Per ricominciare
Passato un po' di tempo (passati
gli esami e il finale di stagione di Game of Thrones ehm ehm),
è ora di tornare al lavore.
Vi eravamo mancate? C:
Ad ogni modo.
Questa parte della storia sarà un po' più lunga
della precedente, tanto per non parere prolisse. Succederanno cose (?),
arriveranno nuovi personaggi mentre altri se ne andranno. C'est la vie (?)
Ci auguriamo che questo sorta di sequel possa farci incontrare nuovamente con i lettori della prima parte e che diverta tanto quanto ha divertito noi nella stesura.
Abbracci e biscotti,
Chemical Lady &
Lechatvert
Le lacrime di Hevel
I
cunicoli sotterranei che collegavano Castel Sant’Angelo alle
fognature dell’antica Urbe erano stretti e piuttosto
maleodoranti, ma oramai si era ampiamente abituato a esplorarli in
tutta la loro estensione. Da quando era diventato la spia per conto di
Cesare Borgia, si era fatto piuttosto esperto riguardo
l’urbanizzazione della città.
Controllò che il passaggio fosse libero, prima di risalire
la
rete fognaria fino ad una porta di legno posta su una ripida scalinata.
Prese la chiave dal borsello e aprì l’uscio,
sfilandosi
finalmente il cappuccio a becco d’aquila quando fu dentro
alla
cantina dell’enorme edificio.
Rubò una bottiglia di vino, strappando il tappo di sughero
con
un morso prima di tirar un gran sorso. Aveva fatto tutta quella strada
a passo svelto e non ce la faceva più; la gola gli pareva
arsa.
Uscì nelle cucine salutando la servitù, abituata
a
vederlo apparire alle più svariate ore del giorno e della
notte.
Quando arrivò al piano superiore, facendo di tanto in tanto
gli
onori di casa a qualche conoscente, l’Assassino sorrise
malignamente, spalancando la porta della stanza del Valentino con una
spallata.
«Affrontami se hai il coraggio, Borgia!»,
gridò, alzando la bottiglia.
La donna che stava supina sotto al rampollo del Papa schizzò
seduta urlando, coprendosi i seni con il lenzuolo.
Cesare, dal canto suo, guardò il nuovo arrivato tra
l’irritato e il divertito, facendogli segno di entrare.
«Sempre delicato, Alfonso.»
L’Assassino dondolò le spalle, avvicinandosi al
letto dopo aver recuperato un paio di calici di ferro dal tavolo.
«Sto via una settimana e già mi
tradisci»,
commentò, ridacchiando sotto la sciarpa che gli copriva il
mento. «Così mi ferisci profondamente, amico
mio!»
Si sedette comodamente sul materasso, accavallando le gambe sotto il
mantello pesante che lo avvolgeva. Servì il vino nel primo
calice, offrendolo poi alla donna con un ampio gesto del braccio.
«Lasciaci», ordinò, non appena ella ne
ebbe bevuto un sorso.
La guardò recuperare in fretta e furia la camicia da notte
per poi sparire dietro la porta che dava sul corridoio.
Una servitrice qualunque, a giudicare da come si affannava ad
allontanarsi, con i capelli scuri e la carnagione olivastra del sud.
Non era neanche troppo bella, a conti fatti.
Alfonso sospirò.
«Non hai mai avuto buongusto in fatto di donne»,
commentò, versandosi da bere nel calice che gli era rimasto
tra
le mani. Ne prese un sorso, assaporando il sapore amaro del vino mentre
deglutiva con calibrata lentezza. «Né in fatto di
vino.»
«Fortuna che ho te, che curi così bene i miei
interessi», decretò con una risata Borgia, bevendo
a sua
volta un sorso direttamente dalla bottiglia. «Dimmi, hai
belle
notizie per me?»
Girò attorno a lui, esaminandolo come se si aspettasse di
trovare ferite o quant’altro sulla sua persona. Come sempre,
però, il suo caro amico stava benissimo.
Si appoggiò allora alla scrivania davanti a lui, guardandolo
divertito.
«Quanto mistero … vuoi dirmi come procedono le
cose per Auditore, oppure no?»
Alfonso sospirò, buttando giù un altro bicchiere
prima di proseguire.
«Pensi di rivestirti o miri semplicemente a una
polmonite?», commentò, alzando un sopracciglio.
«Auditore ha fatto le sue cinque scelte, ma questo te
l’ho
già scritto nell’ultima lettera. Oltre a lui, al
Covo sono
rimaste sì e no cinque persone, neanche troppo difficili da
freddare.» Fece una pausa, roteando gli occhi e fermandosi a
fissare il soffitto per un istante. Poi si sciolse in una lieve risata.
«Ma immagino che tu sappia già anche questo,
altrimenti
non mi avresti convocato in fretta e furia. Cos’è,
hai
paura che Auditore scappi da te?»
Legandosi una vestaglia addosso, Cesare avanzò verso
l’amico, battendogli una mano sulla spalla.
«Bravo Alfonso, sempre corretto nel riportare notizie vecchie
di
tre settimane!», gli tirò una guancia,
pizzicandola
bonariamente, prima di mettersi a sedere sul letto. «Credo
che
dovremmo attaccare ora il Covo, radendolo al suolo. Sarà
facile,
se sono così pochi, no?»
Massaggiandosi la guancia con la mano, Alfonso alzò le
spalle.
«Non vedo perché avere tutta questa
fretta»,
commentò, pacato. «Tra due mesi al massimo saranno
di
nuovo tutti assieme ad ubriacarsi all’osteria. Tanto vale
abbatterli senza lasciare superstiti in giro per Roma, non
trovi?»
Fece una pausa, grattandosi il naso mentre si guardava attorno alla
ricerca di qualcosa da mettere sotto ai denti.
Cesare seguì con lo sguardo ogni suo movimento, tanto
attento da
parere capace di scrutargli all’interno, di saper guardare
dentro
ogni suo segreto più nascosto.
Alfonso sapeva di non poter continuare a mascherare il suo
tentennamento ancora per molto. Lui e Borgia avevano passato anni a
spalleggiarsi, senza mai un accenno di compassione, di esitazione.
Senza mai provare pietà. Ciò che li legava era
amicizia,
certo, ma bastava un cambiamento per incrinarla.
Guardò il viso di Cesare piegarsi in un ghigno, mentre le
parole gli uscivano dalla bocca, fradice di veleno.
«Ti sei affezionato al nome falso che hai strappato a quel
povero
ragazzo prima di ucciderlo? Ti diverte interpretare un ruolo che non ti
appartiene, per caso?», gli chiese il Valentino,
stuzzicandolo,
prima di schioccare la lingua contro al palato. «O
è per
quella ragazza?»
Alfonso trasalì, arricciando appena il naso.
«Provo affetto per lei», ammise immediatamente,
senza
troppi ripensamenti. «Ma ti ho già detto che
troverò il modo di lasciarla al di fuori da tutto
ciò.» Fece una pausa, utilizzandola per
riacquistare la
sua sicurezza e voltarsi a guardare Cesare dritto negli occhi.
«Qualunque cosa ciò implichi.»
Sospirò nervosamente, sciogliendo il nodo del mantello che fino a quel momento aveva accuratamente evitato di togliersi.
«Piuttosto: come hai
intenzione di annientarli?»
«Sei ingenuo se credi che il solo interesse che cova per te
sarà più forte del suo spirito.»
Alfonso rabbrividì.
Era palese come Cesare avesse volutamente ignorato la domanda militare,
ben conscio del fatto che parlare di sentimenti era, per il suo
compagno, impresa assai ardua.
Complice di questo, il Valentino si appoggiò con i gomiti
sul materasso, rilassando le spalle.
«Quando scoprirà che sei una spia, a prescindere
dal tuo
bel faccino o dalle cose che puoi o meno averle detto, ti
sventrerà», infierì. «Mi
dicevi che è
sveglia, anche se non abbastanza da non vedere il mostro che ha nel
letto …»
«Perdonami, temo di avere un vuoto di memoria.» Il
tono di
Alfonso si fece più acuto, carico del sarcasmo di cui quelle
frasi erano intrise. «Puoi ricordarmi quando, esattamente, ti
avrei chiesto consigli in amore?»
Con un gesto rapido, l’Assassino si riappropriò
della
bottiglia, prendendo un sorso di vino più abbondante dei
precedenti per buttare giù il nodo alla gola che quel genere
di
argomenti gli causava.
Cesare scoppiò a ridere.
«Tu non chiedi mai nulla, perché hai la testa
più
dura di quella di mio padre. Complimenti per il primato!»,
esclamò. Si rimise diritto, indicandolo come se stesse in
qualche modo cercando di intimorirlo. Poi aprì bocca,
rovinando
tutto quel suo darsi un tono. «Chi dei due ha sempre avuto le
donne più belle? E non parlo solo di visi, ma anche di seni
e
fianchi, Alfonso. Tu sei sempre stato un disastro. Vogliamo parlare di
Irma?»
I due si guardarlo per un paio di istanti, poi Alfonso
incrociò le braccia sul petto.
«Vogliamo parlare d’incesto, Cesare?»
«Sono solo voci.»
«Voci, certo, ma le hai tutte di fronte: non darmi consigli
in amore se sei ambiguo.»
«E questa è una regola che hai inventato tu o
l’hai semplicemente letta in qualche delle tue
poesie?»
Alfonso scoccò a Cesare un’occhiata seccata.
Decise di non rispondere a quell’ennesima frecciatina e si
limitò a fissare il suo amico in silenzio, passandosi la
lingua
sul labbro inferiore con lentezza, riflessivo.
«Tra qualche settimana, tuo padre potrebbe avere un
infiltrato al
concistoro», annunciò poco dopo, alzandosi in
piedi.
«Poche guardie sui tetti sarebbero gradite, in quel
caso.»
A quelle parole, l’attenzione del Valentino si
acuì.
«Spiegati meglio», disse, chinandosi appena in
avanti.
Alfonso si risedette pesantemente accanto a Cesare, lasciando dondolare
il capo.
«Giorni fa è stato intercettato un messo da
Verona.
Credevamo fosse una missiva circa qualche affare importante, mentre in
realtà era solo per segnalare che il Cardinal Scaligeri
è
morto e che quindi non potrà presenziare al suo primo
concistoro, anche se è stato caldamente invitato da sua
Santità.»
Borgia corrugò le sopracciglia.
«Chi manderanno?»
«Sorpresa.»
«Devo dunque aspettarmi di vederti indossare la
porpora?»
Alfonso alzò le spalle.
«Può darsi. In tal caso potremmo finalmente
decretare a
chi dei due sta meglio», commentò, soffocando a
fatica una
risata. «Quando ce l’avevi tu, parevi un pesce
rosso in
pena dentro al suo acquario.» In un impeto di
malignità si
voltò verso Cesare, scostandogli un paio di ciocche castane
dal
viso. «Però quel grazioso cappellino non metteva
in
risalto la tua larga fronte, no.»
«Stai passando il limite, stronzo!»
Una cuscinata colpì in pieno viso Alfonso, che si
ritrovò spalmato sul materasso in un istante.
Cesare si alzò di scatto, quasi offeso da tutte quelle
insinuazioni circa la sua fronte spaziosa, recuperando poi una lettera
da uno dei cassetti del suo scrittoio.
«Qui troverai tutte le indicazioni su dove scaricare
…
bé, chiunque deciderai di scaricare nelle catacombe,
così
come da tua richiesta. Poi dici che non faccio mai nulla per te,
schifoso ingrato!»
Ridacchiando appena, Alfonso si alzò, avvicinandosi allo
scrittoio per sbirciare il contenuto della lettera.
«Sei certo che si tratti di cunicoli senza
uscita?», chiese, sospettoso.
Cesare alzò le spalle.
«Cunicoli rimasti sotto il crollo dell’anno scorso,
sì.»
Sospirando con leggerezza, l’Assassino fece sparire la
lettera in una delle tasche del mantello.
«Allora andranno benissimo.»
«Non capisco», commentò Cesare.
«Perché
senza uscita? Hai paura che i morti ti vengano a prendere?»
Alfonso fece scioccare la lingua sul palato.
«Ah!», esclamò, divertito. «Ma
io non ho mai parlato di morti, mio ingenuo amico.»
Cesare rise di gusto, portandogli un braccio attorno al collo e tirando
verso il basso. Che tentasse di abbracciarlo o ucciderlo era dubbio.
«Bravo, il mio Alfonsino! Cresciuto e maturato, con una donna
che
lo chiama con un nome non suo e una lunga serie di inganni pronti per
venir sfornati! Avanti su, tornatene al tuo Covo o Auditore si
accorgerà che manca l’anima della festa!»
Alfonso scrollò il capo.
«Me ne torno a letto, visto che mi hai fatto venire qui nel
bel
mezzo della notte», sbottò. «Ti auguro
davvero
l’esperienza di dormire con quei degenerati; non pensavo che
potessero esistere individui tanto rumorosi.» Si
lisciò
con vanità il mantello, alzandosi di nuovo il cappuccio sul
capo. «E la prossima volta chiamami a
un’ora decente;
domattina all’alba mi aspetta uno di quegli stupidi giochini
che
là si ostinano a chiamare
‘allenamento’.»
«Attento a non scivolare su un tetto, Alfonsino. Non vorrei
venire al tuo funerale.»
Cesare lo guardò farsi più vicino e scambiare con
lui un veloce ma sentito abbraccio.
Poi, come un’ombra,
l’Assassino svanì oltre la porta.