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Autore: Walking_Disaster    26/06/2014    2 recensioni
STORIA SOSPESA A TEMPO INDETERMINATO
Scegliere di ripulirsi da ciò che si ha nel corpo. Un modo di dire per molti, una realtà per altri. Una realtà per due ventenni, per Robert e Jude, che dovranno uscire da un giro che li ha resi schiavi e poi ha fatto sì che si chiudessero così tanti scheletri nell'armadio e nei cassetti da non avere più spazio per i sogni. Vogliono recuperare ciò che appartiene loro, ma sarà un processo lungo e faticoso. Devono capire come fare, devono capire di aver bisogno di altri e capiranno, poi, che hanno anche bisogno l'uno dell'altro. Non c'è niente di male nel lasciarsi andare.
E prima di rinascere, si deve imparare a vivere. E chi ce lo insegna, spesso, è l'ultima persona che ci si aspetta.
Il rating potrebbe cambiare nel corso della storia.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Disclaimer: Robert Downey Jr, Jude Law ed ogni altro personaggio pubblico qui citato non mi appartengono in nessun modo, la storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro e non vuole dare rappresentazione veritiera del carattere, della sessualità o di ogni altra particolarità qui affrontata delle persone utilizzate per questa storia.










About our lives.








Prologue – Arrive



Mollai la valigia a terra, che emise un tonfo. La porta della mia camera mi si era già chiusa alle spalle, mentre la signorina bionda di cui non ricordavo il nome e che mi aveva accompagnato lì tornava al suo ufficio con un bel sorriso rassicurante. Io mi ero girato di spalle, seguendola mentre l'ultimo spiraglio della porta le si chiudeva sul viso e scompariva dalla mia vista.
Ero rimasto fermo qualche istante e poi ero tornato a guardare davanti a me. Ero solo, e quella era la mia nuova camera. C'erano due letti da una piazza ciascuno, due armadi ed una scrivania. La stanza era luminosa, probabilmente complici i muri bianchi e la grande porta finestra che dava su una piscina. Una cazzo di piscina e della fottute sdraio intorno. Sembrava più un albergo di un centro di disintossicazione, in realtà. Unica nota stonata: la mancanza di una televisione, ma immaginavo che non l'avessero messa in camera di proposito per permetterci di guardarla in stanze apposite tutti insieme. E probabilmente per propinarci quelle puttanate sulla socialità e balle varie.
"No, signor Downey, questo non è l'atteggiamento adatto!"
Ops, vero. Non dovevo sottovalutare quel che avveniva lì, dovevo crederci e dovevo volere il cambiamento, doveva arrivare da me... e sapevo che era vero, lo sapevo, ma se non avessi preso quella vacanza con un po' di filosofia non avevo davvero idea di come ne sarei uscito vivo.
Mi misi la mano sinistra sul fianco e poi la destra tra i capelli: erano un disastro sotto le mie dita, lo sentivo, ma sinceramente non me ne fregava troppo.
Andrew sarebbe tornato a casa il giorno successivo, mentre io sarei rimasto in quello schifo di Georgia per altro tempo ancora. Chissà quanto.
Era anche vero però che Andrew, il mio migliore amico, era sano, io no.
Andrew non tirava su di coca, io sì.
Lui non ballava il valzer della morte ogni giorno senza possibilità di scelta. E io sì.
E quindi, per farla breve, lui si meritava di tornare a casa, mentre io dovevo fare qualcosa per lui e per me.
Se non fosse stato per lui e per Jami – soprattutto per lei - non sarei stato in quel posto, a guardarmi intorno senza capire cosa fare a quel punto. Ed arrivato lì, solo come un cane, non avevo davvero idea se essere loro grato o meno.
Mi spettinai ancora di più i capelli passandoci velocemente la mano sopra, per decidermi poi di mettermi in moto: raccolsi la valigia da terra e la poggiai su uno dei due letti, prima di aprire la zip e iniziare a sistemare i vestiti nell'armadio più vicino al letto che avevo occupato. In mancanza di direttive quella era la cosa più logica da fare, anche per tenere la mente impegnata ed evitare di pensare a tutto ciò che avrei dovuto passare in quel cazzo di posto.


***

Una vena sulla tempia mi pulsava, la sentivo distrattamente. Ma non mi fermavo, continuavo a correre come un dannato in mezzo a quell'enorme parco intorno alla struttura. Il sudore colava e faceva sì che i miei occhi bruciassero, i capelli mi si appiccicavano alla fronte.
Correvo, correvo come mai prima di allora, o come forse avevo sempre fatto: era quello il mio modo per sfogarmi, prima della coca. Ma dovevo togliermela di dosso, non potevo più, ed ora correre era l'unica cosa che mi era concesso fare.
Porca puttana, era normale! Quei cazzo di dottori me lo dicevano, che era normale avere scatti d'ira, perché ero in astinenza. Ma rifilare un pugno sul naso ad uno degli infermieri non era stata una mossa intelligente in ogni caso, sospettavo. E dovevo sfogarmi in qualche modo, ed i polmoni bruciavano e la milza bucava. Ed era tutto quel che cercavo.
Non avrei mai corso abbastanza, ma il parco era finito, non c'era più spazio. Un senso di oppressione mi premeva sul petto, non respiravo, affogavo, mi trascinavano giù. E cominciai a piangere come un bambino, a lottare contro il muro di quello schifo di posto. A prenderlo a pugni finché il dolore ad una mano non fu troppo forte.
«CAZZO! Cazzo, cazzo, cazzo...» Era un mantra sconclusionato, con annesse lacrime ed il labbro inferiore stretto tra i denti, stretto a sangue. Me lo sentivo bruciare, mentre continuavo a tirare calci e pugni al muro, e mi faceva male tutto, ma non c'era della cazzo di droga da mettere nel corpo per farmi passare qualunque cosa mi fosse preso. Avrei voluto sbranare qualcuno o piangere fino a non avere più fiato, sentire i miei polmoni accartocciarsi e poi rimanere un solo involucro vuoto in quella vita che forse non era fatta per me, che non mi meritavo. Una vita troppo grande, troppo impegnativa. Ero solo un ragazzino, non ce la potevo fare.
Chiedevo scusa ai miei genitori ogni giorno per ciò che mi stavo facendo, ma in momenti come quelli li avrei ammazzati se mi si fossero parati davanti. Faceva male da morire, faceva male pensarlo, faceva male al cuore. La pelle bruciava, mentre cadevo a terra e mi rannicchiavo con le ginocchia strette al petto, gli occhi serrati su mondo, per non vedere, non vedere, Jude. Non vedere ciò che devi fare.
E dondolavo in quel mio angolo d'erba che mi ero ritagliato, avanti e indietro, come un bambino impaurito dal buio. Io ero un bambino, ma era pieno giorno. Eppure era buio e non avevo neanche un fottuto fiammifero.
«E' l'astinenza... è l'astinenza, Jude...» E faceva schifo, ma era ciò che mi ripetevo tra i denti, tentando di concentrarmi stavolta sul dolore alla mano. Non riuscivo più a muovere le dita della destra, ma quando socchiusi gli occhi, cautamente, vidi che le mie nocche erano sbucciate e sanguinavo. Bene, mi avrebbero distratto, forse.
Avevo visto gente prenderne a pugni altra per una sniffata che lì non sarebbe mai arrivata. Mi ero detto che io non sarei mai arrivato a tanto, che era colpa e merito mio se ero a quel punto, eppure lo avevo fatto e la mia guancia interna era stata morsa così forte che ormai il sapore del sangue mi inondava la bocca. Ed il petto, quel petto che era stato costretto fino a quel punto in una morsa, si alzava e si abbassava come un mantice, il cuore stava per uscirmi dal petto; lo sentivo nelle orecchie, sul collo, nelle tempie. Il mio cuore era ovunque, quel cuore che prima o poi avrebbe smesso di battere e che avevo tentato di salvare entrando in quel luogo che prometteva di salvarmi. Ma era stancante, era avvilente. Un colpo di pistola in bocca in certi momenti sembrava qualcosa di molto più semplice.
«Calmati, Jude... andrà bene...» Me lo sussurravo mentre smettevo gradualmente di frignare come una ragazzina e mi abbracciavo, mi stringevo le braccia attorno al corpo, impedendomi di scivolare ancor più giù. Non c'era un'ancora abbastanza forte a tenermi a galla. Non per me.
Qui avevamo assistenza medica e psicologica, ma chi ci pensava al cuore? All'anima? O questa mancanza, questa freddezza, era dovuta all'astinenza? Come tutto, d'altro canto. Tutto era l'astinenza. Anche se non capivo come avremmo potuto allontanarci dalla droga se poi ogni cosa, in un modo o nell'altro, era sempre riportato a quella polvere bianca. Come avrebbe fatto la mia vita a smettere di ruotare intorno alla coca se poi ogni cosa che facevo veniva motivata con la sua assenza?
Poi però i pensieri si interruppero. Staccata la spina, il dolore alle mani tornò, acutizzato. Il sudore mi si era ghiacciato fastidiosamente addosso ed un brivido mi scosse. Ok, era chiaro: dovevo smettere di fare il cazzone e fare invece qualcosa per le ferite alle mani. Le attività pratiche facevano sì che il cervello non collassasse su se stesso. Lo teneva impegnato.
Ed infatti mi alzai di nuovo in piedi, non senza qualche difficoltà, approfittando del magnanimo momento in cui non mi veniva mozzato il respiro in gola. Tremavano, sentivo le gambe molli e cedere sotto il mio peso.
Calmo, Jude. Prendi un bel respiro.
E feci come mi stavo dicendo, immagazzinando un po' d'aria nei polmoni. Alla fine riuscii a fare il tragitto inverso, evitando chiunque mi stesse cercando: non era il momento, non lo era davvero.
Perdevo sangue, avevo un mal di testa assurdo e mi sentivo sporco, come se avessi nuotato nel fango fino a quel momento. Ed intanto non pensavo a niente: solo alla mano che urlava in silenzio. Un po' come me.
Abbassai la maniglia della porta ed entrai in stanza.


***

Mani sui fianchi e sorriso soddisfatto stampato in faccia: non stavo troppo risentendo dalla lontananza della cocaina, per il momento. Probabilmente erano le vitamine che il dottore mi aveva affibbiato appena arrivato al centro. Non avevo idea di quanto sarebbe durato l'effetto, ma per il momento andava quasi tutto bene.
Sistemati i vestiti nell'armadio, però, non mi restava molto da fare, per cui decisi di girare i tacchi per scendere nella hall del centro a chiedere qualche informazione e domandare, magari, se avessi potuto chiamare Andrew. Mi sembrava un buon modo per ringraziarlo di... be', praticamente tutto, a conti fatti.
Mentre meditavo in solitaria, la mano avanzò verso la maniglia, che però si abbassò da sola per permettere alla porta di aprirsi: a quanto pareva avevo visite. Mi trovai di fronte ad un tipo magro, più alto di me ma probabilmente di un paio d'anni più piccolo, ad una prima occhiata. Capelli biondi, occhi azzurri – o forse verdi?-, viso da ragazzino che però era squadrato. Viso di un bel ragazzo, aggiunsi poi mentalmente. Bagnato sulla fronte: sudore; Bagnato sulle guance: lacrime.
Mi accigliai, squadrandolo dal basso. Nella mia testa era strano vedere un così bel viso sporco di dolore.
«Ehy, amico... tutto bene?» Domandai cautamente, esibendomi in uno dei miei sorrisi migliori. Lo sconosciuto rimase interdetto qualche istante, osservandomi con chiara confusione. Poi però parve illuminarsi.
«Robert Downey?» Tentò, squadrandomi a sua volta.
Io non potei fare niente se non annuire, stringendo le labbra con una punta di irritazione: lui sapeva il mio nome ed io non avevo idea di chi diamine fosse.
A quel punto parve rilassarsi, mentre abbassava il capo e stirava le labbra pallide in un lieve sorriso: «Io sono Jude Law, il tuo compagno di stanza.»








Walking_Disaster's corner:

Ed eccoci giunti qui, in un viaggio che non so dove mi porterà e se mi porterà.
L'idea di questa storia è nata dopo aver visto Al di là di tutti i limiti, dove abbiamo un bellissimo Rob agli esordi impegnato ad affrontare una guerra che ha davvero combattuto. Mi ha lasciato qualcosa addosso quel film, ed infatti l'Andrew citato da Robert non è altro se non Andrew McCarthy, Clay nel film. E se ci fosse Jude, con Rob? Se fossero entrambi un completo casino, in modi diversi, e poi tentassero di mettere insieme i pezzi della loro vita? Ecco da cos'è nata questa long. Ho pezzi in mente, ho penato per decidere se scrivere in prima o terza persona, ho il dubbio che scrivere in prima mi penalizzi in ogni modo possibile immaginabile. Ho tanti dubbi su questa storia, ma ho anche l'intenzione di portare a termine questo viaggio. E be', non so che altro dire se non "vediamo come andrà".
Passiamo ora però a questo prologo: il pezzo che mi dà più soddisfazioni è senza dubbio quello di Jude, anche perché volevo dare un'idea ai lettori di cosa si prova ad essere in astinenza. Mi sono documentata prima di scrivere, ho un sito intero a mia disposizione, quindi posso dire che (per il momento) so quello che scrivo. Per quanto riguarda l'immaginazione, dovete prendere il Robert di Al di là di tutti i limiti (ma va?) e un Jude random del '92 (Il talento di Mr Ripley, tanto per intendersi). Quindi... ecco a voi i nostri bambini: Jude: http://www.thegroundmag.com/wp-content/uploads/Jude-Law1.jpg e Rob: http://img33.imageshack.us/img33/4319/screen3jh.png
...bruttini, eh? *Sarcasm* Poi non dite che vi tratto male!

Lasciate una recensione e mi farete una donna felice.
Love u all and see u soon,
WD

   
 
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