, perciò niente scuola, niente locali e soprattutto, niente ragazzi! Chiaro?” disse Henri, appoggiando sul mobiletto i nuovi documenti del ragazzo.
“Cristallino. Sebastian Smythe, sul serio? Ti sembro un francese, papà?” lo prese in giro il ragazzo, sorridendogli.
“No, figliolo, ma non è detto che un ragazzo debba essere francese per avere un nome francese”
“Se lo dici tu, Henri...”
“E questa volta devi essere invisibile, chiaro, Sebastian?” chiese duramente l'uomo, fissandolo negli occhi.
“Sì...” rispose il ragazzo, con tono pensieroso, fissando il suo riflesso nello specchio dove si stava radendo.
“...è stato diverso, -continuò, dopo pochi attimi di pausa- oltre alla cicatrice o al marchio o a quello che è, questa volta ho visto il numero tre e l'ho sentito morire accoltellato. So, dentro di me, che anche gli altri l'hanno sentito. Tutti e cinque”
Henri lo guardò serio, capendo che la situazione stava via-via diventando sempre più critica.
“Dobbiamo sbrigarci, i Mogadoriani avranno già fiutato il nostro odore”
“Dove andiamo questa volta?”
“Oh, ti piacerà.. o almeno te lo farai piacere” si corresse l'uomo.
“E' una città soleggiata?” chiese Sebastian, curioso.
“Mmm non troppo, direi”
“E' aperta alla comunità gay?”
“Non troppo”
“E' conosciuta per qualcosa.. tipo una guerra o un personaggio famoso o un cataclisma?”
“Direi di no”
“Cazzo, mi stai praticamente dicendo che è una fottuta cittadina dimenticata da Dio?” esclamò il ragazzo, alterandosi.
“Sì, in poche parole sì”
“E, posso sapere, di grazia, qual è questo posto così meraviglioso?” chiese a denti stretti il giovane, incrociando le braccia al petto.
“La bellissima e fantastica cittadina di Lima, in Ohio” sorrise finto Henri.
“COSA?! Lima? E' praticamente il buco più buco di... tutti i buchi!” si lamentò Sebastian, aprendo le braccia in modo melodrammatico e gemendo frustrato.
“Per questo è perfetto per te, Mr. Invisibile”
“Va bene essere invisibile, ma ho diciotto anni umani, non posso mica stare a casa tutto il giorno!” esclamò shockato il ragazzo.
“Invece è esattamente quello che farai, bijou”
“Ma-”
“Non ricominciare con le solite lamentele, Sebastian, perché davvero non sei nella posizione per farle, chiaro? Sei il prossimo. Sei il numero quattro”
“Sì, lo so. Sono il numero quattro”.

 
°°° 
 
Erano in macchina da circa tre ore quando arrivarono nella nuova casa o, come l'aveva definita Sebastian, la nuova Alcatraz.
“Wow, sta piovendo a dirotto..chissà perché non mi sorprende” disse il ragazzo, maledicendo mentalmente quella città che già odiava.
“E' l'Ohio, non siamo più in Florida caro mio! Qua le persone non sono abbronzate come te, ma pallide come fantasmi” sorrise l'uomo, entrando nella nuova proprietà.
“Ho già detto che tutto questo è una figata?” rispose sarcastico Sebastian, sbattendo volutamente la testa contro il cruscotto.
“Solo un milione di volte nell'ultima mezzora, mon amour”
“Ah-ah-ah. So che te l'ho già chiesto centinaia di volte, ma perché io ogni volta devo cambiare nome e tu rimani sempre Henri? E’ ingiusto” chiese il ragazzo, scendendo dalla jeep verde.
“Perché, come ti ho già detto centinaia di volte, io rimarrò in casa più tempo possibile per monitorare che tutto fili liscio e dato che non avrò molti contatti con l'esterno, non c'è bisogno che mi abitui a sentirmi chiamare con altri nomi. Invece tu, che probabilmente avrai contatti con l'esterno e quindi con altre persone, devi abituarti a presentarti con il tuo nuovo nome e ad avere una reazione se qualcuno ti chiama, caro Sebastian” rispose l'adulto, prendendo le valigie ed entrando in casa.
“La mia vita sarà sempre e solo questo? Cambiare identità e stato ogni volta che ci sarà un avvistamento dei Mogadoriani?”
“Adesso basta, ragazzino! Ne abbiamo già parlato. Tu non ti nascondi solo per te stesso, ma per la tua popolazione che è stata sterminata e per i tuoi fratelli, chiaro? Se ti fai uccidere, sarà il turno del numero cinque. E so che tu non vuoi che qualcuno muoia per te”
“No, signore” disse Sebastian, che utilizzava quell'appellativo solo quando si parlava di cose estremamente serie che riguardavano Lorien.
“Bene. Ora vai di sopra e scegli la stanza che più ti piace”
Sebastian, ubbidendo agli ordini, salì le scale e, dopo aver girato tutta la casa, scelse la stanza più in alto che, nonostante fosse una specie di soffitta, sembrava la stanza più accogliente di tutta l'abitazione.
Stanco a causa del viaggio e delle emozioni provate, Sebastian si gettò sul letto, portandosi un braccio a coprirgli il viso.
Il momento che aveva sempre temuto era arrivato.
Il numero tre era stato ucciso... non voleva crederci.
Lui era quello che si era sempre nascosto benissimo, già da prima che il numero uno morisse e perfino Henri -che in passato aveva rapporti con il suo tutore- non aveva idea di dove fossero.
Lui era invisibile a tutto e a tutti. Per quanto ne sapeva lui, non aveva rapporti con il mondo esterno. Henri sapeva solo che viveva in una specie di giungla o di bosco nel bel mezzo del niente assoluto.
Eppure loro l'avevano trovato.
Perché loro li trovavano sempre.
Prima o poi, avrebbero trovato anche lui e, nonostante gli allenamenti a cui era stato costretto a sottoporsi fin da bambino, non era sicuro di riuscire a combatterli.
Anzi, in quel momento era più che sicuro che l'avrebbero ucciso. Ma in fondo, come poteva evitarlo?
Semplice: non poteva.
E stare chiuso in casa non sarebbe servito, perché i Mogadoriani non conoscevano il suo aspetto esteriore, ma grazie a qualche stramaledetta tecnologia avanzata di cui disponevano, l'avrebbero trovato. Perciò, che lui fosse chiuso in casa o a scuola a studiare, tutto ciò non sarebbe cambiato.
Per questo prese il suo portatile e lo accese, cominciando a cercare su google quali scuole ci fossero vicino ad Alcatraz.
“Vediamo un po'..J-Adam Academy, scuola femminile per detenute. Direi di no. Everbrook, scuola per sordomuti...direi di no anche questa. West Dale, in Fothway, Indiana.. troppo lontana. Carmel High.. eww, dalle foto sembrano un grande e grosso gruppo di fighetti. Per carità, no. Dalton Academy, scuola maschile privata... ci manca solo che io paghi una cifra simile per studiare! Tsk, illusi” elencò ad alta voce Sebastian, sbuffando.
Continuò la sua ricerca finché la sua attenzione non fu rapita dalle foto di una scuola: carina, ma non troppo, con una squadra di football mediocre e un glee club (che diavolo è un glee club? si chiese il ragazzo) che aveva partecipato a delle gare senza vincere nessun premio importante.
Bingo.
“Beh, McKingley High School, da domani avrai un nuovo e affascinante studente tra i tuoi ranghi” ghignò trionfante.
Cercando tra le cianfrusaglie -che in realtà erano strumenti utilissimi- di Henri, riuscì a trovare una stampante e grazie alle sue abilità di contraffattore, riuscì a stampare dei perfetti documenti scolastici da presentare il giorno seguente nella nuova scuola.
Il ghigno di Sebastian si allargò ulteriormente.
Un rumore sospetto lo fece smettere di ghignare all’istante e, come gli avevano insegnato, aguzzò l’udito e la vista mentre, silenziosamente, scendeva le scale fino ad affiancarsi a Henri, che con la sua arma, era già in posizione di allerta.
Il rumore era cessato, ma i due si scambiarono un’occhiata, segno che entrambi avevano sentito quello strano fruscio tra i cespugli.
Henri, delicatamente, aprì la porta di ingresso e si piegò in posizione, pronto a qualunque evenienza, ma nulla accadde. Dopo circa un minuto di silenzio assoluto, Sebastian decise di farsi avanti ed uscire, avvicinandosi al cespuglio.
“Un po’ piccolo per essere un mogadoriano, non credi?” disse Sebastian, prendendo in braccio il colpevole del rumore dei cespugli.
A Henri scappò un sorriso quando vide il cucciolo di pastore tedesco nero che il ragazzo teneva in braccio, mentre la pioggia li aveva ormai bagnati totalmente.
“Forza, entra dentro, diamogli qualcosa da mangiare. Sembra affamato” propose l’uomo, facendo un cenno al ragazzo.
“Aww il grande e spaventoso Henri ha un cuore” lo prese in giro Sebastian, rientrando nella casa e dirigendosi in quella che teoricamente sarebbe dovuta essere una cucina ma che in realtà era solo un ammasso di pentole e stoviglie.
“E’ sicuramente di qualcuno. Non puoi tenerlo, quindi non ti ci affezionare troppo”
“Non ha collare né medaglietta –rispose Sebastian, appoggiando per terra una ciotola con del latte e continuando ad accarezzare il cagnolino- Ti hanno perso, piccolino? Chissà quanto gli manchi, eh?”
“No no, ti ho detto di non affezionarti a quel coso”
“Questo coso è un cane ed è bellissimo. Insomma, altri occhi per fare da guardia alla casa! E inoltre avrò qualcuno con cui parlare”
“Per prima cosa, domani mattina installerò le telecamere, quindi non abbiamo bisogno di altri occhi. E poi...parla con me!” disse Henri, alzando le spalle, come se ciò che avesse detto fosse la cosa più ovvia del mondo.
Sebastian lo fissò accigliato, alzando un sopracciglio.
“Sì, certo, come no”
“…va bene, tieni il cane” si arrese l’adulto, non trovando una reale motivazione per privare dell'animale il protetto.
“Come lo chiami?” chiese Henri, dirigendosi verso il salotto, dove aveva collegato tutti i suoi innumerevoli computer e monitor.
“Cosa te ne pare di ‘Henri Junior’?” propose Sebastian, scoppiando a ridere.
“Per tutti gli universi, oggi sei insopportabile. Vieni qua, simpaticone, ho bisogno di una tua foto nuova”

 
 °°°
 
La mattina seguente, dopo aver fatto i suoi allenamenti mattutini e una doccia rilassante, Sebastian si vestì e, afferrando zaino e documenti scolastici, scese le scale.
“Oh, Sebastian, prima che mi dimentichi! Tutte le tue foto che sono mai comparse su internet e tutte quelle che verranno caricate d'ora in avanti si cancelleranno” spiegò l'uomo, indicando uno dei tanti monitor sulla scrivania.
“E perché mai? Loro non sanno chi sono né che faccia ho”
“Lo so e credimi, è un grandissimo vantaggio. Ma meglio prevenire che curare, giusto? Dobbiamo eliminare ogni minimo dettaglio che potrebbe ricollegarti a Daniel, la tua precedente identità”
“Va bene, va bene. Tanto ormai non credo di potermi opporre” disse il ragazzo, prendendo una mela dal cesto di frutta in cucina e mordendola.
“E tu dove credi di andare con quello zaino?” chiese Henri, notando che cosa il protetto avesse sulla schiena.
“Vado a scuola” rispose l'altro, semplicemente.
“Vai a scuola? No, è fuori discussione”
“Senti, con te sto una favola, ma non da prigioniero e non qui ad Alcatraz. Devo andare a scuola”
“No, escluso, è troppo pericoloso”
“E dai! Il numero tre era sparito, eppure l'hanno trovato. Non è servito”
“Ho detto di no”
“Henri, dai, sarò al sicuro se non mi espongo. Ti prometto di tenere un profilo basso” disse Sebastian, incamminandosi verso la porta, ma Henri lo fermò, portandogli una mano al petto.
“Senti, ammesso e non concesso che io approvi -non che io approvi la cosa, ovviamente- non è che puoi presentarti a scuola come se niente fosse” ribatté l'adulto, sussurrando le ultime tre parole quando Sebastian aveva tirato fuori dallo zaino i documenti.
“Non sei l'unico che sa falsificare i documenti” disse l'altro, porgendoglieli.
Henri li esaminò ma, non ancora completamente soddisfatto, continuò il suo discorso.
“Hai pronti-”
“Vestiti di ricambio, gps, contanti” concluse con un sorrisetto soddisfatto il ragazzo.
“Mh. Come ti chiami?”
“Sebastian Smythe”
“Di dove sei?”
“Toronto”
“Troppo abbronzato per Toronto”
“Santa fe, New Mexico. Sono addestrato, okay?” dichiarò fermamente il giovane, fissandolo negli occhi.
Henri capì la determinazione del ragazzo e, con un sospiro, diede la sua approvazione.
“Tieni- gli disse, porgendogli un cellulare- prendi questo. Ti chiamerò o ti manderò un messaggio ogni ora. Se non rispondi, significa che c'è qualcosa che non va”
“Andiamo! Ogni ora?” ripeté sconsolato Sebastian, fissando l'Iphone nero nelle mani del tutore.
“O così o studierai a casa. E sarò io il professore” disse, sorridendo soddisfatto.
“E va bene” acconsentì il ragazzo.
“Sebastian, non fare lo stupido. Non farti notare” lo avvertì, seriamente.
“So passare inosservato” affermò, pensando che la parte 'nonostante la mia bellezza sovrumana' non fosse appropriata da pronunciare.
Dopo essersi scambiato l'ennesimo sguardo con Henri, finalmente Sebastian uscì di casa.

 
°°°
 
In circa mezzora di camminata, arrivò alla tanto famosa quanto bellissima scuola chiamata McKingley.
E' una schifezza. Ho scelto perfettamente pensò Sebastian, congratulandosi con se stesso.
In poco tempo riuscì a trovare la segreteria e, consegnando i documenti alla vecchiettina dietro una scrivania, si sedette su una sedia, aspettando il suo orario.
Ad un certo punto sentì qualcuno parlare e, preso dalla noia, origliò.
“-ho detto di no, professor Schuester. Quest'anno non mi unirò al glee club” stava dicendo una voce molto acuta.
“Ma dai, sei la nostra arma segreta” rispose un uomo, che Sebastian identificò come l'insegnante.
“Poteva pensarci prima di dare tutti gli assoli alla Berry, signore. Ha avuto tre anni per sfruttare il mio talento, ormai è tardi” ribatté ancora il ragazzo sconosciuto.
“Ma-”
“Professore, lei sa il motivo. Non mi posso opporre ma l'ho accettato. Dovrebbe farlo anche lei”
“Sì, ma tutto questo è cominciato quando-”
“Caro, il tuo orario è pronto!” disse la voce della segretaria, coprendo le voci dei due.
“Oh, grazie mille” rispose gentile Sebastian, sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori.
Guardando la cartina che la signora gli aveva disegnato per arrivare nell'aula della prima ora, non si accorse che qualcun altro stava girando l'angolo nel suo stesso momento e si scontrarono.
“Ah, cazzo, che male” imprecò Sebastian, massaggiandosi il fianco sinistro.
“Oddio, scusami tanto! Ti sono venuto addosso come uno stupido. Scusami” disse il ragazzo e Sebastian riconobbe la voce acuta come quella dello studente che stava discutendo con il professore sul glee club.
“No, scusami tu, io-” iniziò Sebastian, ma quando i suoi occhi verdi incontrarono quelli azzurrissimi del sul interlocutore, le parole gli si fermarono in gola.
Era bellissimo.
Il ragazzo più bello che avesse mai visto.
Aveva i capelli castani perfettamente acconciati e un paio di jeans strettissimi che delineavano impeccabilmente tutte le sue forme.
Il ragazzo in questione si alzò e gli offrì una mano per rialzarsi. Sebastian accettò l'aiuto, ma tenne la sua mano ancorata a quella del misterioso ragazzo giusto un po' più del normale, lasciandola non appena una lieve scossa gli attraversò tutto il corpo.
“Mh, sei nuovo? Non ti ho mai visto” lo squadrò lo studente, sorridendogli ammaliato.
“...eh? Ah, sìsì, ho iniziato oggi” rispose l'altro, continuando a fissarlo.
“Capisco... io sono Kurt Hummel. Piacere” gli disse, offrendogli nuovamente la mano che, questa volta, il ragazzo strinse solo per pochi attimi. La lieve scossa si ripeté.
“Io sono Da-Sebastian Smythe” rispose, mordendosi la lingua per aver quasi sbagliato nome.
Fantastico, anni di allenamento e stava per far saltare la copertura per un paio di abbaglianti occhi azzurri.
“Ah, va bene Dasebastian. Se non vuoi dirmi il tuo vero nome, non mi offendo” disse l'altro, cominciando ad indietreggiare.
“No no, non è per quello. E' solo che i miei amici mi chiamano sempre con un soprannome orribile e vorrei che tu lo scoprissi più tardi possibile”
“Beh, almeno so che questo fantomatico soprannome inizia per 'Da'. Sono un pezzo avanti” scherzò l'altro, continuando ad indietreggiare.
“Non lo scoprirai mai” disse Sebastian, sollevando le sopracciglia in un modo buffo, facendo ridere l'altro.
Vennero però interrotti dalla campanella.
“Sebastian, ora devo andare. Ci rivedremo sicuramente”
“Ovviamente, dolcezza” ghignò malizioso, facendo arrossire l'altro.
Se Henri avesse saputo che stava flirtando con un ragazzo appena conosciuto dopo aver promesso di tenere un profilo basso, l'avrebbe ucciso.
Letteralmente.
Quando Kurt si voltò completamente, un altro pensiero sfiorò la mente di Sebastian.
Quel ragazzo che aveva già definito mentalmente 'bellissimo', aveva anche un sedere da favola.
Tutto ciò però non doveva distrarlo dalla sua missione: essere invisibile.
Perchè lui non era un ragazzo normale.
Non era Sebastian Smythe.
Era il numero quattro.
Niente di più, niente di meno.
Solo il numero quattro.
 

 
 


Spero davvero che vi abbia incuriosito *incrocia le dita*
Non sono una di quelle persone che scrive 'voglio 4 recensioni o non pubblicherò il prossimo capitolo' e spero di non diventarlo mai, ma se qualcuno mi facesse sapere la sua opinione mi renderebbe immensamente felice :)
E grazie alla mia socia, Chiara, per la betatura di emergenza <3

 
  
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