Introduzione:È
la storia, interpretata da me, del
giorno in
Chester Bennington, vocalist dei Linkin Park, se sentì male
mentre era a casa con
sua moglie e dovette essere portato all'ospedale.
Non sono sicura delle fonti di questo fatto ma ho avuto voglia di
costruirci su
una storia che risaltasse anche
l'amicizia tra due componenti: Mike Shinoda e Chester Bennington.
Volevo
anche descrivere come si sentisse il nostro Chazy Chaz prima e dopo
l’esperienza...beh
anche durante XD così per chi non capisse di chi o cosa si
sta parlando dico a
tutti che il personaggio in quei momenti ricorda gli abusi subiti
durante la
sua infanzia T_T (ho scritto la storia come se fosse il padre ad aver
abusato
di Chester ma in realtà non era lui)
Spero
che vi piaccia commentate in tanti ^^
Era
una giornata NO per Chester Bennington. Anzi, sarebbe stata una
giornata NO per
Chester Bennington...
Bellissima
e splendente con un cielo limpidissimo ma anche una di quelle giornate
che ti
cambiano la vita e ti lasciano il segno...un segno profondo e
soprattutto permanente.
Mike
Shinoda si era svegliato con un perfetto ritardo per andare in studio e
grazie a
quel sole brillante i cui raggi gli colpivano la faccia era riuscito a
capire
che erano almeno le undici passate.
Tanto
passate.
‘Questo
mi costerà una cena da Mc Donald’s per
tutti...’ pensò un po’ seccato mentre
metteva il portafoglio in tasca ‘ bè oggi ho
proprio voglia di Mc Donald’s’
concluse di botto. Era una cosa tipica di Mike Kenji Shinoda, ovvero
Shinizle
come lo chiamava il suo DJ... non si scoraggiava mai quel ragazzo dai
lineamenti orientali, era un dono... anche se delle volte risultava
assai
imbarazzante essere gasato per un’idea che tutti trovano
alquanto noiosa.
Ma
quel giorno o meglio, a quell’ora che poi verrà
nessuno che conoscesse Mike
avrebbe mai detto che riuscisse ad essere cosi sensibile...vulnerabile
e allo
stesso tempo forte quando NESSUNO
aveva il coraggio di esserlo.
Forse
è contraddittorio ma Mike è un ragazzo che ti
riusciva a sorprendere sempre.
Dopo
una veloce colazione rigorosamente a base di frutta che aveva preparato
Anna,
Mike uscì con la brezza californiana che gli scompigliava i
capelli castani...
12:47
“A
quanto pare mancano solo Chaz e Mike, noi possiamo anche cominciare
no?”
suggerì Brad, il chitarrista, mentre girava sulla poltrona
girevole
sgranocchiando patatine a non finire “Cipster is
now!!”urlò poi.
“Quei
due non si degneranno mai di arrivare puntuali per una
volta!” commentò Joe
sbirciando il suo orologio.
“Non
possiamo andare avanti quindi...” Dave fisso Brad e si mise a
ridere.
“Yuppi!!”
esclamò Brad dandosi una spinta con il piede per girare
veloce.
“Tu
rimarrai in eterno a girare su quella sedia...”
commentò poi Dave
“che
tra l’altro è mia” lo interruppe il loro
manager.
Dave
riprese più divertito “finche Chester non
arriverà con le chiavi della nostra
sala prove”
‘Giornata
tipo’ pensò Rob fissando un punto vuoto
‘registrazione in ritardo, Brad si sta
per suicidare o di infarto per obesità o perché
cadrà da quel coso, Joe si
lamenta, Dave inizia con il sarcasmo e Jay sta seriamente pensando di
buttar
giù dalla sua poltrona Brad...’ a
quest’ultimo pensiero rise tra se e se.
Rob
era forse uno dei pochi componenti “normali” della
band, il ragazzo timido e
riservato, il più piccolo... in età,
perché Rob sebbene fosse quello giovane
era quello più alto e atletico tra i sei amici. Troppo
maturo e troppo bravo
con la batteria per la sua età Rob si era ritrovato a
cercare amici più grandi
di lui, ecco come aveva conosciuto Mike, in realtà era Mike
che veniva a sentirlo
suonare ai tempi del liceo con una faccia da fesso allibito e Rob se ne
compiaceva e anche tanto, anche se non lo dava a vedere...alla fine
erano
diventati ottimi amici.
Ma
non così amici come Chaz e Mike, Chaz era l’ultimo
arrivato, ‘la new entry’ della
band e anzi che essere quello più sulle sue era risultato il
più socievole
attirando subito l’attenzione del MC.
Erano
come gemelli differenti uno
dall’altro in qualsiasi tipo di particolare ma identici sotto
ogni punto di
vista...Mike e Chaz.
Era
stato il fato, era stato il fato quello che aveva fatto sognare a Chaz
il suo
migliore amico.
Chester
la considerava una fissa questa cosa del fato ma ‘era bello
lasciare un po’ di
mistero a questo mondo ’ si ripeteva, lo emozionava
tantissimo...ma forse ci
credeva solo se di mezzo c’era Mike, per lui era speciale
quel fottutissimo
ragazzo, così speciale da sognarlo subito dopo la sbornia
che ci aveva fatto. Beh,
così non sembrava tanto speciale...
“Sam
hai intenzione di farmi morire prima di svegliarmi?”
sussurrò Chester
Bennington al suo cane che gli leccava tutta la faccia.
Se
ci pensate però è una domanda terribilissima da
fare...
Il
cucciolo di Draven continuava perennemente a lavare il suo padrone
però, mentre
Sam dormiva beata di fianco a suo marito.
“L’abbiamo
già fatto ieri sera, tesoro lasciami dormire...”
continuò il cantante
semiaddormentato rigirandosi tra le lenzuola mentre il cucciolo di
Draven
continuava nella sua impresa.
Era
il regalo di compleanno di Draven, Mike l’avevo portato su
richiesta dell’amico
e Chaz l’aveva nascosto nell’armadio, non era molto
carino da fare ma doveva
tenere nascosto il cane per un giorno a costo di farsi ammazzare da
Samantha
per qualche vestito strappato dal regalo di compleanno di suo figlio.
‘Papà
voglio il cane della Scottex!!’ ripeteva in continuazione,
così Chaz gli aveva
preso il Labrador Retriver.
“Papaaaaaaaaaaaà...sveglia,sveglia,sveglia!!”
urlò Draven entrando in camera e piombando tra i due sul
letto.
“Hey,
buongiorno ometto!” disse alzandosi a sedere e nascondendo il
cucciolo sotto le
lenzuola “dormito bene?” domandò per
distratte il figlio dall’insolita
protuberanza che scodinzolava tra le gambe.
“Eh,si...
ma Mike e Joe ridevano troppo, erano ubriachi
papà?” domandò il piccolo
‘m’è
uscito troppo intelligente per avere tre anni, Dio’
pensò Chaz sorridendo.
“No.
Erano felici...felici perché...”
“Perche
oggi divento grande, giusto?” disse entusiasmandosi
“tre anni!!” continuò
mettendo davanti alla faccia del padre la sua mano con le tre ditina
piccole.
“TRE
anni a svegliarmi nel cuore della notte per i mostri
nell’armadio e i fantasmi
in soffitta!!” esclamò Chaz sotterrandolo tra i
cuscini e facendogli il
solletico.
“Oh,
Chaz gli fai male!”, Sam si svegliò per le risate
del figlio, ma anche se rideva
si sa che le madri non approvano i giochi troppo movimentati tra padre
e
figlio.
“Ma
se ride... guardalo come ride!!” rispose Chaz senza
interrompere con il figlio.
“Chaaaz”
“Ok,
ricevuto” lasciò il piccolo “vai a
giocare di là” aggiunse facendolo scendere
dal letto.
Draven
era il suo angioletto, il suo unico figlio a cui voleva bene come solo
un padre
può fare... se gli fosse successo qualcosa sentiva che
sarebbe morto, avrebbe
dato tutto per suo figlio.
Mike
era in coda nella cassa del mini-market meno MINI che avesse mai visto
in tutta
Los Angeles. Sembrava più il Wallmart... ‘da
perdersi anche con il navigatore’
pensò.
Era
entrato a prendere da mangiare ai ragazzi, altrimenti non lo
perdonavano più
per l’ennesimo ritardo da sbornia della domenica sera.
Sarebbe
arrivato per l’ora di pranzo comunque così
pensò bene di telefonare a Chester,
ieri sera a casa sua si erano ubriacati perfino troppo, ma era stato
divertentissimo fare a gavettoni con la birra... “idea
brillante di Joe”,
sembravano proprio ragazzini a volte.
“Come,
prego?” chiese la commessa guardandolo male.
“Niente...”
rispose allarmato con il cellulare in mano e il sottofondo di
beep-beep-beep.
“Pronto?”rispose
Chester a tavola.
“Hey,
allora Draven ha già visto quel adorabile cucciolo che mi ha
pisciato sulle
scarpe ieri?”
“No...
Sam ci metti il miele, tesoro?...è occupato a giocare con il
videogioco che tu
gli hai regalato mentre facciamo colazione!”
“Ma
sei ancora a casa?” chiese Mike sbigottito “Oh,
amico... i ragazzi ti fanno
fuori!”
“I
ragazzi, ma oggi non è domenica?” Gli si gelava il
sangue alla sola idea di
essere in ritardo senza nemmeno saperlo “Ok, calma
Chester...ritardo
involontario, sei in studio tu?”
Mike
poteva benissimo dirgli di ‘si’ per fare disperare
ancora di più il suo amico
ma decise che forse era meglio soffrire in due le pene
dell’inferno di Jay e il
coniglio della Warner Bros, Bugs Bunny.
“Ritardo
‘involontario’ anch’io, ma credo che
arriverò prima di te, passo...?”
“Va
bene, non importa, io appena riesco a far capire a Draven che devo
andare a
lavorare sono con voi” rispose l’altro
interrompendo Mike.
“allora
non passo a prenderti, sei nelle mani di un bambino di due
anni...”
“tre anni!!” lo
corresse Chaz.
“...tre
anni...” ripeté assente Mike.
Gli
era venuto un brutto presentimento...
Come
nei film horror in cui il protagonista ha una visione terribile del
futuro e
nessuno gli crede... come se qualcosa quel giorno dovesse andare male,
troppo
male, ma non era certo cosa per esattezza.
“Chester...”
“Si?”
“Sta
attento... per favore, ci vediamo” e riattaccò un
po’ allarmato del suo
comportamento stesso.
Il
cantante rimase immobile con il cellulare tra le mani e il respiro
mozzato. Si
era spaventato...non sapeva perché ma quelle quattro parole
messe in croce
l’avevano fatto stare male. Come se da loro dipendesse il suo
futuro o perfino
qualcosa di più importante. Soprattutto se dette da Mike
avevano più
importanza, quel senso di benessere e voglia di fare l’aveva
lasciato con una
telefonata.
Richiamare
il passato è una delle cose che ci rende speciali
perché ognuno ne ha uno
diverso, a volte si
incrociano i
ricordi, delle volte rimangono piatti e come protagonista ci sei solo
tu e la
tua coscienza che lotta contro i tuoi sentimenti.
A
Chester succedeva spesso di ricordare quel presente o quel passato
trascorso in
una stanza buia, isolato da tutto e tutti tranne che dalla sua ombra
che
lentamente scompariva, con le lacrime che gli rigavano il volto lucido
per il
sudore freddo e con la paura come unica amica consolatrice, sperava che
un
giorno fosse tutto finito ma più sperava più si
rendeva conto che nessuno
l’avrebbe salvato mai da se stesso e da lui,
la persona che da un giorno
all’altro aveva reso la sua infanzia un inferno, un calvario
eterno.
Si
sentiva malissimo, per ben cinque minuti era rimasto a fissare il suo
cellulare
senza toccare cibo tra le occhiate perplesse di Samantha e si salti di
gioia di
suo figlio Draven in salotto.
“Samy
devo andare a lavorare oggi, mangerò qualcosa per
strada” aveva detto.
Non
poteva dare a vedere che stava male proprio quel giorno, si era
sforzato
tantissimo perché quella frase sembrasse o avesse lo sfondo
più normale
possibile ma a lui sembrava tutto così falso anche se Sam
non se ne era accorta
“vado a parlare con Drave... spero che non ci rimanga
male.”
Così
si diresse verso suo figlio e mentre percorreva quel lungo corridoio ad
ogni
passo si sentiva più e più debole pensando che
quel percorso fosse lo stesso di
anni fa, tenendo a mente quell’odore di alcool che lo drogava
sempre di più ad
ogni singolo passo fatto nel corridoio di casa sua. E con i nervi
assopiti...iniziava a piangere senza comandare alle gambe di
fermarsi...oscillando incerto arrivava sempre al punto di rompere quel
silenzio
mostruoso con i singhiozzi ma non arrivava mai a quello di trovare il
coraggio
e la forza per voltare le spalle a quella porta e...scappare.
Scappare
da una persona che gli avrebbe dovuto voler bene, suo padre.
Un
altro ricordo...
All’improvviso
fu abbagliato dalla luce che filtrava dalle finestre e bastò
che suo figlio lo
salutasse per strappargli un sorriso da quei sei minuti più
realistici e
orribili che gli fossero capitati da tempo.
Da
molto tempo...
“Draven...”sussurrò
appena vide il piccolo venirgli contro, guardandolo pensò
che suo figlio era
forse più forte di lui in quel momento.
“Si?”
“Ti
voglio bene” anche questa volta sussurrò come se
avesse paura di svegliare
qualcuno, forse quel Chester Bennington che in quel momento voleva
rompere in
un pianto silenzioso per dimenticare.
“anch’io,
papà”
Quella
sensazione era sparita
‘l’aveva lasciato con una telefonata.’ Il
brutto presentimento se n’era
andato...
‘Chester starà bene...’ pensò
Mike.
Mike
varcò la soglia dell’atrio e guardò
l’orologio posto tra i due ascensori davanti
a lui ’13:07’ lesse, si affrettò a
salire per raggiungere gli amici ma era
distratto e preoccupato, adesso però sembrava una giornata
normale, eppure lui
continuava a richiamare la sensazione di vuoto e disperazione repressa
che
aveva provato parlando con Chester al pronunciare quelle quattro
parole, si era
sentito sollevato ma adesso pensava al suo amico in continuazione,
senza
riuscire a farne a meno.
A
Chester non poteva succedere niente, era a casa sua al sicuro da tutti
tranne
che da suo figlio che di sicuro non lo lasciava andare.
Non
gli sarebbe successo niente se rimaneva a casa.
“Non
gli deve succedere niente...”
“Mike,
fottuto figlio di...!”urlò Joe in mezzo al
corridoio facendo sussultare Mike
ancora nell’ascensore a porte aperte.
“Anch’io
ti amo, Joe” rispose l’altro dopo lo spavento,
sorridente.
“Ti
sembra questa l’ora di arrivare?”
“Tu
reggi gli alcolici meglio di me, lo sai perché sono arrivato
in ritardo!! ”
Joe
era un ragazzo veramente vanitoso, se sapeva fare meglio di te una cosa
aveva l’abitudine
di ricalcartela in continuazione... il che era seccante, lo era per
Mike
almeno.
Ecco
come si erano conosciuti loro due alla scuola di disegno grafico, non
c’entrava
niente il fatto che Joe fosse un vero mago con i dischi ma Mike ce
l’aveva con lui
perché erano bravi in disegno ugualmente e Joe continuava a
stuzzicarlo dicendo
il contrario.
Con
il tempo però Mike aveva imparato ad apprezzarlo per quello
che veramente era,
un ragazzo con tanta voglia di fare su cui contare nei momenti di
rivoluzione e
anche in quelli difficili. Mr. Hahn sapeva il fatto suo.
“Qualcuno
si è svegliato con la luna storta, oggi!”
commentò ancora Joe “Che
c’è?...Anna
ha fatto la difficile ieri notte?” sogghignò
camminando al contrario per
guardare Mike che si bloccava di botto. “Uhh...”
Mike
fece una smorfia divertita e poi proseguì “A
quanto pare Karen è abituata ai
ritmi forti”
“Ok,
vacci piano...a parte gli scherzi, hai idea di dove sia
Chaz?” chiese mentre
percorrevano il lungo corridoio con i dischi d’oro e platino
alle pareti di
svariati gruppi tra cui: Led Zeppelin, R.E.M, Red Hot Chili Peppers,
Rolling
Stones e Rod Stewart, i gioielli di famiglia della Warner.
“Si,
a casa sua, oggi Draven fa tre anni e Chester è tutto preso
che si è scordato
del lavoro da fare qui...ma più tardi arriverà
” disse Mike all’apparenza
tranquillo mentre apriva la porta dell’ufficio di Jay.
Era
una stanza ben arredata, alle pareti c’erano tanti quadri
d’arte moderna, la
famosa poltrona girevole da doppio padrone “Jay
Delson” con la scrivania e
altre cianfrusaglie tipiche di un uomo che lavora per la
Warner.
‘Da
fare venire il vomito ’ pensarono Joe e Mike allo stesso
momento.
La
cosa buffa è che non sapevano neanche di essere abbastanza
simili... e se lo
sapevano, non l’avrebbero mai ammesso davanti a qualcuno.
“cibo!”
urlò Phe guardando la busta della spesa che reggeva Mike.
“birre!”
lo imitò Brad alzandosi dalla sua giostra personale.
“no,
quelle non ci sono... oggi sono off limits per me”
proclamò Mike lasciando la
busta nelle mani di Dave. “Comunque lo prendo come un ‘Ciao Mike, eravamo preoccupati
perché non arrivavi!’ ”
“Pretendi
troppo amico!” disse Rob sorridendo “allora che
facciamo, non vorrete sul serio
abbuffarvi adesso?” continuò cambiando la sua
espressione sorridente con una
più schifata alla vista di Dave che metteva in bocca la
polvere di cioccolata.
“Io
passo...” disse Mike avvicinandosi a Jay e Rob.
“Idem...”
si aggiunse Joe “troppo lavoro da fare in troppo poco tempo e
poi... non c’è”
“Chester
è a casa, sai Jay?... pensavo...”
iniziò Mike.
Era
la sua occasione per togliersi dalla testa una volta per tutte quella
preoccupazione che aveva come centro Chaz.
“Mike,
non pensare...agisci!” l’interruppe il loro manager
con la solita frase da
telefilm.
Joe
e Rob sbuffarono. Si divertivano spesso a canzonare Jay.
“ma...
in fondo oggi c’è lavoro solo per Joe e me, le
basi... Chester non ci serve no?
Io ho le chiavi doppie e potremmo anche lasciarlo a casa dove
non...”
all’improvviso si bloccò, stava dicendo
più di quanto dovesse.
“dove
non?” l’incoraggiò Rob preoccupato per
la faccia di Mike che all’improvviso era
come se avesse aperto gli occhi.
“...dove
non combinerà casini!” aggiunse Mike abbassando lo
sguardo a terra, gli
risultava difficile dire bugie e la verità è che
forse era meglio per tutti
perché Mike quando era stressato aveva davvero bisogno
d’aiuto... a quel punto
di solito entrava Rob.
Mentre
Jay approvava la sua idea e si affrettava di telefonare al loro
frontman Mike
iniziò a giocare con le chiavi dello studio, in disparte.
“Mike?”
sussurrò Rob piano.
“Hey...”
rispose Mike fingendosi entusiasta.
“Hey?A
chi vuoi darla a bere...che succede?”
“è
una cosa stupida, davvero!”
Rob
sorrise leggermente “sono circondato da gente come voi, avete
sempre idee
stupide...”
“No,
ma questa...sul serio... è una paranoia!”
sussurrò Mike allarmato avvicinandosi
all’orecchio di Rob.
“Le
paranoie bisogna affrontarle...”
“Ok,
grazie...davvero, allora non verrò” rispose
Chester a fine telefonata.
‘Ho
bisogno di un posto calmo...forse qui starò
meglio’ pensò fissando un punto
fermo davanti a se e poi riattaccò senza notare il suo
manager che parlava
ancora come una segreteria ininterrotta.
“Sam,
mi faccio una doccia” blaterò vedendola entrare in
camera.
Era
troppo abbattuto per vedere la faccia di qualcun altro...la peggiore di
tutte
forse quella di Samantha, falsa.
“Ok”
rispose sua moglie con un’espressione impassibile, quasi
fredda.
La
verità è che Samantha aveva smesso di capirlo da
molto tempo e questo Chester
lo sapeva, lo percepiva dai suoi silenzi tra una frase inutile e
l’altra... dai
lunghi sguardi di cui era soggetto permanente quasi tutti i giorni, dal
suo
disinteresse disumano, ma lui l’amava nonostante tutto.
Sarebbe stato così sempre...
Noncurante
di tutto si diresse verso il bagno, non aveva intenzione di fare la
doccia sul
serio però, era ancora parecchio scosso e guardandosi
intorno in quel preciso
istante ogni cosa lo riportava indietro con un altro ricordo...
Sempre
più indietro...
Come
una ragnatela tessuta con i fotogrammi dei suoi ricordi, con altri
momenti da
sopportare... in silenzio, a soffrire da solo.
È
una fortuna se riesci ad aprire gli occhi. Davvero.
Quando
scopri di non essere tu quello che si guarda allo specchio rimani
deluso non
solo dal tuo riflesso ma anche da te stesso e tenti di accettarti
riflettendo,
analizzando...pensando che tutte quelle bugie dette
e servite a nascondere
una persona più vulnerabile non sono servite a molto, a
niente.
E
piangi...perché hai smesso si essere te, di
credere in te, nel momento in cui hai rinnegato la prima cosa
appartenente
al tuo passato.
Ma
non puoi far altro che piangere, non vuoi piuttosto.
Mentre
Chester si sedeva sul pavimento piastrellato freddo e sfilava una
sigaretta
dalla tasca dei jeans, pensava... pensava a tutte quelle volte che
aveva detto:
“Se
non fossi un cantante sarei un Normale americano che fa Normali cose
americane”
‘normale,
troppo normale...’ cosa che non era vera.
Mai
sarebbe stato così... glielo ricordava il suo dannatissimo
passato, la sua
infanzia trascorsa in una ‘casa’ dove nessuno lo
considerava un figlio, il
cuscino su cui si addormentava tutte le notti... zuppo al suo
risveglio, ogni
singola lacrima che aveva versato su quello stupido cuscino ne valeva
in realtà
mille e ogni singolo secondo trascorso in quella camera asfissiante a
chiedersi
‘perché?’ era una anno, un
altr’anno da dimenticare.
Un’
altra strofa da aggiungere alla sua
canzone.
Si
vergognava di quello che aveva pensato, di essere diviso in un
involucro duro
come la roccia e in un interno vuoto fatto di verità.
A
volte pensava di non riuscire a sopportare tutto quel dolore fisico e
mentale e
voleva solo smettere, smettere di
pensare e fermare il tempo, farla
finita... così per lui non ci sarebbe stato un futuro ne un
passato.
“Farla
finita sarebbe un modo” disse a se stesso pensando come
l’aveva definito...‘un
modo’... era orribile, se ne pentiva “ma non
è la soluzione, questa” sussurrò
dopo aver posato sulle labbra quella sigaretta che avrebbe fermato il tempo. In realtà
Chester disprezzava quelle persone che
si toglievano la vita...
Ma
aveva espresso un desiderio che si stava per avverare...
Ma
non del tutto. La droga è un composto chimico che ti fa
dimenticare tutto...
sul serio, tutto. Ma poi ti ricorda che quel minuto di
felicità che hai provato
è un minuto in meno sottratto alla tua vita.
E
te lo ricorda quando vuole, non sai mai a che giorno e a che ora.
Quella
sigaretta non era droga... era la sua adolescenza nascosta sotto forma
di
Marlboro, una qualsiasi marca di sigarette che gli stava per sottrarre
i minuti.
“si
tratta di Chester” parlò tranquillo guardando il
luccichio delle chiavi nella
sua mano.
“Chester?
Il nostro Chaz?” chiese Rob serio.
“Si,
Chester. È che io penso che gli stia per succedere
qualcosa... lo penso in
continuazione, davvero.”
“Capisco,
siete molto amici voi due. A volte sembrate fratelli...”
sussurrò il ragazzo
rattristito di vedere il suo amico in uno stato così. Non
stava bene, sul
serio.
“Si,
è per questo che io...” continuò
guardando il batterista negli occhi abbozzando
un sorriso imbarazzato.
“Mike?”
Rob ricambiò il sorriso.
“...io ho paura.”sussurrò
Mike con
gli occhi bassi e lucidi.
Rob
lo guardò ancora una volta, non sorpreso...perché
quel ragazzo sapeva che era
normale che tutti avessero paura e di certo non si prendeva gioco dei
sentimenti degli altri, lo guardò e basta.
Mike
si sentiva così idiota...
Così
stupido...
Un
bambino... per quanto aveva voglia di lasciarsi scappare almeno una
lacrima.
Non
ce la faceva più, si era reso conto che per lui Chester era
importante.
“Vieni,
dai” disse Rob portandolo fuori in corridoio. I due uscirono
ignorando del tutto
le domande assillanti dei compagni, si portarono in bagno dove Mike si
appoggiò
alla porta e chiuse gli occhi “Mi dispiace... non voglio
preoccuparti”
Lasciò
andare quella lacrima.
“Sei
un idiota se ti dispiace...” commentò Rob
osservando quella goccia scendere
tranquilla sulle guance di Mike “...perché
dovrebbe dispiacere a me invece,
sono io quello che sta fottutamente bene e sei tu quello che sta
male.”
Mike
rise. Uno di quei sorrisi che ti rimangono impressi nella mente, non
che il
momento avesse più bisogno di particolarità per
essere ricordato.
“Ok,
allora mi dispiace che tu ti dispiaccia perché io sono
dispiaciuto” abbozzò
Mike appoggiando la testa alla porta più sollevato.
Questa
volta fu Rob a ridere “Dai lavati quella faccia...sembri Brad
con l’allergia,
tutto rosso”
Mike
si diresse verso il lavandino e aprì il rubinetto...
l’acqua era fredda.
...Una
sigaretta che si stava per spegnere, buttata a terra.
Chester
la guardò mentre quella si consumava, si spegneva e poi si
accendeva per catturare
ancora un altro po’ d’ossigeno.
Si
sentiva solo.
13:13:03
Era
quello che gli stava per succedere e lui non lo sapeva.
Si
sarebbe spento...per qualche secondo...forse minuto.
Chester
si alzò lentamente da terra e guardò in basso.
Improvvisamente
era diventato tutto molto più leggero...quasi sfocato,
‘forse è perché mi sono
alzato troppo in fretta’ pensò.
13:13:05
Chiuse
e aprì gli occhi, si ricredette subito...
Avvenne
tutto così velocemente nella sua testa, nel momento in cui
si rese conto che la
luce si stava spegnendo via, via nella sua mente ebbe voglia di urlare,
chiedere aiuto.
La
voce non c’era, aveva paura...
13:13:07
Paura
di accasciarsi a terra da un momento all’altro.
Cercava
di afferrarsi a qualcosa ma afferrava solo l’aria inquinata
dalla sigaretta
ormai spenta.
Si
stava spegnendo quel secondo...la sua vita.
13:13:11
Come
tentare di afferrare il fumo...come tentare di afferrare il fumo a
mani nude.
Si
appoggiò alla parete del bagno con il sudore freddo che gli
scendeva per la
schiena.
Deglutì...
E
per un ultima volta tentò di pronunciare almeno una parola,
solo una... per
paura.
13:13:13
Non
ci riuscì.
Era
orribile pensare al solo fatto che ti poteva capitare qualcosa di
peggio o
potresti morire.
Il
buio e il freddo mescolato alla sua sofferenza lo spaventava.
Ma
era troppo tardi...anche se non voleva mollare.
Non
voleva cadere.
Si
accasciò a terra perdendo tutti i sensi con lentezza.
Chester
fu ritrovato da sua moglie sul pavimento del bagno, privo di sensi e
tremante.
Quel
giorno fu l’inferno in terra per tutti.
Rob
l’osservava ancora.
Mike non aveva mai
pianto davanti a qualcuno e
adesso che l’aveva fatto Rob era riuscito a capire che Mike
era davvero una
persona speciale. Lo pensava già... quella era solo la
conferma.
Adesso
erano tutti in sala prove a fare le basi che poi avrebbero fatto
ascoltare a
Chester.
“Non
mi viene, è impossibile...non mi era mai successo che non mi
venisse!!” esclamò
Joe, provando una serie di suoni che avevano l’assoluto
bisogno di essere
ritoccati, davanti al mixatore.
“Uhh...
non gli viene” rise Dave.
Mike
li guardò entrambi alzando gli occhi al cielo “e
piantatela!” ma poi nascose un
sorriso voltandosi a raccogliere una palla di gomma per terra.
La
guardò serio.
Era
di Chester, l’usava come anti-stress durante le
tourneè... quasi lo ricordava
come giocava con quel aggeggio rimbalzante prima dei live con
quell’espressione
assente, un misto di preoccupazione e soddisfazione. La mise in tasca e
tornò a
sedersi vicino a Rob.
“come
ti senti?” chiese il ragazzo.
Osservate
come lo dice una qualsiasi persona, noterete quel misto
d’imbarazzo e falsità
nella frase, nella domanda che vi stanno rivolgendo... Rob invece
l’aveva detto
con una semplicità quasi anomala ‘come ti
senti?’ così...senza pensarci. Ma
voleva saperlo sul serio.
Mike
sorrise “bene,Rob...sai io non ti ho mai detto...”
“grazie?”
l’interruppe l’amico.
“Già,
ma non perché non volessi dirlo...mi vergognavo.”
Rob
si distese da seduto sul divano pensando che Mike era sincero.
Lui
l’aveva aiutato molte volte e Mike si limitava sempre a
restare in un silenzio
imbarazzante che solitamente poi rompeva con una battuta stupida che li
faceva
ridere entrambi. A volte non era da lui ma Rob lo capiva benissimo che
pensava...
“Mike,
non c’è mai stato bisogno di dire
‘grazie’ solo per dirlo tra noi due, lo dici
quando ti viene...”
Brad
si voltò improvvisamente e sogghignò
“ogni venite tutti!”
Mike
sospirò sconsolato “tra un po’ ti faccio
venire io,Brad!!” rise calmo.
“un
occhio nero...” aggiunse Joe.
“con
la bacchetta di Rob” concluse Dave.
Dopo
una pausa Mike decise che forse era meglio lasciare stare le basi
disastrose di
Joe e concentrasi sul testo.
Lui
scriveva i testi delle loro canzoni insieme a Chester ma per una volta
in vita
sua avrebbe provato a violare le regole e fare qualcosa di estremamente
suo da
fare vedere ad un Chester entusiasta del suo lavoro ben fatto.
Era
il momento giusto, lo sentiva dentro.
La
musica era qualcosa che gli piaceva tantissimo, gli piaceva il fatto di
non
poterla controllare... gli piaceva quando l’ispirazione
arrivava spontanea e
limpida, trasparente e soprattutto improvvisamente, lo prendeva alle
spalle e
lo coinvolgeva come non mai.
Quando
arrivava il momento della verità la cosa più
facile era mettersi a nudo su
carta.
Non
potevi fare altro, dovevi sederti con una matita e una gomma in mano e
avviare
il flusso di pensieri.
Lasciando
che la tua mano, il tuo cuore e la tua mente fossero una cosa sola.
Solo
una. Il tutto e il nulla...
In
quei secondi, minuti, ore ti smentivi da solo...potevi essere chi
volevi e allo
stesso tempo non smettevi di essere te stesso perché tutti
potevano
interpretare le tue parole a modo loro.
Era
questa la cosa che l’aveva fatto innamorare perdutamente del
suo lavoro.
Ogni
volta che dalla sua bocca uscivano quelle rime lui sentiva che qualcosa
stava
avvenendo dentro di se, sentiva che non si poteva fermare e per il
semplice
motivo che sapeva che non poteva fermare il tutto ma a sua volta non
voleva...era felice.
Era
chiarissimo, scritto nell’anima quel nome...Linkin Park.
E
tutto era rumore, tutto era suono...spazzi e parole trovate con
semplicità
impresse lì, dove nessuno le poteva prendere e trovare. Dove
nessuno e tutti le
potevano rubare.
Era
qualcosa che solo tu avevi e solo tu ne capivi il significato
vero...quello
interno, un processo che andava alla velocità del suono e ti
mostrava una
cosa...la tua anima.
Quando
si voltò e vide Rob ebbe paura di guardarlo negli occhi...
Paura
di afferrare quel cellulare che il ragazzo aveva tra le mani...
Perché
sapeva...
Solo
lui sapeva... e aveva sempre saputo...senza fare niente.
Rob
teneva la testa bassa, si sentiva colpevole di una cosa che non avrebbe
potuto
controllare, colpevole di non aver avuto ragione e colpevole di averlo
saputo
per primo.
Prese
le mani dell’amico e gli mise sopra il cellulare...nel
display c’era la foto di
Chester, era una chiamata.
Mike
si guardò intorno e notò che tutti lo fissavano,
doveva avere un’espressione
vuota...spaventata.
Tirò
fuori dalla sua tasca la pallina e la strinse.
Sapeva
che non era Chester quello a cui stava per andare a parlare...
“Samantha...che
sta succedendo?”
Dopo
meno di 20 minuti era già arrivato all’ospedale
assieme agli altri ma non
l’avevano lasciato entrare nella stanza in cui
c’era il suo amico.
“Per
ora solo parenti stretti, mi dispiace”
“Lei
non capisce, lo devo vedere!!” urlò Mike
all’infermiera che si ritrasse scossa.
“Mike...”
sussurrò Dave.
“Non
scassare, lì dentro c’è il mio amico
signorina, non può fare questo...si
sposti!”
“Mike
è inutile.” Continuò Dave
“Per
te Chester non conta è per questo che ti sembra
inutile!!” gli rispose il
ragazzo voltandosi arrabbiato e poi tornò a guardare
l’infermiera “le ho detto
di farsi da parte!!”
“Mike,
falla finita!!!” urlò Rob andandogli incontro.
Il
ragazzo si bloccò come se qualcuno gli avesse tolto la voce
all’improvviso e
poi abbassò lo sguardo.
“Devi
smetterla di agitarti... nessuno ti darà
ascolto...” disse Rob tornato tranquillo
dopo aver fermato la crisi dell’amico.
Erano
tutti parecchio scossi di aver visto Mike disperarsi in quel modo
“Mi dispiace”
fu l’unica cosa che riuscì a sussurrare e poi non
parlò più...per ore.
Gli
altri l’osservavano seduti alcuni sulle sedie o sul pavimento
mentre si
spostava per il corridoio a testa bassa... assorto nei suoi pensieri.
E
quella porta non si apriva. Rimaneva perennemente chiusa,
sigillata...dentro
c’erano Sam e Chester, probabilmente addormentato.
Draven
era rimasto con un’infermiera che gli faceva fare i giri per
tutto l’ospedale.
Quando
lo vide per la seconda volta fare il giro con la ragazza gli
andò incontro e
s’inginocchio davanti al piccoletto.
“Ehi,
Draven...tutto bene?”
Il
bambino annuì con la testa e lasciò la mano della
ragazza per far vedere che
voleva rimanere con Mike. Lui lo prese tra le braccia e lo
portò con se per i
corridoi.
“Tuo
padre sta bene, si è solo addormentato mentre faceva la
doccia, tutto qui”
mentì Mike.
“Aveva
freddo...tremava” rispose Draven, non sapeva quello che in
realtà era successo.
Per
Mike sentire quella piccola frase fu orribile.
“Anche
se adesso siamo qui non vuol dire che abbiamo dimenticato il tuo
compleanno lo
sai?ti è piaciuto il mio regalo?” chiese Mike per
deviare l’argomento
“Tantissimo,
ci ho giocato per tutto il tempo”
“Bene...Brad
mi ha detto che gli sono rimaste delle caramelle nelle tasche
perché non vai a
chiedergliele?” Il ragazzo mise giù il bambino e
lo diresse verso gli altri che
lo guardavano.
All’improvviso
la porta si aprì e Samantha uscì guardando gli
altri un po’ assente.
Quella
notte Mike la passò nella stanza assegnata al suo amico con
Rob che dormiva
sulla poltrona scomoda mentre lui era sveglio ad osservare il cantante
che ogni
tanto si muoveva.
Chester
aveva avuto un collasso, i dottori avevano detto che non era niente di
troppo
grave ma che a causa delle droghe usate da giovane adesso aveva una
salute decisamente
più cagionevole di quanto avesse dovuto avere.
A
Mike continuava a frullare in testa ancora quello sguardo spaventato
che aveva
visto dipinto sul volto di Rob e poi si ripeteva che non era gravissimo
un
collasso...poteva succedere, tutto per convincere se stesso e calmare
l’ansia.
Prima
che arrivasse per l’ennesima volta il dottore a chiedere se
andava tutto bene l’MC
decise di addormentarsi in qualche modo per non pensare più
e si diresse verso
il bagno ma quando stava per chiudere la porta...
“Mike...”
Il
rapper non ci fece caso pensando che doveva aver sentito male...si
stava
illudendo di sentire Chester,il vocalist era ancora troppo debole per
riuscire
a parlare.
“Mike...”
la figura sul lettino si mosse e il rapper si trascinò
davanti a quello.
“Chaz!?”
chiese l’altro con un nodo alla gola che non lo lasciava
parlare.
Voleva
quasi piangere, ma non gli sembrava proprio il caso di fare il bambino
davanti
ad una persona che si sarebbe preoccupata subito.
“Si,
è così che mi chiamano no?” rise
l’altro un po’ debole.
“Fottuto
figlio di puttana mi hai fatto spaventare come non hai
idea!!!” ecco cosa
riuscì a dire prima di abbracciarlo con tutte le sue forze e
iniziare a
piangere sulle spalle dell’amico.
Furono
singhiozzi interrotti da pacate sulla schiena da parte di Chaz, era
contento
che Mike se ne fosse preoccupato ma non sopportava vederlo
così.
Dicono
che quando una persona muore si ferma il tempo, a Chester non era
successo
niente del genere ma aveva sentito il tempo fermarsi...per lui.
Aveva
avuto paura come mai in vita sua, l’incertezza di non
risvegliarsi l’aveva
tormentato in quei momenti in cui si sforzava di parlare.
Temeva
di perdere se stesso un’altra volta.
“Pensavi
di liberarti così facilmente di me?” chiese
l’altro mettendosi a sedere,
ricordandosi quegli attimi insopportabili per poi scacciarli via subito.
“Tu
sei Chazy Chaz...” rispose Mike tranquillo “
neanche se un orda di fan
impazzite ti massacra ti succede qualcosa!!” rise.
“Ti
eri preoccupato davvero...” iniziò Chaz
“non è così?” chiese tentando
di
focalizzare il viso di Mike in quel buio.
Il
rapper adesso teneva la testa bassa, sembrava quasi addormentato e
quando parlò
era diventato improvvisamente serio “Io lo sapevo
già,lo so ch’è una cosa senza
alcun senso ma sapevo che ti stava per succedere...e non ho fatto
niente per
fermarlo. Mi dispiace.”
“Se
tu non fossi qui in questo momento probabilmente...”
“mi
dispiace” ripeté quasi in labiale “ se
vuoi me ne vado...”
“lasciami
finire!” sussurrò Chester per non svegliare il
batterista “se tu non fossi qui
io non avrei voluto svegliarmi...Mike”
Il
ragazzo guardò Chester e sorrise ‘anche al buio si
sente il calore del suo
sorriso’ pensò...
00:20
Finalmente e
per una volta nel passato...
Era
già tardi
e io ero girato sul letto, rivolgevo le spalle ai miei due amici e
contavo i
ticchettii dell’orologio.
Passa
veloce,
è sempre passato veloce...siamo noi che crediamo sia lento.
Io l’ho sempre
creduto da bambino che il tempo non passasse mai...lo credevo anche
prima di
svegliarmi su un letto d’ospedale.
Adesso non
più...
Non dormirò
Non dormirò finché non avrò finito di
trovare la risposta
Non mi fermerò...mai.
Ho trascorso questo tempo a piangermi addosso e le ferite si sono
aperte...
Ancora una
volta.
A
volte mi sentivo come se stessi per cadere
Nessuno a
sorreggermi, nessuno ad ascoltarmi
Ero
talmente disconnesso, disconnesso da me.
Mi sono stancato di cadere, di essere invisibile...
Voglio
urlare!!
E tu mi
starai a sentire... per una fottuta volta in questa vita voglio essere
ME!!
Ho guardato, ho aspettato troppo il nulla
Nelle ombre della mia stanza, il mio tempo trascorso...
Ho cercato qualcuno che non c’era...non esisteva
Ho vissuto
giorni paralleli
Il domani sarà diverso...diverso perché mi sono
stancato di aspettare.
La mia vita
non dipende dalle mie storie create, ma da quelle da scrivere.
Loro ti dicono di vivere la
vita in quel modo...le droghe
Ma io, mi ammazzerei piuttosto che diventare loro schiavo
Ancora
una
volta.
Ho giocato ad un gioco senza nome per troppo tempo
Io non voglio più aspettare il miracolo, nessuno
verrà.
Devo vivere
il presente adesso.
Tutta
la mia
vita non è stata sprecata, sono ancora qui.
E conta.
Ultimamente
ero una maschera, ho camminato tanto... in cerchi
Guardando l’orizzonte in cerca dell’alba,
aspettando.
Non era
mai arrivata... perché io non volevo arrivasse
La coprivo
con il mio pianto, il mio dolore.
Adesso
vedo, è lì...la sento...e mi sta guarendo.
Tutta la mia vita d’ora in poi...saranno quei raggi di sole.
È
un’alba
bellissima,
illumina quella spiaggia che prima non c’era.
Adesso
andrò avanti e non rinnegherò più
l’anima nera che avevo dentro.
Perché non è più nera...è
bianca.