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Autore: CoralOwen    25/06/2014    1 recensioni
Coraline Owen è una ragazza di diciassette anni, che non ha mai avuto l'occasione di uscire di casa e conoscere gente. In tutta la sua vita i suoi unici conoscenti sono stati in quattro. Le cose cambiano però quando si ritrova costretta a fuggire dalla casa in cui ha passato interamente la sua vita. Farà la conoscenza di un ragazzo che le farà scoprire che la vita non è affatto come credeva lei, ma qualcosa di più pericoloso si cela dietro l'apparenza. Si ritroverà costretta a fuggire da nemici che fino a poco tempo prima nemmeno conosceva.
*L'avvertimento "contenuti forti" è solamente per il primo capitolo, ma non vi spaventate, non c'è niente di troppo sconvolgente. Diciamo solo che è vagamente horror.*
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 01.

Il cielo era buio quel giorno e pioggia fitta cadeva pesante da nuvole nere come la notte.
Ero seduta sul letto ad osservare dalla finestra le nuvole che ottenebravano la città da giorni. La pioggia non era mai stata un gran problema per me che non uscivo mai, ma quel giorno, l’unico in cui potevo metter piede fuori da casa mia, avrei preferito che ci fosse stato il sole come al solito, tanta gente in giro e magari tutto ciò che c’è di allegro in una cittadina piccola come Sungold Hill. Invece il destino aveva deciso che quella giornata sarebbe stata la peggiore della mia vita, rovinando anche l’unica cosa che avrebbe potuto andare per il verso giusto.
“Coraline, tra poco si esce. Preparati.” disse mio padre distraendomi dall’amarezza che si stava creando in me. Mi mossi automaticamente e senza allegria, prendendo i vestiti e dirigendomi in bagno.
Vivevo in una villa niente male di cui non potevo lamentarmi. Mio padre però, era un uomo apprensivo e protettivo che non mi lasciò mai uscire da casa nemmeno una volta, ecco perché quella casa iniziava a starmi un po’ stretta. Crescendo pensai che aveva perso la ragione quel brutto giorno di sedici anni fa, che vide come protagonista la morte di mia madre. Non l’ho mai conosciuta, ma mio padre mi disse che è morta subito dopo la mia nascita per via di un incidente.
Comunque avevo sempre pensato che tutti i padri fossero apprensivi, chi più, chi meno, ma il giorno precedente ebbi la conferma che il mio era del tutto fuori di testa.
“Devo parlarti.” Mi aveva detto, mettendomi immediatamente all’erta.
“Ci ho pensato molto, Coral, e forse è meglio se tu mettessi il MI-8047“
Gli chiesi di ripetere, perché non era possibile che avessi capito bene. Il MI-8047 era un congegno di ricetrasmissione molto in voga tra le famiglie prestigiose di Sungold Hill, ma che si stava espandendo anche alle altre città vicine. Era un dispositivo separato in due parti, una delle quali andava a genitori paranoici di ragazzi sfortunati e serviva a ricevere segnali emessi dall’altra, che era costituita da un piccolo filo di metallo collegato ad una minuscola antenna e un mini microfono. Quest’ultima andava impiantata nella pelle attraverso un intervento chirurgico, in modo da non poter essere più tolta.
Ciò che mi spaventava di più però non era l’intervento, e nemmeno qualcosa da nascondere dato che, al contrario di come pensava mio padre, non facevo nulla di irresponsabile, bensì il fatto che si diceva in giro che molte ragazze a cui era stato messo erano scomparse misteriosamente. Non si sapeva se era solo un caso, ma molta gente non dava peso a quella diceria, anzi i genitori credevano fosse una balla inventata dai ragazzi per screditare quel dispositivo, Anche io me ne ero infischiata delle voci, finché non era toccato a me metterlo.
La fonte di questa notizia era la mia unica amica Miky. Mi fidavo di lei, era figlia dei vicini e ogni tanto veniva a trovarmi. Era una delle quattro persone che avevo conosciuto nell’arco della mia vita, gruppo in cui si trovavano lei, la mia professoressa che ogni giorno veniva a casa per studiare, mio padre e Zoey, la mia insegnante di arti marziali.
Le arti marziali erano la mia vita, oltre a studiare non facevo altro che allenarmi, tanto che quando avevo otto anni, mio padre adibì una stanza della casa a palestra. Lui cercò sempre di negarlo, ma risultai predisposta fin dalla nascita per quel genere di cose. Tentò inspiegabilmente di reprimere la mia origine di Guardiana del Vento finché non fu palese che ero una di loro. I Cinque Guardiani del Vento, comunemente chiamati “I Cinque” erano persone in continua competizione tra loro, nate con straordinarie capacità dovute a mutazioni genetiche, che donavano loro forza, intelligenza e velocità sovrumana e poteri speciali come bruciare una superficie solo toccandola, vedere il futuro, telecinesi e tante altre cose.
In me non si erano ancora manifestati poteri, ma la mia forza e la mia velocità negli allenamenti non era minimamente comparabile a quella della mia normale insegnante.
Era obbligatorio per i Cinque della nuova generazione tenere segreto il proprio potere e rivelarsi immediatamente ai precedenti Cinque, trovando un mentore tra loro e seguire le sue orme fino a prendere il suo posto. Era una specie di gloriosa squadra che proteggeva la regione di Kromos.
Ai miei occhi tutto questo sembrava molto affascinante, ma mio padre mi proibì di rivelarmi a loro e per quanto volessi farlo non riuscii a contrastarlo.
“Sei pronta?” sentii dire dall’altra parte della porta.
Mio padre mi riscosse di nuovo dai miei pensieri negativi. Ero stata mezz’ora sotto la doccia senza rendermene conto, così mi preparai in fretta, uscendo dal bagno con i miei rossi capelli ancora gocciolanti.
Pur essendo Inverno a Sungold non faceva mai tanto freddo, quindi avevo indossato un paio di stretti pantaloni grigi e la mia leggera felpa preferita che Miky mi aveva regalato per il mio compleanno.
“Andiamo.” dissi di mal voglia a mio padre che già stava sulla porta. Quella porta che non avevo mai varcato.
Salii sull’auto di mio padre a testa bassa, con l’intenzione di rimanere in silenzio per tutto il viaggio, ma quando ci allontanammo un po’ non potei fare a meno di guardarmi intorno, catturando quante più immagini possibili di ciò che stavo guardando. Non avevo mai visto niente più che i dintorni di casa mia dalle finestre e rimasi stupefatta nel vedere quanto il mondo fosse al di là di ogni mia aspettativa. Vedere tutta quella gente mi fece sentire sola chiusa nella mia gabbia d’oro, perciò mi ripromisi di chiedere a mio padre di farmi uscire qualche volta. Ne avevamo parlato tante volte e sempre avevo lasciato perdere perché alla fine non mi importava più di tanto, ma dal momento che sapevo come era fatto il mondo, non potevo più far finta che non esistesse.
Rimasi con i miei occhi grigi incollati al finestrino finché l’auto di mio padre non si fermò in una stradina secondaria quasi fuori città, mettendo fine a quel viaggio che era durato troppo poco. Mi ritrovai di fronte ad un’imponente struttura sviluppata più in larghezza che in altezza, dai muri completamente dipinti di grigio. Sembrava incombere su di me, lasciandomi un brutto presentimento che non ne voleva sapere di lasciarmi in pace.
Incitata da mio padre, salii i gradini e varcai la porta scorrevole. L’interno sembrava accogliente. Era una grande sala luminosa con qualche vaso di fiori qua e là per rallegrare la serietà dell’ambiente e delle sedie probabilmente messe a disposizione per chi doveva aspettare il proprio turno. C’era molte persone della mia età, più di quante ne avessi mai viste e non riuscivo a fare a meno di fissarle. Dietro un bancone se ne stava una donna bionda sorridente a parlare con le persone che entravano.
Non avevo nessuna voglia di parlare, né di sorridere, quindi mi sedetti aspettando l’inevitabile mentre mio padre colloquiava con la donna.

Nemmeno due ore dopo mi stavo risvegliando ancora intontita dai sedativi in un lettino scomodo dentro una stanza vuota, arredata solo da un armadio di legno bianco.
Aspettai cinque minuti, ma nessuno si fece vivo, quindi decisi di alzarmi per andare a cercare mio padre che aveva detto che sarebbe rimasto ad aspettarmi in quella che aveva chiamato “sala d’attesa”.
Alzandomi mi resi conto che un leggero fastidio proveniva dal lato destro del collo e immediatamente ricordai perché ero lì. La mia mano si mosse fulminea, toccando un innaturale quadratino di metallo che il cervello catalogava come corpo estraneo, vicino l’orecchio. Più giù un secondo quadratino si trovava tra la spalla e il collo, proprio sopra la clavicola. Entrai nel panico. Era ancora peggio di come mi aspettassi. Non lo volevo, non doveva essere lì. L’istinto di strapparlo via però, fu scacciato dal rumore della porta che si apriva di fronte a me.
Apparve una figura incamiciata completamente di bianco. Era un uomo, aveva forse l’età di mio padre e disse di chiamarsi Dottor Evans.
“L’intervento è andato splendidamente signorina Owen, ma credo che lei debba riposarsi ancora un po’ prima di poter tornare a casa.”
Parlare con un estraneo non mi rendeva particolarmente felice, quindi decisi di andare dritta al punto: “Quando posso rivedere mio padre?”
“Adesso sta firmando dei documenti, ma gli dirò di entrare il prima possibile, ok? Ora si stenda per favore.”
Feci come disse lui e subito dopo scomparve. Il panico iniziò a tornare, ma questa volta riuscii a domarlo. La curiosità di vedere quanto il danno fosse grande però mi tormentava spingendomi a chiedermi se nell’anta di quell’armadio ci fosse uno specchio proprio come in quello della mia camera.
Mi alzai di nuovo diretta verso l’armadio. Non ci trovai nulla di male nel voler soddisfare una curiosità, così lo aprii sperando che contenesse proprio uno specchio.
Con mia grande delusione lo specchio non c’era, ma qualcosa di molto più strano si nascondeva all’interno di quell’armadio. Era praticamente vuoto, fatta eccezione per un piccolo zainetto poggiato a terra contenente qualche camice bianco simile a quello del Dottor Evans. La cosa più strana di tutte però, era una piccola porta, larga a malapena per farci passare una persona chinata, mimetizzata alla parete e senza apparenti maniglie per aprirla. Un occhio umano non l’avrebbe mai notata senza sapere della sua esistenza, ma alla mia vista risaltarono subito i minuscoli spiragli che la separavano dal resto del muro.
Provai d’istinto a spingerla, ma non successe nulla. Incuriosita, poggiai l’orecchio sulla parete e sentii dei rumori provenienti dall’altra parte. Erano troppo lontani per poterli distinguere, anche per me che avevo un ottimo udito, ma sembravano strani suoni di origini e toni diversi che non avevo mai sentito prima.
Quante cose mi nascondeva il mondo? Quante cose non avevo mai visto?
Mossa dalla completa curiosità di scoprire almeno una piccola parte di questi segreti, spinsi la porta con forza, rompendo la serratura dall’altra parte. Non me ne preoccupai più di tanto, la mia attenzione era completamente attratta da cosa c’era al di là di quella porta.
Spalancai la porta e un forte odore di chiuso e muffa mi investì. Davanti a me si apriva un corridoio angusto e poco illuminato, nettamente in contrasto con l’ambiente bianco e pulito in cui mi trovavo fino a poco fa. Il pavimento era stranamente coperto di un sottile strato di licheni che gli donavano un’aria malmessa. I muri erano intervallati da diverse porte nere come la notte, dalle quali provenivano i rumori che avevo sentito prima. Ora che potevo ascoltarli meglio sembravano ululati e forse versi di animali che non avevo mai sentito prima e non riuscivo a comprendere. Il tutto veniva sovrastato da uno sgocciolio snervante derivato dalla caduta di piccole gocce d’acqua da una crepa nel soffitto all’angolo. Dopo quest’ultimo il corridoio svoltava a destra perdendosi nell’ignoto.
Mi strinsi nelle spalle e avanzai. Un’allarme nel mio cervello tantava di ordinarmi di fermarmi, ma per mia sfortuna la curiosità lo sovrastava, schiacciandolo e rinchiudendolo in un piccolo angolo della mia mente, dove veniva quasi ignorato.
Non conoscevo bene il mondo, ma ormai era evidente anche per me che c’era qualcosa di strano. Dovevo assolutamente venirne a capo.
Per poco non scivolai nella pozza d’acqua che era molto più estesa di quanto pensassi, e cercai sostegno nel muro di pietra. Era viscido e sudicio al tatto e mi rimase sulle mani una specie di materia oleosa. Tentando di ripulirmi proseguii sempre più cauta e affacciai appena la testa oltre l’angolo.
Poche luci soffuse mi rivelarono un corridoio lungo più o meno una trentina di metri con porte nere molto simili a quelle che mi ero lasciata alle spalle, ma con un diverso particolare: diventavano sempre più grandi, fino ad arrivare all’ultima che era ampia circa il triplo di una normale porta di casa mia.
Camminai cautamente finché un ruggito inumano, proveniente da una delle porte più grandi, mi fece sobbalzare.
Spaventata mi misi a correre nella direzione in cui stavo andando, senza pensare che avrei dovuto tornare indietro.
C'era una porta alla fine del corridoio, dalla normale grandezza. La aprii e mi ci infilai senza riflettere. Mi ritrovai in una stanza dal soffitto basso e le luci rosse. Il mio respiro sembrava l'unico rumore in quella lugubre stanza, ma quando la mia vista si abituò a quell’insolita luce mi accorsi di non essere sola. Tre ragazze erano legate a tre lettini separati, con strani tubi contenenti liquidi sconosciuti collegati direttamente alle vene del polso. Nessuna delle tre era sveglia e qualcosa nella mia testa mi diceva che non erano lì per loro volontà. Mi avvicinai un po' per riuscire ad osservarle meglio e notai che tutte avevano lo stesso piccolo congegno che avevo io sul collo. L’unica differenza tra me e loro è che il mio intervento era stato appena fatto, mentre le loro piccole ferite sembravano essersi cicatrizzate da tempo. Ad un tratto mi vennero in mente le parole della mia amica Miky: “ Nell’ultimo mese sono sparite inspiegabilmente altre tre ragazze, e tutte avevano il MI-8047. Pensi sia una coincidenza?”
Lo avevo pensato? Forse sì, ma ora che mi ritrovavo davanti la prova che quasi sicuramente non lo era mi sentii stupida. Mi ero fatta trascinare lì da un padre fuori di testa e ora che sapevo delle ragazze, magari anche la mia vita era in pericolo. Feci un respiro profondo. Forse ero ancora in tempo e nessuno se ne era accorto. Dovevo uscire di lì il prima possibile. Mentre cercavo di calmarmi una ragazza aprì gli occhi. Indietreggiai terrorizzata notando che erano completamente neri.
La ragazza, vedendomi spaventata mi disse “ Va via, prima che prendano anche te. Dillo a qualcuno, aiutaci!” Non si muoveva, e non sembrava potersi muovere. La sua voce, nonostante le frasi imploranti che aveva espresso, sembrava completamente priva di espressione.
Raccolsi tutto il mio coraggio per chiederle: “ Cosa succede qui?”
La ragazza mi rispose con una voce piatta: “ Ci prendono e ci iniettano sostanze strane per fare esperimenti su di noi. Non so a cosa aspirino, ma giuro di averli visti creare mostri spaventosi solo con quelle siringhe.”
Mi chiesi che cosa intendeva, ma non feci in tempo a rifletterci sù, che un rumore alle mie spalle mi fece sobbalzare. Qualcuno aveva aperto la porticina segreta. Mi stavano cercando.
“Scappa ti prego. Usa quella porta.”
Mi fermai chiedendomi se potevo portarla con me. Quasi leggendomi nel pensiero quella rispose: “Noi non possiamo scappare, i MI-8047 funzionano da trasmittenti per loro e non possiamo muoverci. Ti prego, va via e poi torna a salvarci!”
Ero talmente spaventata che sentii a malapena ciò che disse, però in ogni caso promisi di tornare a salvarle. Mi diressi verso la porta che mi aveva indicato e la aprii. Un altro piccolo corridoio con delle porte. Quel posto sembrava un labirinto. Questa volta non si sentivano rumori provenienti dall’altra parte del muro e le porte non erano chiuse a chiave con dei lucchetti, così ne aprii una e mi fiondai all’interno. Mi ritrovai in una stanza illuminata dalla luce del giorno proveniente da una finestra. Il sospiro di sollievo mi si bloccò all’improvviso quando notai che al centro della stanza c’era un tavolino sul quale giaceva uno strano essere. Sembrava quasi un gatto, ma osservandolo meglio mi accorsi che un tempo era stato un bambino non più grande di tre anni. Mi sentii male come mai in vita mia. Un conato di vomito mi assalì. Dove mi trovavo? Che cosa erano quelle terribili creature? Ormai terrorizzata corsi verso la finestra, spalancandola e gettandomi di fuori. Il posto in cui era situata la struttura era quasi fuori città, quindi mi ritrovai su una distesa d’erba che sembrava distendersi a perdita d’occhio. Non me ne curai più di tanto e iniziai a correre a perdifiato lontano da quel posto. Presto sentii un allarme risuonare e mi ritrovai inseguita da un uomo che cavalcava una strana bestia che non avevo mai visto. Mi ero sempre nteressata alla biologia, quindi era improbabile che fosse un’animale esistente e che non conoscevo. Sembrava un ghepardo, ma era grande almeno il doppio di un normale felino e aveva zanne lunghe quasi un metro. Tutt’intorno al collo aveva spuntoni dall’aria molto affilata e come se non bastasse correva ad una velocità inaudita. A quel ritmo mi avrebbe raggiunta in qualche secondo. La paura mi portò ad accelerare al di fuori di quelle che consideravo le mie possibilità. Non avevo mai corso così, non ne avevo mai avuto bisogno. Mi sorpresi nel vedere che andavo veloce almeno quanto lui. Ero una Guardiana, avrei dovuto aspettarmelo, eppure ero sconvolta mentre le mie gambe andavano da sole, spinte dall’istinto di sopravvivenza. Avevo scoperto un nuovo potere. Non so per quanto tempo corsi, ma lì per lì mi sembrò una vita. La posizione del sole al tramonto che ora si intravedeva malapena tra le nuvole, mi rivelò che stavo andando verso ovest. Feci mente locale per ricordarmi che in quella direzione c’era una minuscola cittadina chiamata Windworth in cui forse avrei potuto nascondermi. E poi pensavo che quell’uomo forse non sarebbe entrato in città con quelcoso.
L’unico problema era che la città si trovava a qualche centinaia di chilometri da Sungold Hill e non sapevo se ce l’avrei fatta a correre fin lì.
Il temporale era finito, ma una pioggerella fina continuava a cadere, facendomi scivolare qualche volta sull’erba bagnata, sbucciandomi le ginocchia e rischiando di essere catturata.
Dopo qualche ora sentivo i sintomi della stanchezza che rischiavano di farmi cedere. Lo sguardo mi si offuscava e dovetti rallentare, rischiando di essere raggiunta. Per mia fortuna raggiunsi Windworth in tempo per potermi fermare un momento a riprendere fiato in un nascondiglio. Il tizio che mi inseguiva era sceso da quella bestia come previsto e vedendomi rallentare mi inseguì a piedi. Ovunque mi nascondessi lui continuava a trovarmi, ma non ce la facevo più a correre. Giunsi in una pista ciclabile, dove vi era un torneo di corsa in bicicletta in atto. Mi nascosi dietro alcuni alberi, mentre il mio inseguitore stava rubando una bici per andare più veloce. Ero senza fiato e non sarei più riuscita a sfuggirgli in quel modo. Ad un tratto mi ricordai di ciò che mi aveva detto la ragazza prigioniera: “I MI-0847 funzionano da trasmittenti.” Mi diedi della stupida per non averci pensato prima. In meno di un secondo me lo strappai letteralmente da lì dove era stato inserito e fiotti di sangue iniziarono a uscire dalla ferita provocata da quel gesto. Dovevo fare solo un ultimo piccolo sforzo e nascondermi da un’altra parte, mentre l’uomo sarebbe stato attratto dal segnale.
Vidi un’auto con lo sportello posteriore apperto e mi ci infilai senza riflettere. L’ultima cosa che riuscii a vedere di quel posto era che il mio inseguitore si stava dirigendo verso il mio precedente nascondiglio. Era fatta.
“Cosa diavolo fai?”
Una voce mi fece sobbalzare. Non mi ero accorta che in macchina ci fosse qualcuno. Ormai la mia testa iniziava a girare vorticosamente e le orecchie fischiavano. Non riuscii nemmeno a vedere di chi si trattasse, dissi solo implorandolo: “ Per favore, nascondimi.”
Non riuscii a capire cosa aveva risposto, ma sentii che mi spostava, facendomi rannicchiare ai piedi del sedile dove non mi avrebbe vista nessuno. Ancora oggi gli devo la vita per quello che fece.




 
Spazio autrice!
Ciao a tutti! Questo è il primo capitolo di una storia che ho appena iniziato, quindi mi scuso se ci metterò un po' a pubblicare perché non ho sempre il tempo per scrivere. L'ho pubblicato qui perché sono un po' dubbiosa e volevo provare a vedere se qualcuno può consigliarmi qualcosa tipo un'altro inizio dato che forse questo fa entrare troppo nella storia fin da subito. Non so, aspetto i vostri consigli.
Un bacione, CoralOwen!
   
 
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