Pacchetto
utilizzato: Lacrimosa di Mozart.
Dona Eis Requiem
Le
fiaccole ardevano nel campo greco, consumando la resina di cui erano composte.
Tutti
i più grandi eroi riposavano il sonno dei giusti, abbandonati al dolore ancora
intenso per la morte del più grande dei loro campioni, Pelide Perfetto.
Solo
un’anima infelice continuava a vagare per il campo deserto, la spada in mano,
diretta al recinto del bestiame.
Aiace
Telamonio, l’imponente Aiace Salaminio, con la schiuma alla bocca ed accecato
dall’ira, divorava la distanza che lo separava dalle bestie da allevamento.
“Maledica,
Zeus Giudice, i traditori. Mi dia la forza, Atena Glaucopide, per attuare la
mia vendetta! Le stelle, che trapungono il cielo notturno, siano mie testimoni!
Ora, adesso, in questo momento compirò la mia vendetta contro chi mi ha voltato
le spalle, negandomi le armi del cugino mio!”
L’eroe
alzò la lama e con essa mozzò numerosi capi di armenti; tanto era imponente la
sua stazza che gli consentiva di reggere perfino remi interi con una mano sola
in completa autonomia. Urlò contro Odisseo, il suo nemico primario, che l’aveva
sedotto con le parole impedendogli di tenere con sé per la notte le armi così
care, in attesa del verdetto. Imprecò contro Agamennone, che nonostante le sue
suppliche aveva sorriso al Laerziade e aveva ignorato la sua persona.
La
linfa vitale scorreva sulla sabbia, in un perfetto connubio di vita e non vita,
di calore e gelo.
Le
urla arrivavano al cielo, così forti che pian piano i soldati si destarono, i
signori degli Achei scostarono i lembi delle tende per assistere al massacro.
Primo
tra tutti Odisseo, perforato dalla colpa di aver piegato il capo alla Bramosia,
potente quanto funesta concubina.
“Vieni
qui, Uomo dal Multiforme Ingegno! Adesso vedrai chi era degno della corazza di
Achille!” sbraitò Aiace, aprendo il ventre di un montone e prendendo da esso il
cuore.
Alzò
il braccio e lo strizzò, facendo sprizzare il sangue sul volto e sul corpo.
“Questo
cuore adesso verrà spezzato, come lo è stato il mio in quegli attimi
terribili!” Ad un ipotetico pubblico, che il Telamone ancora non sapeva di aver
realmente, mostrò l’organo e lo morse con tutta la sua ira, stracciandolo in strisce
viscide e sanguigne.
Tecmessa
era in ginocchio e piangeva strappandosi i capelli. Era stata sua la voce che
aveva udito?
O
ancora il velo di Follia gli annebbiava la vista? Aiace lasciò cadere a terra
la spada ed il cuore maciullato, incredulo per tutto il sangue versato e l’onta
subita. Si toccò il volto ancora madido di sudore e sangue, si guardò quelle
mani e di esse ebbe vergogna.
“Io,
pilastro tra gli uomini, è questo il destino a cui sono stato indirizzato?
Maestro d’onore e d’ogni virtù, per poi cedere agli impulsi più meschini?
Crudele il Dio che mi ha ridato il senno, sarebbe stato meglio vivere in quel
velo fumoso piuttosto che esser consapevole di tanto sfacelo!”
Prese
la spada da terra e guardò Tecmessa, distrutta dal dolore.
“A
te che ti ho amato, mia sposa, ricorda Aiace il Grande, che uccise Glauco e
ferì Enea, primo tra i guerrieri ad abbattere il nemico! E tu, ferro troiano
che tante vite achee hai troncato, attui la tua vendetta così come Ettore
Glorioso ti ha sussurrato, serpe infida e maledetta che covavo in seno da
quella parità prolungata e perfetta!”
Prendendo
dall’elsa l’arma si gettò su di essa, trafiggendosi sotto un’ascella,
trapassando così il cuore e l’altra spalla, dal basso verso l’alto.
qua
resurget ex favilla
judicandus
homo reus.”[2]
Anche
questa volta presento una scena presa un po’ dall’Aiace di Sofocle, un po’ dal
mio sentire per una vicenda così drammatica.
Come
il contest imponeva, mi sono lasciata ispirare dalla Lacrimosa di Mozart, di
cui riporto parte del testo (Non tutto. D’altronde non avrei potuto, la
tematica è prettamente cristiana ed io l’ho riportata in un mondo che di
cristiano non ha nulla.), il quale funge come da coro.
Ho
cercato di non dilungarmi enormemente in quanto credo che questo sia uno di
quei momenti che avvengono in una manciata di minuti, fulminei e senza
possibilità di rimedio.
Ci
tengo a precisare qualcosa, sia per chi non conosce approfonditamente i poemi
omerici, sia per chi invece li conosce, ed anche bene, e magari trova
incongruenze.
Per
quanto riguarda la spada, bisogna tener presente che fu un dono di Ettore ad
Aiace durante il loro combattimento, finito in parità. Quindi penso sia più che
naturale che il nostro eroe lo veda come la vendetta del nemico nei suoi
confronti.
Atena,
invece, l’ho voluta rappresentare tremante per due motivi: primo perché è stata
proprio lei a far scendere il velo di follia sulla mente di Aiace (nella
tragedia sofoclea) e quindi ho immaginato che avesse come un ripensamento, in
risposta al comportamento del protagonista. In secondo luogo, sappiamo che
Omero non descrive mai gli dei come pienamente imparziali. Afrodite cerca
sempre di salvare suo figlio Enea, Atena consiglia Odisseo ogni qualvolta Zeus
non glielo impedisca. Perché, allora, non provare rimorso e addirittura paura
per un sentimento sfogato in maniera così agghiacciante?
Ultima
cosa: l’ultimo pezzo della lacrimosa dà chiaramente, in effetti, un riferimento
al Giudizio Universale.
Io
ho inteso questi versi, per l’adattamento, come un rinascere dalle fiamme in
cui Aiace fu cremato e il giudizio delle divinità ctonie (Cerbero, Caronte,
quindi Minosse, Eaco e Radamanto) per indirizzarlo nel tartaro, nel prato degli
asfodeli o nei campi elisi.
Chiudo
qui, perché l’angolo sta diventando un’altra storia a sé XD
Spero
comunque che ciò che ho scritto vi sia piaciuto!! :D
Alla
prossima,