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Autore: Sunako_Dama    26/06/2014    0 recensioni
“Molte sono le storie che iniziano di notte, forse perché è in essa che prendono vita le avventure più intriganti e gloriose, quelle più luminose e destinate a restare nei cuori altrui; ma non è questo il caso.
La mia storia ebbe inizio un’ora prima del crepuscolo e mai avrei pensato che un solo libro potesse cambiare la mia intera esistenza…”
Genere: Avventura, Generale, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Molte sono le storie che iniziano di notte, forse perché è in essa che prendono vita le avventure più intriganti e gloriose, quelle più luminose e destinate a restare nei cuori altrui; ma non è questo il caso.
La mia storia ebbe inizio un’ora prima del crepuscolo e mai avrei pensato che un solo libro potesse cambiare la mia intera esistenza…”

 
La storia di cui voglio narrarvi ebbe inizio in un piccolo paese di montagna di cui non vi è il bisogno di specificare il nome, poiché esso è irrilevanti ai fini del racconto.
Era un villaggio situato in una splendida vallata baciata di giorno dal Sole e di notte abbracciata dalla sorella Luna. Una leggenda locale voleva che nelle notti più limpide, quelle dove il firmamento risplende al punto da oscurare lo splendore del Satellite, si poteva udire una melodia che prendeva vita dai raggi della Luna stessa. Essi accarezzavano le alture rocciose, i pendii scoscesi che caratterizzavano quel paesaggio a dir poco affascinante e ne restituiva il canto della Dama delle Montagne.
Quel pomeriggio il tramonto era a dir poco mozzafiato: il cielo terso delle tonalità rosee e arance dava vita a giochi caldi che facevan da sfondo alla vita frenetica degli abitanti del luogo. Spesso non ci si soffermava sugli odori che aleggiavano nell’aria, come quello delle Margherite o delle Rose che il fioraio annaffiava con premura affinché il freddo non ne rovinasse il candore.
In un quartiere piuttosto lontano dal centro abitativo, quello dove per lo più si svolgevano le attività quotidiane del luogo, vi era un College fra i più rinomati della regione. Strano per essere semplicemente un paese di montagna, no? Eppure era così. Il Campus era una struttura ben curata, con un prato tipico “all’Inglese” e un numero rispettabile di studenti sdraiati su teli intenti a studiare o chiacchierare, godendosi quei primi raggi di sole primaverili che colpivano le loro pelli con calore.
All’interno si svolgevano alcune lezioni e i corridoi erano sempre un via vai di ragazzi e docenti che si apprestavano a spostarsi da un’ala all’altra dell’edificio; ma c’era un luogo in cui il silenzio aleggiava sovrano: la biblioteca. Solitamente essa si associa ad un luogo di cultura e studio, ma in quel College era tutto fuorché il luogo prediletto dagli studenti.
Voci di corridoio parlavano di strani eventi che avevano caratterizzato la biblioteca e ben presto essa si svuotò dei suoi connotati tipici. Solo in pochi, affezionati all’odore degli antichi libri anziché della mera e fredda tecnologia, si recavano ancora in quel luogo piuttosto isolato e distante dalle attività scolastiche. La biblioteca era stata costruita quasi interamente in legno, gli scafali finemente intarsiati sorreggevano il peso di centinaia e centinaia di volumi, snodandosi in un labirinto che a primo impatto poteva apparire interminabile. Un reparto in particolare quel giorno sarebbe passato nella storia del paese e si trattava di quello riguardante la narrativa inglese.
La figura in cui spesso ci si poteva imbattere aggirandosi in quel reparto apparteneva ad una giovane donna poco più che ventenne e dall’altezza non troppo rilevante. Ciò che però aveva attirato spesso l’attenzione di molti era la folta chioma scarlatta, una cascata di folte ciocche mosse che disegnavano onde sinuose e morbide anche soltanto alla vista. Il viso della fanciulla aveva un incarnato chiaro, lasciando appunto l’idea che la Luna stessa l’avesse baciata fin da piccola, mentre le gote avevano quel non so che di estivo e forse ciò era dettato dalla rada costellazione di lentiggini che ne macchiavano la pelle.
Le mani dalle dita affusolate andavano ad accarezzare le copertine di alcuni vecchi e voluminosi libri databili attorno all’800. Non si trattava di necessità ai fini d’apprendimento, bensì di pura curiosità dettata dal piacere della lettura.
Qualcosa, però, quel tardo pomeriggio catturò la sua attenzione. Solitamente quel reparto era pregno di un forte odore acre e pungente, simile a quello della muffa data la enorme quantità di libri datati, eppure il profumo che arrivava alle sue narici sì, era pungente, ma non era il solito. Non aveva ancora trovato ciò che cercava quando iniziò ad incamminarsi verso la fonte di quella stranezza, sembrava di trovarsi in presenza  di un grosso quantitativo di metalli, più precisamente di ferro, ma non si capacitava su come fosse possibile ciò dato che la biblioteca era quasi interamente fatta in legno. Era ignara su ciò che l’aspettava non appena svoltato l’angolo e ciò che i suoi occhi color smeraldo videro superò di gran lunga ogni possibile immaginazione.
Un uomo era riverso in una pozza che non era sangue, troppo scuro e denso per esser catalogato con una sostanza ematica, ma era ben chiaro che in egli non vi era più vita. Diciamocela tutta, chiunque al posto della ragazza sarebbe scappato a chiamare aiuto, invece lei ne rimase affascinata. Portò le mani sotto le ginocchia, per chinarsi su se stessa senza contaminare nulla o calpestare la sostanza color pece e dall’odore familiare.
Guardò il corpo dell’uomo, sembrava aver un’età compresa fra i 35 e 40 anni, stempiato e con pochi capelli color topo. Il viso era immerso nella pozza e quindi i lineamenti non erano visibili, anche se un tratto indistinguibile fu il doppio mento che appariva anche in quella posizione. La corporatura era piuttosto robusta e le braccia piegate verso l’alto facevano pensare che fosse stato colto da un malore improvviso, ma così non era. Sulla schiena, molto vicino alla spina dorsale, vi era una profonda ferita del tutto simile ad una lacerazione causata da una lama e da cui fuori usciva la stessa sostanza nerastra che di lì a poco avrebbe identificato con l’inchiostro. La connessione con tale sostanza avvenne quando vide lì vicino un libro dall’aria datata, la copertina era finemente lavorata con rune antiche, ma coperte da una fitta incrostazione di sangue che si diramava dalla lama del coltello piantato al centro esatto del volume.
Sgranò gli occhi, le venature verde scuro si allargarono quasi ad inghiottire il colore scintillante e simile allo smeraldo delle iridi, poiché quella scena sembrava così irreale e finta da farle pensare per qualche attimo che fosse solo un sogno. Un brutto sogno e di cattivo gusto, ma il rumore delle sirene delle pattuglie della polizia che suonavano a ripetizione e poco distanti di lì la riportarono alla cruda verità. Era tutto reale e lugubre.
Di scatto si alzò in piedi, guardandosi attorno. Nessuno l’aveva vista o almeno così le parve, quindi era in netto vantaggio; con uno slancio abbastanza agile evitò la pozza d’inchiostro e si diresse qualche scaffale più avanti. Conosceva a memoria quel posto e ciò giocava a suo vantaggio, infatti era ben conscia che lì avrebbe trovato un’uscita di emergenza. Spinse il maniglione antipanico e in men che non si dica si trovò nello splendido e curatissimo cortile dove il sole non batteva sia perché quasi totalmente calato dietro i lineamenti montuosi sia per l’ombra dell’edificio che ne sovrastava lo spazio.
L’aria fredda fu come un tuffo nella realtà, mentre la testa girava per le stranezze appena viste. Com’era possibile che quell’uomo non avesse perso sangue, bensì inchiostro? E che dire del libro insanguinato?
Sembrava quasi che… No, scosse il capo.  Era impossibile, non si erano scambiati le vite, un libro è un oggetto inanimato, non poteva trasferire il dolore su un altro essere, né ora né mai.
Le sirene della polizia ormai erano vicine, troppo anche dato il rumore assordante che facevano e che distruggevano la quiete di quel luogo.  Avrebbe dovuto muoversi alla svelta.
Purtroppo quel giorno non aveva preso la macchina e ciò la portava in netto svantaggio, quindi iniziò a correre a perdifiato sul prato perfettamente tagliato qualche giorno prima. Curato in ogni minimo dettaglio e annaffiato con regolarità. Quest’ultimo fu il problema principale: gli annaffiatoi che partirono nell’esatto istante in cui lei stava correndo sul prato, mentre il campanile scandiva con il suo suono leggiadro le 18.00.
 
Entrò nel piccolo appartamento di periferia con il cuore che batteva ancora a mille. I capelli mossi grondavano acqua sulle spalle, zuppi a causa di quella “doccia” inaspettata al campus. Chiuse la porta sbattendola, un suono tonfo, prima di appoggiarcisi con la schiena e ansimare a causa del debito d’aria in cui era piombata per quella corsa frenetica.
Alzò lo sguardo verso l’orologio posto in fondo al corridoio stretto, affianco alle scale che portavano alla camera da letto. Le lancette segnavano le 18.20, aveva impiegato solo venti minuti a fronte dei 35/40 che ci metteva solitamente e ciò le fece capire quanto avesse corso velocemente pur di allontanarsi da quella scena del crimine. Da quella morte assurda e sospetta di cui si sarebbe tenuta informata nei giorni successivi  leggendo i giornali.
Si staccò dalla porta pochi istanti dopo, quando il cuore riprese un battito regolare e con esso anche il respiro. Si portò una mano fra i capelli, quella destra, ravvivando le folte ciocche cremisi che componevano la voluminosa capigliatura nonostante l’acqua che ne appesantiva la consistenza.
Passo dopo passo avanzò verso il salotto, si guardò attorno con fare sospetto, ma tutto era normale. La casa era perfettamente in disordine come l’aveva lasciata quella mattina prima di uscire per l’università, i vestiti sul divano in modo sparpagliato, le scarpe infilate sotto il tavolo e le sedie spaiate una dall’altra, mentre i libri lasciavano fogli svolazzanti un po’ ovunque.
Libri.
Libri voluminosi o sottili, dall’odore antico o dal profumo fresco di rilegatura. Libri che l’avevano esasperata ed altri che l’avevano fatta innamorare. Libri che potevano uccidere, quella era la nuova definizione che aggiunse alla lista.
Prese la tazza della colazione che aveva lasciato davanti alla tv quella mattina, sollevando anche la scatola dei cereali per poter portare entrambi in cucina. Da quando viveva da sola il caos regnava sovrano nella sua vita, ma non si lamentava affatto di ciò. Era sempre stata una ragazza disordinata, ma prima di quell’anno la madre aveva tenuto a freno l’indole della giovane sistemando ogni cosa con attenzione, ma finalmente ora poteva vivere da sola, lontana da casa per motivi di studio e ciò le dava una libertà che non faceva altro che accentuare difetti su difetti.
Entrò in cucina, guardò il frigo storcendo il naso dato che sapeva già di trovarlo vuoto. Sarebbe dovuta uscire a far la spesa, ma la voglia era sotto le suole delle scarpe dopo quella corsa.
Si fermò di scatto davanti al lavabo con ancora la tazza in mano, pensierosa. Avrebbe dovuto parlarne con qualcuno. Sì, ma con chi? I genitori era totalmente fuori discussione, compagne di scuola non era il caso dato che di sicuro ci sarebbero state indagini e la migliore amica ormai viveva a 158 Km da lei. Per telefono non era il massimo.
Quei pensieri furono interrotti quando sentì la melodia del campanello. Non era il solito “din dlon” a dire il vero, aveva registrato la propria voce che canticchiava una melodia che si era sognata una notte e che l’aveva colpita piacevolmente. Così, ogni volta che il campanello suonava, finiva con il canticchiare quella melodia, ma non fu quello che accadde quella notte.
Gli occhi verdeggianti divennero vacui, mentre l’ombra della paura passava fra le iridi. Non aspettava visite e il terrore di trovarsi la polizia davanti era piuttosto plausibile, senza contare che ormai era notte e la casa era quasi totalmente al buio, quindi avrebbe potuto fingere di non essere rientrata. Eppure la mano di chiunque fosse là fuori iniziò a picchiare sulla porta con insistenza, facendole cadere la tazza nel lavello in un rumore inequivocabile di stoviglie che si rompevano.
«Dannazione!». Imprecò a denti stretti, sapendo che sicuramente il rumore era stato percepito anche all’esterno data la poca distanza fra la porta d’ingresso e la cucina.
Asciugò le mani su un canovaccio lì vicino e sistemando i capelli si avviò nel corridoio. Titubò molto prima di aprire la porta, cercando di indossare una maschera d’impassibilità sul volto e ci riuscì anche senza troppi problemi. Aveva seguito un corso di recitazione per 3 anni, quindi la cosa non era poi così difficile da attuare.
Lentamente aprì la porta, ma ancora prima di vedere il viso del giovane ne percepì la voce calda e profonda, di quelle che catturano l’anima e rimangono impresse sotto pelle come un marchio ardente. «Helen, si può sapere perché hai impiegato così tanto tempo ad aprire?».
La stazza possente di Thanatos la fece sentire come ogni volta piuttosto indifesa. Aveva superato il metro e novanta ormai da moltissimi anni e le continue sessioni in palestra gli avevano dato un tono muscolare molto voluminoso e possente. Il suo sorriso, però, era sempre di una dolcezza infinita e spiccava vistosamente su quella carnagione che Helen aveva sempre paragonata alla terra arsa dal fuoco. Un colore scuro e ramato allo stesso tempo.
«Thanatos!» esclamò quasi sollevata, mentre si spostava per farlo entrare. «Accomodati, dai».
Il ragazzo avanzò senza troppe moine, abituato a farle visita e ormai di casa. Si apprestò anche ad accendere la luce del corridoio, stupito dal fatto che lei fosse rimasta al buio tutto quel tempo. La conosceva ormai da 12 anni e sapeva quanto odiasse le tenebre, una piccola ossessione che la perseguitava fin da bambina.
«Cosa c’è che non va?» chiese diretto, voltandosi a guardare i suoi gesti meticolosi mentre chiudeva la porta a chiave.
«Nulla».
«Non mentirmi, sembri agitata e ti stai comportando in modo insolito. Quando mai hai chiuso la porta a chiave di tua spontanea iniziativa?» come già detto, il ragazzo aveva maturato nel tempo una conoscenza di Helen tale da percepire al volo quando qualcosa la turbava. Ogni volta faceva gesti insoliti, come chiudere la porta; per chiunque sarebbe stata una cosa normale, ma non per lei che tendenzialmente la dimenticava aperta e che la portava ad esser spesso ripresa affettuosamente da Thanatos.
«Nulla di che, davvero. Sono solo stanca, oggi è stata una lunga giornata in facoltà» superandolo andò in salotto, non preoccupandosi del disordine. Prese la pila di abiti e li gettò su una sedia, per far spazio ad entrambi in modo da accomodarsi sul divanetto color lavanda. «Tu, piuttosto, non dovresti esser in redazione a lavorare?».
Thanatos aveva compiuto 24 anni pochi mesi prima, non era mai stato uno studente modello e la sua voglia di stare sui libri scolastici aveva sempre rasentato la pigrizia a livelli massimi, eppure era un ragazzo acculturato e con una gran passione per la letteratura. Aveva sempre mantenuto un’aria distaccata dalle convenzionalità che si manifestavano negli ambienti scolastici, per lui la lettura e la conoscenza dovevano esser un bagaglio privato e pubblico a cui accedervi per piacere, non per imposizione.
Grazie alle sue capacità, però, aveva potuto non proseguire gli studi dopo l’università. A dire il vero si era iscritto e immatricolato, ma dopo  qualche mese aveva mollato tutto facendo richiesta di lavoro per un giornale locale che, viste le sue abilità, non se l’era fatto scappare. Quindi, ormai erano anni che lavorava nell’editoria ed era anche piuttosto soddisfatto.
Lo stipendio non era altissimo, ma gli bastava per vivere tranquillamente e togliersi molti degli sfizi che un giovane di quell’età può avere.
«Sì, dovrei esser in ufficio, ma meno di mezz’ora fa ci è giunta un’informazione».
«A sì? Quale?» lo guardò con fare circospetto, non capendo cosa c’entrasse tutto ciò con il fatto che lui fosse lì.
«Un omicidio nella tua stessa università» rispose con tono pacato, mentre le iridi ambra fissavano il verde fiammeggiante della giovane.
«Davvero?» si finse stupita, volendo capire a fondo quale fosse il motivo della sua visita, anche se l’animo stava tremando al solo ricordo di quella scena.
«Helen, è accaduto in biblioteca. Un luogo che tu frequenti spesso, per questo sono qui» fece una pausa, sistemandosi il colletto della camicia in raso nero. «La farò breve, hai visto qualcosa? Sentito qualcosa? Qualsiasi cosa che possa darmi notizie rilevanti dato che la polizia a chiuso lo stabile ancor prima che le notizie trapelassero all’esterno».
«Non so nulla» tagliò corto, alzandosi di scatto per andare in cucina, ma la cosa fu impossibilitata dalla presa della mano di Thanatos che afferrò il suo polso. Bloccandola.
«Sei sempre stata un’ottima bugiarda… Per chi non ti conosce» il ghigno che comparve sul volto mascolino e perfetto di Thanatos fu agghiacciante, mentre con uno strattone la tirava nuovamente sul divano in modo che si sedesse. Helen era brava a nascondere le cose, ma aveva quei piccoli gesti che chi era cresciuto con lei avrebbe notato subito. Come il mordicchiarsi l’angolo destro delle labbra quando era nervosa, proprio come aveva fatto l’attimo prima di alzarsi, facendogli capire che in realtà sapeva a pieno di cosa si stava parlando.
«Thanatos non sono faccende che mi riguardano, non voglio immischiarmi o finire nei guai».
«Parlamene, non accadrà nulla di male dato che non ti citerò come fonte».
Un sospiro abbandonò le labbra rosee della giovane che, ad occhi chiusi, iniziò a parlare, raccontandogli per filo e per segno tutto ciò che aveva visto. Quelle immagini impresse nella mente come fotografie antiche di cui si ha un ricordo indelebile. Quando riaprì gli occhi vide, per la prima volta in dodici anni, il volto di Thanatos incupirsi e farsi serio, quasi affranto.
«E così sono arrivati anche qui» sussurrò sovrappensiero, ma la sua voce arrivò all’udito di Helen che sollevò un sopracciglio, confusa.
«Chi è arrivato anche qui?».
Thanatos non le rispose, ma si alzò di scatto guardandosi attorno.
«Ehi? Pianeta Helen chiama Thanatos, mi rispondi?»
Scosse il capo, cercando di allontanare quell’idea malsana che si faceva largo nella mente. Non potevano restare lì ancora a lungo, per questo si voltò a guardarla. «Vai su a preparare una borsa con un paio di cambi, prendi tutto ciò che ti serve, ma non portare con te oggetti elettronici come cellulare e pc».
«Scusa? Cosa stai blaterando?».
«Helen, fa come ti ho detto. Prendi qualcosa da indossare alla svelta, ti porto via da qui e poi ti spiegherò tutto».
La giovane si alzò, fissandolo in malo modo, odiando che le si dicesse cosa doveva fare o non fare. «Ascoltami bene, tu mi dici ora cosa sta succedendo e perché improvvisamente ti sei fatto serioso».
Le mani di Thanatos si appoggiarono sulle spalle fragili di Helen, la pelle del ragazzo era bollente e rassicurante, dal profumo dolce come quello di una torta appena sfornata. «Vai, per favore».
Furono quelle due ultime parole a far scattare qualcosa nella mente della fanciulla. Thanatos difficilmente le usava e ogni volta che gliele aveva sentite pronunciare era per motivi seri o imminenti pericoli.
Corse in camera, il letto ancora da fare e l’armadio con le ante spalancate. Non capiva perché non potesse portare con sé il cellulare e il computer portatile, ma sicuramente gliel’avrebbe detto di lì a poco. Non si preoccupò nemmeno di avvisare i genitori sapendo che il loro numero era salvato sulla Sim di Thanatos.
Afferrò un paio di jeans scuri e una gonna scozzese, una camicia, due felpe, due T-shirt e un maglioncino di lana verde scuro; inserì anche qualche trucco, spazzola, spazzolino e dentifricio. Okay, le aveva detto due cambi, ma abbondare non era mai un male e per questo inserì anche la tuta turchese che solitamente usava come pigiama.
Voltandosi allo specchio vide la propria immagine. I capelli si erano quasi del tutto asciugati, ma erano diventati ribelli e le vesti sgualcite. Per questo si prese 5 minuti per cambiarsi, indossando un jeans color blu notte e una maglietta lavanda dalle maniche a tre quarti, infilò un paio di scarpe da ginnastica nere e indosso il cappotto di tessuto del medesimo colore per proteggersi dalla brezza serale. Legò i capelli in un’alta coda di cavallo e correndo giù dalla scala con in mano lo zaino che sembrava scoppiare e guardò Thanatos in piedi davanti alla porta.
Per tutto quel tempo si era domandato che fine avesse fatto, erano passati troppi minuti e quando la vide cambiata e con lo zaino scosse il capo. Le aveva detto di prendersi un cambio, non di prepararsi per un’uscita, anche se la tenuta non era delle migliori e ciò gli fece capire che aveva preferito indossare qualcosa di comodo per quella notte.
«Andiamo, ho la macchina parcheggiata qui davanti».
   
 
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