Accordi tra amicizia e amore
La sveglia suonò parecchio, prima che Johnathan
si decidesse a premere il pulsantino tra le due campanelle. Odiava dannatamente
quella sveglia babbana, come se non ci fossero cento mila altri modi per poter
essere svegliati. Eppure continuava a tenerla e caricarla ogni sera, perché
quello era il regalo di compleanno della sua migliore amica Dakota, una
Corvonero dai folti capelli castani che scendevano ricci lungo la schiena.
Non è meravigliosa questa invenzione babbana?
Così non farai tardi come tuo solito! Gli aveva detto con quel sorrisino sornione che
adottava quando sapeva di infastidire l’amico. Johnathan si era sempre chiesto
come una purosangue avesse anche solo lontanamente potuto apprezzare quell’orrenda
invenzione. Non che lui odiasse il mondo babbano, di cui i suoi nonni paterni
facevano parte, ma di tutte quella era la diavoleria che più detestava. Era
evidente che trovava contro natura alzarsi al mattino, tuttavia le lezioni
chiamavano e lui doveva mettere i piedi fuori dal letto.
E perché mi dovrei svegliare così presto? Oh ma
certo! Rune Antiche!!! Io ho deliberatamente scelto di seguire questo
stramaledettissimo corso per chi? Per Dakota!!! Cosa non si fa per l’amicizia!
Sospirò ed andò a prendere i suoi indumenti così da farsi
trovare in Sala Grande il prima possibile. Dakota detestava perdere anche un
solo minuto di quella lezione.
Quando arrivò in Sala Grande si trovò davanti la Corvonero
con un sorrisone a trentadue denti.
“Buongiorno! Non è meravigliosa la giornata di oggi,
Johnnino?!” Al ragazzo vennero i brividi. Non solo la giornata era tremenda –
un burrascoso giorno invernale in cui la bufera non lasciava intravedere nulla
dalle vetrate del castello- ma quel “Johnnino” era quanto di più effemminato
Dakota avesse mai potuto inventarsi! Johnathan si sistemò meglio la camicia
dentro i pantaloni, e intanto borbottò un “Magnifica…”, fingendo un sorrisetto
interessato.
“Oh, guarda chi c’è! Scheletro Sgorbit ha messo fuori dalla
torre il suo muso allampanato?!” Due ragazze della Casa Serpeverde
ridacchiarono tra loro, per poi fare un occhiolino a Dakota e infine rimettersi
a spettegolare tra loro.
“Ah-ah, molto divertente…” mugugnò imbronciato Johnathan, che
cominciò ad avvicinarsi al tavolo dei Grifondoro per mangiare. “Un giorno mi spiegherai
cosa ci trovi di tanto interessante in Margherita Marchan e Sidney Mallow.” Ci
pensò un momento. Ehi! Marchan-Mallow, Marshmallow! Ora sì che la giornata
andava a gonfie vele! Non avrebbe più mangiato quei gommosi dolcetti senza
ricordare di quelle insopportabili ragazze.
“Non sono poi così male se le conosci meglio, ma da quando
hai lanciato loro quelle caccabombe cosa pretendi, che ti stendano il tappeto
rosso sotto i piedi?” Rimbeccò Dakota, che si sedette al suo fianco e cominciò
a prendere una fetta di torta ai mirtilli e succo di zucca. Johnathan la guardò
di sottecchi. Oggi era davvero carina con quel nastro tra i capelli, gli occhi
verdi incorniciati dal kajal nero. Era molto più bassina di lui, proporzionata
al punto giusto e con le forme generose. Lui invece era alto 1.90, nonostante i
suoi sedici anni, e talmente magro da meritare il soprannome di “palo da
Quidditch”. Non era un problema per lui, che comunque attirava un discreto
numero di donzelle, anche se solo per la curiosità di capire come si potesse
baciare una persona tanto alta. Ciò che lo infastidiva non poco era l’arroganza
di quelle due oche giulive che di certo non brillavano per beltà, almeno per i
suoi canoni.
No, lui adorava corpi proporzionati, lineamenti fini, occhi
verdi…
“…Mi stai ascoltando John? Non hai toccato nemmeno un tozzo
di pane e tra poco c’è la lezione di Rune Antiche! Ti ho preso qualche dolcetto
alle mandorle, li mangerai durante il tragitto.”
Poco male, pensò Johnathan. I
suoi sogni ad occhi aperti non avrebbero portato a nulla.
Il giovane Grifondoro si pietrificò a sentire il proprio
nome. Deglutì e lentamente abbassò la mano. La sua mente cominciò a galoppare
alla ricerca della risposta giusta, mentre lo sguardo si fiondò sulla lavagna.
“La similitudine…” un leggero sussurro alla sua sinistra gli diede l’imput:
“Certamente, Professoressa. L’uno è il numero dell’unicità, mentre il nove è il
numero che viene dopo l’otto, che simboleggia l’infinito. Il nove, invece, è il
numero della permanenza, che non si trasforma mai veramente e quindi richiama
l’unicità dell’uno.”
“Bene! Cinque punti a Grifondoro!” approvò la professoressa per poi continuare
la spiegazione.
Johnathan sentì uno schiarirsi di voce accanto a lui. Era
Dakota che lo guardava con il suo solito sorrisino sornione, come a dire “A chi
devi ringraziare?”
Il ragazzo le sorrise ed annuì, con la promessa di
ringraziamenti futuri e profusi. Se non fosse stato per lei, che lo costringeva
a studiare quell’odiosa materia ogni santissima volta, di certo non avrebbe
saputo rispondere. Per sua fortuna la memoria non gli aveva mai fatto lo
sgambetto e la passione per l’aritmanzia, utile a quel proposito per quanto
riguardava le simbologie dirette e traverse, gli era valsa l’approvazione della
sua amica e degli altri Grifondoro presenti.
Johnathan stava guardando la vetrata della Sala Grande e
prestava un orecchio a quanto diceva Dakota e l’altro al rumore della bufera
sempre più impetuosa. La saccenza di Dakota non era una delle sue virtù, e
nemmeno la sua logorrea, ma per una volta non dava fastidio al Grifondoro.
Intanto però aveva smesso di prestarle attenzione e continuava a guardare la
bufera.
“John?! Mi ero dimenticata di dirti! Guarda cosa mi hanno
mandato i miei genitori!” Johnathan sentì sulle sue mani qualcosa di peloso e
morbido e fece un salto dalla panca, finendo a gambe all’aria con la schiena
per terra. “Ma che diavolo..?” Si ritrovò sul petto una pallina color indaco
con sfumature azzurre, gli occhioni dall’espressione paciosa. “Toglimi questo
schifo di dosso…” bisbigliò rivolto a Dakota, gli occhi puntati su quel
concentrato di tenerezza. “Certo, potrebbe infettarti, nevvero? Vieni Ninive,
John non capisce un acca di cose carine.” La ragazza prese in mano il batuffolo
e sdegnosa si rivolse a Johnathan, senza tuttavia guardarlo. “E’ un Puffskein, comunque. Non uno schifo.”
“Certo, certo, però non mettermelo
più così vicino.” Ribatté piccato Johnathan, che intanto si era rimesso in piedi.
Si stiracchiò alzando le braccia sopra la testa e sbadigliò. “Mi preparo per la
lezione di Pozioni, ho ancora delle cose da prendere in camera.”
“Sì…” rispose Dakota, intenta ad accarezzare la sua
Puffskein. Johnathan prese la propria borsa in pelle e cominciò ad andarsene
verso la torre. “Ah John!” sentì chiamarsi.
“Ehi…” Si girò il ragazzo. Dakota non lo guardava negli
occhi, così concentrata in ciò che stava facendo. “C’è una festa sabato sera,
l’hanno organizzata quelli di Tassorosso. Se non hai niente da fare che ne
diresti di andarci insieme?”
Johnathan guardò molto attentamente l’espressione di Dakota,
i suoi occhi grandi ed espressivi, il disegno delle labbra sottili dischiuse.
Si passò una mano tra i lisci capelli castani e con un accenno di risata nella
voce rispose: “Consulterò la mia agenda, mademoiselle.” Dakota alzò gli occhi
verso di lui e fece una smorfia, per poi salutarlo. “Ci vediamo a pranzo, uomo
dai mille impegni!”
Johnathan sorrise e si voltò, nuovamente in cammino per la
torre.