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Autore: Walter Simmons    24/06/2014    0 recensioni
Forse, addirittura, l’appartamento non è mai stato abitato, perché non c’è traccia di arredamento. Completamente spoglio. La cosa non ci disturba affatto, anzi, ci fa sentire ancora più vicini a questo posto vecchio e polveroso che abbiamo scelto come nostro.
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Proviamo a ridere tutti, così metteremo in fuga gli spauracchi!
- Il mio vicino Totoro




 
Notte. Passi leggeri sul selciato, nessun rumore nell’aria fresca, nessun eco che sbatte contro i muri del vicolo. Ricordiamo bene la strada, dopo averla percorsa centinaia di volte. Non portiamo più nemmeno le torce; è come se i nostri piedi sapessero già dove condurci.
Ci inoltriamo in vicoli sempre più stretti, labirintici, nelle tenebre della notte cercando di scacciare la paura, viscida, sottile, che nonostante tutto ancora si infiltra sotto pelle e vestiti.
Destra. Destra. Dritto. Seconda a sinistra. Entrare nel borgo. Sinistra. Quattordici scalini. Terza a destra.
Buchi di tarli, nel legno marcio della vecchia porta.  Entriamo, silenziosi come sempre, pur sapendo che ormai nessuno può più sentirci. Il nostro posto segreto.
Giacomo, l’ultimo della fila, si chiude lentamente la porta alle spalle, e l’assenza di un qualsiasi rumore è ancora più inquietante di quanto non lo sarebbe stato uno scricchiolio familiare.
Eccoci. Siamo arrivati. Siamo ancora qui. Ci scambiamo tutti e cinque un’occhiata, come a rassicurarci di essere davvero tutti lì, ancora, e subito saliamo al piano superiore per preparare il nostro accampamento.
Siamo all’interno di un vecchio appartamento, disabitato da non so quanti anni, proprio nel centro della città vecchia. E’ stato Andrea a scoprire questo posto, in uno dei suoi tanti vagabondaggi notturni.
Così sperduto da non essere mai stato trovato nemmeno dai drogati del quartiere, così lontano dalle nostre case da darci l’illusione di essere su un pianeta totalmente diverso.
Forse, addirittura, l’appartamento non è mai stato abitato, perché non c’è traccia di arredamento. Completamente spoglio. La cosa non ci disturba affatto, anzi, ci fa sentire ancora più vicini a questo posto vecchio e polveroso che abbiamo scelto come nostro.
Abbiamo riposto tutte le nostre cose nell’angolo di una piccola stanza, che probabilmente sarebbe dovuta essere un bagno. Eva e Andrea prendono le coperte e i cuscini dalle buste di plastica, mentre Arianna si occupa delle candele. Io rimango nell’altra stanza, e aiuto Giacomo a tirare fuori dallo zaino tutto quello che abbiamo portato e non avremmo potuto lasciare qui, come una bottiglia di liquore, tanto cibo e qualche sigaretta. Pian piano la stanza si anima, le coperte vengono stese a terra formando un tappeto su cui stenderci, qualcuno tira fuori un accendino per le candele e finalmente riusciamo a vederci bene in faccia. E’ un momento quasi sacro, per noi. Il silenzio continua, imperterrito, e ci sentiamo come se, anche se parlassimo, continuerebbe ad essere tutto intorno a noi. Ma è un silenzio diverso da prima che arrivassimo. Ora ci sono i nostri respiri, il fuoco che lentamente fonde la cera… suoni sottili ma vivi.
Guardo ad uno ad uno tutti i miei compagni. C’è Giacomo, massiccio come un armadio ma buono come il pane. Arianna, il biondo caschetto sbarazzino e la figura filiforme che si staglia nella penombra. Eva, le spalle larghe, la faccia piena di lentiggini. Andrea, altissimo, i capelli scarmigliati ad arte che ricadono leggeri sugli occhi chiari. Eccoli, i miei compagni, diversi l’uno dall’altro come il giorno e la notte, ma uniti da un legame così profondo da non poter essere definito da nessuna parola esistente.
Una voce roca e sarcastica rompe il silenzio.
«Cavolo, non ci vediamo da quasi due settimane e non c’è ancora nessuno che mi dica quanto sto bene con il mio nuovo taglio di capelli. Potrei offendermi seriamente, eh! ».
Scoppiamo tutti a ridere. Sì, decisamente, siamo sempre noi. Almeno, Giacomo è rimasto lo stesso.
Nessuno lo dice mai, ma tutti abbiamo paura di ritrovarci diversi, come se il mondo esterno potesse in qualche modo corrompere, con il tempo, la nostra vera natura.
Come se ogni volta che ci separiamo temessimo di non ritrovare più le persone con cui abbiamo condiviso così tanto.
«Mio Dio, Giacomo, ma sei tu? E io che pensavo che Leo avesse invitato un modello bellissimo con cui rimpiazzarti! Proprio non ti avevo riconosciuto» esclama Eva con finta sorpresa.
«Ti sarebbe piaciuto, eh? » le dico io, ammiccando.
Altre risate generali. Ci stringiamo in un cerchio un po’ più stretto, così, istintivamente, chi seduto, chi steso. La prima mano a tuffarsi nel mucchio di scorte per la notte è quella di Andrea, e ne esce con un pacchetto di patatine al formaggio. Arianna si sdraia comodamente accanto a me, appoggiando la testolina bionda sulle mie cosce e allungando una mano per prendere una sigaretta.
Restiamo così, a sorreggerci un po’ l’uno con l’altro, una catena umana infinita, mangiando e parlando di futilità. Dall’unica finestra entra una leggera brezza che fa ondeggiare le fiamme delle candele e ci accarezza la pelle. La notte è ancora giovane, ma già è abbastanza fresco da portarsi addosso una felpa.
A volte, durante le nostre notti, ci sono pensieri che entrano clandestini nella mia mente. E’ come se li vedessi arrivare, lenti, fluttuanti nell’aria polverosa della stanza, e non mi accorgo di averli pensati fino a quando non diventano così ingombranti da sembrare dolorosamente tangibili.
Penso ai miei genitori, alle frottole che gli ho raccontato per restare fuori tutta la notte, ai loro sguardi premurosi e un po’ interdetti. Penso al mondo, a come mi vede, se mai mi ha visto, e a cosa riserva per me il destino in cui non credo.
Ma la maggior parte delle volte penso a me, a noi, ai miei compagni, e desidero più di tutto nell’universo che ogni cosa presente in questa stanza rimanga esattamente com’è ora, durante questa notte.
So benissimo che è solo un’illusione da adolescente, che tutto è destinato a mutare e che la mia volontà – così piccola e insignificante – non può minimamente influire sul corso degli eventi, ma questa consapevolezza non fa che acuire il mio bisogno di stabilità.
Li guardo di nuovo, uno ad uno, e il mio volto deve avere qualcosa di strano che faccia trasparire i miei pensieri, perché ad un tratto smettono di parlare e rivolgono tutta la loro attenzione verso di me.
«Che pensi, Leo? » mi chiede serio Andrea, guardandomi negli occhi.
L’idea che possano ridere delle mie idee non mi sfiora nemmeno la mente. Hanno tutti quello sguardo vigile e attento che mi fa venire voglia di parlare. Arianna alza la testa dalle mie cosce e butta via il mozzicone dell’ennesima sigaretta ormai spenta.
«Niente. Pensavo solo a quanto sarebbe bello se tutto rimanesse così com’è. Noi cinque, insieme, nel nostro posto segreto, a parlare e mangiare e fumare. »
E nel momento stesso in cui queste parole escono dalla mia bocca, so – lo so per certo – che tutti, almeno una volta, hanno pensato quello che ho pensato io. Perché l’implicazione logica di tutto ciò, è che non sarà così. Che sarebbe bello, ma non può essere.
Probabilmente è un bene che tutti l’abbiamo capito, perché a nessuno viene in mente di dire la stronzata “ma che dici, noi staremo insieme per sempre”.
Niente è per sempre, e questo siamo abbastanza grandi da riconoscerlo. Forse è questo diventare adulti, penso tra me e me, gli occhi ancora fissi in quelli dei miei compagni. Capire che niente durerà per sempre. O almeno, che niente resta sempre lo stesso.
«Non so voi, ma a me personalmente basta il fatto di averlo vissuto. La fine arriverà, e sarà la fine delle nostre chiacchiere, quelle stupide e quelle serie, la fine del nostro posto segreto e delle nostre notti. Ma non sarà la fine per noi. Anche se dovessi morire domani, la settimana prossima o fra cent’anni» aggiunge Eva con un mezzo sorriso «sappiate che mai, nemmeno una volta, ci sarà un giorno in cui almeno un mio pensiero non vada a voi.»
Le sue parole mi rassicurano immensamente, più di quanto avrei creduto possibile. Mi ritrovo a pensare che Eva è una persona saggia come ce ne sono poche. Tempo fa avevo creduto che potesse essere invidiosa di Arianna, del suo fisico perfetto e del suo viso di porcellana, ma oggi quasi mi vergogno di questo pensiero. E’ bella, Eva, con le sue mani grandi e il suo peso in più, non è solo saggia; come Arianna non è solo bella, anche se scommetto che la maggior parte delle persone si ferma a questa sua caratteristica.
Un’ondata di affetto mi travolge, inaspettata, e ora tutto ciò che vorrei è stringermi a loro, tutti loro, come ci si stringe alle cose forti e concrete.
Ci aggrappiamo l’uno all’altro con una tenacia allo stesso tempo spaventosa e commovente, tenendo lontano il mondo e tutto ciò che è estraneo alle nostre notti.
Non conosciamo nemmeno i nostri rispettivi cognomi, ma saremmo disposti a farci scoppiare i polmoni pur di vederci, ancora e ancora.
E così, aggrovigliati, disordinati e selvaggi, ci addormentiamo, incuranti della polvere e del cielo, consapevoli che tutto questo finirà, ma non stanotte. Mi ricordo un unico pensiero coerente, prima di abbandonarmi al sonno, ed è che le nostre notti non sono vie di fuga dal mondo, ma solo un modo come un altro di cercare di capirlo e di non aver paura.
Un soffio, e come i pensieri la notte vola via, leggera com’era arrivata. Silenziosi come sempre, già svegli e  ben vigili, ci alziamo e riponiamo le nostre cose. E’ mattina, e di mattina già non siamo più noi.
E’ un attimo, ed è già tutto pronto.
 Ci baciamo a vicenda, sulla bocca, ultima vestigia di ciò che abbiamo passato anche stanotte - tradizione che custodiamo gelosamente -, e siamo pronti a partire. Mi sembra che le labbra di Andrea indugino sulle mie qualche momento di più, come i suoi occhi chiari nei miei.
Ma non sono sicuro, potrei essermi immaginato tutto. Chissà. Dovrò aspettare la prossima notte.


 
  
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