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Autore: Brooke Davis24    26/06/2014    3 recensioni
Emma Swan e Killian Jones. I ruoli sono invertiti, gli animi diversi. Emma è il capitano della nave pirata più temuta che abbia mai toccato le coste di Thrain, la città in cui Killian è tenente al servizio della Corona, ed Emma ha una missione da compiere, una missione che si porrà in netto contrasto con quella di Killian. E se fosse difficile essere nemici ma non potessero essere altro? E se i sentieri di Emma Swan e Killian Jones si fossero incontrati nella vita sbagliata? E se, invece, non ci fossero tempo, luogo, motivo più esatto?
Genere: Angst, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un omaggio ad uno degli scrittori più geniali che siano mai esistiti. Un regalo un po' più lungo del previsto per voi, che mi leggete e avete avuto la pazienza di aspettare.


Capitolo V
Durin
 
Emma Swan era una creatura bizzarra. Senz’altro affascinante, ma quanto mai bizzarra.
Se c’era una cosa che Killian Jones aveva appreso in quelle lunghe settimane di navigazione sulla nave pirata, era che il suo capitano aveva molto più da raccontare di quanto uomini del doppio della sua età non avrebbero saputo fare, molto più di quanto egli stesso sarebbe stato in grado di dire su quegli ultimi trent’anni trascorsi per terra e per mare alla spasmodica ricerca di una giustizia che era parsa sfuggirgli come il più viscido rettile; una giustizia che, ironia della sorte, aveva sorprendentemente trovato nel luogo più inaspettato.

In quella peregrinazione della cui meta era del tutto ignaro, il tenente aveva avuto modo di studiare le abitudini vigenti sulla Nostos e, con sgomento, non aveva trovato nulla di quanto si fosse aspettato. Nessuna sregolatezza, nessuna esagerazione, nessuna ignavia. Ogni singolo membro dell’equipaggio ricopriva uno specifico ruolo che svolgeva con più o meno alacrità e, benché quegli uomini fossero tanto diversi tra loro, li guidavano un’armonia ed uno zelo che gli avevano reso assai più semplice il compito di comprendere come mai quella ciurma di pirati fosse la più temuta dei sette mari. Non si trattava della prestanza fisica o delle abilità in combattimento, quanto del mutuo rispetto che nutrivano l’uno per l’altro e, ancora di più, della completa devozione che provavano nei riguardi del loro capitano.

A dispetto delle sue superficiali e bigotte congetture, Capitan Swan era tutto quello che un individuo della sua posizione avrebbe dovuto essere: era brillante, sagace, giusto, intransigente, paziente, spaventoso e affascinante quanto bastava perché i suoi sottoposti gli dessero ascolto senza dubitare della sua autorità. Era stato incredibilmente interessante osservarlo impartire ordini ad uomini di stazza tre volte superiore alla sua ed ottenere esattamente quello che desiderava; e ancora più intrigante era stata l’idea di sapere come avesse appreso tutto quello che conosceva. La mente del tenente Jones aveva indugiato a lungo sul pensiero del suo nemico, la notte successiva alla tempesta che aveva rischiato di gettarli tutti in mare, la stessa tempesta alla quale erano scampati soltanto grazie alle direttive del capitano in pelle nera, quella donna di qualche anno più giovane di lui che, imponente più dell’albero maestro, al timone della Nostos, qualche ora dopo aveva osservato l’orizzonte senza battere ciglio, lasciandosi il fortunale alle spalle per non voltarsi mai più indietro.

Killian ricordava nitidamente il chiarore dei capelli grondanti di lei stagliarsi contro il cielo notturno, le spalle arrossate dalla violenza che l’acqua le aveva usato contro, e ricordava con altrettanta accuratezza  il modo in cui il suo bel viso era parso scurirsi alla vista del mozzo morente  che giaceva sul pavimento del ponte di coperta. Dal momento in cui il pugnale che era solita portare alla cintola era penetrato nella carne dell’uomo per strapparlo a quel supplizio e, nel silenzio più assoluto, il cadavere traforato da parte a parte era stato restituito al mare cui aveva dedicato la vita, qualcosa era cambiato nell’atmosfera che si respirava sull’imbarcazione. Da quel momento, qualcosa di scuro era calato sull’animo del capitano e, con lui, i suoi uomini ne avevano risentito.

Le risate mattutine, i canti baldanzosi, le sonate volgari erano stati sostituiti dal più impenetrabile silenzio ed Emma non aveva lasciato il timone per due giorni interi, l’espressione corrucciata costantemente rivolta dinanzi a sé. Diego aveva tentato di approcciarsi a lei più di una volta, ma non era servito a nulla, se non a mettere a repentaglio la sua vita. Il terzo giorno dopo la burrasca che aveva portato con sé l’uomo di cui Killian non ricordava neppure il nome, l’energumeno al cui fianco aveva trascorso buona parte della traversata si era accostato al capitano sulla soglia degli alloggi di quest’ultimo, qualche istante prima che costui li oltrepassasse e trovasse conforto tra le mura silenti del suo studio; l’espressione di lei era parsa una maschera di cera al cospetto delle bonarie sollecitazioni dell’altro e molti insieme a Killian avevano trattenuto il respiro quando le dita tozze di Diego si erano strette attorno alla spalla di lei, invitandola a rimanere un po’ in compagnia dell’equipaggio. Lo sguardo di Emma aveva oscillato dall’arto dell’uomo al suo viso con lentezza estenuante una volta, due volte, infine un’altra ancora.

Era bastato un istante e nessuno dei presenti avrebbe saputo spiegare come fosse anche solo vagamente possibile, ma Diego si era ritrovato scaraventato alla parete esterna degli alloggi di lei con un pugnale puntato alla gola. “Non è la misericordia di cui sono prodiga” si era limitata a sussurrare con voce funerea, i denti stretti, spingendo più a fondo la fiancata del coltello nella carne finché un rivolo di sangue aveva tracciato il suo sentiero lungo il collo del pirata e la ciurma lo aveva sentito mugugnare. Con lentezza inversamente proporzionale alla rapidità con cui lo aveva colto di sorpresa, Emma aveva compiuto un passo indietro, pulito la lama del pugnare sulla giacca logora di quello che si supponeva essere il suo confidente più caro ed era sparita nelle sue camere.

Non erano stati necessari gesti o parole, a quel punto. Diego aveva stretto i pugni e, pallido come un lenzuolo, era sceso sottocoperta, lasciando l’equipaggio – e Killian primo fra tutti -  in un silenzio attonito. Nessuno di loro avrebbe mai osato sfidare i nervi di Diego, non chi lo conosceva, men che meno chi poteva soltanto immaginarne il temperamento; e, a maggior ragione, nessuno di loro avrebbe mai osato alzare un dito contro di lui, perché le possibilità di uscirne gravemente mutilati erano alte più dell’immaginabile. Com’era possibile che quell’esserino mingherlino l’avesse non soltanto scaraventato contro la parete, ma fosse perfino riuscita a zittirlo senza il timore di provocarne una reazione?

Stecco, il mozzo alto e rachitico che aveva riso di Killian e cui aveva visto accendere la candela quella notte di diverse settimane prima, gli era passato accanto e, nel primo gesto amichevole che si fossero mai scambiati, gli aveva battuto due pacche sulla spalla, ridestandolo dal suo stato di stupore. I loro occhi si erano incontrati, il pirata aveva strizzato uno dei suoi e gli aveva fatto cenno di seguirlo; con un fitto gruppo di compagni, lo aveva condotto nel grosso spazio adibito a mensa di cui la nave disponeva e gli aveva porto una fiaschetta di rum, invitandolo ad accomodarsi. Era stato bizzarro prendere posto tra di loro, sentirli schernire il povero Diego, osservarli dare di gomito e intonare assurdi mottetti per dargli il benvenuto nelle losche schiere dei manigoldi, come pareva amassero definirsi. Malgrado tutto, Killian aveva riso.

E quel riso e quella bevuta erano stati in grado di cambiare le carte che la tempesta e la morte del mozzo avevano messo in tavola. La notizia delle circostanze che avevano visto il tenente fare combriccola con gli abitanti della Nostos era giunta alle orecchie del capitano della nave, allietando i suoi pensieri e schiarendo la sua mente fino a riportare parzialmente il sereno ove a lungo avevano dominato nubi e tenebre. Era impresso come un marchio a fuoco nei ricordi di Stecco, il modo in cui le labbra vermiglie di Emma si erano inclinate in un sorriso appena accennato per poi schiudersi e rivelare tutta la bellezza di cui era capace; in quel frangente, il pirata aveva compreso di essere riuscito laddove Diego, il braccio destro del capitano, aveva fallito e sarebbe stato riduttivo ritenere che fosse fiero del suo successo.

Quella sera, quando Emma aveva preso posto sulle scalette e il suo viso era stato illuminato dal chiarore della candela dopo giorni di assenza, gli uomini dell’equipaggio avevano bevuto alla salute di Stecco e a quella del loro capitano, ma Killian non li aveva raggiunti, né si era curato di controllare in quali condizioni versasse Diego. I suoi occhi non avevano abbandonato un solo istante il profilo della giovane, divorandone ogni porzione di pelle, perdendosi negli abissi di quegli occhi che promettevano di impedirgli di trovare la via di casa, e, per quanto a lungo si fosse ripetuto di avere soltanto bisogno di studiarla, non aveva avuto il coraggio di mentirsi tanto apertamente. C’era in lei tutto ciò che di deplorevole aveva sempre fuggito e disprezzato e, nella contraddizione di cui pareva dominata tutta la sua vita, più tentava di convincersi di non esserne affascinato, più si rendeva conto di quanto ciò non corrispondesse a verità.

I loro sguardi non si erano incontrati, le loro riflessioni non si erano intrecciate e i loro mondi erano rimasti lontani come solo due persone dei rispettivi schieramenti avrebbero potuto essere; e, quando si erano ritirati ognuno nei propri alloggi, i loro pensieri erano corsi a tempi diversi e persone diverse. Emma aveva rimuginato sull’unico essere che avesse mai amato sulla faccia di quello o di qualunque altro pianeta, Killian alla vita che aveva vissuto e che sembrava aver perduto per sempre. Eppure, in tutta quella distanza, in ognuno di quegli elementi che si frapponevano lungo il loro cammino nell’intento di allontanarli più di quanto non fossero, sussistevano una sincronia ed un collegamento che nessuno dei due sarebbe stato in grado di ammettere senza rinnegare un’esistenza di sforzi e ideali.

Era stato solo qualche giorno dopo che la presenza del tenente Jones era stata richiesta negli alloggi del capitano, lo stesso giorno che, per la prima volta a distanza di più di un mese, avevano avvistato terra. Al cospetto dello schieramento di navi e casupole e piccole sagome in movimento, gli uomini avevano gioito ed Emma era parsa ardere di un entusiasmo e una smania che Killian avrebbe desiderato comprendere, ma dei quali non aveva alcuna conoscenza. Non era stata una sorpresa, tuttavia, quella convocazione, non quando la Nostos aveva calato l’ancora a debita distanza dalla cittadina e, poco dopo, una nave di proporzioni assai simili aveva lasciato il porto e tutti avevano  compreso di chi si trattasse . Tutti tranne il tenente. La deduzione che presto avrebbe saputo tutto quello che c’era da sapere si rivelò, invero, corretta.

«Lasciaci soli.» furono le parole di lei, quando Stecco lo ebbe accompagnato oltre la soglia degli alloggi, e non fu necessario aggiungere altro, perché la porta si chiuse alle spalle di Killian pochi istanti dopo. Gli occhi di Emma rimasero incollati sulle pergamene disposte alla rinfusa sulla scrivania e trascorsero diversi minuti, prima che ella gli dedicasse la sua attenzione; minuti che consentirono al tenente di osservare l’ambientazione spartana della cabina ed entrare, per la prima volta,  nel mondo di Emma Swan. Infine, la giovane si alzò e, con tutta l’impertinenza di cui il suo essere era compunto, gli sorrise appena. «Durin. E’ la città in cui attraccheremo.»

«Durin?» le fece eco Killian, le sopracciglia inarcate. Emma compì un passo verso sinistra, nel tentativo di aggirare la scrivania, e le assi in legno del pavimento scricchiolarono sotto il suo peso. Annuì brevemente.

«E’ un’antica città sulla quale si raccontano innumerevoli leggende.» gli spiegò e fece un altro passo, stavolta in direzione del suo interlocutore. «Deve il suo nome ad una delle più antiche tribù di nani che si narra siano mai esistite, una delle più coraggiose e battagliere in assoluto.» Con un cenno della mano, lo invitò ad avvicinarsi e Killian la seguì in silenzio, accostandosi all’apertura, posta su una delle pareti della cabina, che dava direttamente ad Ovest. Il braccio di lei si allungò fin quasi a toccarne il vetro spesso, mentre indicava le fattezze di Durin. «Vedete la montagna che torreggia sulla città? Si dice che fu teatro di una terribile battaglia, una battaglia che nessuno di noi sarebbe in grado di affrontare oggigiorno.» Qualcosa nella voce di lei lo spinse a voltarsi per osservarla e scorse sul profilo delicato del suo viso un incanto di cui non l’avrebbe creduta capace. «Gli antichi raccontano che, da fiorente e ricca città qual era, Durin dovette improvvisamente cedere le proprie sostanze all’avidità di un crudele, invincibile drago che scatenò sulla tribù la propria ferocia, quando l’orgogliosa popolazione di Durin rifiutò di cedergli il proprio oro.»

«Un drago.» fece Killian, la voce scettica di chi ha visto troppo – o, forse, troppo poco - del mondo per credere che simili creature fossero mai esistite. Emma non parve turbata dalla nota di perplessità nella voce del tenente e si limitò a confermare con un breve movimento del capo.

«Rase al suolo la città, investendola di fuoco e fiamme finché l’aria non fu impregnata del puzzo dei cadaveri carbonizzati e per le montagne echeggiarono le urla strazianti di uomini, donne e bambini. Razziate le ricchezze rimaste, il drago si rifugiò nel ventre della montagna e, per lungo tempo, vegliò instancabilmente sul suo tesoro, credendo che nessuno avrebbe mai osato avventurarsi fin lassù e sfidare la sua collera.» Nel raccontargli quanto aveva appreso sulla città presso la quale avevano intenzione di dirigersi, Emma non distolse lo sguardo dallo scenario dinanzi a sé per un solo istante, come se la visione delle case e dell’imponente altura alle loro spalle l’aiutasse a rammentare. «Si racconta che, qualche mese prima della catastrofe, un gruppo composto da una dozzina di nani fosse stato costretto a recarsi in una terra lontana in sinistre circostanze e che, una volta tornato e presa coscienza dell’accaduto, tentarono di ricostruire il loro regno e vi riuscirono.»

Killian ne seguì il racconto con sentimenti ambivalenti: una parte di lui non faceva fatica ad immaginare un popolo nell’intento di riscattare il proprio onore, proprio perché era quello che, da mesi ormai, prometteva a se stesso avrebbe fatto in una nenia ostinata e melanconica; l’altra parte, però, la più adulta e razionale, ascoltava le parole di lei con la stessa condiscendenza che un fratello maggiore avrebbe avuto per la sorella dall’animo sognante. I suoi occhi cercarono il profilo del pirata e vi trovarono, per l’ennesima volta, sfumature che mai si sarebbero aspettati di poter carpire. Quella dolcezza, la stessa che pareva dominarla tutte le sere al cospetto della candela e colmarla di un’essenza che ben poco doveva appartenere a Capitan Swan, era lì. Ella non avrebbe potuto, né voluto spiegargli la ragione di quel sentimento e non l’avrebbe fatto.

«Tuttavia, i figli di Durin erano una popolazione troppo potente, troppo orgogliosa, troppo coraggiosa perché quel crimine fosse lasciato impunito ed un gruppo di loro, diversi anni dopo, partì alla volta della montagna per riprendere ciò che apparteneva loro di diritto.» La voce di lei vibrò di un’emozione controllata a stento e lo sguardo di Killian scese sulle spalle affusolate dell’altra, quando la vide tendersi e scorse il fuoco ardere nei suoi occhi tanto grandi quanto verdi.

«Vi sarebbe piaciuto esserci?» chiese Killian, le labbra piegate in un sorriso a metà tra l’incredulo e il divertito.  Il verde delle iridi di Emma incontrò il blu dei suoi e seppe la risposta prima ancora che la risposta lasciasse la bocca di lei.

«Potete scommetterci!»

A quelle parole, il tenente non poté impedirsi di ridacchiare e, impercettibilmente, quasi senza rendersene conto, le si fece più vicino, scuotendo bonariamente il capo. La sua attenzione virò presto verso l’apertura dinanzi a loro e, indicando con la mano il vascello che avanzava verso di loro, tentò di ottenere maggiori spiegazioni di quante non ne avesse avute fino ad allora. Il capitano della Nostos rimase ad osservarlo per qualche istante, incurante del fatto che le distanze tra loro si fossero ridotte d’improvviso e con una naturalezza che non avrebbe potuto non destare i suoi sospetti. Infine, i suoi occhi seguirono la direzione dell’arto dell’uomo.

«E di quella che mi dite?»

«Quella è la ragione per cui siete qui.» rispose brevemente lei. «Barbanera viene a porgere i suoi omaggi alla Nostos e al suo capitano.» La testa di Killian ebbe uno scatto inaspettato e, stavolta, fu Emma a ridere di lui, quando comprese che l’altro pirata dovesse essere stato, fino a poco tempo prima, suo compagno nella lista dei bersagli che il tenente Jones si proponeva di abbattere. «Non siete forse un uomo fortunato, tenente?!» disse lei, nel momento in cui i loro occhi si furono incontrati per l’ennesima volta, sulle labbra quel sorriso compiaciuto ed impertinente che sovente gli riservava. «Capitan Swan e Capitan Barbanera in un solo colpo. Scommetto che non avreste mai pensato di poterci vedere davvero!»

Il corpo di Killian parve tendersi in maniera spasmodica alle stoccate ricevute, come spesso accadeva quando la giovane toccava corde che non avrebbero dovuto essere sfiorate, e l’espressione neutra che le aveva dedicato fino a pochi minuti prima venne sostituita dallo stesso astio che, tanto spesso quanto ella amava prendersi gioco di lui, l’uomo era solito riservarle. Emma aveva oramai compreso che, in ognuna di quelle occasioni, le memorie dei compagni perduti in battaglia affioravano a mo’ di avvertimento, quasi a ricordargli chi si celasse al di là delle dolci fattezze di donna che avrebbero potuto trarlo in inganno. E, in parte, in ognuna di quelle occasioni, Emma sentiva di capirlo.

«Vi prendete troppo sul serio, capitano, ve l’ho già detto.» fece lei nel tentativo di stemperare la tensione, ma non ottenne alcun risultato. A quel punto, i suoi occhi lasciarono brevemente quelli azzurri del suo interlocutore per tornarvi poco dopo, in essi una serietà che rese chiaro ad entrambi quale sarebbe stato il tenore della conversazione. «Ha mai visto la vostra faccia o c’è una sola possibilità che sappia chi siete e cosa siete?»

«Chi sono e cosa sono?» Una risata spenta, sarcastica riverberò per tutto il suo essere e, per un solo istante, Killian distolse lo sguardo e si osservò intorno, quasi stentasse a credere di star vivendo sul serio una situazione simile. Infine, tornò a guardarla e fu sul punto di dire qualcosa, quando l’altra lo interruppe.

«Non abbiamo tempo per la vostra indignazione, tenente. Ho bisogno che rispondiate alla mia domanda .» Le labbra di Killian rimasero serrate e la risolutezza che lesse su quel bel volto mascolino la costrinse ad alzare gli occhi al cielo e a sbuffare. Era una dannatissima spina nel fianco, quell’uomo! «La sua fama lo precede, perciò non ritengo ci sia molto da dire. Dovete soltanto sapere che, se vi è cara la vita, per nessuna ragione al mondo dovrete rivelargli chi siete o farglielo intuire, per quel che vale.» S’interruppe un attimo, quasi soppesando le parole, e, quando riprese a parlare, la sua espressione parve più cupa. «Siete un uomo testardo ed orgoglioso e si divertirebbe a torturarvi fino a provocare in voi una reazione. A quel punto, vi sfiderebbe a duello e credetemi in parola se vi dico che non avreste una sola possibilità di batterlo.»

«La morte non mi spaventa.» ribatté lui, impetuoso, ma l’espressione di Emma rimase immutata.

«Non si ha paura della morte finché non la si incontra, tenente.»

*

https://www.youtube.com/watch?v=2fngvQS_PmQ

Abbandonare gli alloggi del capitano e incontrare faccia a faccia uno dei nomi più temuti dei sette mari aveva sortito l’effetto auspicato più di quanto le parole di Emma non fossero state in grado di fare. Barbanera si era rivelato spregevole come previso e improvvisamente i moniti della giovane donna erano stati chiari e credibili come avrebbero dovuto esserlo sin da principio. Nella sua possente corporatura, coi lunghi capelli neri intrecciati ed agghindati di indefiniti oggetti di metallo, aveva fatto ingresso sulla nave e si era avvicinato ad Emma con la stessa sfrontata sicurezza che un macellaio avrebbe mostrato di fronte alla bestia sulla quale far calare la mannaia. L’aveva osservata a lungo, impudentemente, e si era preso tutto il tempo che aveva ritenuto necessario per compiacersi della sua bellezza ed assaporarne l’aspetto indomito, selvaggio.

A dispetto di quanto non si fosse aspettato, Emma aveva reagito col contegno di un capitano degno di essere chiamato tale e, benché avesse la metà degli anni di Barbanera, si era divertita a stuzzicarlo, a pungolarlo fino a provocarne le reazioni. La bocca di lui aveva avuto uno scatto nervoso, quando la giovane aveva preso a girargli attorno con un’espressione in viso che il tenente le non aveva ancora visto e che non avrebbe saputo catalogare, e tutto l’equipaggio aveva notato che, in qualche modo e per ragioni che non era dato sapere - le stesse che probabilmente stavano alla base del modo in cui Emma era stata in grado di scaraventare un omone del triplo del suo peso contro una parete -, Barbanera non fosse in grado di zittirla, né di incuterle il timore che suscitava in chiunque lo incontrasse. E doveva essere frustrante per un uomo del suo rango e del suo temperamento essere sminuito dalle stoccate di una giovane donna, che si supponeva dovesse tremare e supplicare perché non le facesse del male.

Ma, del resto, era di Capitan Swan che si parlava, della ragazza che aveva conquistato una nave, un equipaggio e il loro rispetto, una fama che sgomentava chiunque apprendesse le sue gesta. Si trattava della stessa ragazza che aveva gabbato ripetutamente Killian Jones, uno dei tenenti più stimati della Corona, che lo aveva ferito, quasi ucciso, fatto prigioniero e costretto a familiarizzare con l’unica categoria di esseri umani cui aveva sempre dato la caccia. Si trattava della stessa donna che asseriva di essere responsabile della vita  di lui finché le fosse stato fedele, che ne occupava le riflessioni e, al contempo, i progetti di vendetta; era la donna che avrebbe, in cuor suo, voluto redimere.

Accompagnato da Stecco e da un'altra manciata di uomini, una volta che la Nostos aveva attraccato al porto e una parte dell’equipaggio era stato assegnato al pattugliamento della nave, Killian era stato immesso nei vicoli di Durin e si era stupito della bellezza della città come di poche altre avesse mai visto in vita sua. La pietra levigata che formava i sentieri e le case era di una fattura altamente pregiata, una fattura che rispondeva esattamente alla storia di cui Emma lo aveva reso partecipe: da quanto aveva udito da piccino, Killian sapeva che lavorare la pietra fosse il lavoro che meglio si addiceva a quella leggendaria popolazione e, con essa, la brama di ricchezze conquistate col sudore della fronte nelle profondità della terra, tra i tunnel di una o dell’altra miniera. Per un istante, per quanto assurdo apparisse il solo pensiero, provò a dare per buono il racconto di Emma e si lasciò guidare dalla ciurma di pirati che, lo sapeva, non lo avrebbero perso d’occhio un solo istante.

Stecco e gli altri uomini furono ringalluzziti dalla vista della città in festa e delle donne, più o meno belle, che si aggiravano tra i banchi dei mercanti. Il tenente, benché ignaro delle consuetudini del luogo, fu soccorso dal suo spirito di osservazione e realizzò ben presto la ragione della celebrazioni; grossi stendardi, mossi dalla brezza notturna, sventolavano agli angoli delle strade e piccoli teatri improvvisati per i bambini mostravano le sagome di un drago di pezza che veniva sconfitto da piccoli ometti della stessa fattura, la barba e i capelli intrecciati come l’immaginario collettivo dipingeva le tribù dei nani. Il tenente si disse che, per quanto suggestiva fosse stata la vista della città illuminata dalle fiaccole nel folto della notte, quando avevano avvistato terra dopo mesi di ininterrotta navigazione, Durin era ancora più bella da vivere di persona.

Killian rise nel momento in cui, poco prima di lasciare le vie secondarie del porto per immettersi nel vivo dei festeggiamenti, una giovane dai costumi volutamente dimessi gli gettò le braccia al collo e, senza troppe cerimonie, sfregò il corpo morbido di donna contro il suo. In un gesto che avrebbe dovuto controllare ma che non seppe frenare, le sue mani la strinsero fino a spingersela contro e strapparle un gemito e furono soltanto i fischi di Stecco e degli altri che, riportandolo alla realtà, lo spinsero ad interrompere qualunque proposito i suoi istinti fossero stati sul punto di realizzare. Era sbagliato e una parte di lui ne era consapevole, ma, al contempo, quella stessa porzione del suo io, pur moralista e ligia al dovere, sapeva che fosse perfettamente giusto, che, prima di essere il tenente Jones, era Killian Jones, l’uomo. Con una riluttanza che aveva fatto fatica a nascondere, dovette prendere per i fianchi la bella, prosperosa ragazza che aveva innescato una pronta reazione nel suo fisico solido e virile e la spinse via, lasciandole null’altro che un sorriso e, soprattutto, l’amaro in bocca.

«Siete sicuro, Jones?» chiese Stecco, quando Killian ebbe raggiunto il gruppo, rimasto a qualche passo di distanza dal siparietto che si era creato. Un sorriso inclinò le labbra del pirata nel momento in cui, sfilandosi di bocca il pezzetto di legno che era solito mangiucchiare giorno e notte, gli si fece più vicino, gli occhi ancora puntati sulla giovane che non aveva mosso un solo passo dal luogo in cui Killian l’aveva lasciata. «Pirata o no, un uomo è sempre un uomo.» I loro sguardi s’incontrarono in una conversazione che non aveva bisogno di alcuna parola e Stecco finì per ridacchiare. «Come volete voi!»

A quel punto, non poterono che riprendere la loro marcia finché non ebbero raggiunto il cuore pulsante di Durin e, benché ognuno di loro fosse un uomo cresciuto, la sorpresa che si dipinse sui loro visi alla vista della città imbandita a festa li sopraffece. Le loro storie erano diverse, rispettivamente compunte di dolori e motivazioni che non avrebbero compreso l’un l’altro, e condividevano l’amore per il mare, ma, ancora più di ciò, erano perfettamente concordi nel pensare che la vita sulla terraferma portava con sé vantaggi e meraviglie che un’esistenza per mare non avrebbe potuto dar loro in termini di varietà.
Passeggiando tra la folla, Killian ottenne molto più di quanto avesse osato sperare: la sensazione di aver tradito i suoi ideali svanì al cospetto di quella gente che sentiva vicina a sé e la consapevolezza recentemente maturata si fece d’un tratto più chiara e appetibile. Fuggire e tentare di tornare a Thrain non avrebbe avuto senso, non sarebbe stato saggio e quantomeno fattibile; il porto pullulava di pirati della peggiore specie, come Emma si era premurata di renderlo edotto, ed ognuno di essi era estremamente fedele – per scelta o per forza di cose – a Barbanera. Cercare un passaggio per casa lo avrebbe condotto a due soli risultati possibili: quello di perdere le tracce di Capitan Swan per non ritrovarle mai più, o quello assai probabile di fare una fine spiacevole. In entrambi i casi, Killian sapeva di non potersi permettere un errore del genere e tanto valeva seguire il detto popolare: “Tien’ti stretti gli amici, ma ancor più stretti i nemici”.

Per una simile ragione, quella che fino ad allora era stata una mera, vaga congettura si era ben presto trasformata in una possibile missione, grazie all’attracco presso Durin. Seguire Emma da vicino fino a conoscerne i propositi gli avrebbe fornito una serie di enormi vantaggi che avrebbe potuto sfruttare in seguito, qualora avesse fortunatamente trovato la strada verso i suoi uomini ma malauguratamente perso le tracce del capitano della Nostos: ne avrebbe appreso il modo di ragionare, conosciuto le rotte e, con un po’ di fortuna, sfatato i piani per la cui realizzazione pareva essere disposta a qualunque cosa, nessuno scrupolo. Nello stesso modo in cui ella aveva tolto la vita a molti dei suoi compagni, Killian si proponeva di toglierle l’unica cosa che le stesse a cuore, qualunque essa fosse. Era una battaglia, quella, che desiderava vincere con ogni fibra del suo essere.

Radunati nei pressi di una parete, all’angolo di un’ampia piazza zeppa di teatranti improvvisati e artisti di strada, Killian e il piccolo gruppo di pirati trascorsero lunghi minuti a bere, ridere e scherzare, e Stecco si prese la briga di intrattenerli con una serie di grotteschi aneddoti dei quali era stato protagonista da che era diventato un pirata. In quegli istanti di assoluta quiete, immersi nel brusio di una folla gioiosa e scalpitante, il tenente ebbe modo di comprendere quanto poco a genio Barbanera andasse ai pirati della Nostos; c’erano un’asprezza ed un astio, nel modo in cui modulavano inconsciamente l’espressione della bocca ogni volta che qualcuno ne pronunciava il nome, da rendere inesistente qualunque margine di dubbio in merito. Sorseggiando dal boccale di birra che gli era stato fornito, Killian si accorse a stento di essere stato interpellato.

«Come dite?» domandò, del tutto inconsapevole di quale fosse il tenore della conversazione. Il ragazzo di nome Julio, il più timido e giovane della combriccola, diede di gomito a Stecco ed entrambi si scambiarono un sorriso complice. Quando Emma non era nei paraggi, il giovane acquistava un’inusuale, quasi inaspettata sicurezza.

«State pensando ancora a quella donna, eh?» insinuò Julio e uno degli uomini di Emma,  Xavier, batté una pesante pacca sulla spalla di Killian; grosso com’era, gli fece rovesciare buona parte del liquido ambrato, beccandosi un’occhiataccia dal tenente nell’ilarità generale.

«Secondo me, sta pensando al nostro capitano.» azzardò un altro, le mani accostate al sigaro nel tentativo di accenderlo, gli occhi fissi sull’operazione che stava eseguendo.

Il suo nome era Ulan. Era un uomo di corporatura non troppo robusta, simile a quella che Killian ricordava avesse suo padre, e di poche parole; benché amasse la compagnia e non si sottraesse mai ad alcuna bevuta, era il membro più taciturno della ciurma che il tenente avesse conosciuto nei mesi trascorsi e quella era la prima volta che si esponesse tanto apertamente. Aveva pronunciato le parole con noncuranza, quasi non ci fosse bisogno di alcuna spiegazione, e Stecco e gli altri si erano scambiati uno sguardo di malcelato stupore, prima di nasconderlo dietro una risata o dietro il boccale di birra. Quando Ulan ebbe finito e l’estremità del sigaro si illuminò all’ennesima boccata di fumo, gli occhi neri come la pece dell’uomo incontrarono quelli di Killian, in essi quella stessa, impenetrabile sicurezza che aveva accompagnato le sue parole.

«Non siete d’accordo?» inquisì il pirata, un sorriso impercettibile a curvarne l’angolazione delle labbra, il sigaro stretto tra i denti ingialliti dal tempo e dal fumo.

«Perché dovrebbe pensare al capitano, Ulan?» gli corse in soccorso Stecco, attirando l’attenzione del pirata su di sé con espressione divertita e deviandola dal tenente. In assenza di Diego, che non era ancora venuto fuori dai suoi alloggi dopo lo spiacevole inconveniente, Stecco doveva essere il suo controllore.

«Beh,» fece ed inspirò profondamente, prima che una nuvola di fumo venisse fuori dalla bocca e chiudesse gli occhi, in uno stato puramente estatico. «Capitan Swan lascia sempre il segno e non credo che il tenente Jones ne sia rimasto immune.»

Stecco si fece più vicino all’altro, invitandolo alla prudenza. «Attento a quello che dici, Ulan! Il capitano ha dato ordini molto precisi a riguardo. Non vorrai disobbedire.»

In tutta risposta, l’altro alzò le mani al cielo in segno di resa. «Non era mia intenzione, Stecco. E’ stata una svista.» rispose, ma i suoi occhi brillarono di un divertimento che irrigidì il più esile dei due. Killian notò che Stecco avesse stretto i pugni, benché fossero rimasti apparentemente inerti lungo i fianchi. «Quello che intendevo,» riprese e il suo sguardo tornò a Killian. «è che finirà come noi, né più né meno.»

Alcuni degli uomini risero e, piano, la tensione parve scemare, mentre le labbra di Stecco si piegavano in un sorriso sghembo. «Oh, hai ragione, amico mio!»

Killian fu sul punto di ribattere, di chiedere a cosa alludessero quelle parole, ma non ne ebbe modo di portare a conclusione i suoi propositi, perché una voce di donna, accompagnata da un silenzio che poco si addiceva alla festività in atto, vibrò nell’aria e costrinse ognuno di loro a voltarsi. Fu con grande sgomento che gli occhi blu del tenente, correndo sulla folla, scorsero la sagoma di Emma accostata ad un piccolo piano rialzato in legno, ai suoi piedi decine e decine di bambini seduti sul pavimento a gambe incrociate nell’attesa di chissà cosa. Ulan gli si fece vicino pochi istanti prima che la voce tornasse a scaldare l’atmosfera. «Tenetevi pronto ad innamorarvi, Jones.»

Oh, misty eye of the mountain below!
Keep careful watch of my brothers' souls

Le mani di Emma si mossero lentamente ma con sicurezza sullo strumento che aveva in grembo, uno di quelli a corda che Killian aveva visto suonare più di una volta in occasione di quella o quell’altra ricorrenza, al palazzo reale quanto a casa propria o di amici di famiglia. Le note fremettero nell’aria, fendendone il calore, raccontando una storia che ognuno dei presenti conosceva, una storia che l’intera Durin si era proposta di rammentare quella notte, una storia della quale Emma sarebbe stata il cantore.

And should the sky be filled with fire and smoke,
Keep watching over Durin's son!

A quelle ultime parole, la giovane donna riprodusse un arco col braccio, in un movimento calibrato e lento abbastanza da interessare la piazza e i suoi presenti nella sua interezza. Voci di giubilo si sollevarono quando Emma parve evocare i “figli di Durin”, quegli uomini che, Killian ormai lo sapeva, avevano combattuto per il loro popolo e il loro onore, e, guardandosi intorno, il tenente lesse le aspettative negli occhi di ognuna delle persone che occupava il luogo, l’attenzione puntata sulla giovane vestita in pelle nera e dai lunghissimi capelli color dell’oro che, in un’altra vita, doveva essere stata la principessa di un regno lontano e gioioso, ma che, in quella di vita, non era nient’altro che una delle tante anime ferite che il mare aveva amorevolmente accolto nel suo abbraccio.

Un gruppo di abitanti si accostò ad Emma, alcuni con strumenti a percussioni, altri con lo stesso strumento a corda che il giovane capitano della Nostos stringeva tra le dita affusolate, altri ancora semplicemente prendendo posto al suo fianco. Emma sorrise alla corpulenta donna che le si fece vicina, accompagnando la sua voce come un dolce eco, poi il suo sguardo volse ai bambini e la storia ebbe inizio. I gridolini emozionati  del suo giovane pubblico le strapparono un sorriso.

Quella notte, per quei pochi minuti che la voce di lei riempì la piazza e le strade di Durin, Emma raccontò di una battaglia di enormi proporzioni, di coraggio e onore, di fratellanza e morte, di orgoglio e sacrifici, ma, soprattutto, di vita; e, nel farlo, gli occhi di lei corsero più di una volta ai suoi uomini e Killian comprese che, qualunque avventura avessero affrontato o stessero programmando di affrontare, il capitano della Nostos e la sua ciurma si preparavano ad andare incontro ad uno scontro incerto, del quale sapevano una sola cosa: avrebbero vinto, non importava quale e quanto alto sarebbe stato il costo.

Quando Emma lo ritenne opportuno, le sue mani smisero di muovere le corde dello strumento e, come il più abile cantastorie, cominciò a muoverle in direzione del pubblico, della montagna, simulando ora le parole della canzone, ora le vicende che conosceva. I bambini urlarono e risero, quando Emma raccontò del temibile drago sull’altura alla loro sinistra e uno sputafuoco  al suo fianco ne riprodusse l’incandescente ruggito, come se la bestia fosse tra loro e avesse aperto le fauci per ridurli in cenere. La voce di lei era dolce e profonda, una voce piena che ben si addiceva alla donna che era, e parve curare antiche ferite che mai si sarebbero rimarginate, ma che, per un istante, parvero dolere meno.  Se Killian avesse trovato in se stesso la forza di distogliere lo sguardo da lei e guardarsi intorno, avrebbe scorto commozione e gioia sui volti dei figli di Durin, come li aveva chiamati lei. In cuor suo, tuttavia, non fu in grado di spingersi ad una simile impresa.

Detestava il modo in cui Emma fosse in grado di trasformarsi nelle più inopinate versioni di sé. Pur essendo un’unica persona, era come se in lei si riunissero un numero infinito di individui differenti, al contempo lontani e vicini tra loro: era lo spietato capitano della Nostos, il pirata che aveva ucciso, depredato, ingannato, mutilato e non si era mai guardato indietro; era la donna affascinante ed intrigante che poteva ironicamente sollazzare un’intera ciurma di uomini e sedurre un intero palazzo di nobili, senza destare il minimo sospetto sulla sua reale identità; era, al contempo, l’anima fragile che, ogni sera, chiedeva che fosse accesa una candela sulla falchetta della nave e si struggeva di un tormento che ogni membro dell’equipaggio pareva volesse dissipare per sollevarne l’animo. Com’era possibile, a quel punto, che fosse anche il cantastorie di un’antichissima città, la giovane che aveva sorriso ai bambini, la donna che aveva reso omaggio alla gente di Durin?

Quando Killian riuscì a sfuggire al dominio delle sue elucubrazioni, fu troppo tardi. La musica aveva cessato di suonare ed Emma era già andata via.

*

Per i canoni usuali, il porto di Durin era estremamente quieto. Benché l’intera città fosse nel pieno dei festeggiamenti e fosse notte inoltrata, tuttavia, una discreta quantità di uomini e donne, alcuni desti e altri svenuti a causa dell’alcool, occupava le strade del porticciolo. Killian condusse la mano alla fronte e fu costretto ad accostarsi ad un edificio, quando la testa minacciò di esplodergli e il suo corpo pregò per un attimo di tregua. Aveva bevuto più di quanto si fosse mai concesso in vita sua e, benché non fosse di corporatura esile, la tolleranza ad un simile ammontare di rum e birra non era tale da salvarlo nel guaio in cui si era cacciato.

Lo scoppiettio del fuoco che animava la torcia a poca distanza dal suo capo gli parve un rumore tanto rassicurante che, d’improvviso, l’idea di non aver raggiunto la Nostos non gli fu tanto avversa e, nonostante la sua mente fosse lucida e riuscisse ad articolare pensieri di senso compiuto, tutto il suo essere prese a sprofondare negli abissi del sonno. Senza rendersene conto, scivolò contro la parete dell’edificio presso il quale aveva cercato sostegno e, a dispetto del modo in cui era stato educato, realizzò di non poter fare nient’altro che arrendersi all’astenia che lo aveva colto impreparato. Non tentò nemmeno di combattere la spossatezza e, come tanti altri pirati nei paraggi, crollò addormentato sul pavimento del molo.

*

Trascorsero diverse ore prima che, scosso dagli scrupoli di coscienza e da un gruppo di uomini tanto alticci da non realizzare di averlo urtato nella loro traballante traversata verso la taverna successiva, Killian riprendesse conoscenza. A fatica, si mise a sedere in maniera più appropriata e, con una buona dose di forza di volontà, riuscì ad assumere una posizione eretta. Le voci di una Durin ancora in festa, benché mancassero una manciata di ore all’alba, giunsero alle sue orecchie da lontano, accompagnate dalle più prossime risate di donne e uomini gettati per i vicoli del porto come lo era lui. Raggiungendo un barile a qualche metro di distanza da lui, lo scoperchiò e fu con enorme sorpresa che vi trovò dell’acqua all’interno; affondandovi le mani, si bagno viso, collo e braccia e tutto il suo corpo parve emergere dalle tenebre in cui l’ubriacatura l’aveva gettato.

Riponendo il coperchio sul barile e dirigendosi verso il margine del molo, il tenente si azzardò a ripercorrere con la mente gli eventi che lo avevano condotto in quel luogo, ma il suo orgoglio ferito bruciava di un’indignazione tale che dovette abbandonare presto il proposito. Con le braccia incrociate sul petto villoso, Killian lasciò che la brezza marina alleviasse i suoi affanni ed inspirò ed espirò forte a più riprese. Era sbagliato. Stava sbagliando ogni cosa.

«Killian!»

Quando si voltò e i suoi occhi si posarono sui bei lineamenti di Emma, il sarcasmo con cui lo colpì il fato lo fece ridere di un riso amaro. La giovane lo osservò con espressione curiosa, sulle labbra quella smorfia divertita che tanto la caratterizzava.

«Capitano!» fece lui, tornando ad osservare il mare con espressione cupa. Presto, l’altra lo affiancò.

«Detto da voi, ha tutto un altro suono, sapete?» lo stuzzicò e, nel momento in cui Killian tornò ad osservarla, faticò a credere che stesse fingendo di flirtare con lui, nonostante entrambi sapessero quale fosse il gioco sotteso a quelle parole. Il tenente le lanciò uno sguardo di rimprovero ed Emma ridacchiò. «Siete così musone, tenente. Ve l’hanno mai detto?»

Piano, il pirata arretrò finché non si fu seduta su un barile posto al margine della banchina, i capelli biondi a carezzarle le guance arrossate in modo all’apparenza affettuoso. «Non lo sareste nella mia posizione, forse? Se io vi avessi catturato e tenuto prigioniera, avreste di che rallegrarvi?»

«Il problema non si pone. Sarei riuscita a fuggire.» rispose prontamente lei e Killian le dedicò nuovamente quell’espressione scettica e di biasimo che pareva riservasse soltanto a lei. «Non ho detto che sarei sopravvissuta dopo avervi gabbato, ma che sarei riuscita a fuggire.» precisò, ma il tenente non parve soddisfatto dalle sue illazioni.

«Come fate ad esserne tanto certa?» si costrinse a chiederle, mentre la osservava attorcigliare un piccolo cordoncino attorno alle dita con noncuranza. Il pensiero che il sangue dei suoi compagni avesse macchiato il candore di quella pelle lo disgustò e sgomentò al contempo. In frangenti come quello, Emma non aveva nulla da condividere col capitano della Nostos.

«Perché mi conosco abbastanza bene da sapere che potrei riuscire nell’impresa.» Gli occhi di lei lo raggiunsero e la torcia alle spalle di Killian, assicurata ad un robusto palo, si riflesse in quel verde con la stessa intensità con cui faceva la fiamma della candela che, ogni sera, Emma non mancava di contemplare fino allo spegnimento.

«Non ve lo avrei mai permesso.» fece lui, l’espressione seria.

«Lo avete già fatto.» ribatté Emma. L’uomo sobbalzò lievemente, la fronte aggrottata nel tentativo di comprenderne l’insinuazione. «Al ballo.» continuò lei. «Se aveste voluto consegnarmi alle autorità, lo avreste fatto allora, in un palazzo pieno zeppo di guardie che rispondevano agli ordini vostri e del vostro sovrano.» La bocca di lei assunse un aspetto carico di sdegno, nel pronunciare quell’ultima parola, e Killian fu sul punto di sorriderne. «C’è qualcosa che non va in voi, Killian.»

Ridacchiando, il tenente scosse il capo e, con le braccia ancora incrociate, si voltò così da poterla fronteggiare, ma si precluse l’opportunità di avanzare verso di lei. «Davvero? E di cosa di tratta?»

A dispetto delle sue aspettative, l’espressione di Emma rimase seria, concentrata quando tornò a parlare. «Sin dal primo momento che ci siamo conosciuti, avete tentato di redimermi e una parte di voi continua a volerlo. Perché?»

L’espressione di Killian riflesse quella del pirata sotto molti punti di vista. «Io voglio distruggervi e portarvi via tutto ciò che avete.» furono le parole che scelse per risponderle ed ognuna di esse fu veritiera. Ma era altrettanto vero che avesse preferito non affrontare le implicazioni del quesito che gli era stato posto e la ragione era che non avrebbe saputo darvi risposta neppure lui.

«Intendete la Nostos? La mia ciurma? La libertà?» domandò lei e, quando ebbe finito, rise e scosse il capo. Fissando gli occhi sull’orizzonte lontano, così scuro da rendere impossibile distinguerlo dal cielo in una notte senza luna come quella, il sorriso si spense sulle labbra di Emma. «Mi è già stato tolto tutto ciò che avevo e amavo. Non c’è nulla che potreste portarmi via in grado di creare la devastazione che quella privazione ha lasciato dietro di sé, tenente.» I loro sguardi s’incontrarono e Killian seppe che le parole di lei non fossero atte ad ingannarlo, che stesse dicendo la verità. «Ecco come sono diventata Capitan Swan,» gli disse. «Una persona che non ha nulla da perdere non ha timore delle conseguenze delle proprie azioni.»

«Credete di essere l’unica ad aver mai perduto qualcuno che amava? Credete che questo legittimi quello che avete fatto, il numero di vittime di cui vi siete resa responsabile?» chiese lui, ma il suo tono non fu accusatorio. Era come se volesse portarla a riflettere, come se volesse capire, come se, ancora una volta, la parte del suo animo che non riusciva a domare e che voleva redimerla avesse preso il sopravvento.

«Oh no, tenente!» rispose semplicemente Emma e gli sorrise. «Non lo penso affatto. Ma ciò non toglie che io non sono come voi. Non sono piena di ideali di giustizia, o quello che credete lo sia, né di buoni propositi, perché, nella mia vita, non è la giustizia che ho conosciuto.» Tacque un attimo e il silenzio che aleggiò tra di loro, mentre la brezza alleviava gli affanni di lei e le congetture di cui la mente dell’uomo era in preda, fu più eloquente di qualunque parola si fossero detti fino ad allora. «Sono Capitan Swan e tanto basta.»

Con un saltello, scese dal barile e, a quel punto, Killian azzardò un passo in avanti, sciogliendo le braccia dall’incrocio che le aveva impegnate fino ad allora. Emma alzò lo sguardo ad incontrare il suo e, per un lungo istante, nessuno dei due disse alcunché.

«Siete Emma Swan.» la corresse, infine, e la giovane sorrise. Per una millesimale frazione di secondo, gli occhi di Killian scesero a poggiarsi sulle labbra morbide dell’altra.

«Buona notte, Killian!» furono le ultime parole di lei, prima di compiere un passo verso sinistra ed oltrepassarlo, diretta alla Nostos.

«Emma?» la chiamò lui e il capitan pirata si voltò per guardarlo.

«Mh?» fece ed incrociò le braccia al petto.

«Avete una voce sorprendentemente bella.» le disse e l’altra gli regalò uno di quegli sporadici sorrisi pieni di cui, sempre in quell’altra vita, doveva essere stata prodiga.

«Non sono una sirena, se è questo che vi state chiedendo.» ribatté lei e Killian rise, sul volto quella stessa espressione di reprimenda che le usava contro sovente, come volesse correggere il suo comportamento. «Oppure mi stavate facendo un semplice complimento e suppongo di dovervi ringraziare.»

«E’ così difficile per voi?» fece l’uomo, quasi soddisfatto di aver ottenuto un risultato vagamente apprezzabile dalla donna più cocciuta che il fato o gli dei avessero mai messo sul suo cammino. Lo fece sorridere l’idea di aver pregato, sperato, supplicato di incontrare Capitan Swan e poter ottenere la sua vendetta e di aver ottenuto esattamente quello che desiderava. Allora, tuttavia, non aveva mai pensato potesse trattarsi di una donna, men che meno con un tale temperamento.

«Credere che mi facciate un complimento o ringraziare? Perché, nel primo caso, direi che, se non vi innamoraste di me, costringendomi a lasciarvi su un’isola sperduta per togliervi di dosso, sarebbe una grandissima sorpresa. Quindi, no, non mi è difficile accettare che vi complimentiate con me, Killian.» A quelle parole, si arrestò un attimo per osservare l’espressione del tenente e dovette trovarvi ciò che desiderava, perché gli regalo un altro di quei suoi sorrisi. «Nel secondo caso, direi che, , non è tra le mie attività preferite mostrare riconoscenza.»

«Non lo metto in dubbio, orgogliosa e testarda come siete.» ribatté Killian e le sopracciglia di lei s’inarcarono. «Non mi stupirebbe apprendere che siete la figlia di un riccone e che siete diventata pirata per uno dei vostri infantili capricci.» Incrociando nuovamente le braccia, il tenente rispose con un sorriso al riso della sua interlocutrice. «Vi si addice.»

«Se così fosse, sareste nei guai. Sbaglio o mi avete detto che un giardino mi sarebbe sufficiente per l’igiene personale, vista la gente cui appartengo?»

Touché, si disse Killian.

«Quello…» fece e, nonostante detestasse ammetterlo, provò vergogna per la sua condotta, perché, per quanti guai Emma gli avesse provocato, non era mai stata tanto scortese quanto lo era stato lui in quell’occasione. Ma, soprattutto, se anche fosse accaduto, non era nella sua indole rispondere alla maleducazion con altrettanta maleducazione. «Vi devo le mie scuse per ciò che ho detto.»

«Se vi aspettate che mi scusi per avervi pugnalato e affondato la nave, siete sulla strada sbagliata.» lo rimbeccò prontamente lei e Killian alzò gli occhi al cielo, compiendo inconsciamente un piccolo movimento in avanti.

«Mi credete davvero così sciocco?» cominciò lui e, prima che avesse modo di completare la frase, l’espressione di Emma gli lasciò intendere senza troppi giri quale fosse la risposta che avrebbe dato a quel quesito. Ancora una volta, il rimprovero apparve sui lineamenti di lui e, ancora una volta, il pirata sorrise. «Se non siete incline ai ringraziamenti, posso solo immaginare quanto vi repellano le scuse.»

«Lo sapete perché il ruolo che avete ricoperto vi ha fornito un’autorità tale da ridurre drasticamente le occasioni in cui dover fare ammenda.» gli fece notare. «E ne è dimostrazione il fatto non riusciate a fare a meno di ribattere, quando vi punzecchio, e che, qualunque conversazione si instauri tra noi, finiamo sempre per scontrarci. Due galli non stanno bene in un pollaio.»

Un gruppo di uomini dall’andatura traballante li avvistò e uno di essi le urlò un “Ohhh, capitano!”, strappandole un sorriso e un cenno del capo a mo’ di saluto. Quando tornò a Killian, qualcosa era cambiato nello sguardo di lui e quel qualcosa non le piacque.

«Buona notte, Killian. Di nuovo.» si congedò, ma, nel momento in cui fece per voltargli le spalle, dovette fermarsi ancora.

«E’ per quella persona la candela che accendete ogni sera sul ponte di coperta? La persona che avete perduto, intendo.»

Killian la osservò inclinare il capo e assottigliare impercettibilmente lo sguardo; i lunghi capelli biondi ne seguirono il movimento e, mossi dalla brezza marina, presero ad oscillare nell’aria, carezzandole il viso, le braccia, le spalle, il ventre. Infine, ella sorrise appena, in quel modo imperscrutabile che soltanto lei sapeva adoperare con simile padronanza.

«E’ per Emma. Per aiutarla a sopravvivere quando Capitan Swan è sul punto di spegnerla.»


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Spazio dell'autrice

Chiedo veeeeeenia per il super-arci ritardissimo. Giuro di non aver preso invidia dal Coniglio Bianco e che si è trattato di una serie di sfortunati eventi, tra cui la sessione estiva in università e il fatto che dovessi dare un esame di quelli di ti tolgono vita sociale, libertà e salute. Però, ho pensato tanto alla storia, a Killian, Emma, Diego e a tutti voi e non vedevo l'ora di poter completare il capitolo per farvelo leggere. Spero vi piaccia e mi scuso se non ho avuto modo di ringraziare singolarmente le persone che hanno commentato la storia. Mi avete resa felicissima e dato uno sprint in più per scrivere, in un periodo in cui, tra caldo e università, l'ispirazione rischia di essere risucchiata nel vortice della latitanza.
Quindi, ringrazio di cuore a:
Alexandra_Potter
A lexie s
Emma Bennet
Celeste98
EmmaJones
Cloris4

Grazie, grazie, grazie di cuore! <3
Per il resto, volevo dirvi che l'idea di questo capitolo è nato dalla scena finale dello scorso. Avevo bisogno di farli attraccare e io sono una fan gigantesca di tutte le saghe di Tolkien; inoltre, la canzone di Ed Sheeran mi ha ossessionata e ha preso possesso di me. Quindi, dovevo farlo, insomma! Spero l'idea vi sia piaciuta e che il capitolo in generale sia stato di vostro gradimento.
Buona lettura!

P.S. Se trovate qualche errore, scusatemi, ma sono stanca, devo studiare e prometto di rimetterci mano appena mi riconnetto.


 
  
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