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Autore: Rumalinga    26/06/2014    1 recensioni
Il bene che fai, non sempre viene riconosciuto e non sempre viene ricambiato. Non disperare. Continua ad andare avanti e non demordere. Troverai la tua pace, solo quando capirai che la cosa più importante e preziosa sei tu. La vita è tua, il destino è nelle tue mani. Sei tu l'artefice. Non dipendere da nessuno.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era successo tutto così rapidamente. La moto, l’incidente, il coma… Erano passate solo poche settimane, ma quella ragazza si ostinava ad andare a trovarlo tutti i giorni in ospedale. Il ragazzo rimaneva immobile sul letto asettico. Le labbra chiuse ermeticamente, sottili, rosse come succo di melograno. Lei arrivava, silenziosa. Si sedeva accanto a lui e lo fissava, con sguardo assente, perso nel vuoto. Distrattamente, gli accarezzava talvolta il dorso della mano, candida come neve appena posata al suolo, che spuntava fuori dalla coperta. Ogni tanto, azzardava qualche delicato ed innocente bacio sulle guance fredde del ragazzo. Non c’era giorno che mancasse all’appello. Portava con sé dei libri. Leggeva a voce alta i versi che più le piacevano. Scriveva su una miriade di quadernino colorati. Poesie, pensieri, emozioni. Cantava. Canzoni dolci, malinconiche; altre grintose e potenti. Disegnava. Prendeva carta e matita. Eseguiva dei ritratti del ragazzo, non molto fedeli alla realtà, ma lo ritraeva sempre allegro e spensierato, sorridente e felice, con lo sguardo che puntava verso l’osservatore. Una volta era riuscita addirittura a trasportarsi una tastiera, con l’approvazione del capo reparto, nonché dottore, esibendosi in brani di colonne sonore, tratti da film famosi e canzoni di gran successo. Poi, aveva attaccato l’mp3 alle casse di una radio. Si mise a ballare. Movimenti sinuosi, seducenti, altri rigidi e composti. Si sedette accanto a lui, stremata dalla fatica. Gli parlava dolcemente. Sussurrava, suoni incomprensibili. Le lacrime si fecero strada, solcandole le guance lisce e inumidendole le ciglia nere e lunghe. Le resero gli occhi più grandi di quel che già erano. Il ragazzo si svegliò da quel lungo sonno una mattina e lei smise di fargli visita. Lo dimessero una sera ancora inondata dalla luce del sole. Le nuvole facevano capolino e tirava un leggero venticello, preannunciando l’autunno imminente. Sua madre gli rivolse alcune domande, curiosa come al solito. Andò dritta al punto, chiedendo della strana e particolare ragazza che per mesi lo era andata a trovare tutti i giorni. Al suo cospetto si era presentata col nome ‘nessuno’. Al pensiero, si mise a ridere, ricordando l’incontro epico avvenuto tra il giovane ed intraprendente Ulisse e il gigante ciclope Polifemo. Aggiunse inoltre che i suoi amici l’avevano battezzata ‘la ragazza che lo ama’ non volendo svelarne l’identità. Chiese gentilmente spiegazioni, ottenendo vaghe risposte, incomplete e brusche. Il ragazzo in cuor suo sperò di non rivederla mai più. Tutti avrebbero dovuto scordarla. E così accadde. Nessuno si ricordò di quella ragazza. Strana, diversa, nervosa ed impaziente. L’hanno dimenticata, scordandosi di ciò che fece per lui, finito in coma a diciassette anni, più di quanto qualcun altro avrebbe potuto fare. Perché è così. Così come deve andare la vita. Perché quella ragazza sono io. La neve cadeva soffice, ricoprendo la superficie del mondo. Lentamente il cielo ingrigiva sempre più. Ormai non era più un ragazzo. Erano passati quasi vent’anni. Si era creato una famiglia, lavorava in una modesta impresa, guadagnando il giusto per permettere ai suoi bambini di crescere con tutte le attenzioni possibili e viziandoli appena. Uscito dal lavoro, percorse la strada di casa a piedi. Da giovane si muoveva sempre in bicicletta, ora preferiva godersi quel poco tempo che dedicava a sé stesso in passeggiate rilassanti. Se in compagnia, tanto meglio. Era immerso nei propri pensieri quando notò una coppia di ragazzi seduti su una panchina. Ridevano, forse per questo ne era rimasto attratto. Li guardò superficialmente. Dovevano avere circa la sua età. L’uomo però era di poco più grande rispetto alla donna che gli stava accanto. Li vide alzarsi. Lui imboccò il sentiero che portava al parcheggio. Lei si stiracchiò, alzando le braccia in alto, nel tentativo di afferrare i fiocchi di neve bianchi come il latte. Si girò verso di lui. I loro sguardi si incrociarono per un istante che sembrò infinito. Maledizione. Era lei. I capelli neri come l’inchiostro, le avvolgevano la schiena, più lunghi rispetto l’ultima volta che l’aveva vista, ma gli occhi… Gli occhi erano sempre gli stessi. Due pozzi neri senza fondo, come voragini, che risucchiavano tutto ciò che incontravano. Lei alzò una mano, come a voler dimostrare che l’aveva riconosciuto. Ma si bloccò. Il sorriso scomparve dal suo volto minuto. Comparve al suo posto una smorfia indecifrabile tra la malinconia e la tristezza. Se ne andò, lasciandolo solo e confuso. Tornò a casa. Si chiuse a chiave nello studio. La vista gli si annebbiò appena e dovette sedersi per non perdere l’equilibrio. Un vortice di pensieri lo aggredì. Si rialzò a fatica. Barcollò e raggiunse faticosamente la camera da letto. Si chinò e aprì il cassetto del comò. Tirò fuori da un sacchetto di velluto un peluche di un bianco abbacinante. Era una foca, o meglio, una beluga. Portava il suo nome. Accanto ad esso c’era una cartolina. Veniva dalla Spagna. Il paesaggio ritratto era immerso nel viola del crepuscolo. Dietro, un messaggio breve, ma affettuoso. Dopo tutto quel tempo, ancora conservava quegli oggetti, il cui ricordo lo riempiva di vergogna. Allora, non era in grado di coglierne il vero e profondo significato, racchiuso al suo interno e l’aveva accettato con malagrazia e ribrezzo. Era stata lei. Gli aveva lasciato l’involucro ai piedi del letto. L’aveva notato al suo risveglio, diciassette anni prima. Adesso, ricredendosi, lo considerava un pensiero carino. Sentì la serratura scattare. Ripose in ordine tutto nel più breve tempo che gli fu concesso, prima che sua moglie irrompesse nella stanza. Era una donna di giovane aspetto. Molto curata e gentile. -Tesoro, sei qui? Lo guardò con estrema dolcezza e lo abbracciò. L’uomo, anzi, il ragazzo che era in lui, cresciuto troppo in fretta, ricambiò con tenerezza alla moglie. Lei si staccò e si avviò a preparare la cena. Lui, invece, rimase in camera, con lo sguardo perso e sconvolto. Rivide la scena, come se la ragazza gli stesse nuovamente dinnanzi. Ricordò ogni minimo dettaglio. Si chiese perché non lo avesse salutato, scappando via, lontano da lui, come se avesse paura. Il dubbio s’insinuò maligno nella sua mente e dopo poco, trovò finalmente risposta. Era stato lui per primo a decidere di dimenticarla, tempo prima. Non si erano mai più sentiti né visti. Pareva sciocco che lei, dopo tutto ciò che era accaduto, desiderasse ardentemente la sua compagnia. Ma proprio lei aveva ribadito il concetto del saluto, come forma primaria di rispetto. Non aveva rispettato la tacita promessa alla parola data. Sicuramente, doveva essere stato un trauma per entrambi rivedersi. Rimuginò tuta la sera, facendo preoccupare l’intera famiglia. Mai prima d’ora era rimasto così turbato. Si rifugiò nel letto, ma trascorse una notte insonne, devastata dagli incubi. Il giorno dopo, al suo risveglio, leggendo il giornale, rimase paralizzato dallo spavento. Una notizia in prima pagina riportava la morte di una giovane sui trentacinque anni. L’incidente era avvenuto il pomeriggio prima. Lei sedeva accanto all’uomo, il quale era alla guida della vettura. Ad una rotonda, non gli era stata concessa la precedenza prevista dalle regole stradali. L’auto si era scontrata con la portiera dove lei sedeva. Nonostante la cintura di sicurezza, la botta era stata fatale. L’urto troppo violento, le aveva lacerato gli organi interiori. Era andata in coma, ma non c’era nulla da fare. Il corpo, lacerato da ferite e troppe le emorragie da chiudere. Era lei. La riconobbe nella foto. -Tesoro, piangi? Sua moglie gli sedeva vicino e si accorse dell’irrigidimento improvviso del marito. Gli accarezzò una guancia. Lui non rispose, continuando a guardare la foto del giornale, impietrito dallo shock. Posò dei fiori sulla tomba gelida di lei. Scrutò l’immagine sulla lapide. Il suo sorriso luminoso sarebbe durato in eterno. Nessuno l’avrebbe potuto scalfire. Mai più. Per sempre.
  
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