shattered
The Gods are blind
and men see only what they wish.
Tyrion Lannister, A
Dance with Dragons
Castel Granito sorgeva maestoso su di un’altura a picco
sul Mare del Tramonto, un’immensa distesa di acqua cristallina che durante
l’Inverno si animava tentando di erodere la costa frastagliata delle Terre
dell’Ovest. Da secoli era stata stato tramandato di padre in figlio, dai tempi
di Lann l’Astuto che con la sua destrezza era stato in grado di strapparlo alle
mani dell’antica famiglia Casterly. Sulle sue mura, su ogni torre, era
possibile scorgere il vessillo della nobile Casata Lannister, un rampante leone
dorato su sfondo cremisi, che riluceva fiero nella dolce brezza nata
dall’oceano. Le leggende affermavano che le profondità della Rocca fossero
colme d’oro e diamanti, tuttavia nessun Lannister aveva rischiato la propria
vita per accertarsene. Le miniere era ben disseminata sul loro territorio
collinoso e la Rocca era pregna di monili di valore inestimabile.
La Rocca aveva udito segreti scottanti sussurrati all’ombra
di candele nel silenzio della notte. Era stata teatro di dissidi e di lotte di
potere, di inganni e crimini efferati. Era il luogo dove si erano consumate
forti passioni, ma il suo aspetto in tutti quei secoli non era mutato. Nulla
poteva indurre ad immaginare che al suo interno pochi erano stati i momenti di
pace. La storia che aveva macchiato quelle mura era stata torbida e perdurava
ad esserlo anche sotto l’attuale proprietario.
Tywin Lannister, un uomo sulla cinquantina ancora
avvenente e dagli affilati occhi verdi striati d’oro, figlio di Tytos, aveva
risollevato le sorti della famiglia, divenendo prima la Mano di Re Aerys per
più di vent’anni e poi quella di suo figlio, Re Rhaegar, primo del suo nome. Tywin
era straordinariamente astuto e capace, un uomo che incuteva timore e rispetto,
e ovunque nel reame si asseriva che mai era esistito un Lord tanto potente.
S’era sposato una sola volta con la donna che aveva amato
e perduto troppo presto, l’indomita Lady Joanna, l’unica che avesse saputo
carpire i segreti del cuore del freddo Lord, e da lei aveva avuto tre figli.
Jaime, il suo orgoglio, il suo erede, uno dei cavalieri più abili del regno.
Cersei, la bella e nobile figlia che aveva sposato il Lord della Tempesta,
Robert Baratheon. Tyrion, il nano deforme, il Folletto, l’essere che aveva
ucciso la sua sposa in un talamo di sangue e lacrime.
Nell’aria quel giorno si respirava un’atmosfera festosa
per il torneo indetto dal Lord in onore del primo quinquennio di regno di
Rhaegar Targaryen. Erano accorsi Lord e cavalieri, Lady e principesse, per
osannare un Re giusto che aveva riportato la pace a Westeros. L’ingresso di
Rhaegar era stato applaudito con tale vigore da far tremare le mura solide di
Castel Granito e il Re aveva sorriso mentre carezzava il capo del suo
primogenito, Aegon, un bambino di quattro anni che somigliava incredibilmente a
suo padre, con il quale stava condividendo la cavalcatura. La Regina Elia
cavalcava a pochi metri da loro, la lunga treccia nera che sembrava incoronarla
d’ebano, con la principessa Rhaenys che aveva salutato con un sorriso e la
piccola mano aperta il suo popolo. La Regina madre, Rhaella Targaryen, era
accanto a lei con Viserys al suo fianco accomodato su un pony color terra. La
Regina Lyanna era rimasta ad Approdo del Re, assistita da Ser Oswell Whent, con
suo figlio Jon, costretto a letto per un ferita che s’era procurato cadendo da
cavallo mentre gareggiava contro suo zio in un duello a singolar tenzone, o
così i due bambini l’avevano definito successivamente.
Jaime, per la sua parentela con Tywin, aveva ricevuto il
posto d’onore alle spalle della famiglia reale pronto a proteggerla con gli
altri sei membri della Guardia. Avrebbe potuto scegliere di scostare quel
mantello bianco dopo la morte di Re Aerys poiché Rhaegar gliel’aveva concesso
notata la sua giovane età e il ricatto con il quale suo padre aveva rubato
l’erede all’uomo che aveva protetto il reame per anni. Non se n’era privato,
però. Aveva deciso di rimanere ad Approdo del Re, alla corte di Re Rhaegar, un
uomo cento e mille volte migliore rispetto a suo padre.
Il cavaliere stava osservano i giovani figli di sua
sorella, i suoi figli, diligentemente
accomodati su due sedie l’una di fronte all’altra mentre ascoltavano le lezioni
di Tyrion sul regno di Maegor il Crudele. Jaime sorrise tra sé nel constatare
quanto suo fratello fosse simile ad un Maestro della cittadella in quanto a
cultura.
Trattenne una risata nell’immaginare gli occhi cupi di
suo padre posarsi su quelli più luminosi del suo secondogenito che, nonostante
i lunghi anni di soprusi e angherie, non aveva ancora smesso di amare la vita.
Tyrion sarebbe stato un Lord migliore di lui, Jaime lo sapeva. Lui era nato per
essere un cavaliere, per proteggere il suo Re, ma Tyrion era nato per essere il
Signore della Rocca e Jaime gli avrebbe donato volentieri quel titolo.
La piccola Lady, che era identica a Cersei, ascoltava
rapita le parole dello zio, gli occhi, verdi come l’erba dolce e umida di
rugiada di un prato in fiore, velati di innocenza, incatenati alle iridi
cristalline di Tyrion, le piccole mani paffute che sorreggevano il capo
coronato da folti riccioli color dell’oro.
Quando Jaime posava lo sguardo su quella Cersei in
miniatura, non poteva impedire al suo cuore di bloccarsi per un attimo. Sua
sorella le aveva donato il nome della loro madre e ciò non aveva fatto altro
che gettare sale sulla ferita ancora aperta. Cersei s’era sposata, i loro figli
avevano il cognome Baratheon e mai avrebbe saputo la verità sulle loro origini.
Suo fratello, Joffrey, sbuffava d’impazienza,
l’espressione corrucciata e le labbra strette in una smorfia che ne deformava i
tratti simili a quelli del cavaliere. Sembrava essere a metà tra il desiderio
di ascoltare quel racconto leggendario e la consapevolezza che Tyrion stava
narrando una favola infondata.
« E durante la notte si possono ancora udire nella
Fortezza i sibili delle spade che uccisero il Re Crudele,» terminò il racconto.
La bambina trattenne il fiato, gli occhi resi più grandi dallo stupore.
Joffrey, invece, scosse il capo e si sistemò meglio contro lo schienale. Tyrion
trattenne a stento le risate dinanzi alla meraviglia che si leggeva negli occhi
sinceri di Johanne, un mezzo sorriso che gli arcuava le labbra. Qualcuno
avrebbe potuto definirlo il ghigno del Folletto, ma Jaime sapeva riconoscere la
dolcezza nei tratti di suo fratello minore.
« Sono soltanto storielle. Non ci crederai, vero?»
domandò incredulo e indispettito indirizzando uno sguardo arcigno verso la
sorella più giovane. Johanne si volse verso di lui, gli occhi assottigliati e
le labbra sporte in avanti, prima di annuire con vigore.
« Zio Tyrion non dice bugie. Giusto, zio?» sussurrò la
piccola Lady rivolgendo allo zio un sorriso dolce che la faceva rassomigliare a
Cersei il giorno in cui aveva scoperto di aspettare Joffrey. Era stata una
visita cerimoniosa per la nascita del terzogenito del Re, Jaehaerys, e non
erano trascorsi nemmeno due giorni quando Jaime era capitolato e l’aveva presa
nella Torre Bianca della Guardia. Era stato avventato e stupido. Se qualcuno
dei suoi confratelli fosse rientrato e l’avesse visti insieme, sarebbero morti
entrambi e avrebbero arrecato onta e disonore al nome dei Lannister. Ma Jaime
doveva averla e Cersei s’era ritrovata ad attendere il suo primogenito. Non
avrebbe mai compreso l’amore che sua sorella nutriva nei confronti di quel
piccolo bambino viziato dai boccoli biondi e dall’indole indisponente. Eppure
ero lo stesso amore che lui provava per quella piccola leonessa dorata
concepita in una notte senza Luna né stelle nel talamo che aveva visto giacere
i Baratheon e i Re della Tempesta.
« Dovete andare a caccia adesso,» li congedò Tyrion con
un sorriso incontrando i suoi occhi per un attimo prima di scompigliare i
capelli della bambina. Jaime sarebbero dovuto tornare presto da Re Rhaegar e
scortarlo durante la battuta di caccia, onorando il suo turno di guardia, ma
s’era perso nel contemplare quell’innocenza dispiegata dinanzi ai suoi occhi.
« Lei non può venire. È solo una femmina. Io andrò a
caccia con la corte, con il principe Aegon, lei può rimanere con te,» replicò
altezzoso Joffrey prima di issarsi in piedi e congedarsi senza rivolgere
nemmeno uno sguardo né agli zii né alla piccola sorella. Vi era stato un tempo
in cui Jaime aveva tenuto per mano Cersei e insieme avevano imparato a
camminare e a farsi strada nel mondo. Ma Joffrey non era Jaime e Johanne non
era Cersei. Il cavaliere non sapeva se ringraziare gli Dei o maledirli. O
ridere e rammentare che gli Dei non esistevano, come tante volte aveva
affermato suo padre.
« Non è stato gentile,» si lamentò Johanne incrociando le
braccia al petto. Non aveva versato lacrime per la scortesia di suo fratello.
Era la degna figlia di sua sorella, contrita ma mai abbattuta. Il sorriso di
Tyrion s’era spento, rimpiazzato da un’espressione dura rivolta verso la porta
da cui era uscito il nipote.
« Tuo fratello è poche volte gentile,» esclamò Jaime
tentando di consolarla. Era in ritardo. Barristan era stato a guardia delle
stanze del Re la notte prima. Il Lord Comandante Gerold Hightower, il Toro
Bianco, aveva disposto che fosse lui ad accompagnare la famiglia reale nel
bosco, a caccia di pantere ombra e cinghiali. Il Sole era alto e la battuta
stava per cominciare, « Andiamo, bambina. Ti accompagno nella sala del ricamo,»
continuò più gentile, facendole cenno di seguirlo. Johanne si issò in piedi,
dimentica della sua tristezza, e posò le dolci labbra rosee sulla gota di
Tyrion che ricambiò scompigliandole ancora i capelli. Le piaceva ricamare,
soprattutto quando poteva farlo in compagnia di altre bambine. A Cersei
quell’attività non era mai stata gradita, ma la piccola Lady la trovava
rilassante.
« Zio Jaime,» mormorò la bambina non appena furono usciti
dalla sala, per poi interrompersi, come timorosa di poterlo disturbare. Jaime
aveva un’andatura scattante, ma rallentò comprendendo che una bambina non
avrebbe mai potuto seguirlo con facilità. La sua mano destra intrecciò quella
del cavaliere e un sorriso dolce arcuò le labbra di Jaime.
« Sì, cara,» la spronò il cavaliere, invitandola a
domandare cosa la turbasse.
« Perché i Cavalieri della Guardia Reale indossano sempre
il bianco?» chiese Johanne innocente come soltanto una bambina poteva essere,
sfiorando con la mancina il mantello che sempre pendeva dalle sue spalle.
« È il nostro vessillo, bambina. Quello dei Baratheon è
un cervo nero su campo oro. Quello di tua madre è il leone d’oro su campo
rosso. E quello della Guardia è bianco,» le spiegò Jaime osservando i corridoi
deserti del palazzo in cui era nato e che un tempo, in un’altra vita, sarebbe
stato suo e dei suoi figli. La battuta di caccia doveva aver richiamato i
nobili che si stavano radunando nei cortili. Doveva affrettarsi, ma non poteva
lasciare la piccola sola, non in un castello che conosceva poco.
« Siete una famiglia, allora,» constatò Johanne con un
piccolo sorriso, come se avesse fatto una scoperta a lei gradita. Jaime
Lannister aveva avuto un fratello minore e una sorella gemella, ma Ser Jaime il
Giovane Leone aveva sei fratelli maggiori che l’avevano guidato sulla via della
cavalleria e dell’onore.
« In un certo senso sì. Siamo fratelli di spirito e non
di sangue,» approvò Jaime passandole la mancina tra i capelli per poi
carezzarle le gote.
« Jaime, Barristan dice che è il tuo turno,» esordì la
voce chiara e possente di Ser Arthur Dayne, il miglior spadaccino che Westeros avesse
mai avuto. Con Alba, lo spadone di Valyria dei Dayne, Arthur era invincibile e
Jaime per anni aveva tentato di eguagliarlo senza riuscirci. Aveva superato Ser
Barristan e ser Oswell Whent e anche Lord Gerold, ma mai Arthur. La Spada del
Mattino era appoggiato contro il muro candido del corridoio a pochi metri da
loro, alle sue spalle le scale che conducevano ai cortili, gli occhi viola, più
scuri di quelli dei Targaryen, che sembravano sorridere di dolcezza nello
scorgere la sua mano, grande e callosa, intrecciata a quella piccola e delicata
della sua bambina.
« Subito, Arthur. Potresti accompagnare mia nipote da mia
sorella?» domandò gentile facendo cenno alla piccola di raggiungere il
cavaliere quando egli rivolse un breve cenno d’assenso. Johanne osservò Arthur
e si inchinò in una riverenza degna di Cersei che fece ridere di gusto Dayne.
Il cavaliere si chinò e le baciò la mano.
« Gentile dama, come ti chiami?» le chiese cortese mentre
Jaime li superava e scendeva velocemente le scale, una mano sull’elsa della
spada per non impedire i suoi movimenti.
« Johanne, ma puoi chiamarmi Jenna,» esordì Johanne come sempre quando si rivolgeva a qualcuno con cui provava empatia. Jaime era già prossimo alle porte. Un sorriso si dipinse sul suo volto giovane e glabro. Scomparve quando si accorse della moltitudine di Lord e Lady che erano accorsi per la caccia, tra i quali, sul suo alto destriero bianco come la neve, figurava suo padre, implacabile e indistruttibile. Gli occhi verdi preannunciavano tempesta.
Note dell’autrice: Benvenuti alla corte di Rhaegar, primo
del suo nome. Se avete letto fin qui, e vi ringrazio, vuol dire che questo
capitolo ha catturato la vostra attenzione almeno per qualche minuto. Questo racconto
è prevalentemente basato su un’idea ricorrente: se Robert non avesse mai
dichiarato guerra alla corona, cosa sarebbe avvenuto a Westeros? Tenterò di
mostrare la mia visione nei prossimi capitoli. Vi è l’inserimento di un
personaggio non presente nelle Cronache, Johanne Baratheon, o Lannister come
preferite, che avrà un ruolo importante, ma non vitale all’interno della
storia.