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Autore: VandasGirls    26/06/2014    2 recensioni
Marcello rimase immobile a fissare l’asse dinanzi a sé per qualche minuto, senza osare spostare lo sguardo da quel misero pezzo di legno sospeso sul nulla.
Mosse il primo, incerto e minuto passo verso di essa senza dire una parola. Prese piano la mano di Violante, accarezzandole il palmo con le dita, più alla ricerca di conforto che di tenerezza.
Poi alzò gli occhi su di lei.
«Va bene», disse con un filo di voce. «Facciamolo.»
Sotto di lui c’era il niente. Davanti aveva la laguna, tutto attorno c’era Venezia.
Senza aggiungere una parola, strinse la presa sulla mano di Violante e si lasciò cadere.

|Seconda parte de “Il destino di Qayin”|
Genere: Azione, Generale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Cesare Borgia, Ezio Auditore, Niccolò Machiavelli, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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hevel

Per ricominciare

Passato un po' di tempo (passati gli esami e il finale di stagione di Game of Thrones ehm ehm), è ora di tornare al lavore.
Vi eravamo mancate? C:

Ad ogni modo.
Questa parte della storia sarà un po' più lunga della precedente, tanto per non parere prolisse. Succederanno cose (?), arriveranno nuovi personaggi mentre altri se ne andranno. C'est la vie (?)

Ci auguriamo che questo sorta di sequel possa farci incontrare nuovamente con i lettori della prima parte e che diverta tanto quanto ha divertito noi nella stesura.

Abbracci e biscotti,
Chemical Lady & Lechatvert






Le lacrime di Hevel

Prologo





I cunicoli sotterranei che collegavano Castel Sant’Angelo alle fognature dell’antica Urbe erano stretti e piuttosto maleodoranti, ma oramai si era ampiamente abituato a esplorarli in tutta la loro estensione. Da quando era diventato la spia per conto di Cesare Borgia, si era fatto piuttosto esperto riguardo l’urbanizzazione della città.
Controllò che il passaggio fosse libero, prima di risalire la rete fognaria fino ad una porta di legno posta su una ripida scalinata. Prese la chiave dal borsello e aprì l’uscio, sfilandosi finalmente il cappuccio a becco d’aquila quando fu dentro alla cantina dell’enorme edificio.
Rubò una bottiglia di vino, strappando il tappo di sughero con un morso prima di tirar un gran sorso. Aveva fatto tutta quella strada a passo svelto e non ce la faceva più; la gola gli pareva arsa.
Uscì nelle cucine salutando la servitù, abituata a vederlo apparire alle più svariate ore del giorno e della notte. Quando arrivò al piano superiore, facendo di tanto in tanto gli onori di casa a qualche conoscente, l’Assassino sorrise malignamente, spalancando la porta della stanza del Valentino con una spallata.
«Affrontami se hai il coraggio, Borgia!», gridò, alzando la bottiglia.
La donna che stava supina sotto al rampollo del Papa schizzò seduta urlando, coprendosi i seni con il lenzuolo.
Cesare, dal canto suo, guardò il nuovo arrivato tra l’irritato e il divertito, facendogli segno di entrare.
«Sempre delicato, Alfonso.»
L’Assassino dondolò le spalle, avvicinandosi al letto dopo aver recuperato un paio di calici di ferro dal tavolo.
«Sto via una settimana e già mi tradisci», commentò, ridacchiando sotto la sciarpa che gli copriva il mento. «Così mi ferisci profondamente, amico mio!»
Si sedette comodamente sul materasso, accavallando le gambe sotto il mantello pesante che lo avvolgeva. Servì il vino nel primo calice, offrendolo poi alla donna con un ampio gesto del braccio.
«Lasciaci», ordinò, non appena ella ne ebbe bevuto un sorso.
La guardò recuperare in fretta e furia la camicia da notte per poi sparire dietro la porta che dava sul corridoio.
Una servitrice qualunque, a giudicare da come si affannava ad allontanarsi, con i capelli scuri e la carnagione olivastra del sud. Non era neanche troppo bella, a conti fatti.
Alfonso sospirò.
«Non hai mai avuto buongusto in fatto di donne», commentò, versandosi da bere nel calice che gli era rimasto tra le mani. Ne prese un sorso, assaporando il sapore amaro del vino mentre deglutiva con calibrata lentezza. «Né in fatto di vino.»
«Fortuna che ho te, che curi così bene i miei interessi», decretò con una risata Borgia, bevendo a sua volta un sorso direttamente dalla bottiglia. «Dimmi, hai belle notizie per me?»
Girò attorno a lui, esaminandolo come se si aspettasse di trovare ferite o quant’altro sulla sua persona. Come sempre, però, il suo caro amico stava benissimo.
Si appoggiò allora alla scrivania davanti a lui, guardandolo divertito.
«Quanto mistero … vuoi dirmi come procedono le cose per Auditore, oppure no?»
Alfonso sospirò, buttando giù un altro bicchiere prima di proseguire.
«Pensi di rivestirti o miri semplicemente a una polmonite?», commentò, alzando un sopracciglio. «Auditore ha fatto le sue cinque scelte, ma questo te l’ho già scritto nell’ultima lettera. Oltre a lui, al Covo sono rimaste sì e no cinque persone, neanche troppo difficili da freddare.» Fece una pausa, roteando gli occhi e fermandosi a fissare il soffitto per un istante. Poi si sciolse in una lieve risata. «Ma immagino che tu sappia già anche questo, altrimenti non mi avresti convocato in fretta e furia. Cos’è, hai paura che Auditore scappi da te?»
Legandosi una vestaglia addosso, Cesare avanzò verso l’amico, battendogli una mano sulla spalla.
«Bravo Alfonso, sempre corretto nel riportare notizie vecchie di tre settimane!», gli tirò una guancia, pizzicandola bonariamente, prima di mettersi a sedere sul letto. «Credo che dovremmo attaccare ora il Covo, radendolo al suolo. Sarà facile, se sono così pochi, no?»
Massaggiandosi la guancia con la mano, Alfonso alzò le spalle.
«Non vedo perché avere tutta questa fretta», commentò, pacato. «Tra due mesi al massimo saranno di nuovo tutti assieme ad ubriacarsi all’osteria. Tanto vale abbatterli senza lasciare superstiti in giro per Roma, non trovi?»
Fece una pausa, grattandosi il naso mentre si guardava attorno alla ricerca di qualcosa da mettere sotto ai denti.
Cesare seguì con lo sguardo ogni suo movimento, tanto attento da parere capace di scrutargli all’interno, di saper guardare dentro ogni suo segreto più nascosto.
Alfonso sapeva di non poter continuare a mascherare il suo tentennamento ancora per molto. Lui e Borgia avevano passato anni a spalleggiarsi, senza mai un accenno di compassione, di esitazione. Senza mai provare pietà. Ciò che li legava era amicizia, certo, ma bastava un cambiamento per incrinarla.
Guardò il viso di Cesare piegarsi in un ghigno, mentre le parole gli uscivano dalla bocca, fradice di veleno.
«Ti sei affezionato al nome falso che hai strappato a quel povero ragazzo prima di ucciderlo? Ti diverte interpretare un ruolo che non ti appartiene, per caso?», gli chiese il Valentino, stuzzicandolo, prima di schioccare la lingua contro al palato. «O è per quella ragazza?»
Alfonso trasalì, arricciando appena il naso.
«Provo affetto per lei», ammise immediatamente, senza troppi ripensamenti. «Ma ti ho già detto che troverò il modo di lasciarla al di fuori da tutto ciò.» Fece una pausa, utilizzandola per riacquistare la sua sicurezza e voltarsi a guardare Cesare dritto negli occhi. «Qualunque cosa ciò implichi.» 

Sospirò nervosamente, sciogliendo il nodo del mantello che fino a quel momento aveva accuratamente evitato di togliersi. 

«Piuttosto: come hai intenzione di annientarli?»
«Sei ingenuo se credi che il solo interesse che cova per te sarà più forte del suo spirito.»
Alfonso rabbrividì.
Era palese come Cesare avesse volutamente ignorato la domanda militare, ben conscio del fatto che parlare di sentimenti era, per il suo compagno, impresa assai ardua.
Complice di questo, il Valentino si appoggiò con i gomiti sul materasso, rilassando le spalle.
«Quando scoprirà che sei una spia, a prescindere dal tuo bel faccino o dalle cose che puoi o meno averle detto, ti sventrerà», infierì. «Mi dicevi che è sveglia, anche se non abbastanza da non vedere il mostro che ha nel letto …»
«Perdonami, temo di avere un vuoto di memoria.» Il tono di Alfonso si fece più acuto, carico del sarcasmo di cui quelle frasi erano intrise. «Puoi ricordarmi quando, esattamente, ti avrei chiesto consigli in amore?»
Con un gesto rapido, l’Assassino si riappropriò della bottiglia, prendendo un sorso di vino più abbondante dei precedenti per buttare giù il nodo alla gola che quel genere di argomenti gli causava.
Cesare scoppiò a ridere.
«Tu non chiedi mai nulla, perché hai la testa più dura di quella di mio padre. Complimenti per il primato!», esclamò. Si rimise diritto, indicandolo come se stesse in qualche modo cercando di intimorirlo. Poi aprì bocca, rovinando tutto quel suo darsi un tono. «Chi dei due ha sempre avuto le donne più belle? E non parlo solo di visi, ma anche di seni e fianchi, Alfonso. Tu sei sempre stato un disastro. Vogliamo parlare di Irma?»
I due si guardarlo per un paio di istanti, poi Alfonso incrociò le braccia sul petto.
«Vogliamo parlare d’incesto, Cesare?»
«Sono solo voci.»
«Voci, certo, ma le hai tutte di fronte: non darmi consigli in amore se sei ambiguo.»
«E questa è una regola che hai inventato tu o l’hai semplicemente letta in qualche delle tue poesie?»
Alfonso scoccò a Cesare un’occhiata seccata.
Decise di non rispondere a quell’ennesima frecciatina e si limitò a fissare il suo amico in silenzio, passandosi la lingua sul labbro inferiore con lentezza, riflessivo.
«Tra qualche settimana, tuo padre potrebbe avere un infiltrato al concistoro», annunciò poco dopo, alzandosi in piedi. «Poche guardie sui tetti sarebbero gradite, in quel caso.»
A quelle parole, l’attenzione del Valentino si acuì.
«Spiegati meglio», disse, chinandosi appena in avanti.
Alfonso si risedette pesantemente accanto a Cesare, lasciando dondolare il capo.
«Giorni fa è stato intercettato un messo da Verona. Credevamo fosse una missiva circa qualche affare importante, mentre in realtà era solo per segnalare che il Cardinal Scaligeri è morto e che quindi non potrà presenziare al suo primo concistoro, anche se è stato caldamente invitato da sua Santità.»
Borgia corrugò le sopracciglia.
«Chi manderanno?»
«Sorpresa.»
«Devo dunque aspettarmi di vederti indossare la porpora?»
Alfonso alzò le spalle.
«Può darsi. In tal caso potremmo finalmente decretare a chi dei due sta meglio», commentò, soffocando a fatica una risata. «Quando ce l’avevi tu, parevi un pesce rosso in pena dentro al suo acquario.» In un impeto di malignità si voltò verso Cesare, scostandogli un paio di ciocche castane dal viso. «Però quel grazioso cappellino non metteva in risalto la tua larga fronte, no.»
«Stai passando il limite, stronzo!»
Una cuscinata colpì in pieno viso Alfonso, che si ritrovò spalmato sul materasso in un istante.
Cesare si alzò di scatto, quasi offeso da tutte quelle insinuazioni circa la sua fronte spaziosa, recuperando poi una lettera da uno dei cassetti del suo scrittoio.
«Qui troverai tutte le indicazioni su dove scaricare … bé, chiunque deciderai di scaricare nelle catacombe, così come da tua richiesta. Poi dici che non faccio mai nulla per te, schifoso ingrato!»
Ridacchiando appena, Alfonso si alzò, avvicinandosi allo scrittoio per sbirciare il contenuto della lettera.
«Sei certo che si tratti di cunicoli senza uscita?», chiese, sospettoso.
Cesare alzò le spalle.
«Cunicoli rimasti sotto il crollo dell’anno scorso, sì.»
Sospirando con leggerezza, l’Assassino fece sparire la lettera in una delle tasche del mantello.
«Allora andranno benissimo.»
«Non capisco», commentò Cesare. «Perché senza uscita? Hai paura che i morti ti vengano a prendere?»
Alfonso fece scioccare la lingua sul palato.
«Ah!», esclamò, divertito. «Ma io non ho mai parlato di morti, mio ingenuo amico.»
Cesare rise di gusto, portandogli un braccio attorno al collo e tirando verso il basso. Che tentasse di abbracciarlo o ucciderlo era dubbio.
«Bravo, il mio Alfonsino! Cresciuto e maturato, con una donna che lo chiama con un nome non suo e una lunga serie di inganni pronti per venir sfornati! Avanti su, tornatene al tuo Covo o Auditore si accorgerà che manca l’anima della festa!»
Alfonso scrollò il capo.
«Me ne torno a letto, visto che mi hai fatto venire qui nel bel mezzo della notte», sbottò. «Ti auguro davvero l’esperienza di dormire con quei degenerati; non pensavo che potessero esistere individui tanto rumorosi.» Si lisciò con vanità il mantello, alzandosi di nuovo il cappuccio sul capo.  «E la prossima volta chiamami a un’ora decente; domattina all’alba mi aspetta uno di quegli stupidi giochini che là si ostinano a chiamare ‘allenamento’.»
«Attento a non scivolare su un tetto, Alfonsino. Non vorrei venire al tuo funerale.»
Cesare lo guardò farsi più vicino e scambiare con lui un veloce ma sentito abbraccio. 

Poi, come un’ombra, l’Assassino svanì oltre la porta.







   
 
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