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Autore: Ysis Donahue    26/06/2014    1 recensioni
[Castlevania]
Storia ambientata nel contesto di "Castlevania Order Of Ecclesia"
Dopo aver sconfitto Dracula, Shanoa non sa che fare della sua vita: senza una casa, senza nessuno al mondo, per cosa vivrà la guerriera?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ciao! Grazie per essere capitata/o su questa storia, spero che possa essere di tuo gradimento! Le vicende che andrò a raccontare si riferiscono alla saga “Castlevania” e, in particolare, intendono essere una sorta di spin-off del capitolo “Order Of Ecclesia”: pertanto, ho deciso di riassumere a grandi linee la trama del gioco, affinché la comprensione possa essere chiara anche a chi non abbia giocato al titolo. Leitmotiv della saga “Castlevania” è il combattere e sconfiggere il conte Vlad Tepes Dracula, Signore di Ogni Male, che ciclicamente, attratto dal dolore e dalla disperazione degli esseri umani, ritorna in questo mondo e tenta di sprofondarlo nelle Tenebre. Per anni ed anni i membri della famiglia Belmont, abili cacciatori capaci di maneggiare un’arma sacra, hanno combattuto e scacciato il vampiro ma, all’inizio del XIX secolo, improvvisamente l’intero clan è scomparso nel nulla, costringendo i più importanti studiosi ed esponenti della Chiesa dell’epoca a riunirsi in confraternite con l’obbiettivo di neutralizzare il Conte. Dopo anni di studi ed esperimenti fu il fondatore dell’Ordine di Ecclesia, Barlowe, a sintetizzare l’arma definitiva contro Dracula: i glifi, simboli artistici che rappresentano il potere contenuto in tutte le cose e sono in grado di sprigionare un’incredibile quantità di energia magica. Generalmente, essi possono essere utilizzati solo dopo che sono stati incanalati in specifiche armi o dispositivi magici, ma esistono alcuni esseri umani che, nascendo con glifi già tracciati sul proprio corpo, sono in grado di utilizzarli senza bisogno di tramiti. É questo il caso di Shanoa, giovane guerriera di Ecclesia e “arma segreta” dell’organizzazione, addestrata sin da piccola al combattimento e all’impiego dell’arte dei glifi. All’inizio dell’avventura assistiamo ad un rituale durante il quale la giovane, sotto la guida del Maestro Barlowe, ha il compito di assorbire tre glifi, noti come Dominus, che rappresentano la sola possibilità umana di sconfiggere Dracula. La cerimonia, però, viene interrotta a un passo dalla fine da Albus, giovane studioso dell’Ordine, che, una volta stordita Shanoa, ruba i tre pezzi del glifo e si dilegua subito dopo. Quando la giovane rinviene, scopre di non possedere più né ricordi né emozioni e, per ordine di Barlowe, si mette sulle tracce di Albus. Il giovane la sfida più volte e arriva persino a restituirle due frammenti del glifo, ma tiene per sé la terza parte che, rivelando la propria natura oscura, lo corrompe e rende pazzo. La guerriera, quindi, non ha altra scelta se non sfidarlo a un duello mortale, nel quale uscirà vincitrice. Poco prima di morire, però, Albus rinsavisce e confessa a Shanoa che Barlowe, in realtà, è un folle seguace di Dracula che mira a far resuscitare il suo padrone proprio tramite Dominus. Infatti è stato il glifo, non lui, a rubare alla giovane emozioni e ricordi, e il prezzo che richiederà per poter essere utilizzato in battaglia saranno la vita e l’anima della guerriera. Scioccata da queste rivelazioni, Shanoa giura vendetta: si reca ad Ecclesia, determinata ad uccidere Barlowe, ma non riesce ad evitare che Dracula sia resuscitato. Senza ormai più nulla da perdere, la giovane si dirige a Castlevania, oscuro castello del Conte, e dopo molte peripezie affronta il vampiro. Al culmine della cruenta battaglia, la giovane usa Dominus per scagliare l’attacco decisivo: Dracula viene distrutto e Shanoa si prepara a morire. L’anima di Albus, però, che si era legata all’ultimo pezzo del glifo, reclama su di sé il prezzo dell’oscuro incantesimo, e così facendo salva la vita alla giovane. Poco prima di sparire per sempre, Albus parla all’amica e la esorta a sorridere e a vivere godendo appieno le emozioni e i ricordi che, tramite il suo sacrificio, le sono stati restituiti. Il  videogioco si conclude così, ed è da qui che inizia la nostra storia.


Shanoa era stesa a terra, supina, i lunghi capelli neri aperti a ventaglio, le braccia e le gambe spalancate.Aveva attivato Refectio, un glifo curativo, e ora attendeva che le sue ferite si rimarginassero.
Ci sarebbe voluto molto tempo: lo scontro contro Dracula era stato durissimo e serrato, e la guerriera era fin troppo dolorosamente consapevole di quanto la battaglia e, soprattutto, l’utilizzo di Dominus l'avessero messa a dura prova.
La ragazza si rese conto troppo tardi del suo errore: ricordare il glifo voleva dire anche riportare alla mente i nomi e i volti di Barlowe ed Albus, i loro tradimenti, le loro morti e il fatto che ormai lei fosse sola al mondo.
Shanoa scosse violentemente il capo, gli occhi fastidiosamente pieni di lacrime, ma oramai il pensiero si era consolidato nella sua testa e non c’era modo di rimuoverlo: era davvero sola al mondo. Aveva bruciato la casa dove era cresciuta, ucciso l’uomo che l’aveva allevata e tradita, perduto l’unico amico che avesse mai avuto: la sola cosa che le rimanesse era la sua abilità nel combattere.
Per ironia della sorte, però, proprio il compimento della sua missione aveva reso quel talento inutile: senza l’oscura influenza di Dracula, i mostri e i demoni si sarebbero certamente molto ridotti di numero e gli uomini stessi sarebbero stati meno inclini alle guerre e alle devastazioni.
Non c’era alcun posto, per lei, nel mondo di pace che stava sorgendo.
La guerriera sospirò: quanto avrebbe voluto disattivare il glifo e lasciarsi morire lì, nella sala del trono, a pochi metri dai resti carbonizzati del suo trionfo!
Ma la sua vita non le apparteneva: ogni battito del suo cuore, ogni contrazioni dei polmoni in cerca d’aria, ogni singulto, sussulto e fibra del suo essere erano stati pagati da Albus ad un prezzo enorme.
Lo studioso si era dannato corpo, vita ed anima per permetterle di sopravvivere e, sapendo questo, Shanoa non poteva lasciarsi andare. Doveva rimanere in vita, e sforzarsi di darle un senso.
Pertanto, la prima cosa a cui pensare era come uscire indenne da Castlevania: Dracula era morto, certo, ma probabilmente i suoi servitori invadevano ancora il palazzo, e sarebbero stati più che felici di vendicare il proprio Signore. Probabilmente l’avrebbero attaccata in massa non appena avesse messo piede fuori dalla Sala del Trono e, vista la loro moltitudine, Shanoa valutò che persino attraversare la galleria che collegava la torre all’estremità del piano le sarebbe costato ore ed ore di combattimento serrato.
Il pensiero, però, invece di preoccuparla ebbe l’effetto di rilassarla.
La giovane iniziò a studiare strategie, ideare piani, ripassare le combo di glifi più efficaci per ogni tipologia di mostro, e ad ogni minuto che passava i suoi dolori si facevano sempre più distanti e soffocati.
Quando, finalmente, anche i ricordi sembrarono tornati ad essere seppelliti in un profondo recesso della mente, la guerriera balzò agilmente in piedi, armata di tutto punto e pronta a combattere. Lasciò la sala del trono senza neppure voltarsi indietro e sfondò la porta con una folgore incantata, sguainando contemporaneamente il suo glifo mazza prediletto. La galleria, però, era completamente deserta.
Shanoa vacillò un attimo, sentendosi nuovamente persa, ma recuperò in fretta il proprio sangue freddo. Se i mostri non erano a Castlevania, significava che erano usciti dal palazzo e che, quindi, stavano sicuramente mettendo a ferro e fuoco la regione, massacrando interi villaggi di innocenti.
Non lo avrebbe permesso.
Con un pugno ruppe una delle meravigliose finestre della galleria, attivò un glifo alato e si gettò nell’oscurità della notte transilvana, determinata a dare la morte ad ogni singola creatura infernale che avesse incontrato.


Molte ore dopo, era esausta.
I glifi tracciati sul suo corpo, i compagni potenti e fedeli che la accompagnavano fin dalla nascita e che avevano determinato tutta la sua esistenza e il suo ruolo nella missione di Ecclesia, ardevano come una maledizione e sembravano affondarle nelle carni con crudeltà e godimento. La gambe le tremavano violentemente, e non riusciva quasi più a sollevare o stendere le braccia.
 A malincuore, si trovò ad ammettere che forse per quel giorno sarebbe stato meglio fermarsi.
Il pensiero ebbe appena il tempo di materializzarsi nella sua mente, poi l’urlo femminile squarciò la notte, seguito immediatamente da orribili schiamazzi e grugniti, e Shanoa ingoiò caparbiamente la propria stanchezza ed ogni genere di dolore: evocò un glifo civetta affinché localizzasse l’origine del grido e seguì correndo il suo volo, giungendo dopo non molto dinnanzi ad una villa diroccata.
Imprecando tra i denti ed ignorando il fatto che la vista le si stesse sfocando sempre più, la guerriera entrò nell’edificio e, mentre la sua sentinella alata cercava la ragazza in pericolo, lei rimaneva indietro e scagliava su demoni, Formori, Spettri e Forze Oscure, sfere di luce e vampe infuocate.
Raggiunse così la cantina dello stabile e trovò la sua civetta, intenta a volteggiare attorno al corpo inerme di una ragazza, cercando di proteggerla dal gruppo di sette demoni che incalzavano da ogni lato.
Pregando di non essere giunta troppo tardi, la guerriera si concentrò sui mostri, affrontandoli e sconfiggendoli uno dopo l’altro. Quindi provò a dirigersi verso la giovane, ma quell’ultimo sforzo le era stato fatale: prima di poter anche solo portare a termine il passo, Shanoa rovinò a terra, priva di sensi.


Il risveglio non fu dei migliori: nonostante la pezzuola umida e fresca che le copriva la fronte e gli occhi, la testa le pulsava e ronzava dolorosamente, si sentiva debolissima e molto, molto confusa.
Provò cautamente a muoversi per capire quanto poteva osare e, così facendo, attirò su di se le attenzioni della ragazza che aveva soccorso, che la raggiunse in pochi passi e le posò una mano sulla spalla, fermando i suoi movimenti. “Aspettate, vi aiuto io, voi siete molto debole. Per quasi quattro giorni siete rimasta priva di conoscenza, tormentata dalla febbre: prima di alzarvi dovete mangiare qualcosa e bere molto.”
La voce era familiare alle orecchie della guerriera, ma fu solo dopo che la pezzuola umida le venne tolta da davanti agli occhi che riuscì a riconoscerne la proprietaria. “Monica?” Domandò Shanoa osservando con aria sorpresa la giovanissima sartina del villaggio Wygol. “Cosa ci fai tu qui?”
“E' una storia lunga e noiosa, nulla che valga la pena di raccontare.” Minimizzò la ragazza, chiudendo l'argomento. “Voi, piuttosto, come vi sentite? Ero davvero molto preoccupata!”
“Bene, ti ringrazio. Sei riuscita a mangiare, in questi giorni?” Chiese Shanoa, costringendosi ad alzarsi in piedi ed impedendosi di vacillare e di urlare, nonostante il tremendo dolore che l'avvolgeva da capo a piedi. Si concesse solo di appoggiare una mano al muro e poi cominciò a percorrere il perimetro della cantina delimitato dal chiarore del focolare, aumentando costantemente la velocità, per tentare di sgranchirsi il più rapidamente possibile schiena, gambe e braccia.
“Io…si signorina. Avevo portato qualche provvista per il viaggio.”
“E ne hai ancora?”
“Un poco, signorina, ma non credo che dovreste…”
“Sto bene.” La guerriera troncò sul nascere ogni segno di protesta e riprese il suo vagare, guardandosi attorno. “Mangia e poi cerca di dormire un po’. Voglio partire entro quattro ore. Ti riporto a Wygol.”
“Ma è una follia! Vi siete appena ripresa e faticate persino a camminare! Inoltre tra quattro ore sarà notte fonda, finiremo in un dirupo, o tra le fauci di qualche predatore notturno!”
“Ti assicuro che sono molto più forte di quanto non sembri a prima vista, e che sono stata addestrata a vedere al buio come se fossi in piena luce. Non rischierai di cadere, perderti o ferirti, e muovendoci col favore delle tenebre riusciremo a passare inosservate a molti dei demoni e dei predatori più pericolosi.” Tentò di rassicurarla, ma Monica non era intenzionata a cedere.
“Sciocchezze, muovendoci al buio in queste condizioni non faremmo altro che perderci e finire morte in un burrone o uccise da un demone! Non sono certo sopravvissuta miracolosamente all'assalto della mia carrozza solo per poi rischiare la mia vita in maniera così stupida, e ritengo che anche voi dovreste trattarvi con più riguardo!”
Sbottò la sarta, scattando in piedi e marciando verso un malconcio calderone che aveva recuperato e messo in uso durante le prime perlustrazioni della cantina. Di pessimo umore, vi gettò dentro le provviste e prese a mescolare con furia: non riusciva a credere alle proprie orecchie!
Partire nel cuore della notte, totalmente alla cieca, dopo essersi appena risvegliate da quasi quattro giorni di febbre alta! Ad averlo saputo prima si sarebbe risparmiata tutta la fatica fatta per accudire, nutrire e tenere al caldo la guerriera, visto che, evidentemente, non desiderava altro se non morire!
Profondamente irritata, aumentò il ritmo della mescolatura e finì così col far cedere del tutto un piede del vecchio calderone, che non aveva notato essere instabile. Fortuna volle che riuscisse a scostarsi abbastanza velocemente da evitare di inzupparsi del tutto gli abiti ma, per quanto riguardava la cena non c'era ormai più nulla da fare.
“Oh, dannazione!” Esclamò, scoppiando finalmente a piangere per la rabbia, la fame e la tensione.
Aveva severamente razionato quel cibo per giorni, riducendo al minimo le proprie dosi per cercare di nutrire il più possibile la guerriera svenuta, ed ora non solo quello sforzo si era rivelato del tutto inutile, ma aveva anche sprecato il poco che restava e chissà quando le sarebbe ricapitato di mangiare di nuovo!
Shanoa osservò a lungo la schiena tremante della ragazza, soppesando il suo sfogo e riflettendo: forse prendersi un po' più di tempo per riposare non era poi un'idea tanto malvagia.
In fin dei conti, in quei giorni Monica l'aveva accudita e curata al massimo delle sue possibilità, nonostante il freddo, l'ambiente inospitale e la mancanza di cibo: era di certo esausta e costringerla a marciare sarebbe stato controproducente.
Inoltre, per quanto le dolesse ammetterlo, lei stessa era esausta, sfiancata totalmente da quei pochi metri percorsi mentre discuteva con la sarta.
“E va bene, partiremo domani, non preoccuparti.” Disse la guerriera, raggiungendo la compagna e posandole una mano sulla schiena, spingendola a voltarsi. Sganciò dal proprio fianco una piccola sacca di pelle e gliela porse, accompagnandola con quello che sperava essere un passabile sorriso affabile. “Ho anche io del cibo con me, moltissimo. Vuoi vedere di che cosa si tratta?”
Monica si asciugò le lacrime, prese la bisaccia tra le mani e la soppesò cautamente. Era abbastanza leggera, di cuoio scuro, incredibilmente morbida e ben cucita, ma data la ridotta profondità dubitava che potesse contenere qualcosa di più misterioso di un po’ di pane e qualche pezzo di formaggio.
Tuttavia, la fame e la curiosità erano troppe e così infilò la mano nella borsa, rimanendo letteralmente a bocca aperta per lo stupore dopo pochi istanti: non solo riusciva agilmente a muoversi ben oltre quelle che erano le effettive dimensioni della sacca, ma le sue dita stavano sfiorando il più vasto e variegato assortimento di oggetti che le fosse mai capitato di trovare.
Sconcertata, cercò conferme negli occhi della guerriera e, visto che Shanoa annuiva sorridendo, vinse il timore ed afferrò la prima cosa che le capitava sotto tiro quel momento, estraendola.
“Come può essere possibile un tale prodigio? Come può una semplice bisaccia creare il cibo?” Domandò, rimirando incredula quella che senza ombra di dubbio era la più bella e perfetta forma di pane che avesse mai visto.
“Non creare, solo trasportare.” La corresse la giovane, facendosi restituire la borsa per poi sprofondarvi senza esitazione il braccio sin oltre l’articolazione del gomito. “Questa è una Bisaccia Incantata, una creazione segreta del Santo Ordine al quale appartenevo. Molto spesso dovevamo intraprendere viaggi lunghi e faticosi, che richiedevano un grande quantitativo di provviste e materiali, e queste borse ci erano indispensabili. Sono leggere, resistenti e praticamente senza fondo, e il fluire del tempo, al loro interno,  è pressoché sospeso. Ecco, serviti pure.” Concluse, posando un ultimo recipiente sul pavimento.
Non più distratta dalla spiegazione, Monica seguì il gesto con lo sguardo e rimase a dir poco esterrefatta. Ordinatamente disposti tra lei e la compagna c’erano non meno di venti diversi tipi di pane, impastati, lavorati e cotti nelle maniere più diverse. E poi bracciate intere di frutta, la maggior parte della quale a lei totalmente sconosciuta, zuppiere su zuppiere colme della più incredibile vastità di carni, pesci e contorni che si potessero immaginare, formaggi, pasticci, torte salate e salse di ogni genere, eleganti caraffe piene di vini dalle mille sfumature e bevande misteriose ed, infine, torte e dolci in una quantità tale che la ragazza fu certa del fatto che non sarebbe mai stata in grado di assaggiare tutti.
“Sia lodato il Signore nella sua misericordia! Da dove viene tutta questa bontà divina?” Sospirò Monica, rapita, allungando esitante la mano verso il cibo, quasi temesse di vederlo scomparire da davanti ai suoi occhi.
Le iridi cerulee di Shanoa scintillarono debolmente di divertimento. “L’ho rubato, dalle cucine di Castlevania.”
Al suono del nefasto nome del palazzo, gli occhi della giovane si spalancarono nuovamente, ma questa volta per il terrore. “Ma è impossibile! Nessuno può entrare a Castlevania, derubare le dispense del Conte e sperare di uscirne vivo per raccontarlo!”
“La dispensa era l'ultima delle sue preoccupazioni, posso assicurartelo. Ed in ogni caso non gli ho concesso di sopravvivere tanto da accorgersi della sparizione di tutto questo.”
“Voi avete combattuto contro Dracula? Avete ucciso il conte?” 
“Si. O almeno credo: ultimamente ho scoperto di aver spesso sbagliato su molte cose. Di certo è sconfitto e bandito dal mondo terreno, pertanto non credo sarà un problema se mangiamo il cibo che lui aveva sottratto a sua volta chissà a chi.” Replicò Shanoa, cominciando a servirsi con noncuranza.
Monica annuì e si affrettò ad imitarla, rimandando ad un momento più adatto tutte le domande e concentrandosi su quel sontuoso ed insperato banchetto.
Pensava che conoscere l’oscura provenienza di quel cibo le avrebbe impedito di mangiare di gusto, ma i giorni appena trascorsi di fame e privazione le fecero ben presto perdere ogni perplessità. Si servì numerose porzioni di molti piatti, facendosi aiutare e consigliare di tanto in tanto dalla compagna, e si fermò solo quando il suo stomaco, oramai, non avrebbe più potuto contenere neppure una briciola.
Shanoa, che si era saziata molto più in fretta di lei, riordinò velocemente tutti gli avanzi e le domandò cosa avesse preferito, dando suo malgrado inizio ad una lunga dissertazione su quali fossero le pietanze più gustose, seguita poi da un fuoco di fila di domande e strampalate teorie circa le loro provenienze e ricette.
Per un po' la guerriera si sforzò di partecipare, ma poi la stanchezza, lo stomaco pieno, il tepore del fuoco e l'entusiastico fiume di parole di Monica ebbero la meglio sulla sua resistenza, e la giovane sprofondò in un sonno profondo.
Non appena se ne avvide, la sarta tacque e, dopo aver coperto la compagna, si stese a sua volta, pregustando finalmente una lunga notte di sonno.
Forse, però, il suo appetito era stato sin troppo vorace perché, nonostante gli occhi le bruciassero dal sonno, il suo stomaco rumoreggiava e protestava mentre si impegnava a digerire quella cena luculliana, tenendola sveglia.
Maledicendo la propria ingordigia, la sarta si alzò cautamente e, bene attenta a non fare rumore, raggiunse l'angolino accanto al focolare dal quale aveva vegliato Shanoa per giorni e notti.
Il diario era ovviamente lì, la copertina di pelle intiepidita dalle fiamme e le pagine un po' spiegazzate dalla fretta con cui la giovane lo aveva gettato a terra, non appena si era accorta che la guerriera dava i primi segnali di ripresa. Sospirando, Monica sedette a terra e raccolse il volume, lisciandone distrattamente le pagine mentre si immergeva per l'ennesima volta nella lettura delle tormentate vicende del suo autore.
   
 
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