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Autore: charliesstrawberry    27/06/2014    5 recensioni
«Quali sono le tue certezze, Lena?».
Stringo i denti e socchiudo di poco le labbra, mentre una leggera brezza notturna mi sferza il viso e mi fa rabbrividire nella mia felpa gigantesca. Lo guardo più del solito, con i suoi occhi curiosi che brillano, con le sue mani intrecciate sul suo addome come se stesse per addormentarsi sulle mie gambe, con il suo respiro pesante che sa di alcool e di marijuana. Quali sono le tue certezze?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Fa paura, ma adesso, quando vedo qualcuno arrossire, la mia reazione non è: oh, che carino; mi ricorda solo che il sangue è proprio sotto la superficie di ogni cosa. 
- C. Palahniuk


Le mattine, ultimamente, non sono mai piacevoli. 
Sarà l’arrivo della primavera che rincoglionisce un po’ tutti quanti e in particolar modo me, ma l’apatia e la poca costanza in tutte le cose sembrano essere ormai diventati i miei segni distintivi. 
In più, la solitudine non aiuta. Il campionato di scacchi occupa a Jean tutti i pomeriggi, Kim e Taylor studiano per i test dell’università, e, ovviamente, di Harry nemmeno l’ombra. Non è una gran sorpresa dopo tutto, e, sebbene non riceva ormai una sua notizia da giorni, sono quasi… serena. 
Wilson mi ha tranquillizzata e per una volta, forse, gli credo. Potrebbe anche solo essere un modo per non pensare a tutta questa situazione stranissima, che, in un modo o nell’altro, continua a riproporsi senza sosta; non lo so. Non che io non ci voglia più pensare: piuttosto, però, preferirei evitare di farlo adesso, considerato che so poco e niente, e che rischierei soltanto di alimentare fantasie che non hanno niente di vero. E poi ho smesso di farmi domande inutili, perché non sono altro che un martello continuo nella mia testa, che non giunge a conclusione alcuna. 
«Possiamo parlare un attimo?» 
Quando distolgo lo sguardo dal mio libro di biologia, impiego più di qualche istante per rendermi conto della figura che mi sta di fronte: aggrotto la fronte, accigliata. Zayn mi guarda in attesa, una sigaretta spenta tra le labbra e al posto della tradizionale giacca blu un giubbotto di pelle che stona incredibilmente con la divisa scolastica. Mi guardo intorno, incerta. 
«Non preoccuparti – esordisce lui, gli occhi quasi divertiti ed un breve accenno di sorriso sulle labbra sottili – i miei amici non ci sono. Siamo solo tu ed io» ride, e il suo tono, in qualche modo, finisce per farmi arrossire. 
«Cosa vuoi?» chiedo, forse un po’ troppo freddamente; in teoria dovrei essergli riconoscente per tutto quello che ha fatto l’altra sera, per Harry, per la disponibilità, e perché alla fine di tutto si è perfino premurato di accompagnarmi a casa. 
«Ehi, calmati un attimo, piccola. Non voglio mica mangiarti – ride di nuovo, e si appoggia con il bacino al muretto su cui sono seduta, proprio accanto a me – Biologia eh? Penso sia la materia più stupida del mondo» osserva con un sorriso sulle labbra che non sembra nemmeno suo, e forse lo fa per farmi sentire a mio agio; forse ha capito che un po' mi spaventa. L’altra sera non ha più spiccicato parola, dopo aver portato Harry da Wilson: piuttosto è rimasto in silenzio a guidare, e non sembrava per nulla amichevole. 
«Cosa volevi dirmi, Zayn?» è la mia risposta immediata, perché proprio in questi casi detesto che si temporeggi; lo sento sospirare quasi subito, incrocia le braccia al petto e mi rivolge un’occhiata veloce, prima di tornare a guardare il cortile della scuola, assorto. 
«Volevo sapere se hai idea di che fine abbia fatto quel coglione del tuo ragazzo» dice soltanto, e lo fa con una stizza nella voce che mai avrei immaginato di sentire rivolta proprio nei confronti di Harry. 
Sollevo le spalle, osservando una mattonella rotta ai miei piedi. «Non so molto. Ho parlato con il dottor Wilson, e lui ha voluto dirmi solo che per adesso Harry è da sua zia. E che sta bene». 
Con la coda dell’occhio vedo le sopracciglia di Zayn aggrottarsi in un’espressione che non mi sembra del tutto pacifica. «Tutto qui? – dice, e il suo tono irato è la conferma delle mie ipotesi – Quel coglione manca da più di una settimana e tu sai dirmi solo che uno strizzacervelli da quattro soldi ti ha assicurata che lui “sta bene”? E tu gli credi? Chi ti assicura davvero che sia da sua zia, che sia tutto a posto? L’hai visto l’altra sera, no? Ti sembrava stesse bene? Cazzo». Il suo viso è contrito in una smorfia di disgusto nei miei confronti, e per un attimo anch’io mi ritrovo a dubitare delle mie stesse azioni. 
«Mi fido del dottor Wilson – dichiaro dopo qualche istante, con un tono calmo e diplomatico – Harry si fida. E dovresti farlo anche tu, Zayn». 
Sospira, passandosi una mano tra i capelli folti. «Sono solo preoccupato» confessa, e, sebbene fossi già giunta da sola a questa conclusione, sentirla pronunciare dalle sue labbra fa comunque un certo effetto. 
«Lo so. E sono preoccupata anch’io, credimi. Ma adesso l’ultima cosa che possiamo fare è cercare di forzarlo in qualche modo. Quando sarà pronto a parlare con noi, tornare a scuola e vedere persone, lo farà» o almeno è quello che spero, penso tra me e me. 
Annuisce, tentando di mostrarsi per lo meno comprensivo di fronte alle mie parole. Forse non le accetta o le condivide, ma le capisce: e, dopo tutto, sono convinta che non sia stupido – almeno non quanto il resto della sua combriccola – e avrà già compreso che il problema di Harry non riguarda certo qualche birra di troppo, né manie di protagonismo. 
«Comunque non è vero che sei una psicopatica» dice di punto in bianco, appena prima di rivolgermi un sorriso fugace, uno di quelli che sembrano proprio una visione e che quando finiscono, quando non resta nient’altro che il ricordo sbiadito di un paio di labbra incurvate verso l’alto, sembrano quasi una fantasia irreale, qualcosa di mai accaduto. 
«Ti ringrazio» è il mio timido modo di mostrarmi riconoscente, le guance lievemente arrossite perché cose di questo genere è raro che mi vengano dette. «Posso farti una domanda?» sollevo lo sguardo e lo osservo sottecchi. 
«Mh?» mormora lui mentre estrae un accendino dalla tasca dei jeans e accende la sigaretta. 
«Come facevi a sapere degli attacchi di panico di Harry? Credevo non ne parlasse». La curiosità che ho espresso non è un dubbio improvviso, guanto più una domanda che mi pongo dalla sera stessa in cui, di fronte al respiro affannoso del suo amico, aveva riconosciuto subito i sintomi di un attacco di panico e aveva suggerito di portarlo in ospedale immediatamente. Non che io sia gelosa o altro, però Harry non mi aveva mai parlato dei suoi attacchi di panico prima che io assistessi ad uno, mentre Zayn sembrava essere ben informato in materia. 
«Infatti non ne parla» esordisce lui, espirando una nuvola di fumo grigiastra. «È che a furia di starci insieme te ne accorgi. Niall e gli altri sono troppo stupidi per farci caso, e forse neanche ci provano, ma Harry è un libro aperto, in fin dei conti. È impossibile non accorgersi di tutte le volte che smette di respirare con regolarità, di quando gli prudono le mani perché tutto quello che vuole è prendere a pugni qualcosa. L’ho capito lentamente, ma ci sono arrivato. E poi una volta, ad una festa, l’ho trovato in un angolo con le ginocchia al petto, come un bambino. Mormorava cose senza senso, e non aveva nemmeno incominciato a bere! Da quel momento ho capito che c’era qualcosa che non andava, anche se lui non ha mai voluto dirlo apertamente». 
Serro le labbra leggermente, per la sorpresa: non sono tanto stupita dal contenuto del racconto di Zayn quanto più dal suo significato. Non lo avrei mai immaginato così attento o così premuroso nei confronti del suo amico, mi è sempre sembrato uno stronzo insensibile come Niall, come tutti gli altri. «Però – dico con fare riflessivo – non ti avrei mai immaginato così sensibile, Malik». 
Lui aggrotta le sopracciglia e mi rivolge un'occhiata obliqua, poco convinto. Poi, senza aggiungere altro, getta la cicca sull'asfalto, la spegne con la suola e si allontana. 


Sul davanzale della finestra della mia stanza due uccellini cinguettano allegri con veemenza, come se l'unico scopo nella loro vita da volatili fosse quello di distrarmi dal lavoro che ho da fare. Osservo per l'ennesima volta, senza capire, una parola sul libro di letteratura inglese, mentre mi sforzo di rimanere concentrata, nonostante il caldo ed il cinguettio al di fuori della finestra. Il cielo si sta schiarendo, il tempo va sciogliendosi e, mentre il mio livello d'attenzione cala ulteriormente, gli esami di fine anno si avvicinano sempre di più. 
Nessuno dei miei amici è preoccupato più di tanto, ma io so che, da parte mia, dovrei impegnarmi molto di più. Wilson si è offerto di firmare una dichiarazione, nel caso dovessi essere affetta da un'amnesia improvvisa durante una delle prove, ma ho rifiutato. Sto guarendo, lentamente e con grandi sforzi, ma è sempre più raro che dimentichi qualcosa di punto in bianco, e perché mai dovrei trovare una scusa? Ho deciso che sono perfettamente in grado di farcela da sola, e non voglio essere giustificata per nulla. 
Mentre torno a concedere la mia attenzione al libro di testo, il cellulare accanto a me vibra per qualche istante. Quando, con un'occhiata fugace verso lo schermo, vedo che si tratta di un messaggio di Harry, aggrotto le sopracciglia e avverto il cuore accelerare. Non appena apro la chat, la prima cosa che attira la mia attenzione è il triangolino rovesciato sulla sinistra, a indicare la presenza di un nuovo messaggio vocale. 
Indugio qualche istante, poi decido di schiacciare play. 
La registrazione parte e tutto quello che sento per i primi dieci secondi è il respiro calmo e regolare di Harry. 
«Ciao – pronuncia la sua voce roca e profonda, e dopo svariati attimi di silenzio continua – Wilson mi ha detto che hai chiesto di me. Per adesso sto da mia zia, tra qualche giorno tornerò a casa – si arresta qualche istante, come per riflettere sulle cose da dire – mi... mi dispiace per quello che è successo la scorsa settimana. Ho perso la testa. Appena mi ha visto, il dottor Wilson mi ha insultato per una buona mezz'ora prima di aiutarmi: era incazzatissimo. Ed era più preoccupato per te che per me – per un istante il suo tono si fa più leggero, e riesco quasi ad avvertire l'ombra di un sorriso tra le sue parole troppo amare – sul serio! Voleva che ti facessi sapere che sto bene. O almeno, credo di stare bene. Mi sto riprendendo. Non vuole che ti preoccupi troppo, comunque: dice che non farebbe bene al tuo stato mentale» lo sento sorridere piano, nel tentativo di celare l'imbarazzo. 
Avverto una morsa allo stomaco, dettata non tanto dall'udire la sua voce, quanto più dalla delusione: l'idea che lui, nel bel mezzo della giornata, abbia rivolto un pensiero a me e abbia deciso di farmi sapere come sta si frantuma nell'esatto istante in cui pronuncia il nome di Wilson. 
È chiaro, penso tra me e me, con un sospiro leggero, dopo tutto cosa avrei dovuto aspettarmi? Che di punto in bianco si sentisse in colpa nei miei confronti e decidesse di sua iniziativa di darmi qualche notizia sulla sua condizione? Avrebbe dovuto essere quasi palese che era stato Wilson a spronarlo, lui che era consapevole della latitanza e del menefreghismo del suo paziente nei confronti del mondo intero.  
Sono sul punto di gettare il cellulare dall'altra parte della stanza, in un impeto di rabbia, quando quest'ultimo suona di nuovo tra le mie mani e vedo apparire un nuovo messaggio vocale in chat. Sospiro, prima di farlo partire. 
Dopo i primi dieci secondi di silenzio, Harry ricomincia a parlare. «...E poi volevo chiederti scusa. Ma scusa sul serio, per tutte le cazzate che ho fatto in questi mesi e tutte le volte che mi sono comportato da stronzo quando non te lo meritavi. E lo so che questo è il modo peggiore per farlo, ma dopo tutto questo tempo, e dopo tutta la tua pazienza, ti devo una spiegazione. Penserai che sono un vigliacco a farlo attraverso dei messaggi vocali e forse un po' questo è vero ed è uno dei motivi per cui non ti ho mai raccontato nulla, e per cui, una volta che avrò inviato questo, me ne pentirò per il resto della mia giornata: sono un vigliacco, Len, e non ce la faccio a dirti tutto di presenza perché guardarti negli occhi mi farebbe male e perché forse dopo sarai schifata da me, mi odierai e non vorrai più vedermi. Ecco, avevo paura anche di questo – sospira, lentamente – ma è giusto che tu sappia; e quello che succede dopo è solo una conseguenza che accetto di subire». 
Batto le ciglia, cercando di canalizzare tutte le informazioni. Posso vedere dal suo stato in chat che sta registrando un nuovo messaggio, e resto a fissare quella scritta per svariati minuti, fino a quado non appare un nuovo messaggio e io avverto il cuore in gola mentre schiaccio play. 
«Ho conosciuto Matt e Louis due anni fa, circa. Erano amici di Brad, quel ragazzo pieno di piercing che adesso lavora al Knight's, hai presente? Avevano qualche anno in più di me, ma erano uno spasso; vendevano l'erba poco lontano da scuola, e siamo diventati amici un po' per caso. Frequentavano lo stesso locale della mia comitiva, e abbiamo cominciato a vederci più spesso. Loro potevano guidare, quindi capitava che andassimo fuori città nei week-end, noi tre con altri amici. 
«Erano fortissimi. Avevano un senso dell'umorismo incredibile e sapevano proprio come divertirsi. Non godevano di una bella fama in città, ma a me non importava più di tanto, se erano miei amici. Una sera, inaspettatamente, si sono presentati di fronte a casa mia a bordo di una Lamborghini rosso fiammante; ho riconosciuto subito la macchina del signor Adams, ma non ho detto nulla: con loro era meglio non parlare, e in più preferivo rimanere ignaro di certe cose... Era più "comodo", capisci?, così che non si potesse dire che era colpa mia. Ce ne andiamo a Manchester, mi ha detto Louis dal sedile del passeggero, sventolandosi con un paio di banconote da cento sterline: anche quelle dovevano appartenere al signor Adams, suppongo. Ad ogni modo ho preferito tacere anche in quel momento, limitandomi a guardare Matt che, al volante, ci faceva sfrecciare a tutta velocità fuori da Holmes Chapel». 
Interrompo la registrazione, bloccando la voce atona e malinconica di un Harry stanco e debole proprio sul più bello. Lo faccio perché devo immagazzinare le nuove informazioni, riflettere e... rendermi effettivamente conto del fatto che stia per parlarmi proprio di quella notte, di Manchester, del momento in cui è cambiato tutto. 
«Non era una discoteca poi tanto grande, quella in cui ci siamo ritrovati quella notte. Matt e Louis avevano speso lì dentro quasi tutti i soldi che avevano rubato, tra alcool e pasticche – ormai da un po' avevo cominciato a preferire all'erba roba più pesante, come la coca o l'ecstasy, e quella sera in particolar modo non ero quasi per nulla cosciente, così come Matt e Louis». 
La registrazione si ferma, e faccio partire subito quella successiva. 
«È successo nel vicolo dietro alla discoteca. Eravamo lì fuori a fumare quando ho visto avvicinarsi una ragazza bellissima: lo era davvero, bellissima, tanto che mi sono avvicinato e ho cominciato a provarci. Forse ero troppo ubriaco per i suoi gusti, e forse ho sparato qualche cazzata, perché mi ha respinto in malo modo, con uno schiaffo sulla guancia ed un "maiale" sussurrato a denti stretti. Io sono scoppiato a ridere, non mi importava più di tanto e comunque ero troppo fatto per prendere la cosa sul serio. 
«Matt e Louis l'hanno sentita e si sono avvicinati ridendo, ho pensato che volessero provarci pure loro. Lei, Rachel si chiamava, piuttosto ha dato a Matt un calcio sulle palle e ha fatto per andarsene, dicendo di lasciarla stare; ma Louis l'ha trattenuta per un polso. Puttanella, le ha detto, devi morire all'inferno; e le ha dato uno schiaffo. Io ho riso, da lontano, appoggiato al muro sudicio del vicolo, ancora ignaro di quello che stava per accadere: e ho continuato a ridere divertito, almeno fino a quando Matt non le ha sferrato un pugno in pieno stomaco, facendola piegare su se stessa. Ma sei impazzito? Non ti pare di esagerare? Le hai fatto male, Cristo santo!, ho detto con il panico nella voce. Ti ha chiamato maiale Haz, non vuoi vendicarti anche tu?, mi ha risposto Louis, ma io restavo con le spalle attaccate al muro, per la troppa paura. La ragazza gemeva di dolore per terra e io non sapevo come aiutarla: basta, basta!, gridavo ma tanto non mi sentivano e si stavano divertendo così tanto! Li ho presi per le spalle, dalle braccia, ho provato in tutti i modi a tirarli via ma erano troppo forti e troppo invasati.  
«Smettetela, le fate male, dicevo, e continuavano con calci e pugni nello stomaco e nel petto mentre lei era accasciata a terra e implorava aiuto, vi prego, lasciatemi stare, diceva. Non vi ho fatto niente. E io di nuovo li imploravo di piantarla, così può bastare, non vedete che la state uccidendo? E tiravano calci e pugni, sei una puttana, non sei altro che una stupida sgualdrina dicevano, e io ho cominciato a gridare più forte, basta, basta, vi prego, adesso basta, la uccidete, basta, basta; la uccidete. Le loro mani si sono sporcate di rosso nello stesso istante in cui ho sentito le voci in fondo alla stradina. Aiuto, fateli smettere, sono pazzi, io e il proprietario del locale ed altri due ragazzi li abbiamo allontanati. Basta, basta, la uccidete. L'avete uccisa. 
«Louis aveva tra le mani un coltellino sporco di sangue quando li abbiamo allontanati, e lei uno squarcio rosso all'altezza dell'addome. C'era una pozza di sangue a terra e ho sporcato le Converse, le macchie non sono più sparite neanche dopo mesi – le macchie non sono più sparite neanche su di me. Non lo vedi, non lo senti? È colpa mia». 
La registrazione s'interrompe con un sospiro lungo e stanco dell'interlocutore. Incapace di formulare un pensiero sensato, lascio che l'eco delle sue ultime parole, le stesse che mormorava tra sé e sé una settimana fa allo sfascio di automobili, si propaghi nella mia testa come l'onda concentrica formata da un sassolino che cade sull'acqua di un mare piatto.  
«Avrei potuto – esordisce il nuovo messaggio – avrei dovuto fare qualcosa. Chiamare qualcuno, tirare più pugni e sanguinare di più. E lei mi guardava, in quel momento non sapevo neanche qual era il suo nome; eppure prima volevo solo farci sesso, ma adesso "Rachel" ce l'ho tatuato nelle ossa e neanche questo va più via dopo mesi. Rimarrà sempre. E come mi guardava Rachel, Lena, aveva gli occhi pieni di lacrime e gridava pietà, per favore, aiutami, ah, mi uccidono, aiuto. Ho guardato i suoi occhi sofferenti spegnersi sempre più lentamente, perdere la luce... e l'ho vista esalare l'ultimo respiro dopo aver sputato del sangue per terra, proprio accanto a me. 
«La polizia ci ha arrestati tutti. Il proprietario del locale e gli altri ragazzi che sono arrivati dopo hanno testimoniato in mio favore, così sono stato dichiarato innocente. Ho trascorso l'estate in reabilitazione e a svolgere servizi socialmente utili. L'assistente sociale mi fa visita ogni tanto, come avrai potuto notare tu stessa. Matt e Louis sono dietro le sbarre – omicidio colposo, ha detto il giudice: sono dodici anni. Wilson dice che la mia non è stata solo fortuna, che non sono un assassino, che sono solo capitato nel posto sbagliato nel momento sbagliato: io non la vedo così. Se non avessi provocato quella ragazza, se non avessi cercato di... cazzo, sarebbe stato tutto diverso. 
«Lo so quello che stai pensando adesso. E lo so che mi odi, per non averti detto niente prima e per quello che ho fatto. Io volevo solo dirti grazie, perché sei paziente e perché a me ci tieni forse più di quanto dovresti.  
«E poi ho pensato a lungo e ho capito che se devo perderti, voglio che accada facendo la cosa giusta... almeno per una volta».




Note.
Hello! Visto, sono stata puntuale! :) Vi ringrazio per le recensioni che avete lasciato; d'altra parte non credo sarei riuscita a stare via un mese senza prima alleviare un po' le vostre curiosità. Anche perché dovrete aspettare la fine di luglio prima che il prossimo capitolo di ND veda la luce, purtroppo.
Detto questo, spero che questo capitolo sia stato abbastanza soddisfacente, e qualsiasi dubbio abbiate potete sempre contattarmi su facebook o su ask dove continuerò a collegarmi ogni tanto. La storia di Harry, dei fratelli Tomlinson e di Manchester sarà comunque approfondita nei prossimi capitoli. 
Ci tengo a dire che l'ultima cosa che voglio è essere irrispettosa con questa storia, quindi ho "dato" a Matt e Louis una pena di dodici anni ma non so se questa è riduttiva o meno... se ne sapete più di me, fatemi sapere! Ho cercato un po' ovunque in giro e ho provato a documentarmi meglio ma in queste cose sono una frana, davvero.
Comunque sia, vi voglio ringraziare perché continuate a leggere e a interessarvi alla storia, e un bacio in particolare a chi trova il tempo per recensire!
Detto questo vi saluto, vi auguro buone vacanze e ci sentiamo presto <3

Mi trovate qui: ask - facebook
Un bacio, 
Carla

 

Dal capitolo 22
«Non mi fai schifo» dico e lo vedo voltarsi un poco, così da permettermi di distinguere il suo profilo.
«Allora che sei venuta a fare?».

 

 

 
   
   
 
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