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Autore: Ai Khanum    24/06/2014    5 recensioni
Quarta classificata al contest indetto da _juliet "Ispirazione musicale contest"!
Dal testo: "Maledica, Zeus Giudice, i traditori. Mi dia la forza, Atena Glaucopide, per attuare la mia vendetta! Le stelle, che trapungono il cielo notturno, siano mie testimoni! Ora, adesso, in questo momento compirò la mia vendetta contro chi mi ha voltato le spalle, negandomi le armi del cugino mio!”
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Dona Eis Requiem

Pacchetto utilizzato: Lacrimosa di Mozart.

 

Dona Eis Requiem

 

Le fiaccole ardevano nel campo greco, consumando la resina di cui erano composte.
Tutti i più grandi eroi riposavano il sonno dei giusti, abbandonati al dolore ancora intenso per la morte del più grande dei loro campioni, Pelide Perfetto.
Solo un’anima infelice continuava a vagare per il campo deserto, la spada in mano, diretta al recinto del bestiame.
Aiace Telamonio, l’imponente Aiace Salaminio, con la schiuma alla bocca ed accecato dall’ira, divorava la distanza che lo separava  dalle bestie da allevamento.
“Maledica, Zeus Giudice, i traditori. Mi dia la forza, Atena Glaucopide, per attuare la mia vendetta! Le stelle, che trapungono il cielo notturno, siano mie testimoni! Ora, adesso, in questo momento compirò la mia vendetta contro chi mi ha voltato le spalle, negandomi le armi del cugino mio!”
L’eroe alzò la lama e con essa mozzò numerosi capi di armenti; tanto era imponente la sua stazza che gli consentiva di reggere perfino remi interi con una mano sola in completa autonomia. Urlò contro Odisseo, il suo nemico primario, che l’aveva sedotto con le parole impedendogli di tenere con sé per la notte le armi così care, in attesa del verdetto. Imprecò contro Agamennone, che nonostante le sue suppliche aveva sorriso al Laerziade e aveva ignorato la sua persona.
La linfa vitale scorreva sulla sabbia, in un perfetto connubio di vita e non vita, di calore e gelo.
Le urla arrivavano al cielo, così forti che pian piano i soldati si destarono, i signori degli Achei scostarono i lembi delle tende per assistere al massacro.
Primo tra tutti Odisseo, perforato dalla colpa di aver piegato il capo alla Bramosia, potente quanto funesta concubina.
“Vieni qui, Uomo dal Multiforme Ingegno! Adesso vedrai chi era degno della corazza di Achille!” sbraitò Aiace, aprendo il ventre di un montone e prendendo da esso il cuore.
Alzò il braccio e lo strizzò, facendo sprizzare il sangue sul volto e sul corpo.
“Questo cuore adesso verrà spezzato, come lo è stato il mio in quegli attimi terribili!” Ad un ipotetico pubblico, che il Telamone ancora non sapeva di aver realmente, mostrò l’organo e lo morse con tutta la sua ira, stracciandolo in strisce viscide e sanguigne.

“Huic ergo parce, Deus!”[1]

La mano di Atena si posò sugli occhi di Aiace, tremante di pietà per un dolore che non avrebbe mai potuto nemmeno lontanamente provare. E fu allora che Aiace vide. Soldati, eroi… lo guardavano tutti.
Tecmessa era in ginocchio e piangeva strappandosi i capelli. Era stata sua la voce che aveva udito?
O ancora il velo di Follia gli annebbiava la vista? Aiace lasciò cadere a terra la spada ed il cuore maciullato, incredulo per tutto il sangue versato e l’onta subita. Si toccò il volto ancora madido di sudore e sangue, si guardò quelle mani e di esse ebbe vergogna.
“Io, pilastro tra gli uomini, è questo il destino a cui sono stato indirizzato? Maestro d’onore e d’ogni virtù, per poi cedere agli impulsi più meschini? Crudele il Dio che mi ha ridato il senno, sarebbe stato meglio vivere in quel velo fumoso piuttosto che esser consapevole di tanto sfacelo!”
Prese la spada da terra e guardò Tecmessa, distrutta dal dolore.
“A te che ti ho amato, mia sposa, ricorda Aiace il Grande, che uccise Glauco e ferì Enea, primo tra i guerrieri ad abbattere il nemico! E tu, ferro troiano che tante vite achee hai troncato, attui la tua vendetta così come Ettore Glorioso ti ha sussurrato, serpe infida e maledetta che covavo in seno da quella parità prolungata e perfetta!”
Prendendo dall’elsa l’arma si gettò su di essa, trafiggendosi sotto un’ascella, trapassando così il cuore e l’altra spalla, dal basso verso l’alto.

“Lacrimosa dies illa,
qua resurget ex favilla
judicandus homo reus.”[2]

 

Angolo dell’autrice!

Buonasera a tutti! Comincio con il ringraziare anche questa volta _juliet per il bellissimo contest ideato!
Anche questa volta presento una scena presa un po’ dall’Aiace di Sofocle, un po’ dal mio sentire per una vicenda così drammatica.
Come il contest imponeva, mi sono lasciata ispirare dalla Lacrimosa di Mozart, di cui riporto parte del testo (Non tutto. D’altronde non avrei potuto, la tematica è prettamente cristiana ed io l’ho riportata in un mondo che di cristiano non ha nulla.), il quale funge come da coro.
Ho cercato di non dilungarmi enormemente in quanto credo che questo sia uno di quei momenti che avvengono in una manciata di minuti, fulminei e senza possibilità di rimedio.
Ci tengo a precisare qualcosa, sia per chi non conosce approfonditamente i poemi omerici, sia per chi invece li conosce, ed anche bene, e magari trova incongruenze.
Per quanto riguarda la spada, bisogna tener presente che fu un dono di Ettore ad Aiace durante il loro combattimento, finito in parità. Quindi penso sia più che naturale che il nostro eroe lo veda come la vendetta del nemico nei suoi confronti.
Atena, invece, l’ho voluta rappresentare tremante per due motivi: primo perché è stata proprio lei a far scendere il velo di follia sulla mente di Aiace (nella tragedia sofoclea) e quindi ho immaginato che avesse come un ripensamento, in risposta al comportamento del protagonista. In secondo luogo, sappiamo che Omero non descrive mai gli dei come pienamente imparziali. Afrodite cerca sempre di salvare suo figlio Enea, Atena consiglia Odisseo ogni qualvolta Zeus non glielo impedisca. Perché, allora, non provare rimorso e addirittura paura per un sentimento sfogato in maniera così agghiacciante?
Ultima cosa: l’ultimo pezzo della lacrimosa dà chiaramente, in effetti, un riferimento al Giudizio Universale.
Io ho inteso questi versi, per l’adattamento, come un rinascere dalle fiamme in cui Aiace fu cremato e il giudizio delle divinità ctonie (Cerbero, Caronte, quindi Minosse, Eaco e Radamanto) per indirizzarlo nel tartaro, nel prato degli asfodeli o nei campi elisi.
Chiudo qui, perché l’angolo sta diventando un’altra storia a sé XD
Spero comunque che ciò che ho scritto vi sia piaciuto!! :D
Alla prossima,

Ai Khanum

 



[1] Ma tu risparmialo, o Dio.

[2] Giorno di lacrime, quel giorno,/quando risorgerà dal fuoco/l’uomo reo per essere giudicato.

  
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