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Autore: fakeasmileandcarryon    27/06/2014    2 recensioni
Una manina minuscola veniva sventolata davanti al mio viso.
Tornai alla realtà, travolto dalla potenza di quei ricordi, nonostante fossero passati ormai anni.
[...]
«Allora, papà? Come hai conosciuto la mamma?» chiese nuovamente con la sua vocina squillante.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Conor Maynard, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Con mio fratello Jack, Alex ed il resto della compagnia era sempre così.
Ogni sera la solita discoteca, i soliti drink e ragazze diverse.
Jack ed Alex erano riusciti a trascinarmi per l'ennesima volta.
Possibile che il fratello e il migliore amico più cazzuti del mondo fossero capitati a me? Sembrava non avessero un vero scopo nella vita se non scatenarsi, ubriacarsi, fare sesso e ripartire con lo stesso ciclo.
Possibile non capissero che i miei problemi erano ben altri? Tipo un secondo album che non riuscivo a completare.
Perché io invece uno scopo lo avevo e ben chiaro: fare musica.
Ma da un po' di tempo a quella parte era come avessi perso l'ispirazione.
E Jack ed Alex ogni volta mi supplicavano a provare a cercarla per locali con loro. E stupidamente accettavo.
Ma sapevo benissimo che non avevo intenzione di scrivere canzoni sulle troiette di Brighton, anzi, tutto il contrario. Volevo un album maturo, diverso, per dimostrare che non ero solo un ragazzo interessato ad alcool e femmine come apparivo. Più passavano i giorni e più aumentava la voglia di dimostrare qualcosa di più alle mie Mayniacs, come chiamavo le mie fans.
Perciò, ogni volta, piuttosto che sui divanetti di un lurido locale, avrei preferito essere a casa, a deprimermi e a preoccuparmi della delusione che stavo dando loro.
«Se ti amano come dicono, restano lo stesso, no?» continuava a ripetermi Jack ogni giorno, ma dovevo ancora capire se ci credesse davvero o se volesse semplicemente farci credere me.
Non riusciva ad ammettere quanto gli fossi utile per rimorchiare povere ed innocenti ragazze. Dopotutto, ero Conor Maynard.
 
Mentre restavo in disparte sul solito divanetto, controllando che mio fratello non esagerasse troppo con l'alcool, vidi passare una ragazza che attirò la mia attenzione: diversa dalle altre.
Era si anche lei vestita con dei mini shorts ed un corpetto che le metteva in risalto il seno e la vita perfetta, ma non faceva niente per ostentare la sua bellezza. E questo ai miei occhi la rendeva ancora più affascinante. Inoltre girava per il locale con un gruppo di amiche, le classiche vanitosette del cavolo di Brighton che tanto odiavo, ma non sembrava essere veramente con loro. Le seguiva con il suo drink in mano, senza badare molto a dove andassero o cosa facessero. Sembrava assorta nel suo mondo, le spalle ingobbite, come sovrastate dal peso di mille pensieri, e lo sguardo vago: guardava tutti ma in realtà non vedeva nessuno.
Istintivamente nacque in me un senso di protezione nei confronti di quella sconosciuta, che sembrava necessitarne molta. Drizzai la schiena, chinandomi in avanti come quando stai guardando una partita sul divano di casa e l'azione si fa pericolosa. Puntai il mio sguardo su di lei, deciso a non perderla di vista, ma in un attimo fu come risucchiata dalla folla.
Jack ricomparve, ora con due gemelle sottobraccio. Castane, curve al punto giusto ed occhi chiari: aveva fatto una buona scelta. Involontariamente mi voltai di nuovo, osservando il punto dove poco prima era passata quella ragazza. Mi chiedevo di che colore fossero i suoi, di occhi.
«Conor, queste belle ragazze ci vogliono fare compagnia stanotte.» disse Jack, distogliendomi dai miei pensieri e continuando a fare un occhiolino ad una e a mandare un bacio all'altra.
«Passo, grazie» risposi distaccato.
«Ma come? Non vorrai far passare i Maynard per degli ingrati? Non si rifiutano offerte così generose, fratellone» continuò lui, ammiccando.
Non gli entrava proprio il concetto.
«Allora pensaci te a tenere alto il nome della famiglia» dissi e nel farlo mi alzai. «Buon divertimento» aggiunsi poi, dando una pacca sulla spalla a quel coglione di mio fratello.
Anche se lui, almeno, riusciva a realizzare il suo scopo ogni fottuta sera.
Mi diressi verso il bancone, avevo bisogno di un altro drink per alleggerire la frustrazione, ma non avevo nessuna intenzione di ubriacarmi. Mi ero stancato di dover affrontare ogni volta i postumi della sbornia.
Diedi uno sguardo in giro. Intravidi Alex divertirsi a fare da spalla al Dj della serata, nonché nostro amico, George. La gente si stava scatenando con la sua musica.
Fu in quel momento che poco più in là rividi di nuovo quella ragazza. Si stava scolando un altro drink, probabilmente non era solo il secondo. I suoi movimenti erano lenti, pesanti. Chissà cosa stava cercando di dimenticare con tutto quell’alcool.
Forse, però, doveva essere fermata. Oh, ecco di nuovo quell’insensato senso di protezione.
Poi mi accorsi di una figura dietro di lei che la sovrastava. Un ragazzo alto e moro era in piedi alle sue spalle, le stava sussurrando qualcosa nell’orecchio cingendole la vita con una mano, nonostante lei rimanesse per lo più impassibile.
Con estremo disgusto notai che, mentre le parlava, teneva gli occhi fissi sul suo seno.
L’aveva puntata e si stava approfittando del fatto che fosse ubriaca.
Sentii una fitta allo stomaco, ma questa volta non era solo protezione: fastidio, rabbia.. e cos’altro? Gelosia, direi.
Istintivamente mi avvicinai, dovevo proteggerla. E l’idea che quella notte sarebbe stata di quello mi faceva andare fuori di testa.
«Hey, che ne dici di mettere giù le mani?» urlai, per far si che il suono della mia voce superasse quello assordante della musica. Il mio tono era uscito più minaccioso del previsto, ma andava bene. Cinsi le spalle di lei con un braccio, mentre l’altro lo lasciavo libero per ogni evenienza. Chi poteva dire che quello non si sarebbe meritato un bel pugno in pieno viso?
«Oh, non sapevo fosse con te, scusa amico» disse lui indietreggiando con le mani alzate.
«Si, sta con me.» dissi secco, aumentando la presa su di lei e regalando uno sguardo glaciale a lui.
«Cosa? Ma io non ti conosco!» disse la ragazza, divincolandosi dalla mia presa.
La ignorai, allontanandola da quel deficiente ed uscendo dal locale. Ora mi guardava confusa.
«O forse si – aggiunse poi – io ti ho già visto.» decretò. La sua voce era buffa da ubriaca, non che conoscessi il suono di quella da sobria.
«Come ti chiami? Devo sapere chi sei per poter accettare il tuo aiuto.» continuò.
«Il mio nome non è importante»
Mise il broncio. «Beh, io sono Rachel.» Mh, Rachel, era un bel nome, suonava bene.
Rise istericamente. Tutto era buffo di lei da ubriaca.
Decisi che la cosa migliore da fare era riaccompagnarla a casa e lei sembrava essere d’accordo. Ma anche non lo fosse stata l’avrei fatto comunque. Non sarei stato tranquillo senza sapere che era al sicuro. Quella ragazza aveva fatto scattare qualcosa in me.
Con difficoltà raggiungemmo la mia macchina, continuava ad inciampare ovunque, ma la maggior parte delle volte erano solo i suoi piedi a darle fastidio.
La presi per un braccio, con più delicatezza di quando poco prima l’avevo letteralmente strattonata fuori dal locale. Al contatto mi accorsi che aveva la pelle d’oca.
Immediatamente mi sfilai la mia giacca di pelle e la poggiai sulle sue spalle. Neanche a farci apposta, si abbinava alla perfezione con il suo abbigliamento.
La fissai, ero incantato da tanta bellezza scaturita da altrettanta semplicità.
«Cos’hai da guardare, biondino?» disse quasi scontrosa. Evidentemente di solito non dava confidenza agli sconosciuti, almeno non da sobria.
«Assolutamente niente» risposi innocentemente. E da vero cavaliere le aprii la portiera della mia macchina. La aiutai anche a salire a bordo, più per i suoi problemi di instabilità che per altro.
«Allora, il tuo nome te lo ricordi. Ti ricordi anche il tuo indirizzo o giriamo a vuoto tutta la notte in attesa che ti passi la sbronza?» le chiesi mettendo una mano sul volante e l’altra sul cambio.
La osservai pensare sulla risposta, l’alcool faceva si che ogni suo gesto venisse come rallentato.
«13, Charlotte Street – disse automaticamente, poi aggiunse – ops, preferivo la seconda opzione..»
Scoppiai a ridere, cogliendo dell’innocenza in quelle parole biascicate.
Conoscevo la zona e poco dopo eravamo di fronte a casa sua.
L’aiutai a camminare lungo il vialetto, sorreggendola con una mano intorno alla vita.
«Abiti da sola? Dove sono le chiavi?»
La vidi annuire con vigore alla prima domanda. E un secondo dopo era rannicchiata a terra.
Mi preoccupai, chiedendomi come avesse fatto a cadere nonostante la mia presa salda.
Non ebbi il tempo di chinarmi che si era già rialzata, sventolando davanti a me una chiave. Allora collegai che doveva essersi abbassata per recuperarla da sotto qualche vaso.
«I miei mi hanno buttata fuori di casa perché non volevo fare quello che cercavano di impormi» disse con un’alzata di spalle e la voce impastata.
Aprì la porta ed accese praticamente ogni luce, facendomi cenno di entrare.
L’appartamento era piccolo, semplice. Evidentemente non poteva permettersi molto e quello a cui aveva appena accennato ne spiegava il perché. In ogni angolo, poi, regnava il più totale disordine.
Lei si buttò sul divano e le andai a prendere un bicchiere d’acqua nella cucina che avevo intravisto dal salone. Non si fece problemi per la libertà che mi stavo prendendo in casa sua.
«Come ti senti?» chiesi mentre sorseggiava dal bicchiere.
Si girò a guardarmi. «Ubriaca» disse ridendo. Risi anche io.
Le consigliai di farsi una doccia per sentirsi meglio, accompagnandola fino in bagno. L’avrei aspettata in camera sua per aiutarla a mettersi a letto, poi me ne sarei andato, dopo aver compiuto il mio lavoro da angelo custode improvvisato. Avrei potuto cercarla, uno di quei giorni, da sobria, per approfondire la sua conoscenza. Sentivo che c’era qualcosa di speciale in lei. Nemmeno la conoscevo e già mi sentivo attratto come da una calamita.
Entrai nell’ultima stanza inesplorata, supponendo fosse la camera, e accesi la luce. In mezzo alla stanza c’era un letto a una piazza e mezzo, con accanto un comodino pieno di cianfrusaglie. I vestiti erano sparsi per la camera, senza alcun senso logico. Su una scrivania giaceva inutilizzato un portatile ed accanto una foto di una bimba. Riconobbi gli occhi di Rachel, forse era proprio lei.
Ma ad attirare la mia attenzione fu altro.
L’armadio, gigantesco, aveva un’anta ricoperta interamente di foto. Centinaia di foto messe insieme per formare un collage. Alcune erano più grandi, altre più piccole; alcune avevano colori forti, altre erano in bianco e nero; ma tutte con lo stesso soggetto: me.
Sulla parete accanto sovrastava la scritta #Mayniac♥. E tutt’intorno frasi di mie canzoni o pezzi di interviste, pensieri suoi rivolti a me e alla mia musica. In risalto, una delle ultime scritte: “muovi il culo con questo album, Maynard”.
Ero incredulo.
 
Il divano non era stata di certo la scelta migliore e più confortabile per passare la notte. Come mi alzai, sentii il dolore di un torcicollo, nonostante le poche ore di sonno che avevo avuto.
Infatti, quella notte, ero rimasto sveglio quasi tutto il tempo. Avevo fissato Rachel per un po’ mentre dormiva, era adorabile, e poi, senza rendermi conto di cosa stessi facendo, ero uscito a prendere il mio taccuino in macchina, rientrato nell’appartamento ed ero rimasto in un angolo tutta la notte a scrivere.
Avevo trovato l’ispirazione. E si chiamava Rachel.
Mi alzai dal divano massaggiandomi il collo, mi diressi in cucina e rimasi per un attimo ad osservare il panorama dalla finestra. Si intravedeva il mare, con la sua spiaggia di sassi su cui amavo passeggiare.
Mi presi la libertà di preparare due caffè, uno per me, dato che non potevo iniziare la giornata senza, ed uno per lei. Le avrebbe fatto bene per combattere il tipico mal di testa post-sbornia.
Entrai in camera con le due tazze in mano e la osservai mentre continuava a sonnecchiare.
Il lenzuolo, attorcigliato intorno le gambe, la copriva fino alla vita. L’orlo della vecchia maglia extralarge che aveva messo la sera prima si era sollevato, fino a lasciare scoperto l’ombelico. I capelli castani formavano sul cuscino una specie di ragnatela intorno alla sua testa.
La luce del sole che entrava illuminava la stanza artisticamente.
In piedi sulla porta provavo un senso di tranquillità incredibile, solo guardandola.
Mi avvicinai lentamente e cercai di svegliarla nel modo più delicato possibile.
Dopo un po’ di insistenza, bofonchiò qualcosa e si tirò su a sedere sul letto.
Si stropicciò gli occhi per poi darmi la possibilità di vedere quel meraviglioso color cioccolato che contornava le sue pupille.
La notai mettere a fuoco la mia immagine e le sorrisi.
«Oddio, che tipo di droghe pesanti mi hanno dato? – esclamò quasi urlando, prendendo la tazza che gli stavo porgendo – Sto avendo allucinazioni, chiunque tu sia, nella mia testa sei Conor Maynard» disse con una faccia a metà tra la paura e la sorpresa.
Le risate uscirono incontrollate dalla mia bocca.
«Cazzo, sento pure il suono della sua risata. Merda, aiuto.»
Ora era completamente terrorizzata.
Mi sedetti sul bordo del letto, delicatamente, facendo attenzione che non si rovesciasse il suo caffè.
«Hey.. – sussurrai, carezzandole dolcemente una mano per tranquillizzarla – non stai avendo nessuna allucinazione, nessuno ti ha drogato ed io.. Beh, sono veramente io.»
A quel punto strabuzzò gli occhi e un gridolino acuto uscì dalla sua bocca.
Se ne vergognò immediatamente, coprendosi la bocca con le dita e abbassando gli occhi mentre le guance le si dipingevano di un rosso delicato. Poi, timidamente, tornò a guardarmi e rise dolcemente di se stessa.
Dio, era bellissima. Desideravo poter rimanere a fissarla una vita intera.
 

Una manina minuscola veniva sventolata davanti al mio viso.
Tornai alla realtà, travolto dalla potenza di quei ricordi, nonostante fossero passati ormai anni.
Sofia mi osservava con i miei stessi occhi, quasi preoccupata dalla momentanea assenza di segnali vitali da parte mia.
Le sorrisi dolcemente e lei fece altrettanto, tranquillizzandosi, mostrando una fila di dentini perfetti.
«Allora, papà? Come hai conosciuto la mamma?» chiese nuovamente con la sua vocina squillante, riprendendo a saltellare accanto a me sul divano, scompigliando i capelli castani mossi della madre. Anche la curiosità e l’energia aveva ripreso da lei.
«Aspettami qui buona buona, okay principessa?» le dissi, passando un dito sul suo nasino perfetto, e sorrisi, sapendo quanto la facesse sentire speciale quel soprannome.
Quando tornai la trovai esattamente come l’avevo lasciata, seduta sui suoi piedini, le mani sulle ginocchia e l’espressione di trepidante attesa in faccia.
I suoi occhioni si espansero quando videro che avevo qualcosa per lei.
«Tieni.. – le dissi lasciando che le sue manine lo stringessero – qui troverai ogni risposta su come io e la mia mamma ci siamo innamorati, fino ad avere te»
La presi in braccio e la strinsi forte a me, mentre lei continuava a rigirare tra le dita con estrema cura ciò che le avevo dato.
«Posso ascoltarlo, papà?» disse infine.
Annui e la lasciai scendere dalle mie braccia, per poi vederla correre goffamente verso lo stereo, inserire il cd e restare in attesa che le note partissero.
Poco dopo la prima canzone del mio secondo album era iniziata, in ogni parola l’immagine di colei che ormai era mia moglie.
E mentre restavo lì ad ascoltare ogni singola canzone con Sofia, realizzai che il desiderio di quella lontana notte era diventato realtà: avrei continuato a fissare Rachel per tutta la mia vita e, con lei, la nostra famiglia.


 
Giornoo!
Sono di nuovo qui, con un'altra OS.
Innanzi tutto, volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto la mia 
prima storia e chi ha recensito, invogliandomi a scrivere altro.
E poi, naturalmente, grazie a voi che state leggendo fino qui.
Che dire.. Amo Conor, la sua musica e tutto quello che lo riguarda.
Non potevo non scrivere qualcosa su di lui.
E speriamo che si sbrighi veramente con questo album, lol.
Fatemi sapere cosa ne pensate, spero vi piaccia.
E' stato un po' strano scrivere dal punto di vista maschile, ma
ce l'ho messa tutta. Spero di leggere i vostri pareri, consigli e anche critiche.
- Arianna xx.


Questa la OS di cui vi parlavo
con protagonista Luke Hemmings dei 5sos:
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