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Autore: Lilith_s    25/06/2014    12 recensioni
“ma forse è questo il tuo problema. Farsi consumare è...terribilmente bello, i litigi che vivono dentro di te...il cervello, la testa che dice una cosa, ed il cuore, lo sterno e la bocca dello stomaco in fiamme, come se ribollisse dentro” mi bagnai le labbra per riprendere fiato “Ma io ho capito, con tanto dolore, che questa tremenda malinconia poi muta solo in melanconia...come lo spleen di Baudelaire, hai presente?”
Lui sorrise, timidamente, per il paragone che avevo fatto...tornò a seguire l’andamento delle mie labbra “lo spleen è nero, è velenoso, fa male. Fa male al tuo cuore, Ville” gli toccai, senza pensarci troppo, il cuore... “batte, sì, lo fa, ma a che prezzo? Ama chi ti ama” sussurrai poi, dopo un lungo respiro...
*
*
*
Più passavo tempo con lui, più scoprivo un lato inedito del suo carattere, più occasioni avevo di guardare il suo viso, perfetto, più scoprivo una ruga, un particolare, un’espressione dei suoi occhi, o un modo di muovere le labbra tutto suo, qualcosa che gli appartenesse davvero.
Avrei desiderato immensamente abbracciarmi a lui, il suo profumo, anzi, il suo odore, avvolgeva le mie narici, ogni poro della mia pelle, attirandomi a lui come un magnete..
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il getto fresco dell’acqua lavava via la stanchezza di un intenso pomeriggio di corsa tra gli infiniti  sentieri del Parco Centrale della città.
Era stata una giornata impegnativa e stressante, e, come ero solita fintanto che ho abitato ad Helsinki, scaricavo ogni tensione concedendomi lunghe e piacevoli ore di corsa per i più bei parchi della città, riflettendo, ripassando mille idee, distratta solamente dalla quiete che incorniciava il verde attorno a me.

Ero tornata ad Helsinki da poco più di due settimane, eppure, sebbene un primo stranissimo impatto dovuto ai miei cinque anni di assenza, lei sembrava non essere cambiata affatto, mi accoglieva come sempre aveva fatto senza risentimenti nei miei confronti... io, che pur amando quel suo azzurro..quello del cielo, quello dei laghi, non ci avevo pensato due volte ad andare via.
A dire il vero quando ero più piccola e passeggiavo di sera con mio padre per le vie del centro, in inverno, m’immaginavo Helsinki ed i suoi abitanti come inconsapevoli protagonisti di quelle palle di vetro con la neve, sempre graziose, caratterizzate da una tranquillità sovrannaturale.
Ero legata a questa città con la stessa dolorosa e tenera malinconia con la quale si ricorda, flebilmente, un luogo dell’infanzia dai ricordi felici che ora non c’è più.

Terminata la doccia, mi fasciai il corpo con un asciugamano da bagno, e presi a spazzolare i lunghi capelli rossi per poi raccoglierli in un’unica treccia e andare in camera a rivestirmi.

Aprii la finestra della mia stanza, che si affacciava sul giardino, e fui colta da un’improvvisa ma piacevole brezza che prepotentemente si propagò in tutto l’ambiente, un piacevolissimo fresco di giugno.

Lanciai un’occhiata veloce alla stanza, lanciai un’occhiata veloce alla mia vita...mi sedetti di peso sul letto, vestita solo di indumenti intimi, la pelle ancora un po’ umida… volevo cambiare colore alle pareti, volevo ridipingere la mia vita.
Sì, avevo viaggiato e vissuto esperienze di ogni sorta, all’estero; ma ora mi ritrovavo di nuovo qui, con il dovere di trovare un motivo per restare, per non sprofondare nel languore che mi aveva spinto, di fatto, ad andare via.

In questo fiume di pensieri, porsi lo sguardo su una vecchia fotografia sul comodino che mi ritraeva sorridente con mio padre… ecco, ma dove era finito quel sorriso? Ad essere piccoli tutto il mondo ci appare come un gioco, ma da adulti perdiamo la spontaneità e la tendenza ad apprezzare la vita così come è perché siamo troppo presi da piccoli affanni quotidiani... un litigio, una bolletta da pagare, un esame da fare...  mi alzai per indossare una maglietta e dei pantaloncini, quando il rumore delle chiavi nella serratura annunciava il ritorno a casa di papà.

“Sybil, ci sei? Sono a casa!” disse ad alta voce mentre chiudeva la porta dietro di sé.
Attraversai velocemente il largo corridoio che divideva la mia porta dall’ingresso “Ehy pà” gli sorrisi togliendoli le buste della spesa che stava portando “Sono tornata da pochissimo, sono andata a correre” aggiunsi “A te? Giornata tranquilla?” chiesi una volta arrivati in cucina e, aperte le buste, sistemavo le cose nella dispensa.

“No guarda” mi rispose con un sospiro “E’ stato un vero inferno oggi… oltre metà giugno e dobbiamo ancora sistemare delle cose per il Sonisphere!” si portò una mano alla fronte.
“Sonisphere?!” mi voltai a guardarlo sollevando un sopracciglio, con espressione compiaciuta “Ma lo sai che non ci sono mai stata?”
“Come? Nemmeno quando l’hanno fatto qui, in Finlandia?” farfugliò velocemente “Ah già, tu non c’eri…” concluse con un velo di mestizia.
“Papi..dai” mi avvicinai a lui “Ora sono qui” gli feci notare “Non scappo, non preoccuparti” gli dissi guardandolo con tanta tenerezza per poi dargli un bacio sulla guancia. “Su, nel forno ti ho lasciato il resto dei cannelloni...tanto lo so che non mangi mai a lavoro, non per altro hai quel viso super scavato” feci di no con la testa
“No no Syl. Ora non posso, in più..” si guardò l’orologio, che segnava le 18.30, “stasera ho una cena con i ragazzi, e per quanto stiamo nella merda… ora è meglio che mi rimetta al lavoro” concluse con tono serio e sbottonandosi i primi due bottoni della camicia.
Mi sedetti sul tavolo ad isola della cucina, facendo dondolare le gambe “Come preferisci, Mr. Vesterinen” alzi le mani in segno di pace.
“Piuttosto, mi prendo un caffè!”
“No no no!!” risposi freneticamente “Ti rende nervoso. E tu non hai più vent’anni” gli puntai l’indice sinistro contro
“Ah!” rimase a bocca aperta “Scusa, con chi credi di stare a parlare, signorina?” alzò un sopracciglio in segno di sfida... “Sai Syl, sei proprio uguale a tua madre” mi sorrise dolcemente “Bella e testarda come lei” aggiunse sorridendomi e abbracciandomi forte “Mi manca molto”
Non appena finì di pronunciare quelle parole, sentii tramontare lo splendido sole di quella giornata. Mia madre, Tanja, era morta già da molti a causa di una lunga malattia, sempre più lacerante..per lei e per chiunque le stesse accanto. Per quanto difficile, doloroso e disumano, papà non ha mai ceduto, mai mostrato, almeno con me, la debolezza che lo attanagliava subito dopo la sua scomparsa. Spesso però mi ricordava quanto e come le assomigliassi, ed io vedevo sempre, mentre mi parlava, come i suoi occhi si facessero lucidi per l’emozione... “lo so, manca anche a me a volte...” mi staccai da quell’abbraccio prima che uno dei due finisse per mettersi a singhiozzare come un bambino “Oh riprenditi” gli detti due schiaffetti sulle guance “piuttosto…” cambiai argomento “dove ve ne andate a cena?”
“Ho detto a Raija” la sua odiosa segretaria “di riservare un tavolo al Toscanini, al Klausk Hotel, per le 20,30”
“Cucina italiana!” improvvisamente i miei occhi si fecero a cuoricino, causa anche del brontolio del mio stomaco che non vedeva cibo da ore ormai “Non assaggio un piatto italiano da troppo..troppo tempo, dio...” commentai con un sospiro e benedissi la mia intensa attività fisica, senza la quale, a quest’ora, sarei stata un’enorme palla di grasso rotolante.


“Ti andrebbe di aggiungerti?” mi domandò all’improvviso
“Io?” ammetto che ero fortemente tentata “Beh, ma siete quanti? Sette uomini?” arrossii in modo incontrollato “Mi vergognerei” feci spallucce, poggiandomi sul braccio del divano
“Ma dai Sybil! Mica sono degli sconosciuti” rise “Sarebbe bello se venissi, non vedi i ragazzi da tantissimo tempo, sono certo che sarebbero felici di rivederti, ed io sarei felicissimo di mostrare loro quanto sia bella mia figlia” terminò così, facendomi arrossire ancora di più – pessimo, pessimo mio vizio-
“Beh, se ti fa piacere” abbassai lo sguardo “Vado a prepararmi allora” sentenziai felice dopo avergli dato un altro bacio.
Mio padre mi era mancato davvero tantissimo, una mancanza sopita durante la mia lunga assenza, ma che ora si era fatta viva più che mai...certo, non sempre abbiamo avuto un rapporto idilliaco, anzi, ricordo gli anni dell’adolescenza come un continuo litigare, ma si sa che quando si diventa grandi anche il rapporto con i genitori tende a stabilizzarsi, ad appianarsi.
E’ la persona che ammiro di più in assoluto, lui che si cade sempre in piedi, che porta orgogliosamente le sue cicatrici, e che è stato capace di crescere me, non proprio un marchio di obbedienza e compromesso.

L’idea di dover cenare con tutti i ragazzi mi stava mettendo non poco a disagio, specialmente per il loro leader idiota, il troppo osannato Ville Valo, un uomo che non poche volte in questi anni ha provocato esaurimenti a mio padre – e forse anche al resto del gruppo- che però ha goduto della mia stima solo per la sua furbizia: Ho sempre visto in Ville qualcosa di machiavellico, non in senso becero, anzi, ho sempre ammirato la sua ostentata – e falsissima- modestia – non per altro sa chi è, quanto valga e quanto sia bello- volta ad ottenere perpetui riconoscimenti dagli altri, compiacendosene sempre più.
Spesso, quando ero solita frequentare l’ufficio di mio padre, ho assistito alle loro riunioni alle quali sì presenziava, ma rompendo decisamente le palle a chiunque si trovasse nella stessa stanza. “Un caffè” oppure “No, devo fumare” o ancora “Andatevene a fanculo” o peggio “Ho un impegno, devo andare via”, non contando le innumerevoli ragazze che il sottoscritto ha fatto disperare, piangere come se non ci fosse un domani, il tutto sotto il suo perenne sguardo menefreghista.
Ecco perché penso che Ville Hermanni Valo sia un grandissimo stronzo. Che poi scriva da dio...beh, quella è un’altra storia.

Guardai l’orologio in camera e mi resi conto di dover fare in fretta, date le assurde fisime di mio padre sulla puntualità.
Ricordai subito di aver portato con me da Londra un abito carinissimo che però non avevo avuto ancora modo di indossare. Questa serata risultava ideale per sfoggiarlo, ed io non vedevo l’ora, data la mia ossessione per i vestiti, ed il mio armadio lì lì per esplodere, o peggio la continua sovrattassa per le valigie, ne erano esempi.
Il vestitino era di seta blu, smanicato e con lo scollo a barca, con una non troppo profonda scollatura sulla schiena. La cosa più carina era di certo il ricamo, appena sotto il seno, a mo’ di finta cintura, tra l’oro ed il nero.
Mi guardai soddisfatta allo specchio ed optai per un tacco non molto alto – essendolo già io- sempre oro e nero.
Sciolsi la treccia e rianimai i capelli con le dita, per conferir loro volume. Desideravo essere bella, bella per me stessa. Dopo l’ultima delusione che avevo avuto, la causa prima del mio ritorno in Finlandia, non ero propensa a cercare un nuovo amore, perché nutrivo già un amore infinito per un ragazzo, perché non riuscivo a guardare nessun altro con lo stesso ardore, lo stesso desiderio che mi prendeva quando incrociavo il suo sguardo. Mi stavo sempre più convincendo del fatto che si sarebbe dovuto manifestare un dio greco dinnanzi ai miei occhi, non foss’anche per dimenticare tutto il dolore che avevo ricevuto, e senza un perché. Avevo però l’intenzione di uscire da quella gabbia in cui i fatti mi avevano portato a rinchiudermi, e decisi che il primo passo sarebbe stato apprezzarmi, valorizzarmi, non per gli occhi di un uomo, ma per i miei.

Finito di truccarmi, inviai un messaggio su whatsapp al mio gruppo, informandoli della cena e che li avrei raggiunti appena finito, motivo per cui, una volta pronta, mi diressi al ristorante nella mia auto.
Parcheggiai dirimpetto all’hotel, contenta di essere riuscita a trovare un posto in centro; uscendo dall’abitacolo notai che erano già presenti tutti, tutti tranne uno: (il solito) Ville. L’antipatia per quell’uomo crebbe a dismisura in un solo istante.

“Sybil? Non ci credo che sei tu!!” mi accolse Migè, il mio “orsacchiotto”, stritolandomi letteralmente in un abbraccio e iniziando a farmi mille domande… tutti loro si avvicinarono a me, specialmente Linde che trovavo in splendida forma, lui ed i suoi capelli, altro che donne e maschere nutrienti!
“Syl sei diventata davvero bellissima” mi disse facendomi girare su me stessa “E’ strano vederti così, io che ti ho vista piccolissima!”
Notai lo sguardo orgoglioso di mio padre e, ancora una volta durante quella giornata, compresi non solo il valore, ma la semplicità...la bellezza di avere degli affetti, persone che ti vogliono bene e perché no, per cui lottare...ed io che fino a quel momento avevo lottato, strenuamente, per un vigliacco, un codardo...

Aspettammo Ville per almeno dieci minuti, quando decidemmo, anche per il freschetto, di accomodarci in sala ed iniziare la cena.

“Che vada al diavolo!” sentenziò mio padre, e nessuno avrebbe potuto obiettargli qualcosa.

La serata passava velocemente, tra una portata e qualche chiacchiera, risate varie e discorsi loro, di cui io, onestamente, capivo meno che mai. Era passata quasi un’ora e la sedia dinnanzi alla mia era ancora vuota “Ma perché?” era l’unica cosa che riuscivo a domandarmi, quando sentii il mio cellulare vibrare. Lo estrassi dalla pochette e il solo leggere il nome del mittente del messaggino mi mandò in pappa il cervello, sentii le guance infuocate, il cuore battere all’impazzata, e le mani sudate, tremendamente sudate. “Con permesso, devo rispondere al telefono” dissi nel modo più naturale possibile.
Dopodiché mi diressi fuori dall’hotel, avevo necessariamente bisogno di aria.

“Bastardo” era l’unico pensiero che avevo in mente “Ci risiamo. Lui mi scrive ed io impazzisco di nuovo” quasi dovetti trattenere le lacrime per lo sconforto. Dovevo riprendermi, o non avrei resistito tutta la serata.
Lessi più volte quel messaggio “ Syl, mi manchi. Tu sei l’amore, sei la passione, sei la dolcezza, il sesso, il desiderio...tu sei tutto il meglio…non posso accettare il fatto di non averti nella mia vita, in qualsiasi forma. Ho bisogno di te comunque, di parlare, di ridere. Tu ci devi essere sempre e comunque nella mia vita. Syl...tu sei la cosa più bella che mi sia capitata e non posso perderti, non posso immaginarti ad amare qualcun altro, non tu che sei mia, la piccola Sybil, non tu, non è naturale...ho le lacrime di un bambino. Tu, Syl, tu, tu sei l’essere più splendido del mondo. Puoi impedirmi di dirti che ti amo, ma non puoi impedirmi di dirti quanto sei bella...torna da me...”

Più lo leggevo più quel peso nel mio cuore si faceva grande, più le lacrime premevano forte per uscire, ma non potevo. NON DOVEVO ripiombare in quello sconforto, quell’inferno grigio in cui lui mi aveva tenuta per più di un anno, con le sue effimere promesse, con il suo amore mai dimostrato. In quel momento mi sentii più sola che mai.
Ero uno straccio. Mi rimbombava in testa la domanda che in modo ossessivo, a tratti maniacale mi ero posta per quell’intero anno “Perché mi fa così male se mi ama?”...quell’interrogativo tornava così a torturarmi, ed io di nuovo brancolavo nel buio.
Inspirai profondamente, mi guardai intorno, dovevo scacciare l’ansia...notai dall’altro lato della strada c’era un distributore automatico di sigarette, così corsi ad acquistarne un pacchetto. In tutto quell’affanno e pesantezza maledissi più volte le mie scarpe, assolutamente inadatte a situazioni come queste, girai l’angolo quando, impegnata a prendere le monetine dal portafogli, non vidi chi mi trovassi di fronte e finii per sbattere contro il petto di un uomo “Mi scusi” ci dicemmo contemporaneamente, mentre lui, istintivamente, mi prese una mano; alzai velocemente lo sguardo e “Questo ha già peggiorato la mia precaria serata” sbottai, nel vedere che ero andata a scontrarmi con chi? Con sua maestà Ville Valo!
Lui non capì bene cosa stesse succedendo, mi fissò con sguardo interrogatorio e, quando ormai avevo raccattato le monete dalla strada, urlò “Sybil! Sei tu!” con tono sorpreso.
“Sì, Ville, sono io e dentro ti aspettano da più di un’ora” risposi acidamente, fermandomi a prendere un pacco da dieci di Marlboro Light
“Ma che?” sollevò un sopracciglio “Sarai mica diventata stronza come tuo padre?” domandò con un ghigno al quale risposi con un espressione che diceva chiaramente VAFFANCULO.
Presi le sigarette e tornai da lui, che nel frattempo era rimasto fermo a guardarmi.
“Saranno passati anche cinque anni, ma tu non sei cambiato per niente eh” gli feci notare accendendomi la sigaretta
“Ci tengo a preservare me stesso” rispose in tono serafico “tu invece...” mi squadrò dalla testa ai piedi senza aggiungere altro
“Non iniziare Ville, davvero. Non è serata” mi posizionai davanti alla porta dell’albergo, intenta a finire di fumare. “E dimmi...” presi a guardarlo, a squadrarlo...era un po’ invecchiato, ma rimaneva sempre un bellissimo uomo “quale sarebbe la tua scusa per questo ritardo?”
“Ahah” si passò la lingua sul labbro superiore, pensando bene di accendersi una sigaretta “Sai, fino a qualche ora fa si credeva che io fossi...” aspettò qualche secondo “MORTO!” concluse con espressione divertita
“Morto?” ripetei sconcertata “Che cazzo...?”
“Qualche coglione ha pensato bene di spargere la voce su internet, ho dovuto fare un comunicato stampa, ti rendi conto?”
Per quanto assurda fosse quella storia, mi stava portando mentalmente lontana dal messaggio di Adrian di poco prima, e per questo gli fui grata.
“Sarà sfuggito a mio padre, anche se non capisco come possa essersi dimenticato questa fantastica notizia” risi mordendomi con gli incisivi il labbro inferiore.
“Tutta invidia” commentò lui, con la solita aria non curante. Trascorremmo un minuto abbondante nel più totale silenzio, disturbati solo dalla frenesia delle auto per il boulevardi ed i passanti.
“Come mai sei tornata?” chiese di punta in bianco
Oh no Ville, no, ti prego, no no no!
“Per la specialistica” dissi in modo distaccato, rivolgendo lo sguardo altrove. In quel momento ebbi come l’impressione che i suoi occhi mi stessero addosso, avrei dovuto mentire meglio.
“Mh, capisco” mi rispose con l’aria di chi non aveva abboccato assolutamente all’amo “Quindi hai intenzione di rimanere qui per un bel po’” concluse
Alzai le sopracciglia “beh, direi di sì, starò a vedere come evolvono le cose...” gettai la sigaretta e la spensi con la punta della scarpa “entriamo?”
“Oh sì, sì” lanciò la sigaretta che rotolò oltre il marciapiede e mi porse il braccio “prego” fece con aria da gentiluomo “che si dica tutto di me, ma mai che lasci una donna entrare da sola” sorrise
Infilai il mio braccio sotto il suo e ci dirigemmo verso la sala “Sì, Ville.” Mi voltai a guardarlo “lo sanno tutti che non lasci sfuggire mai nessuna donna” gli feci notare con un sorrisino rispondendo allo stesso modo. Passarono cinque secondi circa, ma quegli occhi, dio...sembravano lame nei miei, mi guardava come se fossimo le uniche due persone sulla terra. “Altro trucchetto” pensai, eppure dovetti ammettere nella mia testa che Ville aveva davvero fascino, ancora una volta sapeva bene come usare le sue carte.

“Vedete chi vi ho portato!” esclamai una volta entrata nella nostra saletta privata
“Oh, guarda! Chi non è morto si rivede” scherzò mio padre nel vederlo “Ma dove ti eri cacciato?”
“A rispondere ai mille messaggi di commiato” rispose Ville facendomi sedere ed occupando la sedia di fronte alla mia “Mi ha chiamato mia madre, stava per avere un attacco di cuore” raccontò, cosa che ci fece ridere tutti.


Il resto della serata continuò molto serenamente, salvo qualche mio viaggio mentale diretto a Londra, verso Adrian, e le continue occhiate di Ville mi aiutavano ben poco; fissava qualsiasi cosa facessi, che mangiassi, che mi pulissi con il tovagliolo, che bevessi, qualsiasi cosa, e questo mi stava dando davvero fastidio.
“Non hai altro a cui badare stasera?” gli dissi a bassa voce, dopo averlo scoperto per l’ennesima volta
“Beh” fece il suo sorriso da stronzo “Sei seduta di fronte a me, e si da il caso che soffra di torcicollo, è scomodo per me voltare la testa, no?” aggiunse con una smorfia.
Che Ville stesse flirtando con me? Con la figlia del suo manager? Con una ragazza tredici anni più piccola? Era un pensiero che mi dava il voltastomaco.
“Acciacchi dell’età.” Tzè. Bomba sganciata, Valo. Zitto ed incassa.
“Già, tu non puoi comprendere, sei ancora una bambina” rispose versandosi un goccio di vino nel bicchiere “posso?” fece gesto di riempire anche il mio
“No, io ci tengo al mio fegato” risposi davvero da stronza. Mi resi conto che forse avevo esagerato un po’ troppo...ma nemmeno il tempo di elaborare questo pensiero che sentii arrivare uno “stronza” con un sopracciglio sollevato e gli occhi piccoli piccoli, a mo’ di minaccia
“Papino lo sa che fumi, o no?” si sporse un po’ troppo verso il mio lato, ma gli altri erano così occupati a discutere che nessuno si rese conto di quello che stava succedendo. Gli riservai uno sguardo biasimevole “Non ci tieni ai tuoi polmoni eh?” aggiunse
“Ma stai zitto, ero nervosa e dovevo calmarmi. Ecco tutto”
“Oh” rise flebilmente “E come mai? Il ragazzo ti ha lasciato?”
Aspettai qualche secondo prima di elaborare quelle cinque paroline. Che pezzo di merda matricolato. “Vaffanculo” dissi con espressione contrita. Ora sì che stavo per esplodere. Avrei voluto tanto alzarmi ed andare via, ma non potevo permettermi questa figuraccia, oltretutto eravamo al dolce e di lì a poco saremmo andati via. “Ma quanto tempo vogliono ancora...” mi chiedevo nervosamente.

 Finalmente fui accontentata e tempo quindici minuti, eravamo di nuovo fuori dall’hotel.
Salutai tutti forse un po’ troppo velocemente, ma non vedevo l’ora di raggiungere i miei amici, di scappare da quel demente, altro che scapolo d’oro di Finlandia.

Mi diressi verso l’auto quando una voce dietro di me “Mi daresti un passaggio?”
“Ma che?” mi voltai di scatto, notando per fortuna che tutti si erano già defilati “ Ma che cazzo vuoi da me?”
Ville si ritrasse con la testa “un...passaggio?”
“Ma dai, non lo avevo capito” lo avrei voluto uccidere “Una mezz’oretta fa ti ho mandato a fare in culo, non vorrei rifarlo ora” voltai i tacchi e arrivai all’auto
“Oh come sei permalosa! Si vede proprio di chi sei figlia eh!”
“Senti, Ville” feci con lo sportello già aperto “Io e te non abbiamo mai avuto un grande rapporto e questo lo sanno anche i muri, ma se permetti ho già troppo a cui pensare senza che tu sbuchi fuori dal nulla e ti metti a fare il cretino” mi portai istintivamente le mani sul volto, vergognandomi tantissimo di trovarmi per strada, e di essere ad un passo dal piangere.
“Sybil” deglutì la saliva “io...mi dispiace” disse con tono più pacato ora, in tono di scuse, avvicinandosi a me “Posso aiutarti? Dai” ora sembrava lui a vergognarsi... mi poggiai sul sedile, con il corpo nella direzione dello sportello, i piedi sulla strada “Non è colpa tua, almeno...non volontariamente”
Lui si inginocchiò per raggiungere la mia stessa altezza, provando a confortarmi per quanto possibile; mi accarezzò dolcemente il viso, mi vergognavo tantissimo, avevo la testa bassa, ma quel gesto mi parse così sincero e disinteressato che ne rimasi colpita. “Chiunque sia stato deve essere veramente un grande coglione” mi accarezzò un braccio “Eri già tanto carina da mocciosa, ora sei...sei mozzafiato” sorrise. “Sei sicura che ti va di guidare? Sennò chiamo un taxi così ci facciamo accompagnare, eh?”
Ville mi stava facendo da papà in quel momento, o forse da fratello maggiore, un fratello mai avuto e da sempre mancato. E’ stato il primo momento, in tanti anni, in cui sono riuscita a vedere oltre quella sua maschera da duro, e non sembrava poi così male.
“Oh, no dai” feci di sì con la testa “Se vuoi ti accompagno, dai.” Mi passai nervosamente la lingua sul labbro inferiore e mi sistemai meglio in auto.



Per tutto il tragitto non ci rivolgemmo la parola, non per imbarazzo o quant’altro, anzi, credo che comprese il mio bisogno di stare in silenzio, dopo tanto ed inutile chiasso. Decisi però di sciogliermi.
“Sono stata la sua” non riuscivo quasi più a parlare “amante” guardai in basso “per più di un anno. E con amante intendo vero amore, tanto, e pure troppo doloroso. Alla fine ho smesso di lottare, sono tornata qui perché non ne potevo più di vederlo con la sua ragazza...sai” mi voltai verso di lui “non si amano, non fanno l’amore, non si vogliono. Lei esce sì e no due volte alla settimana e lui non può lasciarla, perché...beh perché la madre ha un tumore, il padre sta perdendo il lavoro ed altre tragedie che ora non voglio ricordare. “Sybil sei la cosa più bella della mia vita” ripetei mentre mi avviavo al viale in cui abitava Ville “Ma sono un vile e questa è la mia colpa”.


Spensi il motore.
“Ho perso un anno della mia vita ad amare qualcuno che non potrò mai avere. Più ci penso e più mi fa male, è assurdo. E non c’è un perché. Questa è la cosa che mi sconvolge di più, non so nemmeno il vero perché.” Terminai di parlare e sentii subito la mano di Ville sulla mia “Retorico e banale e scontatissimo, ma credimi, so per certo che non meriti questa pena ineffabile” i suoi occhi verdi si fecero liquidi in quell’istante, volti anch’essi a volermi comunicare qualcosa.
“Non voglio fare pena a nessuno. Nessuno sa di questa storia, eccetto i miei amici naturalmente...e te”
“Allora posso considerarmi tale?” chiese ammiccando
“Ah, non ti allargare troppo, Valo” risposi. E la sua mano era ancora sulla mia.
“Ho paura di essere sbranato a chiedertelo ma, ti andrebbe di entrare dentro per una camomilla? Magari, se ti va, puoi sfogarti un po’, tenersi tutto dentro non fa bene...magari mi sfogo anche io”
Che Ville mi stesse proponendo una sorta di muto aiuto? Ville Valo? Sul serio?
Certo è che si era dimostrato davvero gentile con me, e mi sarebbe dispiaciuto dirgli di no.
Decisi dunque di non raggiungere i miei amici, presi unicamente le chiavi dell’auto lasciando il resto dentro e, una volta chiusa, ci avviammo verso la porta di quella torre maestosa.

Note dell'autrice

Bene! Mi ritrovo qui a scrivere una nuova ff su una delle band che amo di più in assoluto :)
L'idea di far nascere qualcosa tra Ville ed una presuna figlia di Seppo mi stuzzicava già da tempo ormai, infatti tempo fa avevo provato a pubblicare qualcosa del genere ma, non piacendomi, decisi di eliminare tutto.
Sybil esce da una situazione davvero tragica e, tutti gli scritti di questo "Adrian" sono tratti dalla realtà dato che per una sorta di catarsi ho deciso di caricare Sybil del MIO peso, della MIA storia, purtroppo/perfortuna reale. Inoltre il suo soprannome, "syl" richiama il mio.
Insomma, tristezze a parte, le vite di questi due personaggi si incrociano ancora e adesso in maniera definitiva -o quasi-.
Il mio Ville è l'incarnazione della stronzaggine, motivo per cui ho optato per oggi per qualcosa di più soft xD ma nei prossimi sarà assolutamente comabattivo e guerrigliero ;)
Spero vi sia piaciuta la storia, lasciate commenti-critiche se vi va :)
Ricordo inoltre che è il titolo è preso da una citazione di Franz Kafka, "Lettere a Milena" ed il titolo del capitolo è stralciato dal "Grande Gatsby"
La notizia sulla finta morte di ville è reale xD come potete vedere qui http://en.mediamass.net/people/ville-valo/deathhoax.html
 

   
 
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