Stringe le sue mani come se non volesse lasciarlo andare.
Curioso, eh?
Hinata è già lontano migliaia di chilometri. Sono pochi centimetri a separarli, fisicamente, quando in realtà le mani piccole e rosse /ancora sudate/ che stringe non appartengono più a questo mondo già da qualche minuto.
«Hinata- » esala, e stringe più forte le sue dita lunghe (ha delle mani così belle, Hinata, senza i calli di chi la pallavolo la respira) nel suo palmo gelido. No.
Non può essere successo.
Non adesso, non qui, non ad Hinata-
È davvero Hinata? Adesso la pelle e i vestiti sono le uniche cose a tenerlo insieme. Tobio non lo accetta, non vuole, non ci arriva- ma non c'è più vita sotto quel viso contratto dal dolore, negli occhi color del vetro che prima tanto amava /ed erano spalancati su un futuro brillante, invece che sul vuoto. I capelli rossicci si stanno rapidamente scurendo, impastati d'olio per motori e- non può essere sangue, quello, no.
La sua bici giace a terra, lì accanto. Fracassata. Rotta. A pezzi. Come Shoyo, come Tobio che lo stringe disperato e ha ancora voce per chiamarlo.
«Hinata!»
Qualcuno sta urlando. Distrattamente, pensa di poter essere lui, l'origine di tanto scompiglio, nonostante abbia la bocca chiusa. Quando realizza che si tratta di Yamaguchi e Noya, non importa già più.
Lui è qui.
Non può essere andato via. No. Sta tornando a casa con la sua bicicletta, non si è girato a guardarlo, non sta ignorando il suo richiamo tardivo- ha notato quella macchina e non ha preso il volo, come fa di solito sul campo, non è atterrato con quel rumore orribile che proviene dal suo collo. No.
E Tobio, che era lì davanti, non gli è corso incontro urlando come un ossesso.
Nessuno ha visto.
... mi chiedevo se domani sarai ancora in giro a scandalizzarci con quella tua orribile faccia.
«Shoyo! Hinata! Resta qui, okay, non andartene? Me lo- »
Non finisce la frase, scuotendolo di nuovo. Ormai ha le mani rosse, cremisi, scarlatte; le sente bruciare, come soda caustica, e il- l'olio per motori gli scende giù per i polpastrelli corrodendoli. Sono mani da alzatore, queste. Non possono permettersi nulla che non sia la palla, o la pelle candida di Hinata. L'acido le mangia
e non gli interessa.
«Kageyama! Vieni via! Vieni via da lì!»
Qualcuno gli sfila Hinata dalle braccia. Sparisce tutto /il sudore, l'olio, i muscoli rilassati e le sue mani/
Tobio non grida.
Non più.
Guarda quella massa indistinta allontanarsi nel sole calante, sente l'aria densa riempirsi di sirene, sprofonda in un'incoscienza nera dalla quale può tornare.
Allora a domani, Kageyama!
Le cicale stridono lamentosamente.
Il nero crepita e tira.