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Autore: Efthalia    23/06/2014    10 recensioni
{Percy/Jason}
Percy Jackson è un comune ragazzo ormai vuoto, segnato da un dolore troppo grande per lui. Capirà, però, che anche nelle situazioni più difficili ciò di cui si ha bisogno è qualcosa di... semplice.
VI classificata al contest "Amore con la A maiuscola (Afrodite sarebbe fiera di me)" indetto da AnnabethJackson
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Jason Grace, Percy Jackson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Daughter of Athena

Titolo: All I need is you

Personaggi: Percy Jackson, Jason Grace

Rating: Verde
Genere: Angst, Drammatico, Romantico

Avvertimenti: Nessuno 

Note dell’autore: Sotto, altrimenti spoilero tutto! 
 

Storia dedicata a 8Sherlin8.
Grazie di tutto, amica di tastiera <3 

 

 
Il cielo di Manhattan, in quella calda giornata d’agosto, era di un azzurro così intenso che i miei occhi verdi ne risentivano. Di rado il caldo andava a far visita alla città, infatti la gente del posto si era approfittata della situazione uscendo con vestiti leggeri o, come me, prendendo un po’ di sole sul balcone. 
La mia pelle era già abbastanza scura rispetto alla massa, ma mi piaceva lo stesso abbronzarmi; inoltre, volevo imprimere nella mente quell’afosa giornata di mezz’estate. Dubitavo che ne avrei vissute altre così calme, così calde e così gradevoli. 
Sentii i miei occhi bruciare mentre continuavo a fissare il cielo. La mente mi riportò a rivivere la mia vita fino a pochi mesi prima. A scuola me la cavavo, avevo degli amici, ero il leader del gruppo e amavo tutto della mia città. Poi era arrivata la disgrazia, la disgrazia che mi aveva obbligato a non frequentare più la scuola. 
La mia vita aveva iniziato a spezzarsi quando, cinque mesi fa, iniziai ad avvertire continua nausea, acidità, disappetenza e cattiva digestione. Il medico mi aveva tranquillizzato, dicendo che la mia era solo gastrite. Nonostante seguii le cure da lui prescritte, quelle sensazioni non mi abbandonavano mai. Da allora iniziai a perdere peso, a rigurgitare parte di ciò che ingerivo. Solo quando decisi di sottopormi alla gastroscopia, due mesi fa, avevo scoperto troppo tardi del mio cancro allo stomaco con metastasi alle ossa.  
Una volta scoperto il tumore, il mio primo pensiero fu quello di non poter lasciare da sola mia madre. Era già stata abbandonata da mio padre, nonostante mi dicesse sempre che ci voleva bene e che saremmo rimasti sempre nel suo cuore, e sapevo che non ce l’avrebbe fatta se avesse perso anche me. 
Avevamo preso in considerazione l’idea di eseguire la tac, ma il medico l’aveva sconsigliata. Ci disse che avrebbe solo aggravato la metastasi e che avrebbe prolungato la mia sofferenza. Non avrebbe fatto granché nemmeno la rimozione dello stomaco, dato che ormai il tumore aveva intaccato anche le ossa. Sarei vissuto più a lungo, ma sarei stato molto male.
Avevo deciso di confessare di avere il cancro solo alle persone a cui volevo bene. Ricordavo ancora le loro facce sconvolte e afflitte che continuavano a tormentare il mio sonno.  Mi facevano stare così male. Mi faceva stare così male far soffrire la gente. Solo una persona mi aveva capito: Jason. Lui aveva semplicemente abbassato lo sguardo triste senza dire niente. I “mi dispiace” di Annabeth, i “è una cosa così ingiusta” di Piper e altri vari piagnistei non servivano a nulla. Cosa me ne facevo delle loro parole? Erano buone solo a farmi sentire più inutile, più morto che vivo. 
I miei amici erano venuti più volte a farmi visita, tuttavia avevo ordinato a mia madre di non fare entrare nessuno. Avevo tanta voglia di abbracciarli, però era meglio per loro se non mi avessero visto. Ormai ero solo il fantasma del vecchio Percy Jackson. Non era rimasto niente del ragazzo muscoloso, attraente, simpatico e divertente a cui si erano affezionati: la malattia mi aveva devastato sia fisicamente, sia caratterialmente. 
I miei occhi ormai lacrimavano, e la causa non era il cielo azzurro e luminoso che sembrava fissarmi con comprensione. 
Ribadii a me stesso che non c’era più niente che si potesse fare, niente che potessi dire, niente che potessi salvare. L’unica cosa che avrei potuto fare era quella di aggrapparmi al destino che qualcuno aveva scelto per me e aspettare. 
Non c’era più speranza. Non c’era più niente da imparare, se non smettere di vivere: non avrebbe avuto senso continuare a sorridere, ad amare. 
Non nel mio caso.  
– Percy... – la voce di mia madre mi riportò alla realtà e mi voltai verso di lei, quindi sgranai gli occhi quando la vidi in compagnia di Jason. 
Mi alzai velocemente, cosa che mi fece girare la testa. – Tu... tu avevi promesso che non avresti fatto entrare nessuno! – le rinfacciai con amarezza.
Lei non fece nemmeno finta di restarci male. – Hai bisogno di stare con un amico, Percy. – disse seccamente, dopodiché lanciò un’ultima occhiata a Jason e tornò dentro. 
Ci furono diversi istanti di silenzio in cui non potei non ammirare la splendida forma di Jason: i suoi capelli erano così biondi che la luce del sole cocente li illuminava fino a farli diventare chiarissimi, il suo viso bello e austero era pieno di vita, il suo corpo non era mai stato così possente. Nonostante fosse il mio esatto contrario, non provai nemmeno un pizzico di invidia. 
– Perché sei qui? Avevo detto che non volevo più vedervi. – dissi dopo un po’. 
– Credi di risolvere la situazione non facendoti vedere? Ti credevo diverso.– rispose tranquillamente Jason.
La sua schiettezza mi sorprese, come sempre, e non potei fare a meno di ammirarla. 
– Tu non capisci. – mi limitai a dire. Volevo solo concludere quel discorso, perché non avevo nessuna voglia di parlare.
– Capisco benissimo, invece. Pensi che non vedendoti più ti dimenticheremo e non ti penseremo più, no? Lo fai per il nostro bene. – espose con un sorriso quasi divertito. – Be’, sappi che stai sbagliando tutto.
 Non sapevo come replicare, dato che aveva riassunto benissimo i miei motivi, e una parte di me era consapevole di quanto stessi sbagliando.
– Senti, è meglio per me, per te e per gli altri se non ci vediamo. È una mia scelta. – spiegai, assumendo un tono che non ammetteva repliche. 
– No, non è meglio per nessuno, soprattutto per me e per te! – esclamò piccato, facendo fare al mio cuore un lieve balzo. – E sappi che la tua scelta è la via più stupida che tu potessi prendere, quella dei più deboli, e tu non sei un debole!
Avrei tanto voluto rispondergli a tono, dirgli di farsi gli affari suoi e farlo andare via, invece dissi: - Lo so, Jason, ma è anche la via più giusta. 
– Per chi è giusta, eh? Per te? – domandò, e stavolta il suo tono sembrò più addolcito. 
Feci per dire qualcosa, ma Jason non me ne diede il tempo.
– Senti, Percy, tu sei un ragazzo intelligente, e lo sai che stai commettendo un errore. Prima non me lo avresti mai permesso, ma adesso... consentimi di aiutarti. 
– Non ho bisogno del tuo aiuto. Mai. – dissi frettolosamente. 
– Lascia che io venga qui per stare con te. – continuò, ignorandomi. 
Ero combattuto: non sapevo se accettare o rifiutare; non sapevo se ignorare la sua richiesta o mentire dicendogli che no, non avevo mai avuto bisogno del suo aiuto e mai ne avrei voluto. Tenevo lo sguardo abbassato e mi sentivo scoppiare la testa a causa di tutta quella confusione, poi sentii la sua mano stringere la mia spalla. Il contatto visivo tra di noi fu inevitabile, e mai come allora mi sentii così vulnerabile. Sorrideva quasi con cautela, eppure quel piccolo sorriso gli illuminava ancora di più il volto. 
– Non è una buona idea. – dissi infine. 
– Vedremo. – ribatté senza perdere il sorriso. 
Non occorreva “vedere”, io sapevo già come sarebbe andata a finire. Una volta avuto, non sarei mai riuscito a cacciare via Jason da me. Sapevo che ciò che stavo per consentire fosse infinitamente sbagliato, ma una parte di me urlava di volerlo.
Lo guardai negli occhi per l’ultima volta prima di accettare la sua proposta e pregai ogni dio di mia conoscenza di non pentirmene, dopodiché annuii. A quel gesto, il suo sorriso si allargò con una spontaneità innaturale e un attimo dopo sentii le sue braccia stringermi. 
Avvertii il mio cuore battere selvaggiamente e per un solo istante non capii più niente: i ricordi tornarono nella mia mente più vividi che mai, così come i sentimenti che non provavo da mesi. Mi sentivo come se avesse aperto dentro di me un polveroso cassetto in cui erano celati i tesori più preziosi.
Una volta staccati, mi raccontò le novità dei tre mesi trascorsi senza vederci, inconsapevole del mio cuore che non la smetteva di battere tranquillamente. 
Mi parlò della prima insufficienza di Annabeth, delle conquiste di Piper, della nuova opera di beneficenza fondata da Grover e da Juniper, dei litigi di Clarisse, degli esperimenti chimici di Leo conclusi con un botto, tanto fumo e una F sul registro. Ero felice del fatto che le vite degli altri andassero avanti, ero felice che i miei coetanei potessero ancora angosciarsi per il rimprovero di un professore o che potessero essere di buon umore per la paghetta settimanale. Per loro c’era ancora speranza.
– Sai, Percy, la scuola insieme a te era davvero deprimente... – iniziò Jason, sorridendo scherzosamente.
– Ehi! – esclamai, fingendomi offeso. 
– ...ma adesso, senza te, frequentarla sta diventando insostenibile. – concluse con un sospiro. 
Ci guardammo per un istante in più del dovuto negli occhi e nessuno di noi distolse lo sguardo, nonostante ce ne fossimo accorti. 
– Sta diventando insostenibile il fatto che tutte le ragazze della scuola ti sbavino dietro? – chiesi sarcasticamente, cercando di sdrammatizzare. 
Jason arrossì di botto. – Non è vero. – borbottò, incrociando le braccia.
Non potei fare a meno di sorridere alla sua reazione: era come osservare un leone timido. Jason poteva apparire il più bello della scuola, il tipico ragazzo sicuro, il principe azzurro, ma in realtà era un timidone.
– Non mi hai detto come stai tu. – buttai lì. – Racconta le nuove imprese del grande Jason Grace. 
Vidi come la sua espressione diventò improvvisamente ombrosa. – Non c’è stata più nessuna impresa eroica per Jason Grace. Quell’eroe senza Percy Jackson è come... che ne so, avere il computer senza internet.
Afferrai la prima cosa che mi capitò in mano - il cuscino Tenerotto Panda Soft che avevo usato per sdraiarmi - e glielo scagliai giocosamente contro. Era così idiota, così stupido. 
Riuscì a strapparmi una risata, ma sentii le lacrime nei miei occhi che insistevano di uscire. Mi era mancato così tanto che non avevo nemmeno la forza di sopportare le sue idiozie. Non avevo più la forza di ascoltare le sue mezze verità.
Jason, naturalmente, evitò il cuscino e si avvicinò un po’ a me. 
– No, sul serio... mi sei mancato. – ammise. 
Sospirai e avvolsi le sue spalle larghe con un braccio. – Mi sei mancato anche tu.
 
                                       ***

Erano passati circa due mesi dal giorno in cui Jason mi aveva fatto visita. 
La malattia mi stava portando via lentamente e tormentosamente, ma lui faceva di tutto per tenermi ancorato in questo mondo. Da quella secca giornata, era venuto da me tutti i giorni, e se da un lato la cosa mi faceva stare bene, dall’altra mi faceva sentire in colpa. Non volevo che, una volta andato, lui stesse male. Non avevo bisogno di sopportare altre sofferenze. 
Quando era insieme a me cercavo di non pensarci uscendo fuori il vecchio Percy Jackson che aveva conosciuto tempo prima. Non parlavamo mai del mio tumore, lui mi trattava come se non ne avessi. Forse era quello il motivo per cui non riuscivo a dirgli di non farsi più vedere. 
Un giorno mi aveva proposto di tornare a vivere ciò che potevo ancora vivere, di dire ciò che potevo ancora dire, di creare ciò che avrei potuto ancora creare, di amare ciò che avrei potuto amare. Mi aveva offerto di tornare “come una volta”, di riprendere dal momento in cui avevamo iniziato ad avvertire dei sentimenti reciproci che andavano oltre l’amicizia, di non dimenticare tutto con quel piccolo bacio che ci eravamo scambiati quella che sembrava una vita fa. 
Avrei tanto desiderato farlo, volevo credere alle sue parole. Volevo che nel posto in cui sarei andato dopo, ovunque fosse, ricordassi dei momenti passati con lui e con la mamma. Volevo sorridere a quei ricordi e sussurrare tra me e me che, dopotutto, avevo vissuto una bella vita. Ma non potevo. Non potevo permetterlo. 
Una sconosciuta voce maschile e dei continui bip-bip mi svegliarono completamente dal mio dormiveglia. 
–... un mese, forse due. Non c’è altro da fare. 
Sentii qualcosa dentro di me rompersi, ma rimasi comunque immobile e non osai aprire gli occhi. Sapevo che se lo avessi fatto, avrebbero interrotto il discorso.  
– Ma è impossibile! Insomma, adesso cosa c’entra il fegato? – protestò Jason, come se non volesse credere a ciò che lo specialista gli aveva detto. 
– Ragazzo, questo paziente ha un cancro metastatico. I suoi organi si stanno ammalando, in particolar modo il fegato. Tutto quel liquido tumorale che si è ritrovato non dovrebbe sorprenderti troppo. – spiegò sgarbatamente lo specialista. 
Sentii un singhiozzo, e capii che mia madre stava piangendo. 
Ci fu un minuto di silenzio carico di indignazione verso il medico, poi avvertii i passi del dottore allontanarsi e il tipico rumore di una porta chiusa. 
– Signora Jackson, sono sicuro che Percy si salverà. Non consideri quel dottore... è un idiota. – disse Jason. Tuttavia, nella sua voce, percepii paura. 
Mia madre continuò a singhiozzare, e altri passi mi fecero capire che anche lei era andata via. 
Continuai a tenere gli occhi chiusi per impedirmi di non crollare: sapevo di non poter sostenere lo sguardo di Jason, in quel momento.
Qualcosa di caldo toccò delicatamente la mia mano fredda e la avvolse: era la sua mano. Non mi stringeva forte, eppure quel tocco mi provocò qualcosa di molto simile a una scarica elettrica e mi sentii più adrenalinico che mai. Poi mi resi conto della sua fronte premuta sulle nostre mani che iniziavano a bagnarsi. 
Aprii lentamente gli occhi. 
 – Cosa ti stai permettendo di fare, Superman dei poveri? – chiesi con sarcasmo, cercando di eliminare la tensione che riempiva la stanza.
I suoi occhi lucidi si posarono di scatto su di me, preoccupati, tristi e smarriti. – S-sai, anche gli eroi hanno delle debolezze, altrimenti che eroi sarebbero? – riuscì a dire con un piccolo sorriso. 
Ammirai il gesto di non asciugarsi le lacrime. Per una volta, Jason aveva deciso di mostrare la sua parte vulnerabile, il ché non voleva dire che non fosse un vero uomo. 
– Okay, ma non voglio che io sia una tua debolezza. – replicai, poi tolsi delicatamente la mia mano dalla sua e gli diedi una piccola carezza sul viso.
Fece per dire qualcosa, ma io lo anticipai. 
– Ho sentito il dottore, Jason, e adesso devo chiederti di fare una scelta. Se per te tutto questo sta diventando insostenibile... allora non venire più. Se stai male... be’, sto male anch’io, quindi non concluderemo molto. Se vuoi che io stia bene, devi essere tu a decidere. – dissi con determinazione. Mi spaventava immaginare i miei giorni senza lui, ma, almeno, avrei avuto la coscienza pulita.
Lui mi fissò come se avessi sputato fuori l’idiozia più grande del mondo, si alzò e, una volta evitati i vari macchinari, avvicinò pericolosamente il suo viso al mio, tanto che sentivo il suo respiro caldo diffondersi sulla mia pelle.
– Piantala. Dio, piantala di farti del male. – mormorò. – Io ci sarò. Ho promesso a me stesso che avrei fatto in modo di farti vivere ciò che meriti vivere, Percy, non cioè che ti rimane di vivere. Non permetterò che tu te ne vada senza che io ti abbia convinto, chiaro? – aggiunse poi, con disperazione e con esigente speranza. 
Poi, prima che potessi replicare, le sottili e morbide labbra di Jason fecero pressione sulle mie, secche e spaccate. Mi sorprese così tanto che per un folle istante pensai di respingerlo, ma quando la sua mano si posò delicatamente sulla mia testa a scompigliarmi teneramente i capelli, mi diedi del matto per quell’idea. Rimossi la distanza rimasta tra di noi appoggiando le mie mani sulle sue spalle e attirandolo a me, mentre risposi al bacio liberando tutti i sentimenti che avevo deciso di reprimere per il bene di tutti: disperazione, amore, paura, il bisogno di lui. Solo in quel modo riuscivo a essere me stesso, e sapevo di averlo scoperto troppo tardi.  
Ci staccammo solo quando venne a mancarci il fiato. 
Notai con divertimento come Jason fosse diventato improvvisamente imbarazzato. Si era messo nuovamente al suo posto e cercava di fondersi con il pavimento, a giudicare dal suo sguardo rivolto a esso. 
Comunemente, la gente si fiderebbe soltanto della tipica persona sicura di sé, quella forte sia dentro che fuori, ma io mi sentivo protetto da quel ragazzone dalle guance scarlatte. Avevo sempre criticato i protagonisti dei film quando dichiaravano - con tanto di sospiri melodrammatici - quanto si sentissero protetti dalla loro dolce metà, ma in quel momento li capii davvero. Sapere che lui ci sarebbe sempre stato per me era paragonabile all’avere il tallone di Achille: mi sentivo invincibile, forte, sicuro, ma ero consapevole di quanto fosse precaria la situazione. Sapevo che Jason non sarebbe stato permanente perché io stavo per abbandonarlo. 
Fu quello il momento in cui Jason mi convinse a vivere quel poco che mi restava, perché io lo meritavo. Dopo troppo tempo mi sentivo di nuovo vivo, sentivo di nuovo qualcosa dentro di me scuotersi in cerca di nuove sensazioni, come se Jason avesse riaperto un altro dei cassetti dentro di me che avevo deciso di sigillare e di dimenticare. 
Fu quello il momento in cui capii di aver bisogno di qualcosa per ritornare a essere felice. 
Era semplice. 
 
                                      ***

Io e Jason eravamo seduti vicini, mano nella mano, e sorridevamo. Eravamo così felici e sereni.  
Poi, all’improvviso, vidi un’ombra scura squarciare la brillantezza del cielo azzurro e scendere su noi come se si muovesse a rallentatore. La mia espressione era rassegnata, una volta vista, mentre quella di Jason diveniva sempre più distrutta. 
Quell’ombra emanava soprattutto un sonno inebriante, gelo, disperazione, ma anche sollievo. 
Ero già consapevole per chi avesse deciso di far visita, ma Jason no: lui continuava a fissarla con stupore, terrore e dolore. 
Quando mi  raggiunse, l’oscurità iniziò ad avvolgermi lentamente e delicatamente. Il suo tocco era simile a quello delle delicate onde marine, solo che queste mi provocavano così sonno... 
Jason mi strinse forte la mano, così mi ripresi dal torpore. Notai come le tenebre erano arrivate ad avvolgermi fino al busto, notai Jason aprir bocca senza però emettere alcun suono, notai il mio silenzio così rumoroso, la mia immobilità così movimentata. 
Lasciai che esse mi avvolgessero completamente, e quando esse non mi permisero vedere più Jason, mi svegliai di botto. 
Ero sudato, terrorizzato e senza fiato. 
Percepii un dolore lancinante al cuore, il quale batteva lentamente. Troppo lentamente. 
Il panico arrivò velocemente per poi andarsene così com’era venuto, e a sostituirlo fu la stessa rassegnazione che avevo provato nel sogno.
Era arrivato il momento.
– Mamma! – riuscii a biascicare, poi avvertii un’altra fitta al cuore nemmeno lontanamente paragonabile alla prima, da quanto fosse dolorosa. 
– Percy! Stanno arrivando i dottori. Calmati, calmati, ti prego. – supplicò mia madre, cercando di non piangere. La sua voce era così vicina, eppure solo dopo un po’ la vidi accanto a me. 
 Sentii altri indescrivibili dolori e  iniziai a contorcermi dalle sofferenze. 
– Jason... dov’è Jason? – non seppi se avessi gridato, sussurrato, o se lo avessi solo chiesto a me stesso. 
– Sono qui, Percy, okay? – mi tese la mano. – Sono qui. – probabilmente la mia era solo un’illusione, tuttavia per un attimo il tormento si fece meno straziante. 
Avrei tanto voluto cadergli tra le braccia. – Eccoti, Jason. Eccoti. – mormorai, mentre stringevo forte la sua mano a causa del dolore che provavo e perché, nonostante stessi per morire, ero felice che lui fosse lì. Me lo aveva promesso. Aveva promesso che ci sarebbe sempre stato, ed ero così angosciato dal fatto che io non potessi promettergli lo stesso. 
In quell’ultimo mese, Jason era riuscito a farmi vivere come una volta. Mi aveva portato a Central Park; mi aveva accompagnato a vedere l’ultimo film di Hunger Games; mi aveva convinto a farmi vedere un’ultima volta da Annabeth, da Frank, da Piper, da Nico, da Leo, da Grover e Juniper. 
Fu Jason la persona che riuscì a farmi vivere i miei ultimi momenti di speranza; grazie a lui avevo ricevuto quello che meritavo di avere e avevo dato ciò che le persone che amavo meritavano. Avevo colto l’opportunità che mi aveva donato di dire ciò che non avevo detto, di fare ciò che non avevo ancora fatto. 
Avevo salvato ciò che potevo salvare.
Era così semplice, grazie a Jason. 
Era così semplice imparare ad amare, a sorridere, a guardare ciò che non avevo ancora visto. 
Era così semplice vivere, nonostante tutto. 
Tutto ciò di cui avevo bisogno era l’amore, e io lo avevo trovato in Jason. 
Grazie a lui, la mia anima era in pace. Ovunque fossi andato, i ricordi lui, della mamma e dei  miei amici sarebbero rimasti indelebili. 
Grazie a lui, la mia vita scorreva veloce come un lampo, e i momenti che avevo vissuto erano i più belli della mia breve esistenza: le carezze più dolci di mia madre e le nostre giornate a Montauk, l’unico giorno che incontrai mio padre, le idiozie compiute con i miei amici e i nostri incontri, il primo bacio con Jason, il giorno in cui mi aveva fatto visita, il giorno in cui avevamo preparato una torta insieme, le nostre risate, i nostri baci, le nostre lacrime, i nostri silenzi. 
La mia mano stringeva con dolorosa forza la sua, e lui faceva altrettanto con la mia. Desideravo tanto restare aggrappato nel suo mondo, mentre lui voleva venire insieme a me in un mondo nuovo. 
– Jason... – sussurrai, i denti digrignati dal dolore. – Io... tu lo sai. Lo hai sempre saputo. Ricordatelo... sempre. 
Avevo la vista offuscata, tuttavia lo vidi annuire. – Lo sai anche tu, Percy. – disse con voce spezzata. 
Allentai la presa, ma non mollai la sua mano. Cercai di contorcermi il meno possibile per ammirarlo un’ultima volta. I capelli biondi e corti; gli occhi all’inizio freddi e distaccati, di quelli che squadrano dalla testa ai piedi per trovare solo imperfezioni che poi ero riuscito a capire: in realtà erano accoglienti, erano caldi come i pomeriggi primaverili, erano pieni di vita e d’amore;  le sue labbra morbide e sottili che di volta in volta si increspavano in un piccolo sorriso; il suo corpo forte; la sua forza d’animo; la sua gentilezza; la sua dolcezza. 
Non avrei dimenticato niente dell’eroe Jason Grace e delle nostre imprese, in particolare l’ultima. 
Capii di essere stato fortunato a incontrare un eroe come lui. 
Capii che se non fosse stato per lui, probabilmente sarei morto tempo prima, ma dentro. 
Capii di aver sempre voluto che l’ultima immagine della mia vita in questo mondo fosse l’amore, e in quel momento esso mi guardava negli occhi, e continuò a farlo anche negli ultimi secondi della mia vita. Senza dire niente, aveva promesso che un giorno ci saremmo rincontrati. 
Sentii il suo sguardo su di me persino quando avvertii un’improvvisa e singolare leggerezza e l’unica cosa che vidi per un tempo indecifrabile fu l’oscurità infinita. 


 
Note noiose dell'autrice 
Bene, questa è la prima AU che scrivo e devo dire che non è stato semplice.
È stato un po’ impegnativo fare ricerche sul cancro allo stomaco e ammetto di non essere stata specifica per il semplice fatto che non mi piace molto approfondire questo tipo di argomento e comunque non credo che avreste gradito i dettagli. L’OS, inoltre, è ispirata alla canzone “All you need is love” dei Beatles e credo di essere stata estremamente fortunata, dato che AMO i Beatles e la canzone. Vi sono diversi riferimenti a essa e ho fatto in modo che fosse sempre presente, infatti è anche grazie ad essa che esiste questa fanfiction xD
I personaggi sono l’unica cosa che effettivamente non mi convincono, e credo sia questa una delle pecche di scrivere un’AU. Non sono sicura dell’IC, per niente. È una situazione delicata quella che stanno attraversando, soprattutto per Percy, e non credo abbia senso descriverlo come invulnerabile e col perenne sorriso sulle labbra.
Non lo so, proprio non lo so.
E niente, dopotutto sono fiera di me soprattutto per aver scelto la Jercy. Purtroppo non è molto conosciuta nemmeno nel fandom americano e qui su Efp credo ce ne sia solo una, quindi spero di accontentare le povere fangirls e spero con tutto il cuore che piaccia. 
 
Efthalia

 

  
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